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RASPUTIN: la fine di un regime
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RASPUTIN: la fine di un regime

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Mettiamo in testa a questo libro il nome di Rasputin, di questa figura fantastica, quasi leggendaria, perché nell’ultimo decennio del regime. zarista, Rasputin è colui che ne personifica più intensamente la follia e la criminalità, e perché la data della sua morte coincide, a pochi giorni di differenza, con quella della fine di questo regime. Il regno dell’ultimo dei Romanov, durato ventitré anni, è contrassegnato da una serie di atti che sembrano una sfida perpetua al popolo russo. Tutto quanto il paese possedeva in fatto di capacità e di onestà, era scartato dal potere, e intorno al trono si spingeva una folla sempre più numerosa di arrivisti, di avventurieri, di prostitute, di ladri e truffatori d’ogni sorta e d’ogni classe, di taumaturghi e stregoni, folla variegata di esseri strani, senza legge e senza fede, che scavavano un abisso, sempre più profondo, fra l’ imperatore e il suo popolo. L’espressione che, meglio di ogni altra, caratterizza i rapporti che, fin dall’ inizio di questo regno, si erano stabiliti fra la Corte e il popolo, è l’espressione che veniva correntemente usata nell’ambiente dell’ imperatore: “Noi ed essi”. Noi, cioè la Corte e i suoi due puntelli: la burocrazia inetta e la polizia depravata. Essi, cioè tutto il resto della Russia, l’immenso popolo di centosessantatre milioni di anime, nel quale si vedeva un nemico, momentaneamente soggiogato, ma che non bisognava mai dimenticare di trattare da nemico. La figura più spiccata, più straordinaria, più drammatica di questa Corte, unica nella storia dei tempi moderni, era, come abbiamo detto, Rasputin. Si è già molto scritto intorno a questo personaggio, troppo famoso; tuttavia non è stato ancora messo in luce né la sua biografia completa , né il carattere specifico e preciso della sua azione, né tutti i particolari della sua morte. Oggi possediamo dei documenti che ci permettono di colmare in parte questa lacuna. Abbiamo il giornale di una delle prime vittime di Rasputin, la moglie del generale Loktin che seguiva passo per passo il famoso staretz, ed ha notato i particolari più pittoreschi e più strani della sua vita così accidentata. Possediamo anche un altro giornale, quello del prete Eliodoro che fu dapprima fervido amico di Rasputin, e divenne più tardi il più accanito dei suoi nemici. E finalmente abbiamo ora incartamento completo dell’ inchiesta giudiziaria fatta in seguito all’assassinio di Rasputin. In grazia a questi elementi possiamo tracciare una biografia completa del personaggio o per lo meno darne le nozioni più essenziali. Ma perché si possa capire la parte rappresentata da Rasputin nella storia di questi ultimi anni, perché si possa capire come questo contadino analfabeta, rozzo, ripugnante, qualificato immondo da tutti quelli che lo avvicinarono, abbia potuto essere per qualche tempo il vero dittatore della Russia, in luogo dell’ imperatore, ci occorre dire brevemente che cosa fosse la Russia e il suo sovrano.
LanguageItaliano
PublisherStargatebook
Release dateJun 9, 2015
ISBN9786050386431
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    RASPUTIN - J.w. Bienstock

    J.W. BIENSTOCK

    RASPUTIN

    LA FINE DI UN REGIME

    Fratelli Treves Editori 1918 – prima edizione digitale 2015 a cura di David De Angelis

    INDICE

    INTRODUZIONE

    I. L'avvenimento al trono di Alessandro III. La sua politica. - La famiglia imperiale a Gatcina. - L'infanzia di Nicola II. - I suoi precettori

    II. La gioventù di Nicola II - Il viaggio nell'Estremo Oriente. - La morte di Alessandro III.

    III. I primi anni del regno di Nicola II. - Il matrimonio dell’imperatore. - Nuove influenze

    IV. Kodinka. - La politica interna

    V. Il misticismo alla Corte russa. - Le reliquie di San Serafino. - Qualche predecessore di Rasputin

    VI. La guerra russo-giapponese. - I prodromi della rivoluzione

    VII. Gregorio Rasputin

    VIII. La neoklystovcina- L’ influenza di Rasputin sulla famiglia imperiale

    IX. Le pratiche religiose di Rasputin. - Qualche sua vittima. - Mitia Koliaba. - Un rapporto dell’Ocrana

    X. Rasputin e Eliodoro

    XI. Un ricevimento in casa di Rasputin

    XII. Le forze occulte

    XIII. La guerra e l’influenza tedesca alla Corte di Russia

    XIV. I tradimenti

    XV. Gli attentati. - L’assassinio di Rasputin

    XVI. Le deposizioni dei testimoni

    XVII. Le esequie di Rasputin. - L’incinerazione del cadavere

    XVIII. La rivoluzione

    INTRODUZIONE

    Mettiamo in testa a questo libro il nome di Rasputin, di questa figura fantastica, quasi leggendaria, perché nell’ultimo decennio del regime. zarista, Rasputin è colui che ne personifica più intensamente la follia e la criminalità, e perché la data della sua morte coincide, a pochi giorni di differenza, con quella della fine di questo regime. Il regno dell’ultimo dei Romanov, durato ventitré anni, è contrassegnato da una serie di atti che sembrano una sfida perpetua al popolo russo. Tutto quanto il paese possedeva in fatto di capacità e di onestà, era scartato dal potere, e intorno al trono si spingeva una folla sempre più numerosa di arrivisti, di avventurieri, di prostitute, di ladri e truffatori d’ogni sorta e d’ogni classe, di taumaturghi e stregoni, folla variegata di esseri strani, senza legge e senza fede, che scavavano un abisso, sempre più profondo, fra l’ imperatore e il suo popolo. L’espressione che, meglio di ogni altra, caratterizza i rapporti che, fin dall’ inizio di questo regno, si erano stabiliti fra la Corte e il popolo, è l’espressione che veniva correntemente usata nell’ambiente dell’ imperatore: Noi ed essi. Noi, cioè la Corte e i suoi due puntelli: la burocrazia inetta e la polizia depravata. Essi, cioè tutto il resto della Russia, l’immenso popolo di centosessantatre milioni di anime, nel quale si vedeva un nemico, momentaneamente soggiogato, ma che non bisognava mai dimenticare di trattare da nemico. La figura più spiccata, più straordinaria, più drammatica di questa Corte, unica nella storia dei tempi moderni, era, come abbiamo detto, Rasputin. Si è già molto scritto intorno a questo personaggio, troppo famoso; tuttavia non è stato ancora messo in luce né la sua biografia completa , né il carattere specifico e preciso della sua azione, né tutti i particolari della sua morte. Oggi possediamo dei documenti che ci permettono di colmare in parte questa lacuna. Abbiamo il giornale di una delle prime vittime di Rasputin, la moglie del generale Loktin che seguiva passo per passo il famoso staretz, ed ha notato i particolari più pittoreschi e più strani della sua vita così accidentata. Possediamo anche un altro giornale, quello del prete Eliodoro [1] che fu dapprima fervido amico di Rasputin, e divenne più tardi il più accanito dei suoi nemici. E finalmente abbiamo ora incartamento completo dell’ inchiesta giudiziaria fatta in seguito all’assassinio di Rasputin. In grazia a questi elementi possiamo tracciare una biografia completa del personaggio o per lo meno darne le nozioni più essenziali. Ma perché si possa capire la parte rappresentata da Rasputin nella storia di questi ultimi anni, perché si possa capire come questo contadino analfabeta, rozzo, ripugnante, qualificato immondo (la tutti quelli che lo avvicinarono, abbia potuto essere per qualche tempo il vero dittatore della Russia, in luogo dell’ imperatore, ci occorre dire brevemente che cosa fosse la Russia e il suo sovrano. Cominceremo dunque con un breve riassunto della vita e del regno (li Nicola II, e dopo aver indicato le caratteristiche di qualcuno fra i personaggi che lo circondavano, passeremo alla biografia di Rasputin che ci condurrà sul limitare degli avvenimenti che hanno scosso, non soltanto la Russia, ma il mondo intero.

    [1] l Diavolo Santo, pubblicato dalla rivista storica Goloss Minuvciavo(La voce del Passato)

    I. L’AVVENIMENTO AL TRONO DI ALESSANDRO III. - LA SUA POLITICA. - LA FAMIGLIA IMPERIALE A GATCINA. - L’INFANZIA DI NICOLA II. - I SUOI PRECETTORI.

    La verità sulla vita dei sovrani non si viene generalmente a conoscere che molto tempo dopo la loro morte o la loro caduta; e cioè soltanto quando siano pubblicati i documenti storici, le memorie, i giornali intimi dei contemporanei e dei famigliari di Corte. Ma Nicola II fa eccezione. Durante il suo regno, mentre egli era ancora onnipotente, e qualche tempo prima della guerra, a Berlino, uscì un’opera, voluminosa e anonima, intitolata "L’ultimo degli autocrati". In questo lavoro, l’autore ci fa sfilare dinanzi tutta la vita intima del sovrano, la sua Corte, i suoi ministri, gli alti funzionari, senza dimenticare le forze occulte che, in fatto, dirigevano la politica interna e esterna del paese. Da qualche tempo è noto che l’autore dì questo lavoro è V. P. Obninsky e questo nome conferisce un valore particolare alla documentazione del libro. Presidente dello zemstvo di Kaluga, membro della prima Duma, V. P. Obninsky si è sempre trovato nel centro della vita politica e della vita pubblica russa. In gioventù era ufficiale nel reggimento della guardia al quale apparteneva Nicola. II, e ne diventò l’amico. Ammesso nel mondo di Corte, Obninsky, fu in grado di osservare molto da vicino Nicola II, allora principe ereditario, e i costumi della Corte e dell’alta burocrazia. La sua sincerità; il suo alto valore morale, la profonda stima della quale godeva presso tutti i suoi colleghi della Duma, e presso quanti ebbero a trattare con lui, ci confermano che V. P. Obninsky è un testimonio degno di fede. Oltre a questo forte lavoro di documentazione, possediamo ora su Nicola II e la sua Corte, delle centinaia di. testimonianze ed un cumulo di documenti che la rivoluzione russa ha dato in preda alla pubblicità.

    Il 1/14 marzo 1881, presso il canale Caterina a Pietroburgo, l’imperatore Alessandro II era ucciso dalla bomba di un rivoluzionario. Suo figlio gli succedette. Le testimonianze affermano all’unanimità che il nuovo imperatore, Alessandro III, era uomo brutale, incolto, capace sì di qualche volontà’, e di tutte le virtù famigliari, ma che poco s’interessava di politica, e nutriva disprezzo per il mestiere delle armi, a differenza dei suoi avi che per il mestiere delle armi avevano un vero culto. Appena il nuovo sovrano fu assunto al trono, la prima questione che sorse, fu di sapere se si pubblicherebbe, oppure no, l’ucase, già studiata e compilata dalla commissione speciale, presieduta da Loris Melikoff, che concedeva al popolo russo una specie di Costituzione. Ma l’assassinio di Alessandro II, che contava al suo attivo parecchie riforme liberali, e fra altre, l’emancipazione dei contadini, era accolto con indifferenza perfino nelle sfere liberali della società russa. Il partito reazionario, spinto sopratutto dal famoso Pobiedonostzev, approfittò dell’emozione dei partiti avanzati, per ottenere dall’imperatore risposta negativa a questa questione. La pena capitale inflitta a tutti coloro che avevano preso parte all’assassinio di Alessandro II; fu il secondo atto del nuovo governo. Né l’ammirevole lettera di L. N. Tolstoj, né quella indirizzata, dagli stessi rivoluzionari, riuscirono a scuotere la decisione dell’imperatore, già schiavo del partito reazionario. Cinque rivoluzionari furono appiccati, e fra questi, una donna, Sofia Perovskaia. Accadeva per la prima volta, in Russia, che una donna fosse giustiziata. In seguito, e sopratutto negli ultimi anni del regno di Nicola II, l’impiccagione delle donne, diventò un fatto all’ordine del giorno. Grappoli di corpi femminili pendono dal patibolo, ha detto poi il grande poeta Andreiev; ma nel 1881, questa prima condanna di una donna, fece una profonda impressione in Russia. Col sorgere del nuovo regno, si cominciò subito a fare piazza pulitanell’amministrazione. Chiunque fosse sospetto di liberalismo, era spietatamente scartato. La Russia fu divisa in una serie di province, affidate a dei governatori, che avevano per missione di soffocare la vita, e qualunque tentativo di organizzazione sociale. Fra il nuovo imperatore e la società russa, si scavò un abisso, creato dalla diffidenza e da reciproci sospetti, e i tredici anni del regno di Alessandro III, contano fra i periodi di reazione più tenebrosa, attraversati dalla Russia. In seguito all’impressione dell’orribile morte di suo padre, Alessandro III fu colto da un terrore morboso. Provava una gran pena a sfilare in parata, a essere colui che tutti guardano. Prese in orrore Pietroburgo. Aveva paura di traversare quelle larghe prospettive, quelle grandi piazze, ove temeva, ad ogni passo, di veder sorgere qualche rivoluzionario, portatore di bombe. Per sfuggire questo incubo, Alessandro III, decise d’installare definitivamente la Corte a Galcina. Fin dall’epoca di Paolo I, Gatcina, col suo palazzo che pareva una caserma fredda e vuota, con le sue larghe vie pulite e deserte, col suo immenso parco solitario, sembrava la residenza d’un sovrano detronizzato. Colà, Alessandro III che, secondo l’espressione del conte Witte, non sapeva che fare della sua autocrazia, si esiliò con la sua famiglia, giudicando essere la solitudine il miglior mezzo per evitare le macchine infernali e i colpi di rivoltella. Era tale la sua paura, che egli non volle abitare le grandi sale del palazzo e scelse, per la sua residenza, e per quella della famiglia, il mezzanino, che probabilmente, al tempo di Paolo I, era riservato ai domestici, e il cui soffitto era così basso, che un uomo di media statura poteva toccarlo con la mano; e Alessandro III era altissimo di statura. Obninsky ha fatto una descrizione pittoresca dell’appartamento imperiale di Gatcina: le piccole camere, non solo non avrebbero potuto contenere il mobilio imperiale, ma fu perfino impossibile di collocarvi un pianoforte a coda, e l’imperatrice Maria Feodorovna dovette contentarsi di un pianoforte verticale. Sedie, delle più comuni erano schierate lungo le pareti, tappezzate di carta, e appesi al muro si vedevano quadri antichi e moderni, insieme a semplici fotografie fissate con dei chiodini. Dal racconto dello stesso testimonio, si vede che anche qui, come sempre, l’aspetto delle

    cose non era che il riflesso della vita intima; e la vita della famiglia imperiale era delle più semplici. Non si sarebbe mai pensato che quello era il centro del potere più terribile per la sua vastità e entità, che colà si risolveva la sorte di un popolo di più di centocinquanta milioni d’anime; ci si sarebbe piuttosto creduti nella tenuta di un signorotto della metà del secolo scorso, che vivesse nella più stretta cerchia degl’interessi domestici. Nemmeno le visite dei ministri servivano di distrazione: erano una delle inevitabili noie dell’esistenza, qualcosa come il velo di muffa che ricopre uno stagno, pittoresco, ma nocivo. In quest’ambiente crebbero Nicola e i suoi fratelli. Privo di ogni seria istruzione, l’imperatore Alessandro III non vedeva la necessità di dare al suo erede delle cognizioni utili per il suo avvenire. Per Nicola e per í suoi fratelli, più the dei valenti professori, fu cercato un buon aio. A Gatcina, come, in altri tempi, nelle vecchie famiglie russe, si era guidati dal principio: maestri mediocri, scelti a caso, e buone balie, affezionate alla famiglia. Questa parte spettò, presso i figli di Alessandro III, all’inglese C. Heath chiamato abitualmente Karl Ossipovic. Fornito di una buona istruzione libraria, acquarellista piacevole, e sportsman compito, Mr. Heath, univa a queste qualità una profonda devozione per la famiglia imperiale che lo aveva accolto. Ma né quarant’anni passati in Russia, né la convivenza e le conversazioni con la parte eletta della società russa, gli diedero mai una vera cognizione del paese, del popolo, e della sua storia; dimodochè l’influenza di quest’uomo si limitò, come quella di ogni brava balia, alle mura della nursery. La sua influenza non prevalse che sopra un punto, l’uso cioè della lingua inglese, tanto che anche più: tardi, quando fu imperatore, i discorsi di Nicola II non erano se non la traduzione letterale in russo di frasi inglesi. Ogni genere di sport teneva il più gran posto nelle occupazioni dei ragazzi imperiali; essi erano buoni cavalcatori, buoni tiratori e gran cacciatori. Nessuno di essi possedeva disposizioni artistiche speciali, e per la pittura e la musica Nicola e sua sorella Olga, provavano avversione ancor più che indifferenza. I caratteri dei fanciulli erano molto diversi. L’erede, Nicola, tronfio dell’importanza della sua origine; il secondo, Giorgio, tetro e taciturno; forse la malattia che doveva ucciderlo agiva sul suo carattere; il terzo figlio, Michele, il beniamino del padre, era un ragazzo dalle guance rosee e paffute, di carattere allegro. Alessandro III si mischiava frequentemente ai giochi dei figli e lo si vedeva spesse volte accovacciato per terra a giocare con la famigliola. I professori dei giovani granduchi, come abbiamo detto, erano scelti fra i mediocri. D’altronde, caso mai qualcuno avesse voluto far intendere al futuro imperatore delle parole di verità, ne sarebbe stato impedito dall’uomo che aveva l’alta direzione della loro educazione, il famoso Pobiedonoszev, o dal generale Danilovic, ufficiale ottuso e alcoolico, che assisteva a tutte le lezioni dell’erede. Inoltre, i tre granduchi brano eccezionalmente pigri e la loro ignoranza, quasi fenomenale, era nota nei circoli di Corte. Per esempio, a diciassette anni, Nicola, assistendo a uno spettacolo organizzato da Mr. Heath, ove si rappresentava Il cavaliere avaro di Puskin, confessò francamente che non aveva mai letto niente di Puskin e che ignorava la sua esistenza. Obninsky, che riferisce questo fatto, e che assisteva personalmente allo spettacolo, aggiunse che tutti gli astanti si sentirono imbarazzati dalla confessione dello zarevic. Nella scienza militare, il risultato non era molto più brillante. Il ministro della Guerra, allora generale Vannovski aveva scartato sistematicamente dalle cariche importanti gli uomini d’ingegno, dimodochè, gli ufficiali incaricati dell’insegnamento delle scienze militari, erano inferiori agli altri professori del granduca erede. Le cerimonie religiose, le parate, le riviste in uniforme, ecco a quanto si limitava l’educazione dei figli d’Alessandro III. Per una strana ironia di cose, di mano in mano che in Russia la vita governativa si complica, l’istruzione dei futuri sovrani è affidata a degli uomini sempre meno capaci e si riduce ai minimi termini. Alessandro I aveva avuto per maestro La Harpe; Alessandro II il gran poeta Jukovsky; a Nicola II si diede il generale Danilovic, Pobiedonoszev, che non era più il giovane ardente professore del tempo di Alessandro III, ma un vecchio ottuso, fanatico e astuto. Il cappellano di palazzo Janicef gli insegnava il di. ritto canonico; Bunge, l’economia politica; Zamyslovski, la storia. Il precettore di Nicola, Mr. Heath gli ripeteva sovente: finché siete erede, profittate per ascoltare la verità; quando sarete imperatore sarà troppo tardi. Disgraziatamente Nicola non aveva intorno a sé chi gli dicesse la verità.

    II. LA GIOVENTÙ DI NICOLA. II. - IL VIAGGIO NELL’ESTREMO ORIENTE. - LA MORTE DI ALESSANDRO III.

    Il primo grande avvenimento della vita personale di Nicola Alexandrovic fu il suo viaggio nell’Estremo Oriente. I viaggi, onde conoscere i costumi dei diversi paesi, entravano nel programma d’istruzione dei granduchi, benché tutte le misure fossero prese, perché durante questi viaggi la verità restasse nascosta ai loro occhi. Questi viaggi erano preparati di lunga mano, dai funzionari incaricati dell’esecuzione del programma. Tutti i discorsi erano compilati e studiati anticipatamente, e gli agenti dell’Ocrana erano tutti mobilizzati, per rappresentare il popolo plaudente con entusiasmo al passaggio dei granduchi. Raramente il protocollo lasciava campo all’imprevisto, a meno che non fosse inavvertitamente. Il defunto poeta Slucevski, cronista ufficiale di quei viaggi, racconta nelle sue memorie rn pittoresco incidente accaduto nel 1880, durante una visita del granduca Vlarlimiro Alexandrovic nelle grandi città del Volga. A Samara, fra le curiosità locali, gli Tu presentata una vecchia che contava centoventi anni, che appena si reggeva sulle gambe, ma aveva serbato la sua lucidità di spirito. La vecchia si prosternò dinanzi al granduca, baciò il lembo della sua uniforme, poi si fece il segno della croce.

    - Perché ti fai il segno della croce, nonna? - chiese il granduca Vladimiro.

    - E come non lo farei? - borbottò la vecchia, - quando Dio mi ha permesso, prima di morire, di vedere per la seconda volta uno zar?

    - E qual altro zar hai visto? - chiese il granduca.

    - Ma sì, ho visto lo zar in persona, nostro padre Emilian Pugacef, - pronunciò la vecchia di Samara, con orrore di tutti gli astanti.

    Il granduca si allontanò frettolosamente. L’indomani il governatore presentava le sue dimissioni. Il viaggio del granduca erede nell’Estremo Oriente, doveva avere lo scopo, oltre l’istruzione, di rafforzare le relazioni internazionali della Russia, di stringere dei nuovi rapporti diplomatici con l’Estremo Oriente, e di aumentare il prestigio del regno di Alessandro III. Ma il viaggio, combinato per lo zarevitc, era poco indicato a ottenere questo triplice scopo. A quell’epoca, Alessandro III aveva già scartato dalla Corte tutti i grandi uomini politici che circondavano Alessandro IL Quali erano gli uomini del giorno? Il generale Cerevin, che impiegava a bere il tempo che non passava a Corte; oppure il generale Richter, gran proprietario baltico, uomo onesto, ma senza nessuna idea politica; non vi era alcuno che potesse fare degna scorta al granduca erede, e capace di rappresentare degnamente la Russia e fu designato, come capo della Missione, il vecchio e quasi cieco generale Bariatinski. Ma, se non altro, questo viaggio poteva avere un risultato: staccare l’erede dalla cantante Labunskala della quale era innamoratissimo. L’incrociatore Pamial Azova (ricordo d’Azov) che trasportava Io zarevic e il suo seguito, fu, durante tutto il viaggio, teatro delle più scandalose orge e gozzoviglie, alle quali partecipavano l’erede e il fratello Giorgio. L’abuso delle

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