Tutta colpa del cappotto
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Tutta colpa del cappotto - Pamela Del Bianco
Arturo
La busta scarlatta
Il suono squillante del campanello s’infilò furtivamente nei sogni di Arturo fino a diventare un presente e fastidioso trillo per le sue orecchie addormentate. Lentamente scoprì le gambe rivoltando le coperte tutte da un lato; erano quasi le undici e fuori dal portone, il postino lo aspettava per firmare una raccomandata.
«Il postino non dovrebbe suonare soltanto due volte??!!». Con le righe del cuscino impresse sulle guance, che poco si intonavano alla fantasia floreale della vestaglia, Arturo accolse il postino in casa.
«Buongiorno! lei è il Signor Arturo Del Verde Bosco?.»
«Si sono io mi dica…»
Questo aveva in mano una busta rossa, strano colore per una raccomandata, proveniente dallo studio notarile di un tale Notaio Annibale Ventofermo.
«Mai sentito nominare questo Ventofermo…non sarà mica per colpa di qualche multa che ho preso diverso tempo fa e non ho ancora pagato??!!.» Borbottando queste parole, accompagnò il postino al cancello dove lo aspettava la sua vespa bianca lasciata accesa. Arturo ritornò in casa ed accese la lampada del salotto, non aveva voglia di aprire le tende e godere del sole di mezzogiorno anche perché la busta rossa lo aveva trasportato in un caldo stato di preoccupazione. Le righe del sonno stavano quasi scomparendo lasciando il posto alle piccole rughe che le sopracciglia formavano quando qualcosa lo agitava; non amava ricevere brutte notizie per posta e soprattutto non gli piaceva essere disturbato nei pochi giorni di vacanza che ogni tanto si concedeva. Arturo aveva sempre la giornata piena d’impegni, lavorava come giornalista reporter per un giornale della sua provincia; quella professione gli piaceva perché gli permetteva di spostarsi e conoscere luoghi nuovi e gente con mentalità diverse dalla sua; a volte doveva occuparsi di servizi barbosi ma anche in quei casi, cercava di trovare il meglio da portare in redazione.
Viveva da solo in una casa che poteva accogliere una famiglia ma lui a questo proprio non pensava. Aveva raggiunto i quarant’anni da single convinto e si godeva ogni istante come se un terremoto dovesse portar via tutta la terra da un momento all’altro; lo si poteva considerare cinico da un lato ma questo non lo faceva trasparire quasi mai, agli occhi di tutti era un uomo con uno spiccato senso dell’avventura e della libertà nell’accezione più pura. Arturo viveva in una casa molto spaziosa, era stata arredata in maniera lineare e spartana, non spiccava nessun colore in particolare, soltanto il caminetto acceso tingeva di rosso il salotto dove un lungo e angolato divano di pelle bianca, occupava gran parte della stanza insieme ad un basso tavolino di legno verniciato dove venivano lasciate sparpagliate delle riviste di viaggi e consigli su come diventare un ottimo fotografo. Alle pareti c’erano antiche stampe di giornali con i fogli ormai ingialliti dalla memoria; all’ingresso si poteva immaginare di essere davanti ad un’impetuosa cascata che con la sua portata, accarezzava gli alberi intorno. Quella foto l’aveva fatta per caso durante un viaggio e gli aveva fatto vincere il secondo premio di un concorso fotografico; secondo la giuria infatti, l’immagine presentava una simmetria perfetta. La seconda ed ultima foto che raccontava un po’ di Arturo, si trovava in camera nascosta dalla lampada che illuminava le sue letture notturne, ritraeva una signora con i capelli castani raccolti che, con in braccio un bambino, sorrideva verso l’obiettivo. Il faccino pallido, arricchito da alcune lentiggini, era con il tempo cambiato ma gli occhi spalancati e meravigliati erano rimasti gli stessi. Ora Arturo guardava raramente quella foto; i suoi occhi sempre curiosi, non si poggiavano mai su quell’immagine che comunque non aveva coraggio di lasciare nel cassetto; magari in fondo al suo cuore, nutriva la speranza di poter capire. Sua madre in quella foto lo teneva stretto con aria compiaciuta e serena; lui le teneva il braccio intorno al collo come se fosse un vero e proprio ometto con la fragilità di cercare e trovare sempre un punto d’appoggio. In cucina non c’era nessun piatto da lavare nel lavandino, nessuna calamita sistemata frettolosamente sul frigo per ricordarsi di comprare il latte, sul tavolo Arturo non lasciava mai nessuna briciola anche perché spesso mangiava fuori. La busta scarlatta mal s’intonava a quella casa; il colore di sicuro però, rispecchiava quello che il protagonista della storia stava per scoprire ed affrontare.
«Strano colore per una comunicazione così ufficiale!». Borbottando i suoi dubbi mescolati ad una buona dose di sonno arretrato, Arturo aprì in fretta la busta e scorrendo velocemente le righe formali, arrivò alla richiesta di presentarsi il martedì seguente presso l’ufficio del notaio perché aveva una comunicazione importante per lui che riguardava una sua pro-pro zia, la signora Alma del Verde Bosco. Cercò di ricordare, in qualche nascosto cassetto della sua mente, quel nome ma neppure in quello dell’infanzia più lontana, il nome Alma risuonava familiare.
«Tutto questo rumore per una comunicazione…ma poi siamo sicuri che io sia la persona giusta? A pensarci bene però porta il mio stesso cognome…non tanto comune da trovare in giro! Martedì…magari posso fare un giro in quelle zone per fare delle foto e cerco anche questo Notaio Ventofermo, qui non è specificato l’orario quindi in teoria posso sceglierlo io.». La lettera aperta rimase a far compagnia ad un servizio sulle spiagge dorate del Kenya; pagine più volte sfogliate e studiate perché poteva essere la prossima meta di Arturo.
L’acqua bollente della doccia velò lo specchio del bagno che quasi ogni mattina si trasformava in una sauna dove la vista fa fatica a distinguere la porta e la pelle si libera di ogni tossina. Arturo aveva l’abitudine di pensare e riflettere mentre l’acqua lo accarezzava; con la schiuma profumata di sandalo e patchouly progettava ed immaginava quale poteva essere il suo prossimo servizio e in quale angolo della terra poteva rifugiarsi per scattare la foto più impressionante del secolo. Quella mattina però accanto alle immagini di cascate vergini e foreste inondate di farfalle tropicali, fece capolino la busta scarlatta e quella comunicazione che, anche se non era stata messa in cima alle preoccupazioni, scomponeva il quadro che Arturo aveva pensato per le sue brevi vacanze. All’improvviso una sinapsi risvegliata dallo speziato patchouly, corse rapidamente ad aprire un minuscolo cassetto nella mente di Arturo: sua zia Alma.
Nel cassetto non c’era il ritratto della donna ma lui ora ricordava che quando era piccolo, l’arrivo di quella zia era sempre accompagnato da un dolce tintinnare dei suoi bracciali sottili che non abbandonava mai; potevano essere anche più di una dozzina; maglie dorate che si intrecciavano e cambiavano posizione ad ogni gesto e che, come diceva lei, le tenevano accanto il suo angelo custode. Ricordava poi le gelatine alla frutta che gli portava ogni volta, in una scatola con la parte superiore trasparente che lasciava intravedere quelle forme ricoperte di zucchero. Che profumo quelle gelatine! Ogni forma richiamava il gusto della frutta, c’era la mela, il lampone, la pera, il mandarino, l’arancio e quella più desiderata, l’uva spina. Arturo prima le guardava senza aprire la scatola e una volta scelta, si lasciva ricoprire le dita di zucchero, per quelle caramelle avrebbe rinunciato anche ad alcuni dei suoi giochi preferiti. Sua zia…l’aveva quasi dimenticata o meglio il tempo e i dispiaceri l’avevano lasciata