Le ricette di mio padre - Volume 1
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Le ricette di mio padre - Volume 1 - ROBERT MARCHESE
1. Aperitivi
Mio padre si compiaceva di preparare questi aperitivi de la maison
.
1.1 Numero 1
Occorre un frullato di lamponi passati al setaccio con un poco di vino bianco e dolcificati con sciroppo di zucchero e miele.
Si passi sul bordo di un flut uno spicchio di limone e si intinga nello zucchero per fare un orlo bianco. Si ponga nel bicchiere una mezza fettina di arancia, 1/3 di succo di lampone e si completa con brut di Codevilla.
1.2 Numero 2
Uguale al precedente ma sostituendo al lampone il ribes rosso e Creme di Cassis (sciroppo di ribes francese).
Si decora con grappolini di ribes.
1.3 Numero 3 Blody Mary
Si prendano alcuni pomodori molto maturi (quelli a pera San Marzano o pomodorini di Pachino) si frullino fino ad ottenere un succo fluido si versa in un bicchiere tipo ballon o flut, si aggiunge una goccia di salsa Worcester, 3 gocce di limone un pizzico di semi di sedano selvatico (Apium graveolens). Se gradito uno spruzzo di wodka.
1.4 Numero 4 Bellini
Preparare un frullato di pesche bianche di Volpedo, sbucciate e denocciolate, aggiungere 1 cucchiaio per ogni bicchiere di sciroppo di lamponi del Numero 1, fare il bordo di zucchero in un flut, versarvi 1/3 di frullato e completare con moscato o malvasia frizzante ghiacciata.
2. Antipasti:
Gli antipasti in Oltre Po sono rappresentati soprattutto dal salame crudo tipico di Varzi, prodotto a Varzi, Cecima e Valverde, affettato a mano, tagliato spesso, qualcuno dice che la fetta deve restare in piedi. Il salame crudo è pure prodotto in Val Curone ed in particolare a Brignano Frascata.
Gli antipasti sono completati da verdure grigliate, fungletti e carciofini sottolio o sottaceti vari.
Si possono servire anche formaggi, mozzarelline, pesciolini in carpione, terrine di fagiano, lepre o coniglio,
2.1 Salumi ed affettati
E’ probabile che l’addomesticamento del maiale sia avvenuto in Cina circa 6.000 anni fa e che dalla Cina si sia poi diffuso negli altri paesi asiatici ed in Europa.
Fatta eccezione per alcune popolazioni che lo ritengono animale immondo e fatte alcune considerazione igieniche legate alla possibilità di trasmissione della Tenia, l’allevamento del suino rivestì notevole peso economico sia per i Greci (lo testimoniano chiaramente già l’Iliade, l’Odissea e varie riproduzioni artistiche) sia soprattutto per i Romani, che lo consideravano uno degli animali domestici di maggior pregio.
L’allevamento del suino prosperava dove vi era abbondanza di ghiande, raccolte nei querceti o pascolate direttamente sul luogo. Tutta la pianura padana era coperta di querceti di roverelle. Le ghiande sono ricche di amidi ma contengono sostanze amare che non le rendono idonee al consumo umano¹, a differenza delle castagne. Pertanto l’alimentazione del suino consentiva di valorizzare questa risorsa praticamente gratuita.
Marco Terenzio Varrone (114 - 27 a. C. nel De re rustica, afferma che i prosciutti importati a Roma erano prodotti dai Galli, abitanti in quell’epoca nell’Oltre Po.
I Longobardi, calati in Italia nel 569 d.C, erano consumatori di carne suina, diedero perciò notevole impulso all’allevamento dei maiali. Documenti antichi rivelano concessioni di ghiandatico e pascolo dei porci a Soragna, Busseto, Zibello e Bobbio.
La macellazione del maiale era un grande avvenimento che culminava in un grande pranzo: la maialata
La stagione della macellazione cominciava a partire dal giorno di S. Caterina (25 novembre) e terminava verso la fine di febbraio. Non si uccideva mai il 17 gennaio, giorno di S. Antonio, perché è il protettore degli animali domestici (Sant'Antoni dal gugnén).
Il maiale poteva arrivare e superare i 3 quintali. Erano sgozzati e il sangue era subito raccolto in una grossa zuppiera con pangrattato e la massaia lo usava per far la cosiddetta torta
unendo al sangue pane grattugiato o farina bianca e cipolle.
Si poteva fare il sanguinaccio, mettendo insieme al sangue raccolto un po’ di farina anche chiodi di garofano, uva passa, pinoli poi insaccato e cotto. È fatto stufare in umido con polenta, è una specialità dell’alessandrino chiamati brodi
.
Quando il maiale era morto, si pelava con acqua calda e raschiandolo con un coltello, si squartava, si toglieva tutto il tubo digerente da cima a fondo, senza romperlo, per evitare di imbrattare le carni, era messa da parte la vescica, il fegato e il cuore, la cosiddetta frittura. L’intestino era suddiviso, nei suoi tratti più importanti: lo stomaco, il piccolo intestino e l’intestino crasso. Tutto era pulito con la massima accuratezza, raspati e lavati con aceto e vino. Le budella erano quindi divise, separando quelle che servivano per i salami da quelle che si adoperavano per i cotechini, alcune budella erano cucite per dare la giusta dimensione, ed era compito delle donne di casa. Oggi la maggior parte dei salumi è confezionata con appositi budelli di cellulosa anche a scapito di una tipicità ormai perduta. Si selezionavano accuratamente le carni e si metteva da parte il grasso, il lardo, la pancetta, il guanciale, la testa, il muso, gli zampetti, nulla va buttato.
Dal quarto posteriore si ricavano il prosciutto crudo o il culatello e il fiocchetto, da quella anteriore la spalla e la coppa. Dal lombo si ricavano le braciole. Il cappello da prete (al prét), per il quale si usa la carne della parte alta dell’arto anteriore, disossata, ma non macinata, richiusa nella sua cotenna (la cudga) e cucita nella caratteristica forma a triangolo.
Per confezionare lo zampone si usa la cotenna della parte più bassa dell’arto anteriore, svuotato lasciando solo gli unghielli.
Le carni, condite con sale, aromi (soprattutto pepe) aglio e vino, sono imbudellate in salami, erano legati ed appesi ad asciugare al calore di una stufa. Poi un’oculata maturazione in ambienti adatti faceva nascere il capolavoro.
Mio padre mi raccontava che ai ragazzi era vietato assistere all’uccisione del maiale perché considerato uno spettacolo violento e per non avere imbrogli fra i piedi in un momento di grande agitazione generale.
A porco morto erano lasciati avvicinare e in regalo era dato il codino. Il codino era la coda del maiale che una volta rasato era reciso e buttato sulla stufa rovente dove abbrustoliva e poteva essere preso e mangiato con grande soddisfazione dai ragazzi.
Nella cucina dell’antica Roma si citano le vulve
di scrofa arrostite e servite come un raffinato manicaretto.
Oltre agli zamponi, si fanno anche i salami da cuocere grossi e speziati, i cotechini, anch’essi da cuocere e mangiare caldi, magari con purea di patate o lenticchie in umido, infine gli zampetti da cuocere a lungo e mangiare con senape o bagnetti, oppure farne nervetti, freddi da mangiare conditi in insalata con sottaceti e peperoni.
Dal grasso rimanente (sugna), fatto fondere a fuoco lento senza friggere, si otteneva lo strutto. Restavano i ciccioli biondi o gratòn, si asciugavano dal grasso e potevano essere mangiati tal quale o usati per condire focacce. Lo strutto era versato in lattine, fatto raffreddare e al momento dell’uso era sbattuto fino ad ottenere una crema bianca che poteva essere messo in budelli o in una vescica.
Il peritoneo del maiale è infiltrato di grasso e fornisce la cosiddetta rete, una membrana con filamenti a rete di grasso molto utile per avvolgere polpette e involtini.
Le setole erano date ai calzolai, che se ne servivano per far la punta allo spago che adoperavano per la cucitura delle tomaie alle suole. Con le setole si facevano anche i pennelli per i pittori.
Con la lingua si poteva fare anche un tipo di salame: si puliva bene, si ricopriva di rifilature
delle coste e si arrotolava con cura, facendole assumere la forma di salame. La testa era una parte apprezzata per fare i cotechini o la testa in cassetta, detta anche sopressata, inoltre forniva il guanciale che si può stagionare come il lardo, le orecchie e il muso da mangiare a capo d’anno perché ammucchia.
Il lardo era pure una grande risorsa ed era la base per diverse preparazioni e condimenti. Era conservato in cantina coperto di sale.
Anche i polmoni erano utilizzati: tagliati fini erano cotti insieme al riso (ris e curadela). Ottima anche la frittura composta da cuore e fegato, da fare in umido con la polenta. Anche con la pasta da salame si preparavano alcuni piatti da mangiare al momento. Risotto con pasta di salame, tagliolini con sugo fatto dalla pasta fresca del salame. Col fegato si fa anche un insaccato noto in Lomellina per fare la Panissa e nel milanese chiamata Fedeghina.
Perché il salame sia pronto per il consumo, devono passare almeno 15 - 20 giorni (salam giuin) col quale si può fare anche il risotto. La pancetta, di solito, è pronta a primavera, all’epoca del pisello (ottimo l’umido di piselli con la pancetta), ma è squisita se si riesce a portarla a Natale, a maggio si mangiano i fiocchetti, a giugno le coppe (usava darla di merenda ai mietitori), poi seguono le spalle e, ultimi a maturare, i culatelli, che vanno tagliati almeno dopo 12 - 14 mesi.
Per sapere se un salume è pronto da affettare (madùr), si usa un ago d’osso d’asina tolto da una delle gambe posteriori dell’animale e poi lisciato con la carta vetrata. L’osso d’asina è poroso ed è l’unico mezzo che, spinto alla profondità di due o tre centimetri nel corpo del salume, consente, annusandolo quando è estratto, di valutarne il profumo, la qualità e il grado di salagione e di maturazione.
2.1.1 Gli affettati
Normalmente al centro della tavola, all’inizio del banchetto, c’era sempre un grande piatto rivestito di fette di salame e al centro una montagnola di riccioli di burro.
Il piatto di affrettati si è poi arricchito con coppa tagliata sottilmente, pancetta, salame cotto, prosciutto cotto e crudo.
Il prosciutto crudo e il culatello, pur non facendo parte della tradizione locale, è ugualmente utilizzato per preparare grandi piatti di affettati.
2.1.1.1 Il salame
Quando si parla di salame, s’intende normalmente il salame crudo e cioè l’insaccato ottenuto daltaglio della carne di suino, eventualmente di suino e bovino, (vacca salamera) insaccato nel suo stesso intestino e posto a stagionare in idonei locali.
Il salame moderno industriale è insaccato in budelli sintetici, a base di cellulosa è poi stagionato in celle termostatiche stratificato con farina fossile che conferisce quell’aspetto infarinato caratteristico. Il vero salame dev’essere confezionato in budelli naturali di suino che assicurano un’evoluzione microbiologica perfetta della carne conferendo le caratteristiche proprietà organolettiche.
Un altro segreto per la fabbricazione di un buon salame crudo è l’uso di carne di animale adulto o maturo, con carni sode, il taglio della carne e fatto possibilmente a coltello senza l’uso di tritacarne, un idoneo dosaggio fra carne e grassi evitando il lardo, e la giusta dose di sale e spezie (primeggia il pepe nero in grani) cui va aggiunto poi aglio pestato col vino rosso.
Dopo il confezionamento e l’asciugatura, i salami sono appesi in ambienti freddi ed asciutti, ben ventilati. Sono poi trasferiti in cantina a temperatura fresca e sufficientemente umida. Periodicamente sono spazzolati per togliere l’eccesso di muffa, la spazzola è umida di aceto e vino, segue un’accurata asciugatura con un canovaccio.
2.1.1.2 Il cucito
Il salame crudo per eccellenza si chiama cucito proprio perché insaccato in un budello di suino che per essere ridotto alle dimensioni idonee è stato tagliato e cucito da mani esperte, fino a dargli una forma regolare.
Il cucito normalmente è di pezzatura grossa ed è consumato dopo due o più mesi di stagionatura. Il salame di budello gentile (budè cùlà) era un salame di grandi dimensioni, insaccato nel budello proveniente dal retto del suino. Il budello è spesso e garantisce una buona tenuta, la stagionatura può giungere fino al Natale dell’anno successivo.
2.1.1.3 Il salame cotto
Si chiama salame cotto un insaccato che dopo il suo confezionamento, disolito in un budello più grande, viene cotto in acqua salata, fatto raffreddare, e consumato tagliandolo a fettine sottili.
In alcune zone è confezionato in taglie più piccole, simili ai cotechini, e consumato caldo o freddo.
2.1.1.4 La mariola
La mariola, è un salume tipico della Bassa Parmense, che prende il nome dal budello nel quale è insaccato.
È prodotto solamente nei comuni rivieraschi del Po (quelli del Culatello), ed è composto da una miscela di carni magre come stinco e spalla, ed una piccola quantità di cotenna tenera tritata finemente.
Sono due i tipi di mariola che normalmente si realizzano nel parmense: una da mangiare cruda, dopo una lunga stagionatura, e l’altra da cuocere.
La prima, di difficilissima realizzazione senza additivi chimici perché tende a rinsecchirsi è molto rara e quindi molto apprezzata.
La seconda, da cuocere, è più simile ad un salame cotto che a un cotechino al quale erroneamente può essere paragonata. E’ da servirsi preferibilmente calda.
Tradizionalmente, nella bassa, è servita con un buon purè di patate, oppure con la tipica mostarda di sole mele, viene anche servita con uno zabaglione fatto con tuorli d’uovo, poco zucchero, vino bianco, sale e aceto, si ottiene n agrodolce moto apprezzato con questo salame.
2.1.1.5 Il cacciatorino
Come dice già la parola, questo insaccato è idoneo ad essere trasportato nella tasca del cacciatore, il quale lo può consumare con un pezzo di pane in qualsiasi momento. Non si affetta ma si spela e si morsica.
È insaccato in budelli piccoli ed ha una stagionatura molto breve.
Rappresenta il salame preferito per fare una merenda con micca fresca e Bonarda.
2.1.1.6 Il cotechino
In questo insaccato trovano posto le cotiche del suino, per questo motivo il salame deve essere cotto e consumato caldo in modo che le cotiche conservino la loro morbidezza acquisita con la cultura.
Piatto tipico di Capodanno, assieme allo zampone, con le lenticchie.
Le lenticchie portano soldi, dato la loro forma che ricorda quella delle monete.
2.1.1.6.1 Cotechino e lenticchie
Ingredienti:
ℵ 1 cotechino
ℵ 300 gr di lenticchie ammollate in acqua
ℵ ½ hg di burro
ℵ 1 cucchiaio di strutto
ℵ 1 scalogno tritato
ℵ 1 tazza di brodo
ℵ vino bianco
ℵ 1 foglia di alloro
ℵ sale e pepe
ℵ 1 cucchiaino di concentrato di pomodoro
Esecuzione:
Si fa cuocere il cotechino ponendolo in acqua fredda e facendola bollire lentamente per circa due ore, secondo la grandezza. Consiglio di avvolgerlo in cartaforno e legarlo con spago da cucina per evitare che si roma, è consigliabile snche pungerlo ripetutamente con un ago sottile per far fuoruscire l'aria o il vapore.
La sera prima saranno messe a mollo le lenticchie in acqua tiepida salata.
In un tegame si mette una noce di burro, lo strutto, lo scalogno tritato e si lascia soffriggere brevemente, si sfuma col vino bianco, si gettano le lenticchie, la foglia d’alloro e il concentrato di pomodoro, si lascia insaporire per alcuni minuti, si aggiunge il brodo e si copre lasciando stufare fino a cottura, aggiungendo un po’ di brodo se necessario.
Alla fine si pone sopra il cotechino intero o a fette spesse affinché sia ben riscaldato.
S’impiatta in piatti caldi, ponendo due cucchiaiate di lenticchie, le fette di cotechino sopra, i buongustai pongono sul cotechino una lacrima di olio ex d’oliva.
2.1.1.7 La pancetta
La pancetta è confezionata con il ventre dell’animale è un taglio piuttosto grasso e è salato abbondantemente conl’aggiunta di spezie, in particolare pepe, è poi stagionata distesa oppure arrotolata o piegata e qualche volta steccata fra due pezzi di legno in modo da scacciare l’aria che potrebbe esservi imprigionata.
Prima di legarla è fatta insaporire in una vasca contenente sale grosso e una miscela di erbe aromatiche in particolare pepe nero, alloro e rosmarino.
2.1.1.8 La coppa
La coppa, chiamata in qualche zona capocollo o lonza, è ricavata dai muscoli interi del collo di suini particolarmente grossi e maturi. La sua componente grassa e magra e le spezie in cui è messa a marinare col sale prima della stagionatura, le conferiscono un aroma delicato e caratteristico.
Da noi è particolarmente apprezzata la coppa piacentina e quella di Rovescala, stagionata anche sei mesi dopo che è stata avvolta nel diaframma dell’animale, legata e posta in locali idonei e ben arieggiati. Prima di essere servita è