Storie del Turuqad, oltre l'immenso Mare di Bah
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E, visto che non c'eri, dai almeno un'occhiata qui: www.turuqad.net.
Poi torna che ne riparliamo.
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Storie del Turuqad, oltre l'immenso Mare di Bah - Gianmario Merizzi
Storie del Turuqad,
oltre l'immenso Mare di Bah
già scritte nel perduto Libro di Ptenf-ptuk Ciù
e in barba ad ogni ragionevole supposizione
restituite al mondo da
Gianmario Merizzi
(detto ehi scusi
da chi non lo conosce per nome)
testi e immagini © Gianmario Merizzi, 2013
gianmerizzi@gmail.com
1. edizione digitale; vers. 1.3
(ultima revisione: 18.3.2013)
Questo ebook è pubblicato dall'autore con l'aiuto dei servizi forniti da Narcissus Self Publishing, formalmente identificato come editore dal numero standard internazionale (ISBN) associato al volume per esigenze di distribuzione.
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Sommario
frontespizio
colophon
ringraziamenti e dedica
mappa del Turuqad al tempo di Fùfon IV
prima della storia ...
incipit
Ausur dai capelli d'ambra
Il ladro di giocattoli in disordine
Il falco azzurro
Le due isole
Foglia e foglio
parte prima
intermezzo
parte seconda
La scommessa di Fùfon IV
Awè di Turembarg
Piccola appendice didattica
Postfazione per un pubblico di soli adulti
Benedetta, Chiara, Frieda, Sidonia, Stefano:
senza il vostro aiuto
questo libro avrebbe potuto esistere lo stesso,
chiuso dentro un cassetto
Grazie davvero!
per la Toldy
è tutta un'altra storia.
Ciao tesoro
Prima della storia c'è un papà perso nella notte, nel letto, accanto a una bambina che dovrebbe prendere sonno e basterebbe che ne prendesse un po' del suo … così il papà scivola spesso oltre la soglia dei sogni … le storie prendono forma in quel tempo lontano, dei papà, delle figlie, dei sonni tremendi …
Tanto tempo dopo c'è un papà un po' più sveglio che però è un po' meno papà, ha perso un po' di giovinezza. E allora ricorda, con fatica. Le storie escono dal loro letargo polveroso. Sono così poche, sono così magre. Il papà (che è il loro papà) le rifocilla di parole che forse non sono le loro.
Le storie prendono corpo, adesso, in un luogo lontano. Viaggiano in groppa ad un cammello e quando arrivano sono un po' diverse, sembrano un po' sorellastre. L'ultima potrebbe prendere in braccio la prima e magari raccontarle una storia. Stanno lì in fila, in ordine di altezza, sono un rito di passaggio, sono una bambina che diventa una donna col cuore da bambina. Sono un girotondo.
Là in fondo, una montagna.
(incipit)
A Doluan, nel Turuqad, oltre l'immenso Mare di Bah, nacque una bambina con una voglia a forma di rosa. Ma questo non è l'inizio della nostra storia, e di certo non ne è nemmeno la fine. Perché parlarvene allora? Perbacco: perché è comunque un fatto degno di nota, perché così facendo, in men che non si dica, vi ho condotto nel luogo in cui si svolgono le storie che state per leggere, e perché io sono l'autore e faccio quello che mi pare.
Cioè, ecco ... non esattamente l'autore. In effetti potrei anche fare finta di esserlo, chi mai potrebbe sostenere il contrario? Ma voglio essere franco con voi, purché voi lo siate con me e continuiate a leggere anche se dovesse venirvi il fastidioso dubbio che siano tutte corbellerie. Promesso? D'accordo. Allora ecco come stanno le cose.
Le storie che state per leggere (avete promesso eh?!) vennero scritte nel Libro di Ptenf-ptuk Ciù o Pfenc-ctup Fù, a seconda dei casi. Quel libro venne poi rubato, ma il ladro, fuggito nel deserto di Oluhei per poter leggere in pace, immerso nella lettura dimenticò di bere e morì di tale distrazione. Sepolto da innumerevoli tempeste di sabbia, il libro fu accidentalmente ritrovato da un cammello alla deriva che, ormai senza gobbe e allo stremo delle forze, non trovò di meglio che cibarsi del papiro rinsecchito di quelle pagine. Il volume fu interamente digerito ma (così mi fu solennemente giurato sull'onore di Bentolin il Putibonzolo) il cammello, per somma virtù di quel libro, non solo sopravvisse al digiuno ma acquistò prodigiosamente la parola e, giunto sulla piazza del mercato di Akkaì, cominciò senza indugio a narrare storie strabilianti che si ritiene fossero contenute nel prelibato volume. Agalub d’Agaluban, scriba e primo moccoliere del principe Fastarnud, molte ne trascrisse in un suo taccuino che poi ... ma questo lo racconterò un’altra volta. Ora è tempo che vi parli di Ausur, dai capelli d'ambra.
Ausur dai capelli d'ambra
Nel regno di Turuqad, oltre l’immenso Mare di Bah, in un tempo ormai dimenticato viveva una principessina di nome Ausur, la cui storia, assieme a molte altre, venne scritta nel Libro di Ptenf-ptuk Ciù, eccetera eccetera. Questa storia ebbe inizio nel migliore dei modi: la piccola principessa era bellissima, il suo carattere dolce, i modi gentili e i suoi capelli finissimi e trasparenti come ambra purissima.
«Possa il sole rifulgere a lungo tre le tue chiome, o principessa dai capelli d’ambra» gridavano i sudditi devoti ogni qual volta la piccola si affacciava al balcone del palazzo reale.
Ma, come in tutte le favole che valga la pena di raccontare ed ascoltare, le cose non andarono a lungo per il verso giusto. Avvenne infatti che le continue lodi alla bellezza sua e dei suoi capelli da parte delle balie, dei cortigiani, dei dignitari e degli opportunisti, posero nel cuore di Ausur un seme maligno che con l’età germogliò e crebbe fino a inaridire la nobiltà dell’animo della fanciulla che divenne superba e quindi invidiosa, altezzosa e quindi prepotente, cattiva e quindi, nel profondo del suo cuore, infelice. Ma questo lei non l’avrebbe mai ammesso, e più la sua pena cresceva più la principessa si convinceva di poterla placare distribuendo altrettanta infelicità intorno a sé con continui sgarbi, maltrattamenti, ingiustizie e soprusi ai danni di coloro che le stavano vicino e le volevano bene. Col tempo questi furono sempre meno, e Ausur dovette assaggiare anche l’amaro frutto della solitudine.
Certo, la principessa era sempre circondata da servitori e cortigiani, ma nessuno di loro avrebbe desiderato starle accanto se non fosse stato per il bisogno di una paga, per il timore dell’ira dei sovrani o per la speranza di poterne prima o poi ricavare un vantaggio o un profitto. L’affetto che il re e la regina nutrivano per la figlia era ahimè cieco e troppo tardi essi si avvidero dell’oscuro fardello che ella portava nel cuore: così, come avevano soddisfatto i suoi bisogni di infante, essi concessero tutto ai suoi capricci di bambina e ai suoi vizi di ragazza, giungendo a maltrattare i sudditi che non ne tolleravano le angherie.
Quando Ausur raggiunse i nove anni si convinse che i suoi capelli erano troppo belli e preziosi per separarsene. Decise pertanto che non li avrebbe mai più tagliati, ed essi continuarono a crescere, per di più ad un ritmo sorprendente. Di lì a qualche anno erano cresciuti a tal punto che quando la principessa si levava dal letto e, scortata dalle sue damigelle, attraversava gli ampi saloni del palazzo, saliva le scale, percorreva i lunghi corridoi e finalmente si sedeva alla tavola imbandita per la colazione, la fine dei suoi capelli giaceva ancora sul cuscino! E guai se qualcuno, foss’anche un cavaliere o una dama, avesse inavvertitamente inciampato nel serpente dorato che si snodava per il castello: la principessa se ne sarebbe subito accorta e il malcapitato, a seconda del rango, avrebbe soggiornato nelle oscure segrete del castello o avrebbe assaggiato la frusta del boia.
Quando la principessa fu prossima al sedicesimo compleanno, il Re suo padre pensò che fosse giunto per lei il momento di trovare un marito ed iniziare una nuova vita che l’avrebbe distolta da quell’ostinato e malsano pensare a sé e alla propria bellezza. Mandò così un bando per il regno, invitando solennemente i principi e i nobili di maggior rango a concorrere per la mano della figlia. Questa non si oppose, pensando in segreto che avrebbe goduto profondamente nel fissare con disprezzo i pretendenti e nell’umiliarli, giudicandoli indegni di lei.
Ma quando la mattina del concorso, al suono delle trombe reali, Ausur si affacciò fiera e superba al balcone sovrastante il cortile del castello lo trovò deserto: nessuno aveva voluto partecipare, nemmeno la più decaduta casata aveva ritenuto di inviare l’ultimo dei suoi rampolli per sottoporlo alla compiaciuta crudeltà del suo giudizio.
Ausur andò su tutte le furie e servi e damigelle fuggirono o si nascosero temendo di cadere vittime della sua ira. Colma di indignazione la principessa convocò le guardie e ordinò che si organizzasse una carrozza trionfale con cui avrebbe percorso le strade del regno, costringendo ogni suddito a prostrarsi al suo passaggio e a rendere omaggio alla sua bellezza.
Ora, se già non l’avete immaginato, dovete sapere che Ausur incontrava qualche difficoltà nello spostarsi e nel viaggiare, e questo a causa dell’enorme lunghezza e del peso dei suoi capelli. Ma nella mente della fanciulla ciò che era il suo principale vanto non poteva certo costituire un problema e, se lo era, riguardava unicamente i suoi cortigiani cui ella concedeva l’onore di prendersi cura di quella parte del tesoro reale che cresceva rigoglioso sulla sua testa. Fu dunque allestita la carrozza reale parata a festa, al cui traino veniva un enorme carro da fieno su cui si raccolse la bionda messe dei capelli di Ausur, risplendenti nella luce del mattino. Al seguito fu posta l’intera guardia reale, e paggi e damigelle in abiti lussureggianti, e trombetti e banditori incaricati di annunciare a tutti l’avvicinarsi della carrozza. Si sarebbe detto il trionfante corteo della Regina di Primavera, ma nel cuore di molti cortigiani regnava invece un funebre sgomento e la premonizione che qualcosa di terribile sarebbe accaduto.
Avvenne dunque che, mentre il corteo transitava per un passo di montagna, costeggiando il limitare del bosco, un tetro fragore fece d’improvviso tremare la terra, e da una oscura caverna sprofondata nel cuore della montagna emerse un drago fiammeggiante. Erano decenni che i draghi abitavano ormai solo nei racconti dei vecchi e nelle fiabe dei bambini, e quell’apparizione in carne ed ossa (per tacer del fuoco) atterrì tutti, comprese le guardie che, più veloci degli altri, spronarono i cavalli e si diedero alla fuga. Nessuno pose ascolto agli strepiti e alle minacce della principessa: paggi, damigelle, cocchieri e trombetti, in men che non si dica, si dileguarono nel bosco. Ma Ausur non poteva fuggire: era incatenata all’enorme massa dei suoi capelli d’ambra, paralizzata dall’incredulità con cui aveva visto tutti quanti fuggire per mettere in salvo le loro ridicole vite piuttosto che preoccuparsi di salvare la loro principessa, la gemma
del regno, e i suoi capelli, ottava meraviglia del mondo! Maledetti, li avrebbe fatti impiccare ad uno ad uno o friggere nell’olio bollente.
E così, anche in quel frangente disperato, Ausur si ostinava a non capire la causa della sua sventura. Nella sua cieca presunzione arrivò persino ad