Nulla è come sembra!
By Donatella Falino and Andrea Baretto
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Nulla è come sembra! - Donatella Falino
Ringraziamenti
1. Il sogno
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Luca raccoglie un rametto da terra, lo avvicina alla bocca, e inizia a fare la telecronaca della partita, come accadeva ogni volta che i ragazzini di via Dante si ritrovavano per dare vita ad entusiasmanti sfide a pallone.
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Ma perché proprio a me, dannazione! Pensò tra sé e sé il bambino.
L’ultima cosa che avrebbe voluto fare era quella di avvicinarsi alla casa di quell’uomo così strano e solitario.
Dopo essersi alzato in punta di piedi per riuscire a suonare il campanello, decise, non avendo ricevuto alcuna risposta, di scavalcare la recinzione della casa. In fondo non gli sarebbe potuto accadere nulla di grave. Avrebbe solo ripreso la sua palla e tanti saluti!
Non appena i suoi piedi sfiorarono i ciuffetti d’erba, ancora bagnati da uno dei tanti temporali estivi che si abbattevano frequentemente su Mondovino, un tipico paesino collinare, sentì un buonissimo profumo provenire da un ricchissimo insieme di fiori di ogni tipo. I suoi occhi furono rapiti dai loro colori vivacissimi. In particolare, attirarono la sua attenzione, le rose rosse e bianche, tanto belle da portarlo quasi a raccoglierne una, ma un rumore lo riportò alla realtà e al suo reale obiettivo.
Non c’era niente da fare, Quattrocchi era un sognatore nato e la visione successiva dei nanetti da giardino lo riportò indietro nel tempo, a quando sua madre gli raccontava la favola di Biancaneve. Oh, quanto l’adorava! Tutte quelle meraviglie però l’avevano distratto dal ritrovare il pallone.
Voltandosi lo vide, ma il giardino incantato
non c’era più. Era finito vicino a un pozzo circondato da un piano di cemento. Quello che gli si presentò davanti agli occhi lo lasciò perplesso.
Dov’erano finiti i fiori e quelle belle sensazioni che lo avevano rapito fino a qualche istante prima? Davanti a lui, c’erano solo erba alta e alcuni vecchi attrezzi da lavoro arrugginiti.
Non si fece distrarre da quell’atmosfera così diversa rispetto alla precedente, puntò il pallone, desideroso di lasciare al più presto quel posto così ambiguo.
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<<… e io ho preso te!>>
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Un piccolo rumore metallico si inserì in quell’atmosfera di paura.
DRING, DRING, DRING…
Il maresciallo Massimo Fedele era un uomo alto, rasato con gli occhi color ghiaccio e un fisico muscoloso e scolpito.
Quella mattina si svegliò tutto sudato. Non era la prima volta che si ritrovava così provato, dopo aver fatto quel tipo di sogno al quale non era ancora riuscito a dare un significato.
Allungò il braccio per arrivare a spegnere il buzzer della sveglia che stava suonando fastidiosamente, ormai da un po’ di secondi.
Quel mattino al suo fianco c’era Alessia, la ragazza che frequentava da qualche mese. Era di bassa statura e portava un caschetto con la frangia. I suoi grandi occhi marroni riprendevano il colore dei suoi capelli.
Non si poteva dire che Massimo fosse il ragazzo perfetto, in grado di far sentire la sua donna l’unica. Le sue relazioni passate erano durate in media qualche mese.
Non sapeva il perché, ma le storie serie, quelle romantiche che fanno sognare, non facevano per lui.
Adesso c’era lei, sarebbe stato diverso?
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Alessia non ebbe neppure il tempo di rispondere. Avrebbe desiderato almeno un bacio per iniziare bene la giornata, ma Massimo era così.
Lo aveva conosciuto già con quell’atteggiamento poco attento e premuroso nei suoi confronti. A volte ci rimaneva male, e per questo motivo litigavano spesso. Lei era una ragazza matura, sicuramente più di lui e molto innamorata. Aveva accettato i suoi difetti e in cuor suo sperava che la loro storia potesse durare il più a lungo possibile.
2. L'arrivo di Michele
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Michele era un ragazzo di venticinque anni, alto e di bell’aspetto, dai tratti meridionali. Aveva gli occhi scuri, profondi e penetranti.
Quella mattina sembrava agitato. Continuava a provare, ad alta voce, un’ipotetica presentazione guardandosi in continuazione nello specchietto retrovisore della sua utilitaria.
All’interno della sua auto, con accento romano, si poteva ascoltare la voce del navigatore che gli indicava la strada da percorrere.
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Quel dialetto gli piaceva molto. Si divertiva parecchio a sentire parlare i romani, come in quei film italiani dove recitavano attori della capitale come Christian De Sica.
Continuava a guardare nervosamente il suo orologio blu delle Frecce Tricolori, leggero, con la cassa principalmente in carbonio, ghiera girevole e naturalmente impermeabile. Impazziva per quella marca. In quel momento stava segnando le ore sei e cinquanta.
Non appena parcheggiò la sua auto vide che era in netto anticipo e iniziò a tranquillizzarsi.
Ripose il navigatore satellitare nel cassetto del cruscotto, controllò per quanto fosse possibile, attraverso uno specchietto del veicolo, se la divisa fosse in ordine. Si diede un’ ultima sistemata e scese.
Si passò nervosamente la chiave da una mano all’altra un paio di volte prima di premere il pulsante del telecomando per chiudere la