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Phobos
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Phobos

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About this ebook

Emiliano Dentice è un regista reso famoso da un film: Phobos. Durante le riprese studia i filmati dell’ultima guerra e scopre immagini di carri armati tedeschi che schiacciano cavalli e ne rimane profondamente impressionato. La sua vita cambia e comincia a riflettere sulla sofferenza del “non umano”. A Praga inizia a girare un nuovo film su
Rodolfo II, l’Imperatore del Sacro Romano Impero, e il suo incontro con John Dee, mago elisabettiano, ed Edward Kelley, the Golden Knight, lo scryer capace di evocare stravaganti spiriti che produrranno le arcane e strambe Conversazioni Angeliche. Rodolfo è l’imperatore alchimista alla ricerca perpetua della pietra filosofale e vive circondato da filosofi, alchimisti, astronomi, pittori e matematici. Intorno a lui si muovono personaggi del calibro di Johannes Kepler, Giordano Bruno, Arciboldo e Thyco Brahe. La narrazione, arricchita dalle riflessioni di Dentice, si ramifica in una serie di filoni: Rodolfo e Dee, la fine di Hitler e del Terzo Reich e la vita del regista, durante le riprese del film, con i suoi assistenti ed attori. I capitoli del libro sono scanditi dall’ossessione del regista con il profeta Geremia. Durante la fine delle riprese del film, Dentice, legge di un cervo bianco massacrato e decapitato nelle Highlands della Scozia, turbato per lo scempio prende una decisone radicale che avrà sviluppi drammatici. Il libro si conclude con una visione profana che lascia sorpresi, euforici e, forse, scandalizzati.
LanguageItaliano
Release dateOct 15, 2012
ISBN9788862596954
Phobos

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    Phobos - Paolo Ricci

    PHOBOS

    Paolo Ricci

    EDIZIONI SIMPLE

    Via Weiden, 27

    62100, Macerata

    info@edizionisimple.it / www.edizionisimple.it

    ISBN edizione digitale: 978-88-6259-695-4

    ISBN edizione cartacea: 978-88-6259-541-4

    Stampato da: WWW.STAMPALIBRI.IT - Book on Demand

    Via Weiden, 27 - 62100 Macerata

    Tutti i diritti sui testi presentati sono e restano dell’autore.

    Ogni riproduzione anche parziale non preventivamente autorizzata costituisce violazione del diritto d’autore.

    Prima edizione cartacea agosto 2012

    Prima edizione digitale ottobre 2012

    Copyright © Paolo Ricci

    Diritti di traduzione, riproduzione e adattamento totale

    o parziale e con qualsiasi mezzo, riservati per tutti i paesi.

    A mia nonna Adele e ai miei cani Omero e Max

    "Come potete dire noi siamo savi? La legge del Signore è con noi?

    A menzogna l’ha ridotta la penna falsa degli scribi"

    Geremia 8,8

    Well, of course, we are meat, we are potential carcasses

    (Bene, naturalmente siamo carne da macello, potenziali carcasse)

    Francis Bacon

    1

    Alef

    Quando voglio entrare in me stesso guardo gli occhi di Paracelso, il mio cane.

    Il suo ritratto é in una grande cornice di foglie d’oro adagiata su un cofanetto di legno intarsiato che contiene le sue ceneri.

    Paracelso mi guarda, da quella foto, con occhi pieni di grande profondità.

    Da quando è morto la sua immagine è sul mio tavolo con la mia amata nonna.

    Sono due punti di riferimento nella mia vita bislacca.

    Gli occhi del mio cane quando li fisso sono come porte che si aprono in una dimensione particolare.

    Sono un ateo convinto ma quegli occhi aprono porte.

    Da un po’ di tempo sono visitato da strani fenomeni, e questo è, forse, dovuto anche al film che sto dirigendo. E’ troppo inquietante; e avere un rapporto con un’attrice matta è roba da far saltare i nervi.

    Quando mi riposo, vado a casa e fisso lo sguardo prima su Paracelso e poi su mia nonna.

    Con il mio amato cane precipito in una zona peculiare che non so descrivere con accuratezza.

    Quello sguardo è pieno di devozione, fedeltà e forza ma è anche qualcosa che invita verso qualcosa che non conosco. E’ nero Paracelso, è un bastardo mezzo collie e mezzo labrador e i suoi occhi sono di un marrone luminoso. Si precipita nelle sue pupille. Si scende in un abisso splendente. E io ne ricavo un senso di profonda bontà. Di Amore.

    Quello che ho avuto dalle donne sono stati sempre rapporti martoriati, malati, ossessivi e spesso stupidi, ma da mia nonna e da Paracelso ho avuto sempre un amore vero e profondo.

    Ma dove conducono gli occhi di Paracelso? Questo non lo so.

    Forse nei territori di John Dee che rappresento nel film.

    Ma quali sono i territori di John Dee? Questo è il punto.

    Essenzialmente sono allucinazioni. Essenzialmente sono giochi della mente.

    Sono rimasto sorpreso dalle parole di Padre Lazzaro, un eremita del deserto, che vive non lontano dal monastero di Sant’Antonio in Egitto.

    Lui è convinto che sia il demonio a disturbare i solitari, io penso che sia tutto un gioco della mente.

    Ma i giochi della mente, devo dire, sono strani e affascinanti.

    L’immagine di mia nonna è contenuta in una cornice austera di legno.

    Niente florilegi come in quella di Paracelo.

    Mia nonna Adele, ha un volto di grande dolcezza, armonioso, è minuta, leggermente appesantita e ha i lunghi capelli neri raccolti in un onda che sale verso il centro della testa e termina in una cipolla.

    Nella foto Adele sembra avere circa trent’anni.

    Ho amato Paracelso e mia nonna più di qualsiasi altro essere al mondo.

    Più di mia figlia sicuramente. Lo so; voi che leggete direte: che schifo! Ma così è.

    Non sono affetto da familismo degenere. Anzi detesto il familismo degenere. E tutti questi folli che incitano alla procreazione incontrollata sono coloro che stanno devastando il pianeta.

    Io non ho un senso della famiglia e quando mia moglie è fuggita con il suo avvocato ho provato una gioia indicibile. Un senso di liberazione.

    Nella mia foto mia nonna sorride con una dolcezza incredibile.

    Tutta la sua bontà è in quel sorriso. Adele guarda verso destra nella direzione del piccolo Buddha di gesso e il voluminoso tomo che sto leggendo: Europe Central di William Vollmann.

    Non mi guarda negli occhi, ma quando la fisso per un lungo periodo sembra volgersi lentamente verso me, e sembra che mi guardi con infinito affetto. Ogni volta che la contemplo, cesso di pensare, come un monaco Zen, e se non mi muovo per circa venti minuti; è allora la sua testa si gira verso me e mi placa, mi calma col suo adorato sorriso. Lo so; voi che leggete direte: è un’ illusione.

    Forse; ma come fate ad esserne sicuri? Quando padre Lazzaro dice che nel silenzio si aprono porte inaudite siete sicuri che sia tutto un gioco della mente?

    In effetti penso che lo sia, ma quello che mi succede, si allaccia a questo maledetto film che sto dirigendo e a questi attori incontrollabili e vanitosi che non fanno altro che litigare sul set.

    Se chiudi delle persone per 48 ore nel buio assoluto e riesci a non far filtrare rumori, stai sicuro che cominciano a vedere cose nel buio. E’ scientifico. Ho visto un documentario ove persone che vivono in sensory deprivation per due giorni di seguito vedono serpenti e altre cose nel buio della loro cella.

    In casi del genere la mente privata di stimoli esterni produce visioni.

    E il 99 per cento delle visioni dei santi ha qualcosa a che vedere con questo. Ma c’è quella percentuale minima di cose che non riesci a spiegare. E questo cerco di indicare nel film.

    In essentia: Paracelso è cenere, mia nonna è cenere, io sarò cenere e quello che vedo o sento non è altro che ciò che io desidero di sentire e vedere. Così secondo me dovrebbe essere. Ma la mente è come un computer dotato di programmi incredibili. Non sai mai cosa tiri fuori dal suo magico cappello.

    Io non ho mai visto nulla di soprannaturale, e la testa di mia nonna che si gira verso me mi preoccupa ma mi fa sentir bene.

    Perché ho cominciato il capitolo con la lettera dell’alfabeto ebraico Alef?

    Semplice: ho una fissa con il profeta Geremia.

    Un’ossessione notevole. Pur non essendo un credente amo leggere i profeti.

    E mi piacerebbe leggerli nella loro lingua.

    Geremia è un profeta particolare come Amos che l’ha preceduto; inizia le sue lamentazioni numerandole, non con numeri ma con le lettere dell’alfabeto ebraico. Fin da piccolo lo leggevo. Mio padre era un astronomo miscredente ma mi ha insegnato a capire la bellezza poetica della Bibbia. Lui amava le traduzioni di Ceronetti. Io le trovo un po’ ostiche, quasi fossero poesie moderne. Geremia per me è pura poesia:

    Ha teso il suo arco quasi fosse un nemico

    ha combattuto con la sua potenza

    ha trucidato come un ostile guerriero

    ogni delizia dell’occhio;

    sulla tenda di Sion

    ha riversato il suo sdegno di fuoco

    La peculiarità di Geremia? Spingeva il popolo a sottomettersi alla violenza babilonese.

    Non cercava di aizzare il popolo contro il dominio di Babilonia. Era un potenziale Vidkun Quisling.

    Facile sarebbe stato incitare alla ribellione come facevano i falsi profeti ma lui consigliava la resa.

    Questa è la sua peculiarità. Ma la consigliava perché si rendeva conto che il traboccante potere babilonese non poteva essere contrastato. Ma la sua predicazione che incitava alla capitolazione era inaccettabile.

    Per 40 anni Geremia urlò al suo popolo che avrebbe pagato cara l’adorazione degli idoli e la sua iniquità e che il giudizio di Dio lo avrebbe colto all’improvviso. Gridava a squarciagola che i peccati contro l’Onnipotente si pagano. Ma i suoi stessi amici non lo capivano e il popolo e i suoi sovrani lo aborrivano.

    Ovunque si muoveva Geremia era perseguitato. L’amore di Dio comporta sofferenza e angoscia e suscita ovunque violente reazioni.

    Geremia era nato ad Anatot, Jahvè lo aveva prescelto ancora prima di nascere e visse una settantina d’anni dopo Isaia. Quando nacque, Manasse perseguitava i giusti e i profeti e l’Assiria era in declino.

    Immaginate un povero Cristo a cui Jahvè improvvisamente dice: Ti ho costituito sopra le genti e sopra i regni per divellere e per distruggere per costruire e per piantare e nessuno ti ascolta.

    Con Jahvè non si scherza quando ti dice che per essere suo devi liberarti della parte vile serbando solo quello che c’è di prezioso in te. Se te lo chiede devi farlo.

    E Geremia lo fa, comincia a vedere quello che accadrà e si trasforma in un fiume di lacrime perché ha visto il futuro che sarà tremendo dal momento che Israele si è trasformato in un regno decadente e corrotto.

    Geremia è un profeta che basa la sua predicazione sulla pura spiritualità. Dice che Jahvè se ne fotte del Tempio e vuole solo la purezza del cuore. E suscita smarrimento quando afferma che gli dei pagani non sono entità metafisiche ma solo prodotti dell’immaginazione degli uomini e che è meglio un pagano giusto, che crede nell’illusione dei suoi dei, che un ebreo, che crede nel Dio d’Abramo, ma è iniquo. Insomma credi in quello che vuoi ma sii giusto. Non proprio così, ma ci siamo quasi.

    Nel 608 Ninive è assediata dai caldei e dai medi.

    Il faraone Neco fa come fece Mussolini con la Francia, si getta come un avvoltoio sull’impero morente e si divora gran parte dei territori assiri tra i quali Israele.

    Geremia consiglia calma ma le teste calde prevalgono - come succederà ripetutamente nella storia di Israele- e a Meghiddo gli ebrei si confrontano con gli egiziani perdendo pesantemente.

    Non hanno calcolato i rischi: Giosia, il re, muore in battaglia.

    Il figlio raccoglie i cocci. Il Regno diventa vassallo del faraone trionfante.

    Il nuovo re, Ioiachìm, rende la vita difficile a Geremia.

    E’ a questo punto che Geremia profetizza la distruzione del Regno e del Tempio salomonico.

    E la reazione è violenta. Il rischio è enorme. Geremia viene salvato miracolosamente.

    Nel 606 cade Ninive: i caldei e i medi si dividono l’impero.

    Poi volgono la loro potenza verso il faraone Neco: Nabucodònosor lo sconfigge, nel 605, a Carchemis.

    Nello stesso anno, Geremia raccoglie i suoi scritti, che ha dettato a Baruch, e tra questi si trovano le parole meravigliose del calice d’ira.

    Perché così mi disse il Signore Dio d’Israele: prendi dalla mia mano questa coppa di vino spumante e danne a bere a tutte le nazioni a cui ti manderò. Berranno, poi vacilleranno, prese da vertigine, davanti alle spade che io manderò in mezzo a loro

    Con Babilonia trionfante Ioiachìm cambia padrone. Geremia suggerisce la sottomissione.

    E qui ricominciano i guai. Il profeta invita gli ebrei ad accettare il giogo di Nabucodònosor ma non lo ascoltano. Ioiachìm si ribella e il re babilonese gli piomba addosso come un falco.

    Sarà il figlio di Ioiachìm, Ioiachìn (con una N non una M) a sopportare l’orrore della resa.

    Il padre rompe il vaso e il figlio raccoglie i cocci.

    E’ il 597: Nabucodònosor sconfigge Ioiachìn e lo conduce in cattività portando con sé 10.000 ebrei che rappresentano l’aristocrazia e la classe sacerdotale.

    I poveri ereditano le ricchezze degli espropriati e degli esiliati. Geremia resta.

    Il re babilonese pone sul trono Sedicia. Il nuovo re capisce l’antifona e comprende le profezie di Geremia.

    Il nuovo re assomiglia a Giosia che aveva grande rispetto per il profeta.

    Ma se Sedicia comprende l’immane pericolo, gli pseudo profeti ispirati da Isaia non lo capiscono e incitano alla sollevazione urlando che Jahvè mai avrebbe permesso la distruzione del Tempio.

    Durante una grande assemblea tra i rappresentanti della varie tribù israelitiche e dei popoli limitrofi il re si dibatte sul da farsi. E mentre si discute Geremia appare con un giogo di legno sul collo per far comprendere che è la volontà di Jahvè che il popolo ebraico sia sottomesso. Cananià, uno dei molti profeti operanti in Israele, gli toglie il giogo dalle spalle, lo spezza e lo butta per terra. Geremia lo guarda e gli dice che il giogo futuro non sarà, come quello che ha spaccato, di legno ma di ferro.

    Il fermento è terribile. Rivoltarsi senza considerare le conseguenze porta alla distruzione.

    Anche nell’esilio babilonese gli pseudo profeti indicano la via della ribellione come unica soluzione per la sconfitta subita. La follia galoppa. Ed è simile a quella di coloro che inneggiano alle guerre e tornano dal fronte senza gambe. Quando Geremia capisce che l’aria è mefitica si allontana e raggiunge Anatot e lì lo accusano di tradimento. Gli ebrei urlano che vuole passare dalla parte dei caldei e tradire Israele.

    Geremia, afflitto e umiliato maledice la sua nascita:

    Oh, me infelice!

    O madre mia perché mi hai generato

    quale uomo in litigio

    e in discordia con tutto il paese

    non ho prestato denaro

    ne ricevuto prestiti

    eppure tutti mi maledicono. (15,10)

    Maledetto sia il giorno in cui nacqui! e il giorno in cui mi generò mia madre non sia benedetto!

    Maledetto l’uomo che portò la notizia a mio padre: Ti è nato un bambino! (20,14)

    E’ il 586: la rivolta esplode. Nabucodònosor torna e stavolta non prende prigionieri.

    Altro che Jahvè che difende il Tempio; Sedicia viene accecato, la sua famiglia sterminata e quasi tutta la popolazione viene condotta in esilio in Babilonia. Gli pseudo profeti sono serviti. Hanno fatto una bella frittata di sangue. Nabucodònosor parte lasciando un residuo di popolazione sotto Godolia.

    Geremia profetizza sulle rovine di Gerusalemme e del Tempio.

    Ma non finisce qui: un gruppo di rivoltosi uccide Godolia e con il resto del popolo si dirige verso l’Egitto portando con se il vecchio profeta.

    Tafferugli scoppiano quando Geremia si ostina nelle sue profezie.

    E si dice che, dopo una vita di tribolazioni, incomprensioni e insulti, che il profeta sia stato lapidato.

    E Padre Lazzaro e il deserto?

    Mi ha raccontato tutto Julian Ward, lo sceneggiatore, mi ha fatto vedere un nastro registrato e sono rimasto a bocca aperta.

    Un vicario inglese, della Chiesa d’Inghilterra, un certo Father Peter, che sembra un DJ cinquantenne più di un pastore anglicano, decide di muoversi fuori dal buco anale della religiosità anglosassone e di sperimentare misticismi estremi.

    Parte con dei beduini alla volta del Monastero di Sant’Antonio che si trova nel deserto, a sud del Cairo e di Deir et Maium, non lontano dal Mar Rosso.

    I beduini che lo accompagnano sono di una umanità splendente e umilissima e contraddicono l’idea dei musulmani come tutti potenziali Bin Laden.

    Peter, con i beduini e quattro cammelli, si avvia nel deserto, fuoriuscendo dal cristianesimo da chocolate box della Chiesa anglicana e si avventa verso spazi sconosciuti ove il silenzio è onnipervadente.

    Abbandona le polemiche sui vescovi gay e l’ordinazione delle donne e si addentra nella desolazione desertica; lascia perdere il cristianesimo domenicale delle chiese semivuote e tetre, il suo amato giardino nel Sussex e si incammina verso la spiritualità estrema dei Padri del Deserto.

    Vedere questo DJ anglicano su un cammello fa sorridere.

    Peter è un uomo affabile che si rende conto che il cristianesimo evirato della Church of England è roba morente. E’ roba per le Avon ladies come direbbe Capitan Watson.

    Se tagli resurrezione e aldilà resta ben poco. E sotto questo aspetto Ratzinger ha ragione.

    Una Chiesa troppo laicizzata muore nello squallore.

    Quando arriva nel monastero di Sant’Antonio, Peter chiede di vedere Padre Lazzaro il solitario che vive sulle montagne desertiche in assoluta solitudine.

    Sant’Antonio viveva in su una montagna chiamata Kolzin, ci si trasferì nel 312 d.C.

    Lazzaro vive come un nuovo Antonio del deserto che a Pispir subì gli attacchi del diavolo e tremende tentazioni muliebri.

    Per farla breve Peter si avvia per il deserto, scala un’arida montagna e incontra l’eremita.

    Devo dire che vedere e sentire parlare il solitario mi ha scosso.

    Non sono un credente ma ho molto rispetto per questa religiosità.

    Quando Lazzaro incontra Peter gli spiega che prima di qualsiasi cosa sono necessari il pentimento e la penitenza e di ricordarsi che quando si prega lo si fa per tutta l’umanità.

    Un eremita che prega, prega per tutto il genere umano.

    La preghiera non è un atto isolato ma un atto eseguito da tutti gli umani.

    Chi prega in questa solitudine diventa una presenza iconica davanti a Dio.

    Anche un uomo solo basta – sembra che dica l’eremita – per salvare il mondo.

    Il solitario è un uomo spiritoso e per nulla lugubre, e usa un inglese ammirabile con un grazioso accento.

    Beve caffè a più non posso; beve espresso moka e caffè turco.

    E mostra a Peter come pregare prostrandosi alla maniera dei musulmani, cosa che facevano i cristiani del tempo della Tebaide e che Mohammed imitò.

    E l’Islam cancellerà quasi totalmente la religiosità monastica del deserto.

    Peter ha l’impressione di confrontasi con un Antonio del Deserto ritornato in vita.

    Lazzaro spiega che queste caverne solitarie non sono posti paradisiaci, ma luoghi infernali perché in questa solitudine si combatte con il demonio.

    Il demonio è sempre presente in questa desolazione perché vuol mettere fine al dialogo interiore con Dio che aiuta l’umanità. Tra il solitario e il demonio è in corso una guerra continua. Occorre quindi costantemente pregare perché questo è un posto estremamente pericoloso e vietato ai novizi; un tedesco, in passato, provò a restare una notte fuggì via il giorno dopo.

    Lazzaro lo vide tremante, quasi esplodente, per la tensione provocata dal dominio satanico.

    Occorre una forza particolare per sostenere gli attacchi diabolici.

    Necessita una continua preghiera per non soccombere a Satana, ma una volta che si raggiunge la pace allora si è toccati dalla grazia e la vita cambia radicalmente.

    Peter si domanda se è necessario un cristianesimo che porti a questi estremi.

    Lui che vive in un giardino idilliaco non capisce il deserto.

    La notte sente l’ululato dei cani e sente la solitudine notturna ricolma di una misteriosa presenza.

    E continuamene prega. Ma non è convinto che estremi del genere siano necessari.

    E poi si chiede: ma questo Satana presente nel deserto è esterno - è un’entità vivente - o è interiore alla mente?

    Il passaggio dalla "Morte di Dio" alla religiosità dei padri del deserto è semplicemente eccessivo.

    Passare da Don Cupit, Frances Young, Michael Goulder, Jürgen Moltmann , da quelli del "Mito del Dio incarnato che dissolvono tutta l’impalcatura mitologica del cristianesimo, al monofisismo copto" di Padre Lazzaro sembra eccessivo.

    Peter reggerà il terrore delle tenebre per 21 giorni perdendo metà del suo peso per poi precipitare in uno stato di grazia che gli farà vedere il mondo sotto una nuova luce.

    Il saluto tra Peter e Lazzaro è commovente e mi ha molto colpito.

    Mi ricorda l’abbraccio dipinto da Sassetta tra due eremiti che si incontrano nel deserto che, mi pare, fossero Antonio e Paolo.

    Quando l’inglese parte e lascia Lazzaro nella sua solitudine, fa male al cuore vedere la separazione.

    Ti spezza l’animo.

    Peter lascia Lazzaro esposto agli attacchi del demonio meridiano e torna nell’Essex, tra le margherite del suo giardino, a predicare nella chiesa anglicana semivuota e triste.

    Ma il suo cuore resta ferito dal deserto.

    Il deserto mai si dimentica.

    Le religioni?

    Lazzaro vive il suo dialogo interiore con Dio nel silenzio, lotta col suo demone vero o immaginario, e non fa male a nessuno. E’un uomo notevole Lazzaro.

    Ma se ti addentri verso Tebe, seguendo il Nilo trovi Tell-el Amarna che fu la capitale del regno del faraone eretico Ikhnaton, il marito della leggendaria Nefertiti, l’icona più amata dell’Egitto.

    Devo dire che quando vedo il busto di Nefertiti mi viene sempre voglia di disegnare una pupilla nell’occhio

    vuoto. Mi fa sempre una certa impressione il globo oculare bianco della sovrana.

    La storia è nota: Ikhnaton intorno al 1350, spostò la capitale ad Amarna perché voleva sradicare il culto eccessivo e multiforme degli dei egizi e ideò una nuova forma di monoteismo.

    E il Dio solare Aton divenne il centro iconico della nuova religione.

    Freud nel suo "Mosè e il monoteismo" indica Ikhnaton come un precursore del culto dell’unico Dio.

    Quello che ho visto in una ricostruzione virtuale del tempio di Aton mi ha lasciato stravolto.

    Il tempio era aperto al cielo, era senza tetto, molto grande e circondato da colonne.

    Era sicuramente pensato da una mente geniale che stava cercando di trasformare l’Egitto.

    Basta osservare l’arte del suo tempo per capire cosa stava accadendo.

    Il faraone eretico la stava trascinando verso i sentieri che condurranno, mille anni dopo, a Prassitele.

    Erano i primi passi. L’arte ieratica egizia perdeva la sua rigidità. Acquistava mobilità e scioltezza come l’arte di Masaccio vis a vis la ieraticità bizantina.

    Se saltavano gli antichi dei saltava la concezione primitiva del mondo.

    E l’arte sempre precede i cambiamenti.

    Nella ricostruzione virtuale del tempio di Aton appaiono un numero grandissimo di tavole coperte da offerte di ogni tipo; un’abbondanza incredibile, di pani, legumi e frutta.

    Ma studiando e analizzando gli scheletri degli operai trovati nei pressi del tempio, si scopre che il popolo viveva in uno stato d’indigenza totale. Le ossa indicano la povertà della dieta.

    Ikhnaton immolava il cibo al suo Dio ma non lo concedeva al suo popolo.

    Se si pensa agli aztechi che in quattro giorni sacrificarono oltre 84.000 prigionieri per dedicarli ai loro dei mostruosi e sanguinari si capisce fino a che orrore la religione può condurre l’animo umano.

    Se si riflette sugli orrori dell’inquisizione e i gli innumerevoli roghi delle streghe uno rivaluta il silenzio di Lazzaro.

    Ma il rischio è che il silenzio degli eremiti conduca alle tavole imbandite del tempio di Aton e alla macelleria industrializzata multinazionale di animali innocenti nel Tempio di Gerusalemme.

    Oggi è stato un giorno terribile.

    Giravamo le scene dell’incontro tra Rodolfo II e John Dean ed è esploso un putiferio.

    Girardo de Bossolo è stato trovato in camerino mentre slinguazzava il perno d’un aiuto truccatore praghese.

    L’italiano era in ginocchio e il giovane gay in piedi con i jeans calati.

    E’ scoppiato un pandemonio. David Carter, che fa la parte del mago elisabettiano, John Dee, e che è un devoto cristiano ha dato di fuori mentre Isidora rideva come una pazza. L’isterica piangeva dal gran ridere.

    Ho preso Girardo da parte e gliene ho dette di tutti i colori.

    Gli ho detto: Ora che ti sei ingoiato il tiramisù sarai contento, vero? ma perché non vai a farti trapanare il buchino in un albergo da quattro soldi invece di usare il set per le tue voglie da checca depravata?

    Sorrideva compiaciuto la vecchia baldracca e si leccava le labbra per provocare.

    David lo detesta e trova difficile lavorare con lui.

    Questi cristiani sono di un’intolleranza incredibile, ma la mancanza di professionalità di certi attori italiani è leggendaria. La scena d’oggi era di grande importanza .

    Rodolfo II che ha l’ossessione dell’alchimia e della pietra filosofale incontra il mago elisabettiano.

    Rodolfo II sta attendendo pazientemente Dee, in ritardo di un’ora per i soliti casini di Kelley il suo assistente avventuriero.

    La notte prima il suo collaboratore metafisico si è quasi fatto ammazzare in una zuffa.

    Mentre giravamo Raimondi che fa la parte di Emericus, il servo del mago, è caduto a terra inciampando su un gradino. Tutti ridevano. Girardo era in lacrime.

    Raimondi si è incazzato da morire e stava rifilando un pugno all’anziano gay.

    Troia malefica! L’ha chiamato. Ho brutalmente riportato l’ordine.

    Basta con questa omofobia da terzo mondo! Ho gridato Questa è una scena notevole e va girata con enorme attenzione.

    Abbiamo ripreso a girare: Spinola il segretario dell’Imperatore del Sacro Romano Impero presenta al sovrano un Dee trafelato e imbarazzato dal ritardo.

    L’imperatore appare distante, minuto, cortese, con una scucchia leggendaria coperta da un’infima peluria, un cappelletto piumato e una gorgiera increspata.

    Il truccatore György Ganz ha riprodotto un Rodolfo che è la copia perfetta dell’immagine più veritiera del monarca, quella eseguita, nel 1608, da Hans von Aachen.

    Tutto il dialogo è in latino. Su questo ho seguito Passion del reprobo Gibson.

    Rodolfo taglia corto e va al sodo, non ha tempo per chiacchiere – qui Gerardo è bravissimo – e chiede al mago di trasmettergli il messaggio celestiale del quale aveva parlato con l’ambasciatore spagnolo.

    I cortigiani si ritirano e i due uomini restano soli.

    Dee si inchina e spiega che per quaranta anni aveva tentato di capire certe verità che non poteva comprendere, ma che queste verità a cui non ha potuto mai attingere cominciano ad essere chiare da quando ha potuto ascoltare gli angeli del Signore e che, udendoli, ha recepito un messaggio per l’Imperatore.

    Rodolfo chiede: Quale è questo messaggio?

    Dee si china leggermente e dice:

    "Questo è il messaggio angelico, sire.

    L’Angelo del Signore mi è apparso e ti ha rimproverato per i tuoi peccati. Ma se tu mi ascolterai e crederai in me, trionferai. Se non mi ascolterai, il Signore, il Dio che ha creato il cielo e la terra (sotto il quale tu respiri e hai il tuo spirito) porrà il suo tallone sopra al tuo petto e ti scaraventerà giù dal tuo seggio. Il Signore, inoltre, ha concordato (con giuramento) con me che agirà come dice. Se tu abbandonerai la tua iniquità e ti volterai verso Lui il tuo sarà il potere più grande che sia mai conosciuto e Satana sarà tuo prigioniero: e Satana è il diavolo che io considero che sia il Grande Turco. Questo è l’ordine di Dio. Non nascondo nulla, ne sono un ipocrita, ne sono un uomo ambizioso, ne mi sogno quello che dico…

    Rodolfo sobbalza. Il mago è pericolosamente diretto. Ma l’idea che possa sconfiggere Murad III il sultano che lo minaccia continuamente lo affascina.

    Rodolfo è fissato con una crociata contro gli ottomani.

    L’imperatore chiede informazioni sulla pietra arcaica che Dee ha ottenuto dall’arcangelo Uriel.

    Il mago risponde che ha informazioni delicatissime sulla possibilità di giungere alla pietra filosofale e spiega che può ottenere un oroscopo migliore di quello che il monarca ha ottenuto dal suo astrologo boemo. Rodolfo lo guarda e fa un cenno con la mano indicandogli di ritirarsi.

    John Dee si ritira inchinandosi.

    Urlo: Cut! Perfetto! Bravissimi….tutti a casa!

    2

    Bet

    Ieri mattina ero seduto nel Grande Salone di Venceslao, nel castello di Praga.

    Ci stavamo riposando dopo aver effettuato delle riprese, quando improvvisamente Adelaide Penso, la segretaria di produzione mi si è seduta vicino, ha aperto il suo portatile e mi ha fatto vedere qualcosa che mi ha lasciato sbalordito. Era un messaggio che veniva da Parigi e diceva:

    "Ti scrivo dalla Francia e ti pregherei di cliccare su questo orrore.

    Come tu sai sono un artista e vivo a Parigi, ci siamo conosciuti a casa di Nadine.

    Dopo Damien Hirst, considerato geniale perché mette animali tagliati in formaldeide, un idiota del Centro America ha pensato di emularlo ed è andato ben oltre.

    Hirst mette animali morti nei suoi orrendi contenitori, ma questo assassino portoricano ha commesso un orrore che va assolutamente denunziato.

    Ha lasciato morire un randagio di fame e di sete davanti a cultori dell’arte che visitavano la galleria come se nulla fosse. Ecco la modernità che non impone limiti.

    Io penso con orrore all’utilizzo di animali o di corpi umani per cercare di sorprendere.

    E’arte degenerata quella che usa esseri viventi per trasmettere il suo nulla.

    Se uno chiede a Hirst il significato del vitello tagliato in formaldeide, il pittore risponde:

    Leggi quello che vuoi in questa immagine.

    E il delinquente costaricano Guillermo Habacuc Vargas ha fatto la stessa cosa:

    ha lasciato il cane morire di fame sospendendo qualsiasi giudizio.

    Non denunciare questo orrore è un’infamia. FATELO!

    E sui siti che elenco sotto.

    Oltre agli uomini esistono anche gli animali e vanno difesi.

    Jean Regualt

    Letto il messaggio abbiamo cercato altre informazioni che rapidamente sono apparse sullo schermo:

    Roma, 31 ott. – (Ign) – Biennale a rischio per Guillermo Habacuc Vargas, lo pseudoartista 50enne del Costa Rica che ha messo in mostra un cane randagio, legato in un angolo della sala, lasciandolo morire di fame e sete. Oltre 150.000 persone da tutto il mondo, in pochissimi giorni, hanno espresso la propria indignazione verso quella che, secondo loro, non può essere certo considerata un’opera d’arte. A quanto pare Vargas avrebbe pagato dei bambini affinché catturassero un cane per poi utilizzarlo come ‘opera d’arte’ che consisteva appunto nel guardare l’agonia e la sofferenza fino alla morte. Ai visitatori sarebbe stato vietato di portare cibo e acqua e chiunque cercava di avvicinarsi per accudire l’animale veniva allontanato in malo modo con insulti. Sopra il cane morente, una scritta fatta di croccantini con la frase: Eres lo que lees (Sei quello che leggi). Secondo l’’artista’ lo scopo era quello di testimoniare l’indifferenza dell’essere umano nei confronti di altri esseri viventi. In un’intervista rilasciata a la ‘Nación’, ha dichiarato: Lo scopo del lavoro non era causare sofferenza alla povera innocente creatura, bensì illustrare un problema. Nella mia città natale, San Josè, Costa Rica, decine di migliaia di randagi muoiono di fame e malattia e nessuno dedica loro attenzioni. Ora, se pubblicamente mostri una di queste creature morte di fame, come nel caso di Nativity, ciò crea un ritorno che evidenzia una grande ipocrisia in tutti noi. Nativity era una creatura fragile e sarebbe morta comunque su una strada. Fatto sta che il cane, secondo quanto riferisce Leonor Gonzalez, editore del supplemento culturale di ‘La Prensa’ in Nicaragua, sarebbe morto il giorno seguente a quello in cui sono state scattate le foto.

    Diversa la versione della galleria nicaraguense che ha ospitato l’allestimento, secondo la quale l’artista avrebbe trovato il cane in un vicolo e l’avrebbe portato nella galleria senza che fosse previsto.

    Secondo loro, inoltre, sarebbe stato correttamente alimentato per tutto il tempo tranne le tre ore della mostra. Il cane non è poi morto ma secondo loro è scappato in un momento di disattenzione.

    Ma i dubbi restano. Come è possibile che la galleria non abbia imposto a Vargas di liberare il cane? E ancora: è possibile che nessuno sia andato lì con prepotenza – anche violenza – per portarsi via l’animale? Per di più l’artista è stato scelto per rappresentare il suo Paese nella Biennale Centroamericana 2008 che si terrà in Honduras. In quest’ultimo caso, almeno, qualcosa si è mosso. Le ire di associazioni animaliste e di cittadini di ogni parte del mondo hanno fatto sì che un rappresentante della Biennale abbia contattato Vargas, mediante lettera scritta in cui è stato espresso lo sconcerto riguardo la pubblicità negativa ricevuta da Sei quello che leggi ed è stata messa in dubbio la legittimità dell’ammissione come eccellente artista e rappresentante. A questo punto l’artista ha chiesto pubblicamente scusa e promesso che non riproporrà mai più simili progetti. Vargas, in un comunicato diffuso via web afferma che Sei quello che leggi non verrà più chiamata opera d’arte, in segno di rispetto verso quanti si sono sentiti offesi. Ha ammesso l’errore ed ha affermato che avrebbe dovuto salvare il cane invece di lasciarlo morire. E chiede a tutti di accettare le sue scuse. Far soffrire e uccidere un cane lasciandolo morire di fame per far comprendere un problema come quello del randagismo è certamente un modo perverso per informare l’opinione pubblica – dichiara Massimo Comparotto, presidente dell’Organizzazione internazionale Protezione animali - In verità quest’opera artistica è solo l’ennesimo esecrabile squallido tentativo per far parlare di sé per riempire una galleria d’arte. Josè Morales, vice presidente del ‘Special Unit for Animal Protection and Rescue’ ha commentato: Il cane è stato legato senza cibo, non capisco come ciò possa essere considerato arte. Raymond Schnog, presidente della ‘Humanitarian Association for Animal Protection’, ha condannato l’atto definendolo pura crudeltà, non comprendo come un animale possa essere stato lasciato morire di fame sul pavimento mentre una frase sulle pareti era stata composta usando cibo".

    Queste organizzazioni stanno studiando il caso per presentare un ricorso davanti al tribunale locale.

    Mentre guardavo le foto del povero animale morente ho visto gli occhi di Paracelso.

    Ma come è possibile? Ho chiesto ad Adelaide è uno scherzo?

    Non è uno scherzo… ha risposto.

    Ho chiamato Patrick Levene il capo squadra dei macchinisti, un ex militante di Green Peace che l’anno precedente era stato sull’Esperanza per difendere le balene, e gli ho chiesto cosa ne pensasse.

    Ha risposto che in questo triste mondo tutto è possibile.

    Ha detto: Tra sei miliardi di umani ci saranno sicuramente oltre un milione di sadici torturatori!

    Pensavo a Paracelso e non respiravo più.

    Il telefonino ha squillato. Era Eleonora, mia moglie, con le sue eterne lamentele su nostra figlia.

    Non c’è cosa più straziante di continuare ad avere contatti con le ex.

    Il taglio totale è sempre la miglior cosa. Trasformare l’amore in

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