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Afrodite
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Afrodite

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“AFRODITE” è l’avvincente storia della vita di Sam Devil, un ladro eccellente, inafferrabile per la Polizia londinese di Scotland Yard. Per preparare il colpo a Dolly's, la gioielleria più ricca di Londra, Sam decide di sedurre Sonia la moglie di una guardia della gioielleria. Ne nasce una storia d'amore travolgente. Lei però rimane incinta di Sam.
Sam durante la rapina uccide per errore Tim Thompson, il marito di Sonia. Immediatamente sparisce da Londra con il bottino, abbandonando la donna e il figlio in arrivo al loro destino.
È passato molto tempo e Sam è riuscito a ripulire la sua vita costruendone una nuova in Italia, all'isola d'Elba. Lì però lo stanno cercando gli emissari di Vincent Grinnell, un pazzo americano che lo vuole ingaggiare per un furto visionario, il furto del secolo. Grinnell sogna di possedere “La nascita di Venere” di Botticelli esposta al Museo degli Uffizi di Firenze…
LanguageItaliano
Release dateFeb 15, 2014
ISBN9788868858391
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    Afrodite - Sergio Ribechini

    Ringraziamenti

    CAPITOLO UNO

    Muoversi nell’oscurità gli era sempre piaciuto. Fin da bambino, quando usciva di notte dalla finestra di camera per andare a spiare le piante, gli animali, il cielo, protetto dall’offuscamento del buio. In quei momenti sentiva un forte profumo di libertà. Forse era un po’ anche per questo che Sam, da adulto, si era trovato a vivere di notte; perché si sentiva libero.

    Qualche anno prima aveva cercato di lavorare onestamente, in un panificio, poi in una libreria, in una galleria d’arte e ancora in un negozio di alimentari; ma, ogni volta, perdeva la motivazione quando iniziava ad avvertire la mancanza di quella libertà che per lui era diventata una linfa vitale. Senza la sovranità assoluta sulla sua vita non poteva respirare, così finiva per svincolarsi spontaneamente dall’incarico, rimanendo per lunghi periodi spaesato come un uccellino fuori dalla gabbia.

    Aveva iniziato a compiere qualche lavoretto fuori dalla legge, di notte. Tutto scorreva liscio se studiava le mosse prima di compierle. Si sentiva abile in quel mestiere. Sì, perché in fondo anche quello era un mestiere. Doveva studiare i tempi, i modi e le vie di fuga. Serviva velocità d’azione ma anche perizia e intuito, ma soprattutto serviva molto sangue freddo per dileguarsi senza lasciare tracce. Aveva conosciuto tipi che si erano fatti beccare così stupidamente che non riusciva a crederci. A lui non era mai successo perché sapeva fare il suo mestiere. A Sam piaceva fare il ladro.

    Aveva iniziato facendo prima il borseggiatore, poi rubando autoradio, poi ripulendo qualche appartamento, poi ancora facendo sparire automobili di lusso, percorrendo una veloce escalation criminale che lo rendeva fiero delle sue abilità.

    Ciononostante, avendo eseguito ormai così tanti colpi, era stato impossibile non lasciar mai nessun segno del proprio passaggio. Così era accaduto che una sera nel retrobottega di una gioielleria, le telecamere interne lo avevano inquadrato mentre fuggiva con il bottino.

    Dovette poi fare i conti con le testimonianze delle persone che lo avevano incrociato in prossimità dei luoghi dove avvenivano i furti, che dovevano aver dato alla polizia londinese descrizioni di un uomo agile, di media statura, longilineo, capelli lunghi e probabilmente occhi chiari. Questo era tutto ciò che Scotland Yard sapeva di lui.

    Tra gli sbirri di Londra e dintorni il nome di Sam Devil girava veloce, ma tra loro in pochi avrebbero scommesso sulla sua cattura a breve. Loro sapevano che Sam agiva quasi sempre di notte e sempre da solo, e sapevano anche che era quasi imprendibile a meno che non avesse commesso uno sbaglio grossolano, difficile per uno come lui.

    Sam aveva una cicatrice sul volto, visibile, appena sotto l’occhio destro; sapeva che poteva essere un segno di riconoscimento pericoloso, così era costretto a lavorare sempre con il viso coperto. Non aveva mai commesso la leggerezza di farsi vedere in volto quando rubava. Senza l’identikit del suo volto, a Scotland Yard gli agenti facevano una gran fatica a operare.

    Si attribuiva un’indole di ladro di nobili sentimenti, attento a regalare eleganti ricordi di sé, poco incline a lasciare disordine dopo il suo passaggio e sempre pronto a qualunque garbata smanceria per accreditarsi i favori di qualche giovane benestante.

    Il talento di Sam nel procurarsi le informazioni necessarie alle sue azioni era straordinario. Non agiva se ogni minimo rischio non era stato eliminato, perché aveva ben chiaro che gli imprevisti e purtroppo gli errori erano sempre dietro l’angolo. Doveva avere tempi e modi d’azione bene in testa altrimenti rimandava il furto, anche di mesi.

    Per il suo lavoro provava una forma perversa di amore,

    anche per questo si considerava il migliore.

    CAPITOLO DUE

    Da un po’ di tempo Sam progettava un colpo diverso. Un furto che gli avrebbe fruttato così tanto da cambiare vita e andare via, lontano dall’Inghilterra, miticamente, senza lasciar niente dietro di sé. Si sarebbe rifatto un nome e una vita magari in Spagna o in Italia. La preparazione questa volta doveva andare ancora più a fondo, per non lasciare niente al caso.

    Per mettere a punto il lavoro a Dolly’s avrebbe impiegato forse anche un anno. Si rese conto da subito di tentare il colpo più grosso che avesse mai pensato. Era un grande stimolo. Depredare Dolly’s per un ladro era un furto superiore, era il massimo. Sarebbero bastati alcuni orologi e alcuni bracciali d’oro per fare un bottino che al mercato nero poteva fruttare 600, 700 e forse anche 800 mila sterline.

    Per alcune notti girovagò in zona coperto dalle ombre. La gioielleria era sorvegliata a tutte le ore del giorno e della notte, da una guardia, sicuramente armata, che pattugliava i locali interni; ciò complicava molto le operazioni. Fece il giro dell’edificio cercando qualche via d’entrata. Notò che il piano superiore sovrastava il negozio solo per metà, l’altra metà era coperta direttamente da un tetto.

    Già un’altra volta Sam era entrato in un’abitazione attraverso una botola sul tetto, e tutto era andato bene. Era necessario però fare un sopralluogo del tetto da fuori senza destare sospetti.

    Nel suo giro vide sul retro i macchinari per gli impianti di riscaldamento dell’aria e notò che da una di queste macchine nasceva un grosso tubo di lamiera che andava ad infilarsi proprio sopra la gioielleria. Il condotto era talmente grosso che avrebbe potuto contenere, forse, anche una persona sdraiata.

    Arrivare al tubo era molto difficile perché questo era circondato da una rete grigliata e probabilmente con sistema d’allarme. Inoltre una volta oltrepassata la rete, la difficoltà maggiore consisteva nell’entrare dentro il tubo.

    Continuò il suo percorso sperando di trovare un accesso meno complicato, ma sapeva bene che per un furto di prima categoria erano richieste abilità di pari livello. Non trovò nient’altro, anche perché le finestre non erano da prendere minimamente in considerazione essendo dotate di vetri blindati, con allarme dall’interno e sorveglianza continua.

    Un’altra possibilità era di entrare dalla porta principale, al momento del cambio del turno di guardia, ma, così facendo, avrebbe dovuto affrontare contemporaneamente due agenti. Era troppo rischioso.

    Sam decise che sarebbe entrato attraverso il condotto dell’aria, cercando di disabilitare qualunque allarme presente e forse anche tagliando il condotto stesso.

    Era consapevole che ogni rumore anomalo avrebbe insospettito gli abitanti delle case vicine. Questo era un rischio che poteva essere eliminato usando gli attrezzi giusti e compiendo l’azione a un’ora stabilita. Oltre alle perlustrazioni notturne Sam compì dei sopralluoghi durante le ore del giorno, che gli servirono per studiare l’azione interna al negozio e la fuga finale.

    Notò una serie di cose molto utili, vide, ad esempio, che gli oggetti preziosi, esposti in vetrina durante il giorno erano presi e riposti durante le ore notturne, lasciando così la vetrina spoglia, per poi essere sistemati nelle solite posizioni il giorno successivo. Ciò significava che tutti quegli orologi, collane e bracciali venivano quasi sicuramente riposti insieme nel caveau di sicurezza e che sarebbe stato relativamente facile raccoglierli velocemente.

    Notò poi che i turni di guardia erano sempre tre da otto ore che ciascuno dei tre agenti svolgeva a rotazione.

    Per volere del proprietario Mr. Hamilton i cambi si susseguivano alle ore cinque, alle tredici e alle ventuno. Sam osservò che il cambio avveniva sempre sulla porta d’ingresso principale, dove la guardia che usciva lasciava il posto alla guardia che entrava, appena il tempo di scambiarsi un saluto, poi la porta si richiudeva. Durante i cambi sicuramente doveva essere disattivato l’allarme per il tempo necessario.

    Numerose furono le volte che Sam capitò durante il giorno nella zona della gioielleria. Al solo scopo di carpire informazioni utili, passò dei pomeriggi interi nella piazza antistante; ogni volta era vestito in modo diverso, ma con abbigliamento che facesse pensare sempre a un turista o un vagabondo che non sapeva come passare il proprio tempo.

    Stava seduto su una delle panchine presenti in mezzo alla piazza facendo finta di leggere un giornale o un libro. Al collo teneva l’immancabile macchina fotografica che utilizzò varie volte per scattare foto qua e là, come avrebbe fatto un turista straniero. Gli occhiali da sole nascondevano i continui sguardi lanciati verso l’ingresso che Dolly’s metteva a disposizione sulla strada antistante alla piazza. In modo ossessionato inoltre, cambiava ogni giorno orario e panchina dalla quale mirare il suo occulto obiettivo.

    Poté così familiarizzare con le figure che rappresentavano i guardiani stipendiati da Mr. Hamilton. Notò che i custodi che si alternavano durante il giorno erano almeno tre.

    Uno aveva una notevole stazza fisica e portava sempre una barba incolta, occhiali da vista, capelli rasati e andatura un po’ goffa; un altro, più giovane, sempre ben rasato e ordinato, mostrava spesso una grande sicurezza e agilità nei movimenti; il terzo era una persona di media statura, più gracile degli altri due e con capelli biondi.

    Sam non conosceva i loro nomi ma, durante le giornate passate in osservazione, aveva imparato a conoscerli più di quanto si possa immaginare. Gli aveva affibbiato dei nomignoli, così da identificarli nella sua mente: li chiamava il grassone, il bello e il piccolo.

    Capitava spesso che alla fine del turno di guardia ci fosse qualcuno ad aspettare la loro uscita, presumibilmente la moglie o la fidanzata o un amico. I primi tempi aveva individuato una donna che se ne andava con l’uomo che Sam chiamava il grassone, mostrando una certa felicità. Si divertiva a immaginare che si trattasse dell’inizio di una storia d’amore tra loro.

    In alcune occasioni provò anche a seguirli, tenendosi alla dovuta distanza. Ebbe però solo sterili conferme riguardanti la loro felicità nello stare insieme. Il grassone era un tipo sorridente che dava l’impressione di non avercela con nessuno e di essere innamorato del mondo intero.

    Sam si concesse anche il lusso per due volte, a distanza di giorni, di avvicinarsi alla coppia che stava studiando. In una di queste occasioni fu ripagato perché poté scoprire il nome del grassone quando sentì la ragazza chiamarlo Fred. Il guardiano che Sam chiamava il bello era un tipo più sfuggevole. Puntualmente ogni volta che balzava fuori da Dolly’s girava dietro l’angolo, montava sul suo scooter e sfrecciava via velocemente.

    Sam aveva pensato con timore a un possibile scontro tra loro; lui sembrava agile e forte. Concentrò quindi i suoi studi sugli altri due. Il piccolo era una persona rilassata. Alla fine del suo turno Sam non aveva mai visto nessuno andargli incontro, ma aveva notato che a lui piaceva passeggiare all’aria aperta, infatti, percorreva a piedi dei lunghi tratti.

    Con passo tranquillo, camminava senza voltarsi mai indietro,

    fino a quando, risoluto, scendeva le scale per la metro.

    CAPITOLO TRE

    Erano da poco passate le nove del mattino, quando il telefono di Sam squillò pesantemente, svegliandolo. Sammy sono tua madre, non dirmi che dormi ancora. Fatti sentire… Sam udì il messaggio lasciato in segreteria ma continuò a girarsi nel letto ancora un po’.

    A lei aveva inventato che stava lavorando per un’agenzia di assicurazioni, tanto per farla stare tranquilla, quando invece la sua sola occupazione era di organizzare e mettere a segno dei furti eccellenti. Aveva raccontato di compagni di ufficio più o meno simpatici ed anche di una collega carina che gli piaceva molto.

    Così sua madre, rimasta sola da quasi dieci anni, avrebbe potuto pensare con meno ansia al futuro dell’unico figlio trentenne. Sam le voleva bene e passava da lei una volta ogni tanto, rimanendo a pranzo insieme per parlare del più e del meno e delle amiche con le quali lei condivideva l’abbondante tempo libero al centro anziani oppure al parco a passeggiare.

    A volte uscivano per andare al cimitero di Honeywood dove li aspettava il padre di Sam, sepolto là dal ’62, dopo quel terribile incidente stradale dove aveva perso la vita.

    Appena in piedi Sam si accese una Marlboro e girovagò per casa in mutande. Occupava un appartamento in affitto in una zona periferica di Londra. Quella zona era l’ideale per chi come lui voleva nascondersi. Era un quartiere popolare un po’ degradato e abitato pressoché da poveracci e da famiglie di operai.

    L’affittuaria era poi una vecchia zitella un po’ rincoglionita che passava puntualmente di persona ogni primo giorno del mese a riscuotere le 120 sterline per l’affitto. Scambiava poco più di un saluto per poi tornare il mese successivo. Per una maggior sicurezza Sam le aveva dato un documento d’identità contraffatto di un certo Gerard Stanley, cambiando la foto con la sua.

    Chiamò sua madre assicurandola che non sarebbe mancato alla festa del suo settantesimo compleanno, che cadeva proprio la domenica successiva e che lei avrebbe festeggiato come ogni anno al centro anziani di St. James Street. Dopo una colazione veloce Sam si vestì e uscì.

    Portava sempre degli ampi occhiali da sole scuri che gli servivano essenzialmente per rendere meno evidente quella brutta cicatrice sotto l’occhio che lo rendeva riconoscibile. Anche quel giorno non dimenticò di mettersi al collo la macchina fotografica. Attraversò tutto il quartiere senza incontrare nemmeno una persona.

    Ogni volta che succedeva, e succedeva quasi ogni mattina, Sam confermava a se stesso di aver fatto la scelta giusta optando di vivere in quel piccolo appartamento, trovato un po’ per caso su un annuncio di ultima pagina del Times. Passò davanti all’edicola dei giornali e poi svoltò a destra scendendo per la metro.

    La metro lo avrebbe portato molto vicino a Russell Square, ma lui preferiva mimetizzarsi tra le centinaia di persone che utilizzavano invece la fermata di Leicester Square per scendere e incamminarsi per le strade della città.

    Così fece. Alla prima edicola che incontrò lungo il cammino, comprò una copia di El pais. Sam non conosceva benissimo l’incantevole lingua spagnola, il giornale gli serviva solo a completare il suo travestimento che era portato morbosamente a compimento rispondendo con brevi vocaboli spagnoli a chi gli avrebbe, caso mai, rivolta la parola. S’incamminò quindi con andatura tranquilla arrivando dopo una decina di minuti.

    Erano quasi le undici di un sabato mattina e Sam si sentiva bene; facilmente Scotland Yard non lo avrebbe infastidito ancora per molto. Durante le sue scorribande Sam non aveva commesso ancora grossi errori; gli sbirri avevano pochi elementi per arrivare a lui. Questo era un aspetto del suo mestiere cui badava con particolare attenzione. Rimandava il colpo se aveva il plausibile sospetto di incontrare qualcuno durante l’azione.

    Russell Square era come sempre quasi deserta a quell’ora; ma si sarebbe sicuramente affollata di lì a poco. Sam si sedette su una panchina che distava poco più di venti metri dalle vetrine di Dolly’s. Da quella posizione poteva quasi vedere gli sfavillanti luccichii delle pietre preziose esposte in vetrina.

    All’interno c’erano come sempre poche persone. Oltre alle due commesse, una giovane e l’altra più anziana, c’era la guardia di turno che Sam riconobbe immediatamente. I numerosi sopralluoghi, infatti, compiuti nei giorni precedenti lo avevano portato a capire il succedersi dei turni dei tre guardiani; così quella mattina era sicuro che arrivando avrebbe trovato la persona che lui chiamava il piccolo. E fu così.

    Dopo una mezz’ora che Sam stava seduto non seppe resistere alla tentazione di alzarsi dalla panchina e, facendo un giro ampio, avvicinarsi alle vetrine come un passante qualunque.

    Era la prima volta che si azzardava ad avvicinarsi tanto alle sue prede. Avvertì una certa agitazione subito ricompensata dal profumo di libertà che quelle meraviglie effondevano. I prezzi non venivano esposti, ma Sam sapeva benissimo che quei bracciali ricoperti da zaffiri birmani, quelle collane di perle nere o quegli orologi diamantati valevano una fortuna. I vetri erano inattaccabili, come aveva previsto, a conferma che il retro rappresentava l’unico accesso possibile.

    Prima di stabilire definitivamente il suo piano d’azione, avrebbe dovuto fare una visita

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