Curare con i numeri. La statistica in medicina, saper prescrivere sulla base dei dati
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Curare con i numeri. La statistica in medicina, saper prescrivere sulla base dei dati - David Coletta
Roccato
© goWare
settembre2013, prima edizione
ISBN 978-88-6797-111-4
Direttore di collana: Enrico Roccato
Redazione: Giacomo Fontani
Copertina: Lorenzo Puliti
Sviluppo ePub: Elisa Baglioni
goWare è una startup fiorentina specializzata in digital publishing
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Se ripetuta con sufficiente frequenza,
una menzogna diventa la nuova verità.
Paul Joseph Goebbels,
ministro della propaganda della Germania nazista
La statistica, perché?
Forse rimarrete stupiti dall’apprendere che l’utilità dell’atenololo[1] sulla prevenzione secondaria delle malattie cardiovascolari, è maggiore nei pazienti nati sotto il segno dello Scorpione e che anche l’acido acetilsalicilico (ASA)[2] è utile, ma in prevenzione secondaria solo per i nati sotto il segno della Bilancia e dei Gemelli, in prevenzione primaria le fumatrici devono stare attente ad assumere ASA, perché aumenterebbero il loro rischio di mortalità cardiovascolare, infarto e ictus. Tutte queste affermazioni sono il risultato di ricerche ben condotte ma, volutamente o meno, malamente interpretate. Molte di queste errate interpretazioni sono utilizzate per forzare l’esito della ricerca verso il risultato atteso dallo sperimentatore e dallo sponsor, cosicché, anziché generare nuove conoscenze, le ricerche possono suscitare, nel lettore disattento, solo dubbi o confusione. O, ancora peggio, generano comportamenti professionali che possono provocare un danno – o la mancanza del beneficio atteso – ai pazienti che con fiducia si erano rivolti al proprio medico.
Il mio intento è quello di facilitare la comprensione della metodologia statistica, per rendere il più possibile semplice e accessibile la lettura critica degli studi clinici, così importanti per la nostra pratica professionale. Per far ciò dobbiamo conoscere le basi della statistica medica, la cui neutralità è più apparente che reale.
Come vedremo, questa scienza può essere usata per evitare trappole o per tenderle, per far sembrare vera un’illusoria realtà o per far scomparire una realtà imbarazzante; solo conoscendola e sapendola manipolare tecnicamente possiamo evitare di divenirne vittime inconsapevoli.
Lo stimolo a scrivere di statistica è stato esattamente questo: considerare le basi statistiche come indispensabile chiave di lettura delle informazioni apportate dai lavori scientifici, che costituiscono il fondamento per l’appropriatezza degli atti medici. La statistica, insomma, non vista dal punto di vista dell’esperto, ma da quello dell’utente finale, che la deve saper utilizzare per acquisire le necessarie informazioni per il normale svolgimento dell’attività professionale.
La statistica per informare, appunto.
Come esempio fra i tanti studi condotti per la prevenzione delle malattie, o meglio, per dimostrare la riduzione del rischio di contrarre una malattia, ne presento uno condotto con il risedronato[3] al fine di prevenire le fratture di femore.
Si tratta di uno studio policentrico, in doppio cieco, randomizzato, controllato contro placebo. Lo studio era finalizzato a valutare l’efficacia del risedronato nella prevenzione di fratture dell’anca in donne anziane con osteoporosi e/o rischio elevato di frattura dell’anca. È stato condotto su 9331 donne con età compresa tra 70 e 79 anni e T score[4] di –4 oppure T score di –3 con altro fattore di rischio (McClung MR et al., N Engl J Med, 2001, 344, pp. 333-40).
In definitiva si tratta di uno dei migliori studi condotti su questo argomento.
Nelle conclusioni gli autori affermano che «il farmaco somministrato per tre anni determina una diminuzione del rischio di frattura del 40,6%».
Di fronte a questo dato la prima impressione è che il farmaco sia particolarmente efficace nel trattamento dell’osteoporosi, portando a quasi la metà il rischio di subire una frattura di femore. Se facciamo però due semplici calcoli, otteniamo conclusioni diverse. Intendiamoci, non si tratta di dati falsificati o errati, bensì di un modo diverso di esporli.
RRR (riduzione relativa del rischio) = 40,6%
ARR (riduzione assoluta del rischio) = 1,3%
NNT (numero di persone da trattare per ridurre un evento) = 77
In definitiva dobbiamo somministrare il farmaco a 77 persone per tre anni per evitare una frattura di femore. Detto in altri termini, se tratto 1000 donne per tre anni, evito solo 13 nuove fratture.
Immaginate adesso che, a una misurazione della pressione arteriosa, il vostro medico vi abbia detto che avete l’ipertensione e che questa costituisce un fattore di rischio per le malattie cardiovascolari. Immaginate che siano disponibili tre farmaci per curare questa malattia/fattore di rischio e che siano gratuiti e senza effetti collaterali.
Vi presento i risultati di tre diversi studi. In base a questi risultati quale farmaco sareste disposti ad assumere tutti i giorni per i prossimi cinque anni?
Il primo abbassa del 33% il rischio di avere un infarto.
Il secondo abbassa la probabilità di avere un infarto dal 3% (senza terapia) al 2% (dopo la terapia).
Il terzo salva dall’infarto una persona su cento, ma non c’è modo di sapere a priori chi sarà quella persona.
La maggior parte di noi, d’istinto, sceglierebbe il primo farmaco.
Ebbene, prendete quel che volete. Quelli presentati sono tre modi diversi per indicare lo stesso risultato.
È stato dimostrato che pubblicare i risultati di uno studio sotto forma di riduzione relativa del rischio enfatizza i risultati positivi al di là della loro reale efficacia clinica, inducendo il medico a prescrivere farmaci – spesso costosi – che non possono mantenere le promesse di un’informazione fuorviante.
Se si avrà la costanza e l’umiltà di superare gli inevitabili scogli iniziali, al termine della lettura avremo imparato assieme concetti quali NNT, Odds Ratio, intervalli di confidenza, rischio assoluto e rischio relativo, che devono far parte della cultura medica con la stessa dignità della farmacologia o della clinica, perché permettono al medico non solo la conoscenza ma anche la comprensione e la valutazione dei trial e delle meta-analisi, che costituiscono le basi conoscitive dell’aggiornamento professionale.
Quando un medico si trova di fronte a termini quali intervallo di confidenza
o Odds Ratio
, la prima reazione che ha è di istintiva repulsione, come sempre accade quando affrontiamo argomenti molto distanti dal nostro modo di vivere e di ragionare, apparentemente noiosi, incomprensibili e poco affini alla pratica clinica. Tutto questo è comprensibile, ma profondamente sbagliato.
1 L’atenololo è un farmaco cardiovascolare appartenente alla categoria dei beta-bloccanti; riduce la frequenza cardiaca e la pressione arteriosa.
2 L’acido acetilsalicilico (ASA) è un farmaco in grado di ridurre l’aggregazione delle piastrine.
3 Il risedronato è un farmaco utilizzato nella terapia dell’osteoporosi e appartiene alla categoria dei bifosfonati.
4 Il T-score è un parametro che confronta il valore della densitometria ossea del paziente con quello di una popolazione giovane, mentre lo Z-score lo confronta verso una popolazione di pari età. Per i pazienti con età superiore a 65 anni dovrebbe essere utilizzato solo quest’ultimo parametro. Si accetta la presenza di osteoporosi con T-score inferiore a –2,5 deviazioni standard (DS) dalla media oppure con Z-score inferiore a –1,0 DS dalla media.
Il rischio e i suoi fattori
Questa storia ha una data di inizio certa, il 1896, quando Scipione Riva-Rocci inventa lo sfigmomanometro e per la prima volta fu misurata la pressione arteriosa in modo incruento in un paziente. La medicina fino ad allora poteva fornire solo valutazioni di tipo qualitativo, salvo la misurazione della febbre con il termometro o della frequenza cardiaca con il cronometro. Lo sfigmomanometro rappresenta il primo strumento di misura affidabile, a basso costo e di facile utilizzo, fatto proprio dalla medicina moderna. La sua diffusione nella pratica clinica ha prodotto, in un colpo solo, due effetti irreversibili: ha introdotto il modo di pensare quantitativo in medicina e ha determinato l’introduzione del concetto di cura delle persone in stato di benessere per ridurre i loro fattori di rischio. In fondo, se ci pensiamo bene, stiamo curando la maggior parte dei nostri pazienti non per malattie acute che possono mettere a repentaglio la loro vita, ma per fattori di rischio che possono determinare, alla lunga, complicanze per l’apparato cardiovascolare. Di fatto curiamo l’ipertensione perché questa costituisce un maggior rischio per il paziente di contrarre malattie a carico del cervello, dei reni, del cuore e delle arterie. Fin dall’inizio del secolo scorso le compagnie di assicurazione sulla vita avevano osservato che più alta è la pressione, maggiore è il rischio
e più costoso doveva essere il premio assicurativo.
È stato questo un cambiamento epocale della medicina, nella convinzione che si possa intervenire su persone che stanno soggettivamente bene, sottoponendole a controlli periodici e a cure... che però hanno la possibilità di produrre vantaggi solo in alcuni di essi. Non potendo classificare tutto come malattia, in assenza di sintomi, si è coniato il concetto di fattori di rischio. Da cui derivano i concetti di rischio e di beneficio.
Il rischio
Il termine "rischio" è mutuato dal linguaggio comune ed è utilizzato come sinonimo di probabilità; è evidente che correrò un maggior rischio di fratturarmi il menisco giocando a rugby piuttosto che a un torneo di bridge, perché la probabilità di un evento traumatico è maggiore nel primo caso. Il rischio pertanto non è nient’altro che la frequenza di nuovi casi di malattia in una popolazione suscettibile di sviluppare quella malattia, in un periodo di tempo prestabilito. Negli studi longitudinali ci si domanda quanti dei soggetti facenti parte di un gruppo o campione inizialmente sano si ammalano durante un periodo (ad esempio, quanti soggetti maschi di 60 anni che si ammalano di adenocarcinoma del colon entro 5 anni). Questa misura corrisponde esattamente alla probabilità di ammalarsi. Ad esempio, un rischio cardiovascolare del 10-15% a 10 anni stimato sulla base delle carte del rischio del Progetto cuore (ISS)[5] per i pazienti maschi, non diabetici, non fumatori, con colesterolo totale tra 213 e 252 mg/dl, di età compresa tra 60 e 69 anni e pressione arteriosa sistolica tra 130 e 150 significa che in 10 anni ci saranno 10-15 nuovi casi di malattia ogni 100 persone con quelle caratteristiche cliniche.
Nei risultati dei lavori scientifici, il rischio può essere presentato in vari modi e spesso, con una grossolana approssimazione, viene utilizzata l’espressione generica "riduzione del rischio" senza ulteriori precisazioni. In realtà, la riduzione del rischio può essere presentata come riduzione assoluta del rischio o come riduzione relativa del rischio. È quindi prioritario rendersi conto se ci si sta riferendo all’una o all’altra tipologia di presentazione dei dati, perché le cose cambiano, e molto.
Chiariamo bene un punto. Se un farmaco riduce il rischio assoluto di infarto del 50% dopo tre anni di trattamento, non significa che tutti i 100 pazienti trattati abbiano una riduzione dell’evento infausto di tale percentuale, ma che la terapia risulterà vantaggiosa in alcuni pazienti, mentre agli altri non apporterà alcun beneficio. Quali siano gli uni e gli altri a priori nessuno lo sa. In altre parole se abbiamo 10 pazienti con rischio cardiovascolare pari a: 10–10–20–25–25–30–30–30–30–40% non otterremo che dopo tre anni di trattamento i loro rischi siano diventati 5–5–10–12,5–12,5 e così via ma semplicemente che, tra questi dieci pazienti, invece di due infarti se ne verificherà solo uno. Il concetto che dobbiamo avere ben chiaro è che l’unità di analisi non è i pazienti che avranno l’evento
ma la probabilità che l’evento accada
.
In definitiva non si riduce il rischio personale, ma quello della popolazione alla quale