Nexus
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Vivere, in primo luogo, significa essere protagonisti della propria vita da condividere con le persone giuste e, anche se qualcuno dirà: "bé, lo fanno tutti", dalla mia esperienza non sembra proprio così.
In secondo luogo è bene che ciascuno faccia quello che sa fare meglio e, comunque, quello che gli piace fare.
In terzo luogo bisogna porsi la domanda se quello che si fa ci fa stare bene.
Infine, bisogna chiedersi se si è felici.
Essere felici non è un punto di arrivo, ma uno stile di vita quotidiano da imparare.
Purtroppo, l'umanità è iniziata bene nella ricerca del bello e risulta del tutto incomprensibile il motivo per cui ora si sia arrivati al gusto del brutto...
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Book preview
Nexus - Mario Girolami
CONFESSIONE
Capitolo I: Preludio
Era uno di quei giorni luminosi, col cielo terso e la luce del sole che, bassa ed abbagliante come lo è solo d’inverno, faceva brillare il mondo ed i suoi colori, sia quelli della natura che quelli dell’opera dell’uomo: tutto ciò che era bello risultava splendido, tutte le cose brutte sembravano ancor peggiori.
Vittorio si era risvegliato con quel velo di tristezza che da tempo caratterizzava i suoi giorni, ma, senza farci caso, si era tuffato nel traffico con la sua automobile per svolgere le quotidiane mansioni e raggiungere il suo ufficio in città.
Gli occhiali da sole faticavano a filtrare la luce che attraversava quasi insolentemente il parabrezza procurandogli una sensazione di fastidio che accentuava il senso di affanno esistenziale latente laggiù nel suo inconscio e che, contro la sua volontà, riusciva spesso a dare un significato di inutilità a tutte le sue azioni quotidiane.
Com’è possibile vivere sotto tono, pur avendo un sacco di cose da fare, pur avendo una vita discretamente realizzata ed in assenza di problemi seri, era una cosa che gli riusciva difficile capire.
Ogni volta che riaffiorava questa sensazione cercava di annullarla con l’elenco delle cose positive che, nel suo caso, non erano poche: una bella famiglia, una bella casa, un discreto benessere, una libera professione che, per quanto un po’ noiosa, gli consentiva di organizzarsi in modo pressoché indipendente.
Già, fare l’avvocato non è un granché divertente, anche se lui scherzando diceva che l’Avv. davanti al suo nome non sta per avvocato, bensì per avvoltoio, pur sapendo benissimo che avvoltoi si nasce, ma non si diventa!
Forse tutto il problema era lì, incentrato su un errore di scelta della professione, pensò per un attimo, ma subito si ricordò che quel fastidioso senso di inadeguatezza, di mancanza di soddisfazione, lo aveva provato sin da giovane e, quel che è peggio, gli sembrava di intravederlo anche in alcuni dei suoi figli: che sia un fatto genetico?
Capitolo II: I Genitori di Vittorio
A pensarci bene suo padre, sebbene fosse un personaggio con grandi potenziali, aveva vissuto una vita lunga quanto invisibile, facendo una gran mole di lavoro per accumulare qualcosa per il figlio e negandosi qualunque divertimento o gratificazione, persino il modesto gusto di far notare a chicchessia quello che aveva fatto.
Anche sua madre, sebbene assai briosa, gradiva la vita modesta, pur con qualche gratificazione personale acconsentita dal marito che cedeva ai suoi desideri di avere alcuni gioielli.
Per un eccesso di amore materno aveva sempre tentato di inculcare nell’unico figlio il timore di apparire, di confrontarsi e combattere col prossimo per quello che tutti vogliono raggiungere: la vetta della scala gerarchica umana.
Ci deve essere stato veramente tanto amore in loro se, pur di preservare la tranquillità della vita dell’unico figlio avuto in tarda età, avevano pensato non solo di rinunciare ad una vita brillante per dedicare a Vittorio ogni risorsa, economica e non, ma anche di infondergli il timore della sfida esistenziale, del confronto, della conquista... tutto ciò per evitargli ogni rischio connesso alla lotta e alle potenziali sconfitte.
Fin da piccolo Vittorio ha ricevuto dai suoi genitori l’insegnamento a rispettare ogni regola di convivenza sia essa di tipo legale che morale o di semplice galateo, con la raccomandazione di evitare ogni provocazione, ogni potenziale rischio, ed accettare i lati meno piacevoli della realtà sottomettendosi ad essa piuttosto che fare inutili battaglie.
Ad onor del vero, però, il principino
, così lo chiamavano i parenti per via del piedestallo su cui lo avevano messo i genitori, da adolescente non era proprio ligio alle regole impartitegli, anzi sembrava che facesse di tutto per infrangerle con pericolose scorribande in compagnia dei più scapestrati: da fanciullo in bici, da adolescente in moto e da adulto in auto.
Capitolo III: L’Adolescenza
L’adolescenza di Vittorio trascorse tra bocciature a scuola e qualche incidente stradale che i poveri genitori attribuivano a sfortuna, anche se suo padre pensava che, in realtà, l’atteggiamento del figlio verso la sfiga era promozionale: più la cerchi, più la trovi.
Quanto a divertimento non si può certo dire che la vita fosse stata avara col principino, cosa sicuramente dovuta anche all’ausilio di una madre molto compiacente verso la tendenza decisamente ludica dell’amato figlio: donne e motori erano la sua religione che praticava con dedizione quasi fanatica.
Il ragazzo, comunque, era simpatico e dotato di una fortuna sfacciata: mai un danno grave, nonostante tutto quello che combinava e poi ...tutti lo adoravano!
Oddio, non proprio tutti, perché, come è comprensibile, un tipetto del genere accumulava anche una buona dose di invidia e maldicenza, ma più si parlava di lui, nel bene o nel male, e più il personaggio cresceva.
Giunta l’età della ragione Vittorio, suo malgrado, si scontrò con la dura realtà delle regole su cui si basa la nostra società: se fai la cicala dimostri di essere un’incapace, un parassita mantenuto dai genitori che, nella fattispecie, a causa della loro bontà, sembravano ancor più sfruttati.
Fu questo l’inizio della grande depressione, della morte del Peter Pan che c’era in lui e della nascita di quella specie di ibrido che è oggi.
A furia di sentirsi dire quand’è che combini qualcosa di buono
, decise di dare qualche soddisfazione ai vecchi e si ripropose di laurearsi.
Nel frattempo ridendo e scherzando, aveva superato l’esame di maturità classica che non è certo una scampagnata, anche se il corso degli studi del liceo era durato sette anni invece che cinque, ma ...cosa vuoi che siano due anni in più se ciò ha comportato la conoscenza del Nirvana...
, diceva sempre.
In verità prima di raggiungere il Nirvana Vittorio pensò di passare da esperienze più terrestri che avevano a che fare con i corpi, quelli sì celestiali, delle sue amiche.
Ma il tempo delle scorribande era finito e bisognava cercare di concludere qualcosa, il che comportò l’avventata scelta di iscriversi al corso di laurea in Giurisprudenza che fu il secondo passo della sua castrazione.
La scelta era proprio avventata in quanto