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Il cuoco di Burns night
Il cuoco di Burns night
Il cuoco di Burns night
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Il cuoco di Burns night

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About this ebook

Alessandro, un insegnante cuoco di “pratica” alberghiera, è un uomo che non ha mai osato troppo nella vita e per questo soffre di disturbi psicologici legati all’insoddisfazione esistenziale, che diventano talmente incontrollabili tanto da confondere il sogno con la realtà. Un giorno, nel pieno di una crisi, una voce ispanica al telefono e l’incontro fortuito con una ragazza nicaraguese lo inducono a mollare tutto per cercare Pappý, un cuoco messicano scomparso da circa vent’anni, esecutore della “zuppa rossa” più famosa del mondo. Il cuoco/professore rimette la sua vita completamente in discussione, lascia la casa, il lavoro e parte alla ricerca di questo “cocinero” nella convinzione di trovarlo vivo, ricevere un grande insegnamento e curare la sua psiche ferita. Inizia così un viaggio delirante, dall’Italia al sud America, che lo conduce all’interno dei misteri esoterici legati al cibo, fino al mondo alchemico e massonico dell’antica Scozia, dove, ogni 25 gennaio, si celebra, fin dal Settecento, la “Burns Night”, antica festa dedicata a Robert Burns, sommo poeta scozzese. È lì infatti che strani club ossessionati dal presunto potere occulto dei versi poetici di Burns, tentano di modificare la realtà per assoggettarla al loro volere. Alessandro scopre cose inimmaginabili, grazie anche al Manuale di zoologia fantastica scritto da Jorge Luis Borges... ma in tutto questo, il vecchio cuoco Antonino-Manzanera-Mendoza, detto semplicemente Pappý, dove è finito?
LanguageItaliano
Release dateMar 11, 2014
ISBN9788865641033
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    Il cuoco di Burns night - Roberto Agostini

    night

    Il cuoco di Burns night

    Opera Prima

    Il cuoco di Burns Night

    ROBERTO AGOSTINI

    © 2013 Roberto Agostini

    © Atmosphere libri 2013

    Via Seneca 66

    00136 Roma

    www.atmospherelibri.it

    info@atmospherelibri.it

    Redazione a cura de Il Menabò (www.ilmenabo.it)

    I edizione nella collana Opera Prima novembre 2013

    ISBN 978-88-6564-084-5 (cartaceo)

    Un uomo gradatamente si identifica con la

    forma del proprio destino. Un uomo è, a

    lungo andare, le proprie circostanze.

    Jorge Louis Borges

    PRIMA PARTE

    Settembre 2000

    … Ho in bocca un sapore strano, sarà la cioccolata amara che

    mi ha regalato a scuola Catherine. È una confezione speciale,

    per intenditori, conterrà una decina di gusti diversi: peperoncino,

    zenzero, menta, cannella… Chissà se esiste una minilaurea

    per cioccolatieri professionisti, una sorta di sommelier

    del cacao. Questa cioccolata non mi convince. È farinosa e

    allo stesso tempo ha qualcosa di carnoso, mi ricorda un corpo

    spugnoso appena morto eppure con una vita intensa alle

    spalle. Una stella marina essiccata! Adesso basta, devo alzarmi.

    È ora di andare, oggi mi aspetta una dura giornata.

    Metropolitana

    Un rombo lontano di ruote ferrate, poi il ghiaccio dell’aria siringata

    dal vagone nel tunnel di pietra e cemento. Capelli e sciarpe

    si scompigliano, sembrano spiccare un volo proprio, un salto decisivo

    nello spazio per seguire un itinerario preciso. Dio solo sa

    quanto mi piacerebbe seguirne il percorso f ino in fondo, unico

    modo per capire quanto la natura abbia esigenza di mostrarsi. Rifletto

    sul gelo avvertito dalla pelle; poi davanti a me, in un attimo,

    le righe nere gommate, cornici dei vetri appannati. Al di là della

    lastra trasparente uomini gialli e dannati, illuminati dal neon

    che dall’alto proietta bagliori su di loro. Le porte della metro si

    aprono come le barriere d’acciaio di una diga che argina la forza

    dell’acqua repressa. Sono tentato di entrare con uno scatto prima

    che siano usciti tutti, ma trattengo quest’impulso perdendo così la

    possibilità di sedermi. Mi ritrovo in piedi, accalcato, grondante

    sudore. Gli occhi ruotano all’impazzata, riesco a muovere solo

    quelli. Cerco un’immagine cui aggrapparmi per occupare la mente

    e non sentire quel senso d’oppressione. I passeggeri hanno la coscienza

    sporca, potrebbero scoppiare a piangere da un momento

    all’altro. Sguardi che implorano perdono, come fossero in purgatorio.

    I loro pensieri mi arrivano come il ronzio che si percepisce a

    volte sott’acqua.

    È un acquario di pesci persi. S’insinua sotto il naso un fetore che

    mi colpisce allo stomaco. Qualcuno non ha rispettato la sua posizione.

    Non riesco a spostare la testa. È il respiro di un essere umano

    che m’invade violentemente, ma non capisco di chi. È il fiato dell’uomo

    col cappello o quello della signora con un rossetto mal sfumato?

    Spero non sia la ragazza accanto con gli occhi verdi. No,

    non è lei. Me ne accorgo dalla smorfia di disgusto e dal suo sguardo

    in cerca di solidarietà. Quel fetore bestiale è arrivato anche nelle

    sue narici. Ci sono! È l’uomo con i ferretti d’oro sugli incisivi: ha

    soff iato verso di me, mi guarda... e ha anche il coraggio di sorridermi!

    Scorgo una patina dalle sfumature verdastre intorno ai

    denti, la stessa che si trova su alcuni reperti archeologici.

    È scesa più di una persona, così trovo un posto più comodo e

    lontano da quell’aria malsana. Non ne potevo più di continuare

    a sincronizzare il mio respiro con quel tipo per evitare l’asfissia.

    Mi cade lo sguardo su un articolo di giornale, un periodico: parla

    di un massaggio miracoloso. Massaggio trinocraniosacrale recita

    la pubblicità. Leggo: "Il movimento delle mani deve seguire rigorosamente

    un triangolo". La terapia fonda le sue basi su un concetto

    energetico importante, che comprende la testa e la coda di un

    essere umano. Il terapeuta consiglia addirittura di disegnare il

    tracciato sulla schiena del paziente per ottenere il massimo risultato.

    Inoltre il numero tre rimane di rigore.

    Le mani del massaggiatore.

    Il fruitore della pratica.

    Il Divino fra loro, a completare l’opera.

    Dopo aver occhieggiato fra le prime righe e mentre mi accingo

    a leggere il resto dell’articolo, le mani che stringono il giornale si

    accorgono dell’intrusione. Indispettite, con un gesto fulmineo chiudono

    le pagine del settimanale, senza scampo. Mi ritraggo come un

    mollusco fra la sabbia del mare che si richiude appena s’accorge di

    un pericolo pronto a guastargli la beata ossigenazione. Questo tragitto

    in metro, anche se breve, mi trasmette ottimismo. Non ho

    mai dato peso alla velocità, al coraggio che infonde un motore

    spinto al massimo come quello della metropolitana e alla sua ca-

    pacità di lanciare i vagoni facendoli sembrare leggeri come la carta.

    La velocità è commovente e mi fa pensare all’importanza di proiettarsi

    in avanti, verso un destino o più semplicemente verso una

    destinazione.

    Al lavoro

    «Per le cipolle usate pure un semplice coltello ben affilato, da

    quindici centimetri, ma sappiate che preferisco la mia vecchia

    mezzaluna a doppia lama. Certo ho sofferto all’inizio nell’esercitarmi,

    ma adesso trituro tutto come uno schiacciasassi.

    Impugno saldamente i due pomelli, scendo giù con la mano

    destra e lascio andare per inerzia la sinistra, via via, sempre

    più veloce. È la destra che detta il ritmo, la sinistra va dimenticata,

    altrimenti fra le mani vi ritroverete un cavallo

    pazzo che scalcia furiosamente, difficile da governare, e questo

    non va bene. Non saper usare quest’attrezzo, in qualità

    d’assistenti, vuol dire far innervosire seriamente un cuoco.

    Certe volte in cucina basta un niente, e… puff!, svanisce il

    lungo lavoro che c’è dietro un fastoso banchetto. Pensateci

    ragazzi! La lezione è finita, fate pure cinque minuti di pausa

    e non scalmanatevi troppo, la signorina Catherine Doleac sarà

    qui a momenti. Vi consiglio di seguire il suo corso di pasticceria.

    È un’occasione averla come insegnante già dal primo

    anno, approfittatene! E non concentratevi troppo sulla sua

    gradevole silhouette, io mi riferisco alla sua immensa cultura

    gastronomica. Allora, arrivederci alla prossima lezione che

    sarà, se non vado errato, venerdì ventiquattro dalle quindici

    alle diciassette. Parlerò dell’importanza del guéridon e della

    cucina di sala. Preparatevi perché faremo degli esercizi pratici

    su come si sbuccia, senza mai toccarla con le mani, una bell’arancia

    di buon peso e dalla buccia sottile. Vi dimostrerò

    come si realizza un dessert, pratica che molto probabilmente

    vi ritroverete come materia d’esame: la frutta flambé».

    Uscito da scuola incontrai Catherine intenta a parcheggiare

    la macchina. Aveva l’aria preoccupata, forse per il ritardo

    sull’orario della lezione. Fece riferimento al traffico,

    come per scusarsi, poi chiese dell’umore dei ragazzi.

    «Irrequieto» risposi.

    «E il tuo?» domandò lei allontanandosi velocemente.

    «Buono, grazie al cioccolato».

    Catherine si voltò di scatto con un’elegante torsione, poi

    tornò indietro. Fu un tocco leggero quello che mi strinse il

    braccio, la bocca della donna si avvicinò e quasi in un sussurro

    mi invitò ad assaporare un pezzetto di cioccolato ogni mattina

    per affrontare al meglio la giornata.

    Chiesi dettagli a proposito del retrogusto resinoso.

    «Caratteristica del cacao biologico non raffinato!» spiegò

    Catherine. «Una rarità difficile da trovare in commercio».

    Prima di entrare nell’edificio si voltò un’ultima volta strizzandomi

    i suoi begli occhi azzurro chiaro.

    Distaccata dall’istituto, ma nello stesso comprensorio, si

    trovava la mensa della scuola gestita dagli allievi e supervisionata

    da altri colleghi.

    Per arrivare al refettorio si attraversava un giardino di alberi

    di nocciole e, mentre mi affrettavo per assicurarmi il

    pranzo, il silenzio veniva interrotto dal rumore dei frutti che

    si staccavano dagli alberi a intervalli regolari, provocando un

    tamburellare sordo come quello di un tabla indiano sfiorato

    da polpastrelli esperti, il cui suono ripetitivo creava un refrain cullante.

    I cibi della mensa venivano preparati dagli allievi del terzo

    anno di cucina, mentre i ruoli di commis de rang e chef di brigata

    erano ricoperti dagli allievi di sala e bar del primo e se-

    condo. Il menù del giorno prevedeva delle penne lisce allo

    zafferano con cernia e zucchine dolci, per secondo dei filetti

    di sogliola alla mugnaia, per contorno insalata mista tagliata

    alla julienne. La scelta delle penne lisce era stata ottima perché

    quel tipo di pasta si adattava in modo eccellente allo zafferano

    facendolo risplendere in tutta la sua brillantezza,

    caratteristica che una pasta grezza non avrebbe mai restituito.

    Fuori

    … Probabilmente so affettare una cipolla in modo abbastanza veloce,

    anzi più che veloce a giudicare dalla reazione degli allievi, ma

    per me certe tecniche risultano automatismi acquisiti come saper

    camminare o correre, e ormai non ci faccio più caso. Ma dopo anni

    di questo lavoro non mi sento ancora pronto. Ho bisogno di imparare.

    C’è qualcosa che la scuola, i libri, la pratica non possono più

    darmi. Sono in grado di cucinare bene e di apprezzare a pieno

    ogni sfumatura del buon cibo, so a memoria centinaia di ricette e

    i nomi dei più grandi chef del mondo ma, di fatto, realizzo la maionese

    esattamente come venti anni fa, senza mai aggiungere un

    tocco personale o una modifica…

    Una volta mi capitò per errore di aprire una lettera indirizzata

    al preside, il professor Francesco Molteni. Molta corrispondenza

    spesso è inutile pubblicità e quel giorno mi trovai

    fra le mani un depliant che reclamizzava un seminario di recitazione.

    Dizione, fonetica, corretto uso della voce, studio

    del movimento nello spazio scenico, brevi cenni sulla storia

    del teatro, psicodramma, compreso il modo migliore per interpretare

    un personaggio secondo il sistema d’immedesimazione

    di Konstantin Sergeevič Stanislavskij.

    Una compagnia d’attori offriva agli studenti un ciclo di lezioni

    su come concepire e interpretare personaggi del mondo

    della letteratura. In particolare il lavoro si concentrava su "El

    ingenioso hidalgo Don Quijote de la Mancha" e sul fedele scudiero

    Sancho Panza.

    Il Don Quijote era lo spettacolo che la compagnia portava

    in giro con successo nelle scuole d’Italia. La circostanza mi

    fece riflettere e pensai alle attinenze fra una scuola di pratica

    alberghiera e una di teatro. Una frase sul manifestino pubblicitario

    mi aveva colpito profondamente: "Posso insegnare a

    un attore il movimento per indicare

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