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Distruzione e conversione dei templi pagani
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Ebook258 pages2 hours

Distruzione e conversione dei templi pagani

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Storia del fenomeno della distruzione e conversione dei templi pagani dal IV secolo in poi nel territorio dell'impero romano e dei suoi retroscena culturali e sociali, quali la mentalità rivelataci dai racconti agiografici o la produzione legislativa mirata a regolamentare la situazione delle antiche religioni in un impero ormai cristiano.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateMar 25, 2015
ISBN9788891182494
Distruzione e conversione dei templi pagani

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    Distruzione e conversione dei templi pagani - Manuela Simeoni

    NOTE

    INTRODUZIONE

    Perché trattare della distruzione dei templi pagani e della loro conversione a chiese cristiane (o loro riutilizzo in chiese cristiane)? Perché l’attacco che il paganesimo nella tarda antichità ha subito ad opera del cristianesimo è ancora una questione controversa: da più parti si continua a discutere su ciò che può essere considerato sopravvivenza di elementi pagani nel mondo cristiano, se l’assorbimento dei primi nel secondo sia un’effettiva sopravvivenza o un mero formalismo opportunistico, se e come sia avvenuta una persecuzione dei pagani ad opera dei cristiani. C’è chi ritiene che vi sia una sopravvivenza del mondo pagano nell’acquisizione da parte del cristianesimo di alcuni elementi pagani, a mio parere invece puramente formali e perciò non classificabili come vere e proprie sopravvivenze. C’è chi giudica le singole persecuzioni eventi da imputare a fanatici isolati e chi vi vede una precisa volontà politico-religiosa. Così, anche per quanto riguarda la distruzione e gli attacchi ai templi, c’è chi li ritiene ‘vanterie’ inserite in testi celebrativi e agiografici, senza valore di testimonianza, e chi invece li considera, anche qualora si tratti di ‘vanterie’, comunque indice di una mentalità che mirava all’annientamento della religiosità antica.

    In quanto pagani, noi del progetto del Giorno Pagano Europeo della Memoria non possiamo che sposare quest’ultima visione dei fatti. Alla luce dei risultati ottenuti, poco importa che il tale tempio fosse effettivamente distrutto, poniamo, da Costantino: non è tanto il singolo atto, per quanto grave, che qui ci interessa, ma più ancora la volontà complessiva di distruzione del paganesimo[1] che si sviluppa dalla tarda antichità al Medioevo e che si esprime anche nella distruzione e riconversione dei templi in chiese cristiane. Sappiamo bene che non tutti i fatti sono credibili da un punto di vista storico, e che esistono già studi sull’argomento impostati dal punto di vista storico, ma anche la letteratura è a suo modo storia: ci interessano qui sia la storia di una mentalità, sia i fatti storici, cui presteremo molta attenzione senza per forza tentare di piegarli ad un’interpretazione, come altri studi prima di questo hanno fatto. Ma avremo modo di tornare più volte nel corso del testo su questi argomenti di metodo, affrontando le singole questioni.

    Dal punto di vista dell’idea, avremmo dovuto trattare della distruzione dei luoghi sacri in generale, certamente più ampia di quella operata nei confronti dei soli templi, ma la posizione e la struttura di quest’ultima tipologia di luogo sacro rendono più semplice la ricerca e l’analisi delle fonti. Purtroppo, il singolo albero sacro, la fonte o il recinto non lasciano tracce né nell’archeologia né, spesso, nella memoria, almeno non quante ne lascia un edificio monumentale abbattuto o lasciato andare in rovina. La stessa cosa vale per gli oggetti di culto, in particolare le statue e le immagini, fatte in materiali che potevano essere più o meno deperibili.

    A questo proposito, vi sono ancora alcuni studiosi che ritengono la tarda antichità un periodo di decadenza del paganesimo: secondo questi, i riti si sarebbero già svuotati del loro significato e molti templi sarebbero già stati abbandonati quando il cristianesimo è avanzato e se n’è appropriato. Ma se i templi (tutti i templi o la maggior parte come ritengono questi studiosi, non alcuni casi isolati, il cui abbandono è assolutamente plausibile) fossero già stati spontaneamente abbandonati, non si capirebbe tutto l’accanimento contro di essi da parte sia della letteratura celebrativa e agiografica, sia della legislazione imperiale. Per dirla con altre parole, inoltre:

    "Una religione che ci ha lasciato a livello di formulazione teorica e letteraria i Discorsi di Giuliano Augusto come Alla madre degli Dèi e A Helios re, i Saturnalia di Macrobio; una religione che vedeva Roma percorsa dalle grandiose processioni in onore di Iside e della Grande Madre fino al fiume Almone, dove il simulacro della dea era immerso nelle sue acque per la dovuta purificazione mentre i romani (anche quelli di fede cristiana: una circostanza troppo spesso dimenticata) avrebbero voluto celebrare ancora intorno al 500 la loro festa dei Lupercalia attirandosi così le invettive di papa Gelasio, molto difficilmente può ritenersi una religione in decadenza che appunto per questa sua decadenza – come generalmente si ritiene – sarebbe poi di conseguenza scomparsa. Basta invece, come abbiamo fatto, ripercorrere le costituzioni imperiali contenute nel Titolo XVI, 10 del Codice Teodosiano, per comprendere come il paganesimo romano sia scomparso in seguito ad una legislazione che lo rese a tutti gli effetti impraticabile."[2]

    L’approccio del singolo studioso influenza molto gli studi sulla transizione dal paganesimo al cristianesimo: l’assimilazione di elementi pagani nel cristianesimo, come la sostituzione di alcune feste e di alcuni culti, è spesso considerata una forma di sopravvivenza del paganesimo e così la conversione di un tempio viene considerata una transizione e non un’appropriazione, senza vedere invece lo snaturamento dell’originaria impostazione religiosa politeistica una volta collocata in un contesto monoteistico. Alcuni studiosi, come Helen Saradi-Mendelovici o Jitse H.F. Dijkstra[3], sottolineano nei loro lavori la poca drammaticità del passaggio dal luogo di culto pagano al luogo di culto cristiano, catalogando come eccezioni le distruzioni violente e dando rilevanza a quella che considerano una conservazione dello spazio cultuale, non importa di quale culto, all’interno del paesaggio urbano. Non credo però che i cristiani di oggi sarebbero felici per la conservazione dello spazio cultuale se alcune chiese, anche se diroccate, venissero trasformate in moschee!

    Ci sono delle difficoltà oggettive nel ricostruire la storia dei luoghi di culto pagani distrutti ed eventualmente sostituiti da luoghi di culto cristiani: tra queste dobbiamo contare anche un certo amore per le epoche antiche da parte degli archeologi direttori degli scavi. Almeno fino agli anni Settanta non si tenne conto di eventuali strati tardoantichi o medievali, considerati piuttosto un ostacolo alla scoperta dello splendore dell’edificio classico. Questi strati, e con essi eventuali tracce della distruzione dolosa o della cristianizzazione dell’area, sono stati spesso rimossi dandone nessuna o scarsa documentazione[4]. Questo si va ad aggiungere ad altre difficoltà esistenti nel decifrare correttamente sia le fonti archeologiche, che mostrano fatti senza darcene una ragione precisa (es. la distruzione di una statua, di cui non sempre si può distinguere l’origine dolosa o dovuta a cause naturali), sia quelle letterarie, che a seconda del contesto e delle intenzioni dell’autore possono ingigantire o sminuire i fatti reali.

    Nei confronti dei templi si notano da parte del cristianesimo, nel periodo che va dalla tarda antichità al Medioevo, due atteggiamenti distinti: il primo, prevalente fino al V secolo circa, è di distruzione e demonizzazione; il secondo, che prende piede all’incirca dal tardo V secolo, quando ormai il cristianesimo si è stabilmente affermato, è invece di riutilizzo, parziale o completo, delle strutture dei templi antichi. Si tratta ovviamente di una divisione di massima, poiché già Eusebio, nella Vita di Costantino, parla di templi riconvertiti in chiese cristiane (per quanto gli storici siano convinti che Eusebio esageri la portata delle gesta di Costantino, per farne un modello artificiale di comportamento dell’imperatore cristiano) e la demonizzazione dei luoghi sacri all’antico paganesimo permane anche nei secoli successivi al V. Questa semplificazione ci aiuta però nell’inquadramento degli avvenimenti storici, della legislazione e soprattutto delle opere letterarie, che sono per lo più agiografiche.

    Il presente lavoro è suddiviso in cinque capitoli, anche se la materia trattata è strettamente unitaria e le testimonianze spesso non sono classificabili in un’unica categoria. Nel primo capitolo cominciamo dalla distruzione e conversione dei templi attraverso le testimonianze soprattutto storiche e archeologiche: si tratteranno, in generale e per singole regioni, i casi di templi, statue e luoghi di culto pagani distrutti o convertiti nel corso della tarda antichità. In più ci porremo anche qualche questione generale, come il ruolo dei vescovi nelle opere di distruzione o le difficoltà nello stabilire se un tempio fu abbattuto per cause dolose o naturali. Il secondo capitolo è dedicato invece alla legislazione imperiale contro i culti pagani e contro i templi e alla famosa orazione di Libanio in difesa di questi ultimi; la legislazione non fu certo recepita in maniera uniforme in tutto l’impero, né applicata appena emanata, ma delinea un percorso ideale di cancellazione dei culti non cristiani e in quanto tale va esaminata. Il riferimento principale è il capitolo XVI.10 del Codice Teodosiano, una raccolta di leggi del V secolo. Il capitolo terzo approfondisce la questione della conversione dei templi dal punto di vista architettonico: secondo quali criteri un tempio poteva essere scelto per la conversione? In che modo veniva adattato alle differenti esigenze del nuovo culto? Nel quarto capitolo consideriamo invece alcune delle più note vite dei santi della tarda antichità, famosi per aver distrutto o sconsacrato templi e luoghi di culto: in queste vicende viene maggiormente evidenziata la concezione del tempio pagano come casa dei demoni e in quanto tale degna di essere distrutta. Col quinto capitolo concludiamo il nostro lavoro gettando uno sguardo al di là della tarda antichità, quando non si può più parlare di conflitto tra paganesimo e cristianesimo ma comunque i templi vengono smantellati o convertiti in chiese: nel Medioevo siamo ormai distanti dal periodo in cui un tempio poteva essere considerato un pericolo e spesso non era più nemmeno considerato un ornamento per il paesaggio urbano: perciò il suo valore prevalente era quello di cava di materiali da costruzione già sagomati. Finché, terminati i templi in rovina, anche quelli già trasformati in chiese da lungo tempo vengono spoliati per il riutilizzo in altre chiese: è il famoso caso dei bronzi del Pantheon, che a distanza di un millennio dalla conversione di questo nella chiesa di S. Maria ad Martyres, vennero fusi per fornire materiale per il baldacchino sull’altare di S. Pietro voluto da Urbano VIII Barberini.

    STORIE DI DISTRUTTORI E DI DISTRUZIONI ALL’AVVENTO DEL CRISTIANESIMO

    La nostra storia parte dal primo fautore del cristianesimo all’interno dell’Impero Romano, vale a dire Flavio Valerio Aurelio Costantino, o Costantino I. Costantino è universalmente noto come colui che, con l’editto di Milano del 313, ha legalizzato il cristianesimo; ci sono però studiosi che preferiscono seguire la linea dettata dal suo biografo, Eusebio di Cesarea, e porre l’accento sui provvedimenti che prese a favore del cristianesimo e altri che preferiscono dare maggior peso all’incertezza della sua conversione e al suo attaccamento per il titolo imperiale di pontifex maximus.

    Fonte principale della vita e delle gesta di Costantino è la Vita di Costantino di Eusebio di Cesarea, che più che una biografia è uno scritto encomiastico, che fa dell’imperatore il modello del buon cristiano per eccellenza. A noi che trattiamo qui di quella parte dell’annientamento del paganesimo che fu la spoliazione, la distruzione e la conversione dei templi pagani, l’opera di Eusebio interessa sia per il suo valore storico che per il suo valore ideologico. Se anche, infatti, Eusebio ha molto probabilmente esagerato l’azione antipagana di Costantino, l’ha comunque investita di una carica ideologica senza precedenti, al punto tale che si è ipotizzato che i passaggi dell’opera di Eusebio relativi alla distruzione dei templi da parte di Costantino siano in realtà un’aggiunta fatta in epoca teodosiana per esercitare sull’imperatore pressioni in questo senso[5]. La novità dell’atteggiamento costantiniano non è però recepita tanto facilmente: in una nota all’edizione della Vita di Costantino per le edizioni d’Auria[6], si legge che, nonostante Eusebio legga in chiave antipagana le spoliazioni dei templi perpetrate da Costantino, esse si vanno a collocare nel filone di una tradizione già avviata da imperatori pagani che, in tempo di necessità, avrebbero fatto ricorso ai tesori custoditi nei templi in periodi di crisi monetaria. Ma nessuno degli imperatori pagani precedenti avrebbe raso al suolo il tempio di Afrodite a Gerusalemme, fatto costruire da Adriano, per necessità finanziarie!

    La politica antipagana degli imperatori, da Costantino fino a Teodosio che fa del cristianesimo la religione di stato, viene talvolta giustificata sostenendo che non tutti i sacrifici e non tutti i culti vennero colpiti dagli imperatori cristiani, ma solo i sacrifici in eccesso e i culti ‘scandalosi’ come quelli con una componente orgiastica. Non c’è dubbio che su questo argomento abbiano fatto leva le stesse leggi imperiali che, come si vedrà nel capitolo successivo, mantengono fino al definitivo trionfo cristiano una certa ambiguità e perciò sono tutto sommato bene accette anche da una certa parte dell’aristocrazia pagana, che non si riconosceva né nel ricorso irrazionale agli auspici, né nello sfarzo inutile dei sacrifici, né in altre pratiche non comunemente accettate o considerate ‘esotiche’. E’ comunque un dato di fatto che questi provvedimenti, che apparentemente colpivano pratiche non condivise da tutti i pagani, finirono per ritorcersi contro di essi ed essere applicati nella lotta al paganesimo in generale.

    Tra i culti ‘scandalosi’ colpiti da Costantino c’è in primo luogo il culto di Afrodite, che nella parte orientale dell’impero aveva assunto una componente sessuale più esplicita, forse anche per influsso dei culti di Dee analoghe locali. Eusebio racconta la distruzione da parte di Costantino del tempio di Afrodite che a Gerusalemme sarebbe stato costruito sopra il sepolcro di Gesù:

    "Orbene, alcune empie e sciagurate persone decisero di celare agli occhi degli uomini questa grotta salvifica, convinti, nella loro stoltezza, che in tal modo avrebbero potuto nascondere la verità. Con un vasto impiego di forze e di energie, trasportarono da un’altra località una grande quantità di terra e con essa occultarono tutto quel luogo; poi elevarono il livello del suolo e lo cosparsero di sassi, celando sotto questo grande tumulo la santa grotta. In seguito, come se non avessero altro da fare, sopra quel terreno allestirono un cimitero veramente orribile per le anime dei loro morti idoli, edificandovi un tetro recesso che consacrarono alla dissoluta divinità di Afrodite, e in quello stesso luogo si diedero ad offrire abominevoli sacrifici su altari profani ed impuri. Unicamente per questa via, e non altrimenti, essi credevano di poter raggiungere il loro scopo, soltanto, cioè, se avessero ricoperto la grotta salvifica con tali empie sozzure. […]

    Tuttavia gli espedienti che quegli uomini empi e sacrileghi avevano adoperati per occultare la verità, durarono molto a lungo nel tempo, e non si trovò mai nessuno, né tra i governatori né tra i generali né tra gli stessi imperatori, che fosse in grado di abbattere quel che s’era usato costruire, all’infuori di Costantino, l’unico e solo principe che fu amato da Dio, sovrano dell’universo. Pervaso da divina ispirazione, egli non consentì che il luogo di cui sopra s’è detto continuasse a rimanere nascosto sotto quella impura ed enorme congerie di materiali fraudolentemente ammassata dai nemici, né permise che esso continuasse a giacere abbandonato nell’oblio più totale, né si tirò indietro di fronte alla perversità degli autori di tanto misfatto: invocò Iddio, che sempre gli recava aiuto, e ingiunse di purificare tutta quell’area, pensando che soprattutto il suolo che era stato contaminato dai nemici dovesse partecipare, grazie al suo intervento, della magnificenza del Dio di bontà. Non appena fu dato l’ordine, tutte quelle pericolose ed ingannevoli opere vennero rase al suolo, e gli edifici tra le cui mura s’annidava l’errore furono distrutti e abbattuti con tutte le loro statue e divinità.[7]

    La distruzione del tempio di Afrodite, che era stato costruito da Adriano nell’ambito della ricostruzione romanizzata della città di Gerusalemme dopo la distruzione del 70 d.C., non è l’unica distruzione attribuita a Costantino. I paragrafi 54-58 della Vita ne elencano altre e fissano una serie di capisaldi della prassi della distruzione dei templi, che diventerà un modello non solo letterario ma quasi rituale.

    "Con queste sue iniziative l’imperatore intendeva agire per la gloria della potenza divina del Signore. E se per un verso, come s’è detto, non tralasciava mai di onorare il Dio, suo salvatore, per l’altro cercava in tutti i modi possibili di rendere palese la falsità della superstiziosa religione dei gentili. Proprio per questo motivo i vestiboli dei templi pagani nelle varie città, dopo che per ordine dell’imperatore vi erano state divelte le porte d’ingresso, venivano completamente spogliati dei loro ornamenti; in altri templi, una volta asportate le tegole, la copertura del tetto andava in rovina, e i venerandi bronzi di altri templi ancora, bronzi per i quali gli antichi nel loro inganno erano andati a lungo orgogliosi, venivano ora esposti alla vista di tutti in ogni piazza di Costantinopoli, sicché giacquero dinanzi allo sguardo irriverente di quanti si fermavano ad osservarli qui il Pizio, altrove lo Sminteo, i tripodi delfici nell’ippodromo, le Muse Eliconie nella reggia. E così tutta Costantinopoli fu letteralmente invasa dalle statue bronzee di preziosissima fattura che un tempo ogni singola provincia aveva consacrate agli dèi: di fronte ad esse, inutilmente per lunghi secoli gli uomini, soggiogati da una falsa credenza, avevano celebrato nel nome degli dèi una enorme quantità di ecatombi, di olocausti e di sacrifici, e ora, in ritardo, imparavano a rinsavire, poiché l’imperatore volle utilizzare queste opere come fonte di scherno per il riso e il divertimento di quanti le osservavano. Delle statue auree, invece, si prese vendetta in modo diverso. Infatti, quando si vide che erano moltissimi gli stolti che, come tanti fanciulli, si lasciavano senza alcun motivo atterrire dagli spauracchi in oro e in argento della falsa religione, pensò che anche questi andassero soppressi come se fossero delle fastidiose pietre gettate tra i piedi dei viandanti notturni: e ciò per far sì che nel futuro le vie dell’impero si aprissero a tutti libere e sgombre da ostacoli. Una volta concepito questo proposito, non credette che per

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