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Non ho fatto in Tempo
Non ho fatto in Tempo
Non ho fatto in Tempo
Ebook147 pages1 hour

Non ho fatto in Tempo

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About this ebook

Racconto che si fonda, per la gran parte, su fatti realmente accaduti. Narra di giovanissimi e giovani che diventano uomini, ma hanno sempre paura. Tutto sembra perduto. Pare non ci siano vie d'uscita ma una speranza, finché viviamo, c'è.
LanguageItaliano
Release dateJan 16, 2014
ISBN9788868856540
Non ho fatto in Tempo

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    Non ho fatto in Tempo - Andrea Allemand

    Allemand Andrea

    Non ho fatto in Tempo

    UUID: cb8fc096-6ce2-11e3-806b-27651bb94b2f

    Questo libro è stato realizzato con BackTypo

    un prodotto di Simplicissimus Book Farm

    Indice dei contenuti

    Non ho fatto in Tempo

    L'infanzia

    1

    2

    3

    4

    5

    6

    7

    L'adolescenza

    8

    9

    10

    11

    12

    13

    14

    Ormai Uomini

    15

    16

    17

    18

    19

    20

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    25

    26

    27

    Ultimo

    Indice

    Non ho fatto in Tempo

    L'infanzia

    1

    1978 IV elementare

    Quando ci conoscemmo, all’età di dieci anni, Massimo ed io ci studiammo a lungo prima di divenire inseparabili. Non mi era per nulla simpatico, gli amichetti della scuola elementare già lo temevano ed io altrettanto anche se non volevo darlo a vedere. Si diceva fosse violento poiché proveniente da un ambiente familiare dove le percosse e le cinghiate erano frequenti; il padre, alcolista, non lesinava pugni e pedate ogni qualvolta i figli gli passavano sotto tiro e la madre, probabilmente analfabeta, come del resto il padre, non osava proferire parola contro il marito. Erano quattro gemelli e Massimo era il capo indiscusso; abitavano in un paesino di campagna alla periferia di Novara, immerso tra le risaie e collegato alla città da una stradina stretta e rovinata che i fratelli percorrevano, tutti i giorni, in bicicletta, percorrendo quotidianamente una decina di chilometri.

    I fratelli Guarnieri erano tutti muscolosi, abituati alle botte e con un grande desiderio di condividere la rabbia accumulata. La mattina, non appena arrivavano sullo spiazzo della scuola con le loro biciclette tutte scassate, vi era un fuggi fuggi generale, all'interno dell'istituto, del quale si compiacevano non poco scambiandosi occhiate divertite e fiere. Non le legavano nemmeno, come facevamo io e gli altri bambini, le gettavano a terra una sopra l'altra, suscitando l'indignazione di Filippo, il bidello, che imprecava sottovoce mentre si alzava dalla sedia, ove comodamente leggeva il giornale, per andare a raccoglierle e appoggiarle ordinatamente al muro di cinta. Filippo aveva provato a mettere in riga il branco, li aveva rimproverati aspramente credendo di intimorirli che razza rara di animali siete?, dove vi credete di essere buoni a nulla che non siete altro?, appoggiatele sui cavalletti nel posto riservato alle biciclette, la risposta dei quattro non tardò e non piacque a Filippo non romperci i coglioni bidello!, tirale su da solo se vuoi e attento a non graffiarle; il bidello avrebbe sicuramente voluto prenderli a schiaffoni, uno per uno; si lamentò dell'accaduto con il direttore dell'istituto il quale, conoscendo la fama dei quattro bravi, lo invitò a pazientare e da quel giorno Filippo ebbe anche il compito di riordinare le biciclette, tutti i giorni.

    Non appena entravano nell'atrio, si sentivano gli schiamazzi e la maestra Liliana, con un'espressione rassegnata, diceva: sono arrivati. L'unico provvedimento sensato del direttore, fu di separare ciascun Guarnieri dai fratelli che finirono così in quattro sezioni distinte. Massimo, entrando in classe, non salutava nessuno, tanto meno la maestra, gettava lo zaino a terra e spostando rumorosamente la sedia con i piedi, interrompendo di fatto l'appello in corso, prendeva posto accanto a me. Aveva scelto di avermi come compagno di banco, ovviamente senza chiedermi cosa ne pensassi.

    Non faceva baccano in classe, se ne stava seduto in silenzio con lo sguardo fisso, pensieroso. Lo osservavo; carnagione scura, fronte corrugata, mascella squadrata ove erano evidenti i guizzi dei muscoli sottopelle, tipici di chi serra nervosamente i denti, naso perfetto. Il grembiule sgualcito, gli abiti logori ed il cattivo odore mi facevano pensare ad una famiglia povera, di quelle che possono abitare soltanto nei quartieri popolari, che non possono mai andare in vacanza, che non possono invitare gli amici a casa propria poiché i loro genitori è come se non ci fossero, e nessun genitore perbene manderebbe mai il proprio figlio in un ambiente del genere. Questo era il mio pensiero sulla famiglia di Massimo, il pensiero di un bimbo di dieci anni che aveva alle spalle una famiglia normale.

    Si scatenava, invece, nel corso dell'intervallo, quando l'intera scuola si ritrovava in giardino. I Guarnieri si cercavano ed una volta insieme erano guai. Nessuno, né maschio né femmina poteva più stare tranquillo, nemmeno i più grandi, quelli della classe quinta.

    Adesso giochiamo noi dissero entrando nel campetto e interrompendo la partita di pallone; aspettate il vostro turno andatevene fuori gridarono i grandi. Non uscirono dal campo e così cominciarono a spintonarli sino a che Massimo diede un cazzotto in pieno viso ad un bimbo di quinta, facendogli sanguinare il naso come una fontana. Bastardo disse il ferito coprendosi il volto con le mani ormai grondanti sangue; si bloccarono tutti, zitti; Massimo gli si avvicinò e disse bastardo a chi?, e gli rifilò, con rabbia, un altro pugno sulle mani che coprivano il naso, scaraventandolo a terra, tra le urla di dolore ed il pianto di alcuni bimbi che assistettero alla scena e che, come me, non erano abituati alla violenza. Le maestre accorsero insieme al bidello, allarmati dagli schiamazzi, e portarono il clan Guarnieri nell'ufficio del direttore. Tre settimane di sospensione soltanto per Massimo ed una nota scritta sul diario per gli altri tre. Il padre del bambino pestato, un uomo sui trent'anni muscoloso e con le braccia tatuate quasi per intero, si presentò l'indomani per chiedere spiegazioni. La maestra Liliana era evidentemente agitata e quando fu convocata in direzione avvampò. Ragazzi vi lascio soli per dieci minuti, fate merenda e parlate sottovoce disse prima di uscire dall'aula. Tornò, dopo circa mezz'ora, in lacrime, maledicendo il giorno in cui Massimo aveva messo piede nella nostra classe. Seppi, da un amico che frequentava la classe adiacente la direzione, che quel signore l'aveva minacciata, urlando, accusandola di essere un'incompetente e che se si fosse ripetuta una cosa del genere l'avrebbe presa a schiaffi personalmente. Voleva conoscere anche il bullo che aveva rotto il setto nasale del figlio ma gli dissero che era stato sospeso dall'istituto. Prima o poi tornerà concluse il tatuato, e se ne andò sbattendo le porte.

    I fratelli continuarono con il loro atteggiamento aggressivo, anche in assenza del capo, ma non era la stessa cosa. Uno di loro, Simone, all'intervallo venne da me per farsi dare la merenda. Dammela mi disse con un tono che non ammetteva repliche, ed afferrò la mia focaccia. Lo guardai dritto negli occhi e gliela strappai di mano. E' mia, se vuoi te ne posso dare un pezzo risposi con voce incerta. Avevo timore di mettermi contro un Guarnieri ma sapevo che se avessi rinunciato a difendermi mi sarei sentito un verme. Mi diede una sberla sulle mani facendomi cadere la merenda e poi, con un perfido ghigno, me la pestò sotto le scarpe. Trattenni a stento le lacrime e in un impeto d'orgoglio lo afferrai per il collo stringendogli la testa tra il braccio ed il petto. Lui, in quella posizione, mi dava pugni sulla schiena e sulle gambe, più lui picchiava più io stringevo. Non volevo mollare la presa, volevo fargli male ma non ho osato prenderlo a pugni in faccia e così ho atteso sino a che le maestre ci hanno diviso. Andrea mi disse la maestra tirandomi forte l'orecchio, da quando ti azzuffi in questo modo?, hai già imparato da questi disperati? soggiunse, indicando il mio rivale che mi guardava con occhi truci. Questa me la paghi, bastardo minacciò Simone, sottovoce per non farsi udire dall'insegnante e non appena quest'ultima distolse gli occhi da noi due per rispondere al richiamo di una collega, vedrai quando torna Massimo mi sussurrò.

    Vissi malissimo i giorni che mi separavano dal sicuro scontro con Massimo. Non parlai con i miei genitori dell'angoscia di quei momenti, anche se mia madre, allarmata dai miei silenzi, mi chiedeva spesso se avessi qualche preoccupazione, no mamma va tutto bene rispondevo ogni volta. Non volevo coinvolgerli in una storia tra bambini, non volevo dare, soprattutto a mio padre, l'impressione di essere un codardo.

    Finalmente, nonostante la paura, l'indomani mattina avrei affrontato quello che era stato il mio incubo per almeno dieci giorni. Arrivai a scuola prima dell'orda barbarica ed entrai immediatamente in classe, - almeno -, pensavo, - qualche adulto interverrà per dividerci -. Sentii le voci dei Guarnieri ed il rumore delle biciclette, buttate a terra l'una sopra l'altra, che di lì a poco, Filippo, sarebbe andato a raccogliere. Il cuore cominciò a battermi all'impazzata, mi sedetti al mio posto ed attesi. Arrivò la maestra Liliana e tirai un sospiro di sollievo, - almeno sino all'intervallo non succederà nulla - pensai. All'improvviso, mentre la lezione era già cominciata, entrò Massimo che, con uno sguardo che non prometteva nulla di buono, prese posto accanto a me. Lo salutai senza guardarlo in faccia ciao Massimo, non mi rispose e cominciò ad armeggiare con una penna ed un foglio tutto stropicciato. Ad un certo punto mi passò il foglio sul quale aveva scritto, in un italiano sgrammaticato, < fuori ti spaco il kulo a te >; mi venne il singhiozzo e quasi mi mancò il respiro, ricacciai le lacrime e mi imposi di fare il duro.

    La campanella suonò ed io rimasi seduto al mio posto, Massimo se ne accorse e mi disse che fai coniglio, non vorrai mica restartene lì per tutto l'anno?, ti aspetto fuori. Gli altri amichetti mi invitarono ad

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