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Giacomo e me
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Giacomo e me

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Esiste la vita dopo la morte?

Io ne sono certa.

Sono una sensitiva e da molti anni vengo contattata dalle anime dei defunti allo scopo di sostenere moralmente persone a loro vicine semplicemente “traducendo” le loro emanazioni che mi giungono sotto varie forme e mi guidano in questa coinvolgente ed eterea comunicazione.

In questo piccolo volume ho cercato di descrivere le grandi e travolgenti emozioni provate durante una straordinaria esperienza vissuta nel 2009 quando, Giacomo, un bimbo trapassato di soli tre anni, mi scelse volendo confortare sua madre profondamente addolorata per la sua prematura perdita.

Oltre a qualche pagina autobiografica per far comprendere a chi legge come ho sviluppato negli anni la mia sensitività, il racconto passa da episodi sorprendenti, che non possono essere ridotti a banali coincidenze ad altri in cui è difficile non commuoversi per la tenerezza ed i modi con cui l’anima di Giacomo comunica esprimendo tutta la sua natura infantile.

Se il lettore riuscirà ad abbassare le naturali difese raziocinanti che l’uomo riserva a certi argomenti considerati tabù, potrà scorgere dietro questa storia vera, un grande progetto divino, un abbraccio caloroso che accende la fiamma del cuore e spegne l’ansia della solitudine che ognuno di noi prova quando incontra la morte.

La divulgazione di questo racconto ha scopo di donazione e non di lucro .
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateJul 24, 2014
ISBN9788891150622
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    Giacomo e me - Roberta Petrignani

    Roberta

    Oltre il muro

    Sono sempre stata una persona molto sensibile e particolare. La mia fervida immaginazione, mi faceva vivere con grande emozione i semplici giochi che da bambina mi inventavo nei momenti di ricreazione, mentre mi terrorizzava quando vedevo come reali, dei mostri che minacciavano di mordermi i piedi sotto le lenzuola.

    Durante la mia infanzia, trascorrevo molte ore all’interno di una tenda da campeggio blu e arancione, montata in modo un po’ bizzarro in un angolo del mio giardino e nella quale, al riparo da occhi adulti, i miei sogni prendevano forma. Alcuni appartenevano alle mie paure e per combatterli tessevo, tra i fili di nylon su cui mia madre tendeva i panni, tele di ragno gigante con le stelle filanti, sicura che i mostri che mi ossessionavano prima o poi sarebbero caduti in trappola e lì, avrebbero trovato la loro fine. Altri invece erano magia pura e mi vedevano capace di parlare con piante ed animali.

    Vivevo in una famiglia unita con una sorella più grande e dei genitori che mi adoravano ma sempre molto impegnati con il loro lavoro. La monotonia dei pomeriggi, che spesso trascorrevo sola con i nonni, non poteva che alimentare questo mio desiderio di fantasticare ed in certe giornate di pioggia, pur rimanendo immobile sul mio letto, mi sentivo trasportare in mondi sconosciuti dove non esisteva solitudine o tristezza.

    I miei genitori, sono sempre stati iperprotettivi e non mi consentivano di allontanarmi da casa temendo che i giochi scalmanati dei ragazzini del quartiere potessero farmi cadere o peggio ancora, mi attirassero pericolosamente sulla strada principale dove passavano molte auto.

    Tra casa mia ed i giardini del vicino condominio, c’era un muro di cinta alto circa tre metri che mi impediva di vedere oltre, ma non di udire le urla divertite dei bimbi che giocavano fra loro. Spesso, per sentirmi meno sola, mi sedevo sui gradini che dalla cucina portavano al mio piccolo piazzale, cercando di visualizzare mentalmente cosa stesse accadendo oltre quel muro.

    Questo costante esercizio d’immaginazione con cui tentavo di evadere dal mio isolamento, forse mise a dura prova la mia giovane psiche, tant’è che un pomeriggio d’autunno, all’età di dodici anni, ebbi una scioccante visione di me stessa fuori dal corpo.

    Non ero assorta in uno dei miei soliti viaggi fantastici, ma cosciente di essere in poltrona. Mi vidi seduta, prima più lontana e poi più vicina, fino a ritornare in me. Ricordo che ad un certo punto sentii battere forte il cuore ed il rumore affannoso del mio respiro divenne insopportabile.

    Mi alzai impaurita e guardandomi allo specchio non mi riconobbi. Non riuscivo a capire chi fosse la persona che vedevo riflessa. Mi sentivo estranea al mio corpo e mi tormentavo non sapendo dare una risposta allo scopo della mia esistenza.

    Nella testa si affollarono mille domande ed entrai in un tunnel mentale, dove i pensieri rimbalzavano e si moltiplicavano come in una reazione a catena , scavando nel profondo del perché dei miei gesti.

    Le mani, le gambe… le guardavo come se le vedessi per la prima volta. Era come se vivessi solo nella mia mente ed il corpo non mi appartenesse. Terrorizzata mi precipitai in cucina da mia madre urlando Mamma mamma, non so chi sono! per poi svenire tra le sue braccia.

    Mi furono fatti accertamenti vari e dopo una lunga chiacchierata , uno psichiatra, concluse che si trattava di un periodo critico che precedeva il mio sviluppo. In pratica, secondo il suo sapere, quella era una forma atipica di passaggio dall’infanzia alla pubertà, alla quale non avrei dovuto dare molta importanza. Si raccomandò che, qualora questi disturbi si fossero ripresentati, avrei dovuto impegnare la mente in altre attività distogliendola da tali emozioni. Sicuramente disse la musica o la televisione potrebbero aiutarti. Appena ti senti un po’ , accendi la TV oppure vai a giocare e vedrai che tutto passerà in fretta ".

    Il dialogo avuto con lo psichiatra sollevò il morale di mia madre, che vidi molto

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