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Nardo ed Alabastro. Dal “cabaret liturgico” alla Divina Bellezza nella Liturgia e nella Musica Sacra (Seconda Edizione)
Nardo ed Alabastro. Dal “cabaret liturgico” alla Divina Bellezza nella Liturgia e nella Musica Sacra (Seconda Edizione)
Nardo ed Alabastro. Dal “cabaret liturgico” alla Divina Bellezza nella Liturgia e nella Musica Sacra (Seconda Edizione)
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Nardo ed Alabastro. Dal “cabaret liturgico” alla Divina Bellezza nella Liturgia e nella Musica Sacra (Seconda Edizione)

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Quanti vanno a Messa e tornano a casa sconvolti dal “baccano musicale” che hanno trovato in chiesa? Chitarre grattate, tamburelli assordanti, canti che sono una pallida brutta copia delle canzoni di un festival di musica leggera o di una serata in un discopub. Qualche operatore pastorale esce di chiesa divertito, convinto che quello sia il modo giusto per attirare i giovani e per far divertire i bambini. Tanti, troppi fedeli, invece, tornano a casa con un’amara sensazione: “Non mi sembra neppure di essere stato a Messa! Non mi sono potuto concentrare nemmeno per due secondi!”. Così inevitabilmente capita che da un lato si abbiano catechisti e chitarristi (spalleggiati più o meno ingenuamente da qualche diacono o presbitero) che sbandierano la necessità di tali “gioiose esternazioni” per esigenze pastorali, ma che poi sperimentano la dolorosa frustrazione di perdere quegli stessi adolescenti, appena conferita loro la Cresima, senza riuscire a capacitarsi del perché; dall’altro, si hanno musicisti con seri studi alle spalle, musicologi, liturgisti e naturalmente non pochi sacerdoti e religiosi i quali, consapevoli della indiscutibile validità delle glorie del passato, si aggrappano al celebre adagio “hodie mala tempora currunt”, forse però mancando un poco di speranza cristiana.
Con la prefazione di Mons. Nicola Bux, ecco la Seconda Edizione di questo saggio: un tentativo per fare chiarezza, invitandoci prima a guardarci alle spalle per capire cosa realmente stiamo perdendo (senza intransigenze o ideologie di sorta) per poi proporre qualche linea guida positiva e costruttiva per un sereno cammino di risanamento.
LanguageItaliano
Release dateAug 4, 2015
ISBN9786050403268
Nardo ed Alabastro. Dal “cabaret liturgico” alla Divina Bellezza nella Liturgia e nella Musica Sacra (Seconda Edizione)

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    Nardo ed Alabastro. Dal “cabaret liturgico” alla Divina Bellezza nella Liturgia e nella Musica Sacra (Seconda Edizione) - Alessio Cervelli

    Alessio Cervelli

    Nardo ed alabastro. Dal cabaret liturgico alla divina bellezza nella liturgia e nella musica sacra (Seconda Edizione)

    Al mio dilettissimo padre spirituale, Don Luigi Miggiano

    e ai miei diletti, giovanissimi allievi, Edoardo Taddei, Pietro Scacciaferro e Liborio Crosta

    UUID: 88ed3372-7e91-11e6-b092-0f7870795abd

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write (http://write.streetlib.com)

    un prodotto di Simplicissimus Book Farm

    INDICE

    PREFAZIONE (di Mons. Nicola Bux)

    INTRODUZIONE

    CAPITOLO I

    CAPITOLO II

    CAPITOLO III

    CONCLUSIONI

    Appendice

    BIBLIOGRAFIA

    L'autore

    Nota dell'Autore sulla seconda edizione

    Note

    Ringraziamenti

    PREFAZIONE (di Mons. Nicola Bux)

    Quanti vanno a Messa e tornano a casa sconvolti dal baccano musicale che hanno trovato in chiesa? Chitarre grattate, tamburelli assordanti, canti che sono una pallida brutta copia delle canzoni di un festival di musica leggera o di una serata in un discopub. Qualche operatore pastorale esce di chiesa divertito, convinto che quello sia il modo giusto per attirare i giovani e per far divertire i bambini. Tanti, troppi fedeli, invece, tornano a casa con un’amara sensazione: Non mi sembra neppure di essere stato a Messa! Non mi sono potuto concentrare nemmeno per due secondi!. Così inevitabilmente capita che da un lato si abbiano catechisti e chitarristi (spalleggiati più o meno ingenuamente da qualche diacono o presbitero) che sbandierano la necessità di tali gioiose esternazioni per esigenze pastorali, ma che poi sperimentano la dolorosa frustrazione di perdere quegli stessi adolescenti, appena conferita loro la Cresima, senza riuscire a capacitarsi del perché; dall’altro, si hanno musicisti con seri studi alle spalle, musicologi, liturgisti e naturalmente non pochi sacerdoti e religiosi i quali, consapevoli della indiscutibile validità delle glorie del passato, si aggrappano al celebre adagio "hodie mala tempora currunt", forse però mancando un poco di speranza cristiana.

    Questo saggio è un tentativo per fare chiarezza, invitandoci prima a guardarci alle spalle per capire cosa realmente stiamo perdendo (senza intransigenze o ideologie di sorta) per poi proporre qualche linea guida positiva e costruttiva per un sereno cammino di risanamento. Il testo, molto piacevole a leggersi per uno stile discorsivo fluente e piano, e per una sintassi limpida e scorrevole, presenta diversi pregi, soprattutto in ragione del fine generale apologetico cui tende, ottenuto per una non comune padronanza degli argomenti trattati, e - nella fattispecie - con intelligenti comparazioni dei documenti magisteriali e diversi richiami agli scritti e discorsi di Benedetto XVI, già fin troppo appannati e dimenticati.

    Pur non avendo ambizioni di saggistica tout court, il libro – che unisce, in una sorta di contaminatio  parti più speculative e squarci di vita vissuta, come pure ampi spunti tratti addirittura da testimonianze giacenti nella rete Web – riporta inoltre alcune parti interessanti e provocatorie, come una sapida intervista al defunto card. Bartolucci, altamente esemplificativa di fatti che modificarono gradualmente la prassi musicale nel torno critico degli anni Sessanta e Settanta, con quel tratto tutto schiettamente toscano che era dell'indimenticato Bartolucci. I riferimenti bibliografici ad opere singolari quanto azzeccate (N. Calduch-Benages, Berbenni) nell'ottica dei fini de quibus agitur coronano positivamente un testo che può offrire molti spunti di riflessione e di compiuta acquisizione circa il rapporto esistente fra liturgia, musica e Bellezza, quale riflesso del Divino.

    Uno degli aspetti sottesi eppure chiari che si cela tra queste pagine è un onesto richiamo ad un senso profondo di umiltà. In quanti, di fronte alle rubriche, ai documenti del magistero, alla ricchezza che l’esperienza della tradizione ci offre, ripetono ottusamente non mi piace!, non sono d'accordo!, non mi va bene!? Quanto più fruttuoso sarebbe invece l’orientarsi verso un più mite non capisco, non comprendo, non riesco a rendermi conto?

    Non c'è niente di male ad ammettere la propria difficoltà e fragilità nel comprendere quale sia o meno la cosa giusta da fare, nella vita liturgica e spirituale della Chiesa; quando si depone un’ottusità chiusa all’ascolto e si riconosce il proprio limite personale, è allora che ci si innesta in un cammino vivo in Cristo e nella Sua Chiesa. Se tagliamo il capo alla presunzione, se abbassiamo per un attimo la fronte sui piedi del Signore come la peccatrice e Maria, la sorella di Lazzaro, solo allora si potrà davvero chiedere a Dio la cosa giusta, quella che domandarono anche i discepoli a Gesù: Signore, insegnaci a pregare.

    In questo modo, per una via positivamente costruttiva, potremo tornare a comprendere quanto stava a cuore al Card. Ferdinando Antonelli, quando affermava l’importanza del senso sacro e vincolante della legge liturgica, pur essendo un convinto sostenitore del rinnovamento liturgico: è colmando le lacune della scarsa conoscenza della storia e del significato teologico dei riti – e del loro linguaggio artistico e musicale – che riusciremo a porre un argine alla dilagante anomia (cioè assenza di legge) liturgica che vediamo imperversare nei tempi odierni. Nella liturgia, la fede e la dottrina sono mediate dal rito (la fedeltà ai riti e ai testi autentici della liturgia è una esigenza della lex orandi che deve essere conforme alla lex credendi). Il rito, infine, scandisce il tempo della musica e struttura lo spazio dell'arte, rendendole capaci di comunicare all'uomo il Sacro, perciò queste possiedono una dimensione apostolica, missionaria e apologetica.

    L’elemento che personalmente mi induce a ben sperare per il futuro della Chiesa è il grande sobbollire presente nel mondo dei giovani a proposito delle questioni liturgiche. Questo lavoro che qui mi propongo di introdurre, non è affatto il caso isolato di un trentenne filologo amante dell’antico che, pur non avendo fatto esperienza del pre e del post-concilio semplicemente perché non era neppure nato, si vuole ergere a paladino dell’antichità.

    Tutt’altro!

    E’ uno dei tantissimi spunti di riflessione che provengono dal mondo giovanile della Chiesa, da quei ventenni e trentenni i quali, proprio perché non hanno vissuto le ideologie del tradizionalismo e del modernismo, hanno forse la mente più sgombra e serena per porsi domande sensate di fronte alla realtà ecclesiale che vedono, cercare risposte ed offrirle come contributo al cammino di crescita della Chiesa.

    Per questo, ai giorni nostri, si consiglia, oltre alle istituzionali e pregevoli edizioni cartacee di tipo tradizionale, anche una diffusione on line, nella forma nuova dell’e-book, per rispondere a quell’appello che già Papa Benedetto XVI aveva rivolto al mondo dei giovani, invitandoli ad un impegno missionario ancora più attento circa il mondo di internet:

    Cari giovani, (…) sentitevi impegnati ad introdurre nella cultura di questo nuovo ambiente comunicativo e informativo i valori su cui poggia la vostra vita! A voi, giovani, che quasi spontaneamente vi trovate in sintonia con questi nuovi mezzi di comunicazione, spetta in particolare il compito della evangelizzazione di questo 'continente digitale'.

    (Messaggio del Santo Padre Benedetto XVI per la XXVIII Giornata Mondiale della Gioventù 2013).

    d. Nicola Bux

    Sabato 1 novembre 2014

    Solennità di Ognissanti

    INTRODUZIONE

    LA BELLEZZA: UN BISOGNO CONNATURATO ALL’UOMO

    Una delle accortezze più preziose ma difficili da imparare, quando si fa direzione spirituale, è quella che non pochi curati d’anime spiegano così:

    Il nostro cuore ci parla di noi, coi suoi desideri, le sue passioni e le sue tentazioni. Se non va sempre assecondato, va però sempre ascoltato, per agire prudentemente di conseguenza. Quando ad esempio il tuo cuore è teso nello sconcerto, nella delusione, nell'amarezza dell'ingiustizia, nella vista del disprezzo della verità, non fare mai lo sbaglio di non ascoltarlo e conseguentemente di tentarlo. Anzi, metti sempre in pratica quanto insegna l'atto di dolore e fuggi le occasioni prossime[1].

    Ascoltare il cuore significa ascoltare il proprio intimo; ed uno dei bisogni più intimi dell’uomo è la bellezza che, passando attraverso i sensi del corpo, raggiunge e fa vibrare le fibre più intime del suo essere, spesso in modo del tutto inaspettato.

    Se poi ascoltiamo con attenzione la parte più intima di noi stessi, che giustappunto la tradizione spirituale cristiana nei secoli ha chiamato cuore, non impiegheremo molto tempo per accorgerci come la bellezza non sia soltanto un vago desiderio di ciò che è bello e buono, ma un vero e proprio bisogno, una brama, una fame che arde e che caratterizza l’essere umano e che dunque va saputa disciplinare ed indirizzare.

    In ambito scientifico si suole dire che bisogna indagare e lavorare basandosi su dati empirici, ossia provenienti dall’osservazione e dall’esperienza. Lungi dal voler adottare in questa sede un metodo ed un linguaggio accademico – che per natura e per indole non mi si addicono affatto, in quanto ne ho sperimentata tutta l’asettica, impersonale inefficacia nel produrre frutti buoni nella vita quotidiana ecclesiale – mi propongo di introdurre le riflessioni che ci accompagneranno in queste pagine tramite un reale episodio di vita pastorale.

    Mattinata di un oratorio estivo.

    I bambini si erano scatenati più del solito e mantenere un minimo d’ordine era una vera impresa: in chiesa regnava il chiacchiericcio più convulso che mai.

    D’improvviso suona la campana della sacrestia. Le volte della chiesa d’un tratto sono pervase da un vero e proprio tuono: sono i primi, robusti, possenti accordi dell’organo, che annuncia l’ingresso della Santa Messa, in quella mattina d’estate. Con passo lento ed ordinato, avanza il gruppo dei ministranti – otto rampanti quattordicenni – che accompagnano il celebrante con la solennità della croce astile, dei ceri, dell’incenso. A quella vista, quasi fosse un miracolo, … tutti i bambini tacciono: sono troppo impegnati a guardare la piccola processione che si avvia all’altare. Non fiateranno più per tutta la durata della celebrazione, preparata insieme al gruppo di studio a me affidato, per quell’attività d’oratorio: appunto quegli scapestrati adolescenti che, a dire di molti, non ascoltano, non hanno voglia di chiacchiere serie, figuriamoci di stare in chiesa; invece sono proprio loro i ministranti della Messa.

    Che strano! Sono bastati dieci minuti, durante il primo giorno di incontri, per convincermi del contrario. Dieci minuti perché quegli indisciplinati discoli fossero turbati e poi rapiti da strane parole come presenza reale di Gesù nell’Eucaristia, Messa in quanto Sacrificio della Croce, Gesù Cristo pane vivo per la vita eterna. Coma mai, questo apparente miracolo? Cosa gli avrà mai detto, quel fanatico dell’organista (ossia il sottoscritto), che in tanti, alle sue spalle, reputano un ottantenne bilioso e bigotto nel corpo di un trentenne?

    «Cari i miei giovincelli, poniamo che su una tavola apparecchiata davanti a voi siano posti due piatti di spaghetti al pomodoro. Il piatto di destra, in porcellana finissima, presenta gli spaghetti ben disposti a nido, con pomodorini freschi e foglioline di basilico in guarnizione. Il piatto di sinistra, scheggiato e non proprio pulito a dovere, contiene una matassa scompigliata e tutt’intorno schizzi di sugo. Se ponessimo questi due piatti di fronte ad un bel cagnolino e osservassimo il suo comportamento, ci accorgeremmo subito che la simpatica bestiola mangerebbe sia dal primo che dal secondo piatto, indistintamente. Chiunque di noi, invece, penso di poter supporre con buona dose di sicurezza che sceglierebbe di gran lunga il piatto di destra.

    Che differenza passa tra noi ed il nostro scodinzolante e festoso amico? Una sola: l’anima immortale, che rende l’uomo ad immagine e somiglianza di Dio, suo Creatore, e quindi in grado di comprendere e distinguere il bene ed il male e le loro relative rappresentazioni, ossia la bellezza, l’ordine, l’armonia e la bruttezza, il disordine, la ripugnanza.

    Vediamo di trasferire il medesimo ragionamento su due celebrazioni del medesimo mistero e sacramento: l’Eucaristia. La prima liturgia la viviamo con bei fiori in presbiterio, uno splendido Crocifisso artistico al centro dell’altare tra sei candelabri accesi, il calice realizzato a sbalzo in oro e argento da un bravo artigiano, i lini puliti, il velo del colore liturgico che copre il calice, il presbitero celebrante con indosso un bellissimo paramento realizzato a mano da delle pie monache, i chierichetti in ordine, a mani giunte, con le vesti pulite; e poi il coro che esegue una precisa e spavalda polifonia, alternandola col canto gregoriano più semplice e con le voci dell’assemblea, e l’organo che introduce, commenta e conclude il Culto Divino con tutti i colori sonori che gli sono propri.

    La seconda celebrazione, invece, è così confezionata: un Crocifisso polveroso da una parte in presbiterio (ammesso che ci sia), pochi fiori accozzati in qualche vaso crepato, le tovaglie dell’altare meno decorose di quelle che metteremmo sulla mensa di famiglia all’ora di cena di un giorno qualunque; quindi un gruppetto di cantori che propina musiche proprie di un pub, di un bar, di una discoteca».

    A quel punto, un paio di quei ragazzi, facenti parte dell’equipe di catechismo parrocchiale in qualità di apprendisti, iniziano a storcere il naso: «Cosa c’entra? Una Messa così è per adulti, per vecchi! I bambini si annoiano! Ci vuole divertimento! Ci vuole partecipazione attiva! Ritmo! Gioia! La Messa è una festa! Bisogna aggiornarsi e fare musiche moderne».

    «Perdonate la mia schiettezza», dico loro, con un sorriso sulle labbra, «ma queste sono ingenuità belle e buone. Sapete cosa chiedo sempre a ragazzi belli di cuore e ben volenterosi come voi? Domando: quanti di voi hanno studiato solfeggio?».

    Come accade quasi sempre, bocca chiusa.

    «Quanti conoscono un po’ di storia della musica e di vissuto dei grandi autori che hanno contribuito a scriverne le pagine attraverso i secoli?».

    Silenzio.

    «Quanti hanno aperto la Sacrosanctum Concilium, l’istruzione Musicam Sacram e l’Ordinamento Generale del Messale Romano, giusto per avere un’idea di cosa domanda la madre Chiesa a chi presta servizio nella liturgia con la musica?».

    Occhi sbarrati e attoniti: quasi avessi parlato loro in lingua maya. Con un sorriso ancora più grande e con una profonda tenerezza in cuore, provo dunque a farli riflettere un po’.

    «Non vi sembra che sia come se voleste far ascoltare agli altri un canto della Divina Commedia di Dante senza neppure conoscere l’alfabeto? La vostra lettura sarebbe fatta ad orecchio, no? E, siccome nessuno di voi ha conoscenze, neppure minime, del linguaggio e delle regole con cui quel testo è scritto, non siete forse voi i primi a non poterne assaporare la bellezza? Come potete sperare di ottenere un buon risultato nei confronti di chi vi ascolta?».

    Di solito, i quarantenni e cinquantenni sessantottini incalliti, se si sentono rivolto un discorso di questo genere, a questo punto si arrabbiano, tacciano l’interlocutore di bigottismo e oscurantismo, girano i tacchi e se ne vanno. I ragazzi, i bambini un po’ più grandicelli, gli adolescenti, invece, restano lì e nel loro sguardo si scorge sempre un misto di perplessità e di curiosità: vogliono provare a preparare una celebrazione secondo le regole, col servizio liturgico e le musiche prescritte.

    Termina la Santa Messa.

    E i discepoli nella sacrestia, mentre si tolgono le vesti liturgiche, si dicono l’un l’altro: «Hai visto che bello? Che sensazione mi son sentito nello stomaco mentre andavamo all’altare e l’organo suonava! Che spettacolo, l’incenso che avvolgeva tutto! Quanto erano potenti, quelle musiche e quei canti!».

    Quand’ecco, arriva (come previsto) lo squadrone di repressione, pronto a sfoderare tutte le armi del proprio disappunto: sono i colleghi educatori, più avanzati in età.

    «Cos’erano tutte quelle lagne e nenie? Ma che barba quell’organo suonato a palla! Che noia tutti lì, fermi, zitti, immobili, senza ritmi coinvolgenti, senza allegria! Sei il solito esagerato! Sei vecchio dentro!».

    Con grande

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