Discover millions of ebooks, audiobooks, and so much more with a free trial

Only $11.99/month after trial. Cancel anytime.

Grandi biografie di grandi personaggi: Sei biografie: Giacomo Leopardi, Gabriele D'Annunzio, Jean Jacques Rousseau, Eleonora Duse, Fryderyk Chopin, Cristina di Belgiojoso
Grandi biografie di grandi personaggi: Sei biografie: Giacomo Leopardi, Gabriele D'Annunzio, Jean Jacques Rousseau, Eleonora Duse, Fryderyk Chopin, Cristina di Belgiojoso
Grandi biografie di grandi personaggi: Sei biografie: Giacomo Leopardi, Gabriele D'Annunzio, Jean Jacques Rousseau, Eleonora Duse, Fryderyk Chopin, Cristina di Belgiojoso
Ebook230 pages2 hours

Grandi biografie di grandi personaggi: Sei biografie: Giacomo Leopardi, Gabriele D'Annunzio, Jean Jacques Rousseau, Eleonora Duse, Fryderyk Chopin, Cristina di Belgiojoso

Rating: 0 out of 5 stars

()

Read preview

About this ebook

Sei grandi biografie in un unico e-book.
Vita di Leopardi (di Giovanni Publio Verri)
Vita di Gabriele D'Annunzio (di Veronica Iorio)
Vita di Jean Jacques Rousseau (di Andrea Puddu)
Eleonora Duse (di Gregory Marinucci)
Fryderyk Chopin (di Mariele Gioia Papa)
Vita di Cristina di Belgiojoso (di Federico Barrago)
LanguageItaliano
Release dateMay 30, 2015
ISBN9786050383911
Grandi biografie di grandi personaggi: Sei biografie: Giacomo Leopardi, Gabriele D'Annunzio, Jean Jacques Rousseau, Eleonora Duse, Fryderyk Chopin, Cristina di Belgiojoso

Read more from Veronica Iorio

Related to Grandi biografie di grandi personaggi

Related ebooks

Women's Biographies For You

View More

Related articles

Reviews for Grandi biografie di grandi personaggi

Rating: 0 out of 5 stars
0 ratings

0 ratings0 reviews

What did you think?

Tap to rate

Review must be at least 10 words

    Book preview

    Grandi biografie di grandi personaggi - Veronica Iorio

    Voglio dire che l’uomo tanto meno o tanto più difficilmente sarà grande quanto più sarà dominato dalla ragione

    Giacomo Leopardi

    Nel Leopardi si trova, in forma estremamente drammatica, la crisi di transizione verso l'uomo moderno; l'abbandono critico delle vecchie concezioni trascendentali senza che ancora si sia trovato un ubi consistam morale e intellettuale nuovo, che dia la stessa certezza di ciò che si è abbandonato

    Antonio Gramsci

    Io per me rido di tutti; ma quel povero Giacomo, che vivo non toccò mai nessuno, e morto non si può difendere!

    Pietro Giordani

    Giacomo Leopardi nacque a Recanati il ventinove giugno 1798. Scrittore, filologo, filosofo, è considerato il più grande poeta italiano dell’Ottocento e una delle figure più importanti del romanticismo letterario. Grande sostenitore del classicismo, tra le sue opere ricordiamo Zibaldone di pensieri, Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura, l’Epistolario ed Operette morali. Morì a Napoli il quattordici giugno 1837.

    Prefazione

    La figura di Giacomo Leopardi è una delle più importanti del panorama letterario italiano. Il suo pensiero è stato fonte d’ispirazione per i filosofi tedeschi del dolore  e per i simbolisti francesi. Col passare del tempo, però, parte della sua personalità e del suo pensiero sono stati persi. Canonizzato ormai dalla linearità della tradizione letteraria e scolastica italiana, la visione del poeta si riduce a quella di un ragazzo afflitto dalla sua condizione fisica e sociale; emerge, solitamente, l’immagine di un pensatore in perenne stato di depressione per la sua malformazione fisica e per la mancanza di veri rapporti sociali e familiari. La verità è tutt’altra. Giacomo era un profondo osservatore di quei tempi: ne accusava le contraddizioni, ne evidenziava le ipocrisie, si burlava dei vizi e ne  denunciava le atroci ingiustizie di quella antica (e forse troppo attuale) società. Non aveva una visione passionale o sentimentale della vita, il suo punto di vista era estremamente razionale. Un uomo, o meglio, un ragazzo vero al quale non serviva velarsi dietro sciocchi costumi, ma che amava dire la sua in ogni circolo letterario. Giacomo, violentato dagli smanianti canoni educativi paterni, deriso dalle gelosie dei rivali intellettuali e tragicamente sconvolto ed illuso dalle sue amate, non fu un passivo accusatore delle sue esperienze negative. Questo e-book è una lettura sulle esperienze e le passioni di Giacomo Leopardi: vista non da una sterile visione letteraria, ma un focus sulle esperienze, gioie e dolori, che hanno ispirato il poeta recanatese a comporre le sue opere. Un punto di vista su un Leopardi che non subisce quel pessimismo cosmico, ma che lo vive e lo plasma. Un ritratto di Giacomo che quasi lo distacca dalla sacralità della sua eternità letteraria e lo mostra uomo fin troppo comune. La crudele Roma, la fanatica Firenze e la fredda Milano lo rigettarono e lo ignorarono come fosse solo un topo di biblioteca, condizionati dall’arroganza senza identità del primo ottocento; in vero, quel ragazzo adorava fare lunghe passeggiate, ingozzarsi di gelato e circondarsi del calore della gente. Così, trovò calore nella colorita Bologna, amò la piccola Pisa e si sentì a casa nella colorita Napoli. Giacomo amava uscire , girare tra i vicoli della città partenopea e stare in mezzo alla colorita, semplice e naturale gente napoletana. Proprio quella Napoli vittima di stereotipi e pregiudizi, come lo è tutt’oggi, fu l’unica a non averne per quel ragazzo marchigiano. Giacomo è stato vittima di quel vizio tutto italiano di deridere ogni pensiero fuori dai canoni di un determinato periodo storico, per poi conferirgli un’ipocrita gloria postuma. Vizio mai scomparso e che trova il suo maggior critico proprio nella figura e nell’opera estemporanea del Leopardi.

    Giovanni Publio Verri

    Sommario

    L’INFANZIA

    Nel Giugno del 1798 ebbe inizio la travagliata vita di Giacomo Leopardi, espressione tra le più alte del romanticismo e della poetica italiana. Nato da famiglia nobile in una città ignobile, come definì egli stesso la bella Recanati di quei tempi, fu sempre schernito e deriso dagli abitanti della città che adesso reca dediche e targhe in ogni angolo della moderna cittadina marchigiana. Difficili erano le relazioni con il popolo, specialmente quando si apparteneva ad una famiglia aristocratica che al nome e al rango donavano una sacralità quasi divina. Strettamente legati al clero, i Leopardi sacrificavano all’estetica solenne qualsiasi comodità: nemmeno un angolo per un minimo di intimità era accettato; tanto che la particolarità, data l’avversione degli aristocratici del tempo per la cultura, nel palazzo leopardiano era proprio la biblioteca.

    * * *

    Il conte Monaldo, padre di Giacomo, era un tipico nobile del ‘700 bardato di parrucca e spada, che diceva donasse il senso del decoro; coltivava per i libri una passione quasi maniacale, e per essi mandò alla malora quasi tutto il patrimonio familiare. Fu salvato dalla marchesa Adelaide Antici, madre del poeta, sposata contro la volontà dei genitori, che con rigore e avarizia s’impossessò e amministrò i beni della famiglia; personalità bigotta, regalò precocemente al signore sette dei dodici figli nel nome dell’estremismo cattolico; per il conte e lo stesso Giacomo rimase sempre una benedizione divina ed un divino castigo.

    In questo scenario di estreme ideologie religiose e insensati schemi aristocratici, il Leopardi formò la sua cultura e la sua poesia. Rifuggì gli studi religiosi tanto da qualificare il suo tutore, un gesuita spagnolo, come l’assassino dei mie studi, perché suo vero mentore e compagno fu proprio il padre. Rinchiuso nelle enormi stanze di palazzo Leopardi con l’unica compagnia del Conte Monaldo, il quale non rinunciò a plasmarlo a sua immagine e somiglianza, Giacomo lesse di tutto, con avarizia e in successione molto disordinata. Una vera e propria gioventù passata a studiare, soprattutto perché non molto gli era concesso fare: solo al diciottesimo anno di età incominciò ad uscire da solo, come da buona tradizione di famiglia.

    * * *

    Non basta dire che i metodi di una educazione affabilmente coercitiva furono alla base degli studi estremi del giovanissimo poeta. In una letterina in latino indirizzata al padre del 1807, scrisse quasi come premonizione: erit gratius mihi studium, quam lusus (lo studio mi sarà più gradito delgioco).  Portentosa era la vastità enciclopedica degli interessi del Leopardi fanciullo, altrettanto stupefacente d’altro canto era la sua ostinazione e la sua avidità per gli studi. Il figlio del conte non solo assimilò i modelli ideologico-culturali del bigotto ambiente familiare, ma già lasciava intravede un certo pensiero indipendente. Una volontà di volare libero e per proprio conto, una volontà di volare alto, un’intraprendenza culturale che Monaldo osservava con occhi sbalorditi e pieni di ammirazione, mentre in cuor suo immaginava già una fervente ascesa ecclesiastica per quel suo dedito figliuolo. 

    * * *

    Non conosceva la letteratura moderna, poiché la biblioteca del padre si fermava alle prime decadi del ‘700; divenne, tuttavia, magistrale nella metrica greca e latina, tanto da riuscire a comporre delle vere e proprie imitazioni delle opere classiche da lui preferite. Innumerevoli  furono i componimenti puerili stesi dal giovane Giacomo tra il 1809 e il 1810: esercitazioni e traduzioni (in particolare le Odi di Orazio), prose e versi in italiano e latino; attività  che testimonia un’educazione letteraria di netta marca Arcadica: non elettiva o selettiva che corrispondesse ad un’autonoma scelta di gusto, bensì imitativa e scolastica corrispondente all’arretratezza di ciò che  circondava il giovane poeta.

    * * *

    Il giovane Giacomo non ebbe amici in gioventù, unici suoi compagni erano i fratelli Carlo e Paolina; anche la madre condivise con lui solo rapporti educativi. Persino dopo la sua morte, agli ammiratori dello scomparso Leopardi che domandavano curiosità, Adelaide rispondeva che Dio lo perdoni. Ispirato dalle letture enciclopediche e dal proposito razionalistico di divulgazione della verità contro l’errore delle antiche credenze, compone, in questi anni di gioventù, il Saggio sopra gli errori popolari degli antichi, scritto che mostra già la maturazione raggiunta nella scioltezza di scrittura e racconto; distribuita in diciannove capitoli, l’opera è una galleria dettagliata di casi, spesso particolari,di superstizione pagana, derisi con tono ironico ispirato ad uno stile Voltairiano.             

    LE SUDATE CARTE                                                               

    Il poeta, piegato sul desco e immerso nei suoi libri e scritti, cercava un’evasione da quei rigidi canoni aristocratici, perché del mondo esterno poteva conoscere solo i piccoli scorci di vita che riusciva ad inquadrare dalle finestre del suo freddo palazzo. Vide, da quei piccoli squarci di vita che gli erano concessi, ed ammirò Nerina; in seguito, il volto fu quello di Silvia. La prima era probabilmente una piccola popolana, il cui vero nome era Maria Belardinelli, la seconda era certamente Teresa, la figlia del cocchiere. Due giovani ragazze spentesi precocemente e per le quali Giacomo nella sua adolescenza leggermente avanzata e nel suo silenzio provò emozioni, provò passione. Nessuno nella famiglia Leopardi notò questo suo fremito, questi suoi impulsi; non erano né accettate né comprese queste voglie; non c’era spazio in questo tipo di famiglie aristocratiche di fine ‘700, per questioni ritenute frivole e imbarazzanti.

    * * *

    Giacomo fu ignorato non solo nei sentimenti, ma anche nel fisico: il conte e la marchesa nemmeno si accorsero che il lungo tempo passato sui libri aveva inesorabilmente compromesso la spina dorsale del giovane Giacomo. Passione per gli studi che lo aveva segnato e che, come confesserà in una lettera al Giordani, aveva reso il suo aspetto miserabile, e di spregevolissima tutta quella gran parte dell’uomo, che è la sola a cui guardino i più. L’assillo di questa deformità acuì la sensibilità inferma di Giacomo, orientandolo alla consapevolezza della fragilità dell’individuo come essere biologico; l’acquisizione di un amara coscienza di un immedicabile patimento connesso alla deperibilità della natura umana.

    * * *

    Lo zio Antici, fratello della madre, provò a portare il poeta a Roma, per sottoporlo a delle cure per la sua malformazione; tuttavia, ricevette solo una lettera indignata dal conte Monaldo, nella quale affermava, al contrario, che il ragazzo era in splendida forma, fresco come un fiore appena sbocciato. Nel 1816 iniziarono a incrinarsi i rapporti tra il conte ed il poeta. Lo sguardo di Giacomo verso la realtà del presente, storico e privato, inizia a distaccarsi nettamente dalla visione monaldesca. Nel giovane Leopardi si inizia a districare una visione lontana da quel cattolicesimo reazionario, da quel legittimismo conservatore, da quel provvidenzialismo illuministico tipico del padre Monaldo. Qui avviene la prima conversione letteraria, dettata in parte anche dalla rabbia per la deformazione subita dai sette anni di studio matto e disperatissimo. Un passaggio dall’erudizione al bello tradotto in continue e sempre più alte espressioni poetiche e dettati da bisogni tipici adolescenziali; dovuto ad una smania violentissima di dare voce a quelle passioni altrimenti incomunicabili. Esprimere sì quei sentimenti  ma in modo forte ed elevato. Tormento per quel fervore confessato in una lettera al futuro mentore e amico Giordani: per esprimere quel che io sento ci voglion versi non prosa.

    * * *

    Queste passioni del poeta non sono innocenti o inoffensive: parlano di patria, di amore, di gloriae virtù" con tono deciso che le trasforma in un’invettiva contro l’Italia della Restaurazione, contro lo squallido quadro della contemporaneità. Il talento di Giacomo, però, non poteva restare rinchiuso nelle alte e fredde stanze di palazzo Leopardi e sarà proprio la sua profonda conoscenza dei classici, per la precisione una eccellente traduzione dell’Eneide, ad aprirgli la via di fuga dalla vita bigotta e asociale di palazzo Leopardi. 

    * * *

    Il giovane Giacomo non aveva mai meditato evasioni o fughe dal suo palazzo-prigione; anzi, questo pensiero si iniziò ad instaurare quasi per caso. Di questo periodo è anche la composizione de l’Appressamento della morte dove l’esperienza di traduzione si univa al tentativo di una poesia autobiografica, con la quale il giovanissimo poeta punta a denunciare i mali dell’esistenza, l’empietà delle follie amorose e la violenza dei tiranni; un poemetto di cinque canti in terzine carico di figure fortemente allegoriche e concitatamente predicatorio, fortemente ispirato a emeriti poeti come Dante, Petrarca e il Monti. Una delle opere meno considerate del giovane Giacomo, la quale rappresenterà un punto fermo della sua carriera poetica.

    * * *

    Già nel 1820 ne inizia a citarne la conclusione, come riprova della sua personale capacità di dare voce, come confermerà in seguito nello Zibaldone, a certi affetti di quando le sventure lo travagliavano assai. L’Appressamento della Morte, infatti, seppur con un impianto artificioso e notevole enfasi moralistica, racconta e riflette un periodo di crisi profonda del figlio del conte; fase dovuta alle precarie condizioni fisiche causa di un assillante pensiero di una fine vicina, che contrastava però con l’esigenza di fuggire, di evadere dai luoghi della prigionia familiare e la crescente percezione di una felicità negata.

    TRA PATRIOTTISMO E RIBELLIONE

    Scrisse una eccellente traduzione de l’Eneide e la inviò a tre letterati  tra i più in vista del tempo: Monti, Mai e Giordani. I primi due gli risposero con complimenti e critiche, il terzo, invece, colse il talento del ragazzo. Il giovane poeta ricevette una lettera piena di calorosi elogi e, sentitosi finalmente apprezzato, si attaccò profondamente allo scrittore; iniziò a sommergerlo con lettere estremamente lunghe, perché vedeva in lui la via di fuga da tutti quei canoni e quelle regole che non riusciva a sentire suoi. Una corrispondenza fitta, un rapporto intenso specialmente tra 1817 e il 1821. Questo colloquio epistolare apre uno spiraglio, seppur limitato, nella reclusione recanatese e consente al giovane Leopardi il confronto con l’attualità politica e culturale.

    * * *

    Da questa corrispondenza il poeta acquisisce la consapevolezza del proprio valore, rinsalda i suoi rapporti con la tradizione classicistica e illuministica, accelera quel distaccamento dall’ideologia monaldesca  indirizzandolo verso un patriottismo laico e liberale di contrasto alla decadenza dell’Italia presente.  Il Giordani era un prete, anche se lo era diventato controvoglia; aveva idee liberali, alle volte era troppo enfatico e retorico; ad ogni modo un uomo generoso e di buon cuore che comprese il dramma di Giacomo. Consigliò al giovane poeta di evadere da quel tedioso e soffocante ambiente familiare. Il prete, ospite a palazzo Leopardi, schiuse l’animo del figlio del conte.

    * * *

    La monotonia quotidiana, gli abituali silenzi casalinghi e le rigide formalità dei comportamenti scomparirono sotto la spinta dell’entusiasmo portato dall’amico e  di conseguenza il giovane poeta iniziò a sentire ancor

    Enjoying the preview?
    Page 1 of 1