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L'ordine di esame dei motivi di ricorso nel processo amministrativo
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Ebook149 pages1 hour

L'ordine di esame dei motivi di ricorso nel processo amministrativo

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Prendendo spunto da un contrasto recentemente maturato nella giurisprudenza del Consiglio di Stato, il lavoro analizza il tema dell’ordine che il giudice amministrativo deve seguire nell’esame dei motivi di ricorso proposti dal ricorrente, soprattutto nei casi in cui questi abbia esplicitamente graduato le proprie censure.

Dietro l’apparente tecnicismo, il tema coinvolge in realtà l’applicazione al giudizio amministrativo dei principi processuali fondamentali; inoltre, si presenta peculiarmente problematico con riferimento a quei giudizi che, pur riconducibili al

modello impugnatorio, possono concludersi anche con statuizioni ulteriori rispetto all’annullamento dell’atto impugnato.
LanguageItaliano
Release dateJan 31, 2013
ISBN9788867350780
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    L'ordine di esame dei motivi di ricorso nel processo amministrativo - Pasquale Cerbo

    dell’interessato».

    CAPITOLO I

    L’ordine di esame dei motivi di ricorso nella giurisprudenza

    SOMMARIO: 1. Premessa. - 2. L’incompetenza come motivo principale e ‘assorbente’. - 3. La ‘discrezionalità’ del giudice. - 4. La ‘vincolatività’ del principio dispositivo. - 5. La prevalenza logica dell’illegittimità più radicale. - 6. La prevalenza dell’interesse concretamente esplicitato dal ricorren- te. - 7. L’insufficienza dell’approccio giurisprudenziale: sviluppo dell’indagine.

    1. Premessa

    Un problema di ordine nell’esame delle questioni ai fini della decisione può porsi al giudice in diversi casi, tra loro molto disomogenei.

    Anzitutto, può accadere che il giudice si trovi a dover decidere tanto su profili di rito quanto su profili di merito inerenti alla medesima controversia.

    A questo proposito va rilevato che da tempo è ravvisabile una sostanziale unità di vedute sull’applicazione al processo amministrativo dell’art. 276 c.p.c., in base al quale l’esame delle questioni pregiudiziali deve precedere quello del merito¹: tale conclusione si fondava sull’art. 64 reg. proc. 642/1907 e trova oggi esplicito riscontro nel codice del processo amministrativo².

    E’ sì vero che la giurisprudenza non sempre applica scrupolosamente la regola, poiché tende talvolta a dare precedenza all’esame del merito quando le relative questioni siano di più pronta soluzione rispetto a quelle di rito (ciò, dunque, soprattutto in caso di palese infondatezza del ricorso)³; inoltre, anche nell’esame delle questioni pregiudiziali non applica una rigida gerarchia, come accade quando venga in rilievo una questione inerente alla giurisdizione⁴.

    Tuttavia, la pregiudizialità delle questioni in rito è conseguenza di una precisa scelta del legislatore, le cui ragioni sono peraltro facilmente intuibili. Diversamente accade allorquando si tratta di stabilire le regole che presiedono all’ordine di esame delle questioni attinenti alla fondatezza della pretesa fatta valere in giudizio (che, riassuntivamente, si possono definire questioni di merito). In particolare, nella giurisdizione generale di legittimità, tale problema si traduce nell’ordine di esame dei motivi di ricorso: infatti, la definizione dell’ordine di esame dei motivi in quanto entità omogenee⁵ non è disciplinata a livello normativo, neppure nella recente codificazione del rito amministrativo.

    Tuttavia, «le questioni di merito, pur sottraendosi a qualunque subordinazione astratta, obbligano il giudice a determinare comunque una graduazione in concreto, anche in assenza di un nesso d’interdipendenza logico-giuridica»⁶; pongono necessariamente, in altre parole, un problema di ordine nel loro esame.

    In realtà, il concetto stesso di motivo di ricorso è abbastanza sfuggente⁷, poiché per evitare la sanzione dell’inammissibilità per genericità o indeterminatezza è sufficiente «la più o meno precisa narrazione, da parte dell’avvocato del ricorrente, di un determinato fatto, compiuto dall’amministrazione e considerato lesivo di una situazione soggettiva protetta»⁸. Invece, secondo la più analitica definizione guicciardiana, il motivo si distingue dal vizio, «il vizio dell’atto essendo una categoria generale, mentre il motivo di impugnativa ne rappresenta una specificazione, attraverso l’indicazione della singola norma di legge che si asserisce violata dall’amministrazione»⁹.

    Il codice del processo amministrativo ha elencato fra i contenuti del ricorso tanto l’esposizione sommaria dei fatti quanto l’enunciazione di specifici motivi (art. 40 c.p.a.).

    La specificità dei motivi si parametra poi sull’azione concretamente esperita: nel caso della domanda di annullamento, il motivo di ricorso «va inteso come il profilo specifico in cui si sia storicamente concretato il contrasto fra l’atto impugnato e l’ordinamento giuridico»¹⁰.

    In una prima prospettiva, a fronte di una richiesta di annullamento, un vero problema di ordine di esame dei motivi non si poneva, secondo la tesi in base alla quale l’accoglimento di un motivo (quale che esso sia) -provocando la caducazione dell’atto- fa venir meno in ogni caso l’interesse dell’istante a che gli altri motivi siano esaminati dal giudice (che deve dunque dichiararli assorbiti)¹¹; in tale contesto, è chiaro che l’ordine seguito dal giudice nell’esame dei motivi è sostanzialmente indifferente.

    Tuttavia, la prospettiva è completamente mutata una volta acquisito che, seppure «rimane uguale in ogni caso il contenuto dispositivo della sentenza [di annullamento], ben diversa è la portata precettiva nei riguardi dell’ulteriore dispiegarsi della funzione amministrativa a seconda della maggiore o minore ampiezza ed incisività che il giudice amministrativo abbia dato in concreto alla propria pronuncia» in rapporto all’accoglimento di tutti o solo di taluni dei motivi di ricorso proposti¹². In questa prospettiva, anche a fronte della richiesta di annullamento del medesimo atto si possono configurare una pluralità di motivi di ricorso e dunque si può porre il problema dell’ordine che il giudice deve seguire nel loro esame.

    Se così è, il giudice non può procedere «ad esaminare senza alcun ordine i motivi di illegittimità dedotti a fondamento della domanda» ed «a considerare assorbiti dall’accoglimento di uno qualsiasi dei motivi dedotti tutti gli altri motivi (in ipotesi fondati) posti alla base dell’azione»¹³: in tal modo il giudice finisce infatti per condizionare surrettiziamente l’esito concreto del giudizio.

    Posto che «il processo amministrativo è un processo di parti nel senso più pieno del termine», nel quale dunque «non solo la determinazione sull’insorgere della controversia, ma anche la precisazione dei limiti di questa, è rimessa appunto alle parti», un potere del giudice di modificare il motivo di ricorso si tradurrebbe in uno sconvolgimento della logica del processo amministrativo¹⁴. Bisogna capire se questo esito si produce anche rispetto al mutamento da parte del giudice dell’ordine di esame dei motivi di ricorso.

    Tuttavia, in quest’ottica, il problema rimarrebbe confinato essenzialmente nell’effetto conformativo: infatti, fintanto che il giudizio amministrativo (quantomeno nella giurisdizione di legittimità) per lungo tempo «si è appiattito» sulla pronuncia di annullamento¹⁵, un problema di ordine di esame dei motivi si poneva solo a fronte dell’eventuale assorbimento di alcuni di essi nella decisione¹⁶.

    Ciò spiega anche la limitata problematicità dell’approccio manualistico tradizionale al tema: per un verso, si riteneva ammissibile «graduare nel ricorso l’ordine dei motivi, perché il ricorrente potrebbe avere interesse all’accoglimento di alcuni motivi solo in via subordinata, per l’ipotesi in cui altri motivi, cui egli annette maggiore importanza, non vengano accolti»; per altro verso, si riconosceva al giudice il potere di disattendere tale ordine¹⁷.

    La tematica dell’ordine di esame dei motivi è senza dubbio connessa a quella dell’assorbimento¹⁸; tuttavia, se ne distingue nettamente per un tratto essenziale: mentre l’assorbimento concerne la possibilità per il giudice di non pronunciarsi su alcuni motivi (non interessa in questa sede se giustificatamente o meno), il tema dell’ordine di esame dei motivi riguarda più propriamente l’esistenza e l’estensione di un vincolo per il giudice, soprattutto in conseguenza della graduazione (esplicita o implicita) degli stessi motivi da parte del ricorrente¹⁹. Ciò non toglie, ovviamente, che l’ordine di esame può determinare, nella concreta applicazione, il fenomeno dello «assorbimento necessario»²⁰.

    Il tema presenta alcune analogie pure con il problema, recentemente tornato in auge nel dibattito giurisprudenziale e dottrinale, dell’ordine di esame dei ricorsi (principale e incidentale): tale problema riguarda però il rapporto fra due tipologie di ricorso (principale e incidentale appunto) e non la definizione dell’ordine che il giudice deve seguire nell’esame dei motivi proposti dal medesimo ricorrente.

    Nel presente lavoro si tratterà essenzialmente di quest’ultima tematica, prendendo le mosse dal dibattito giurisprudenziale che si è molto vivacizzato dopo l’entrata in vigore del codice del processo amministrativo: ciò probabilmente non è accaduto per caso, bensì in ragione dell’ampliamento della tipologia delle pronunce ammissibili nella giurisdizione di sola legittimità.

    2. L’incompetenza come motivo principale e ‘assorbente’

    Come si è detto nel precedente paragrafo, non è dato riscontrare una disciplina processuale di diritto positivo circa l’ordine di esame dei motivi di ricorso.

    Una sola disposizione regolava in qualche misura questo aspetto: l’art. 45 t.u. Cons. Stato (r.d. 26 giugno 1924, n. 1054), in base al quale «se [il giudice] accoglie il ricorso per motivi di incompetenza annulla l’atto e rimette l’affare all’autorità competente»; la disposizione era stata riprodotta pure nella legge TAR (art. 26, comma 2, l. 6 dicembre 1971, n. 1034).

    Da tale disposizione si tendeva a desumere l’obbligo per il giudice di esaminare prioritariamente i motivi di ricorso inerenti al vizio di incompetenza: ove poi tali motivi risultassero fondati, le altre questioni rimanevano assorbite e lo «affare» era trasmesso all’organo competente. La ratio di tale previsione veniva individuata nell’impossibilità di instaurare un valido contraddittorio con un organo già riconosciuto come non competente alla trattazione dell’affare (organo che dunque non avrebbe poi riesercitato il potere).

    Così interpretata, la disposizione si risolveva in un (pur limitato) precetto sull’ordine di esame dei motivi di ricorso da parte del giudice amministrativo. Tuttavia, tanto in giurisprudenza²¹ quanto in dottrina²² molto si era dubitato

    della correttezza di una consimile interpretazione, in particolare rilevando che la norma non prescriveva in alcun modo l’assorbimento degli altri motivi di ricorso e che comunque la problematica andasse risolta più correttamente alla luce della funzione del processo amministrativo.

    Come è noto, le due disposizioni prima richiamate sono state abrogate con l’entrata in vigore del codice del processo amministrativo, al cui interno non è stata riprodotta la previsione sulle conseguenze dell’annullamento per incompetenza. Pertanto, pure quest’unica (e neppure certa) disposizione specifica sull’ordine di esame dei motivi di ricorso è venuta meno.

    3. La ‘discrezionalità’ del giudice

    In assenza di una disciplina normativa di riferimento, la soluzione del problema dell’ordine da seguire nell’esame dei motivi di ricorso è stata demandata al ruolo pretorio della giurisprudenza, che non ha espresso tuttavia un orientamento univoco.

    La tesi dominante fino a tempi recenti demandava al giudice il compito di defnire l’ordine di esame dei motivi, persino a fronte di un’espressa graduazione da parte del ricorrente²³.

    Da un esame più analitico della giurisprudenza in questione emerge però

    che il riconoscimento al giudice di tale potere di scelta è fondato di volta in volta su esigenze molto disomogenee.

    Vi sono anzitutto alcune decisioni che riconoscono al giudice una «discrezionalità piena» nello stabilire l’ordine di esame dei motivi di ricorso, «senza che occorra dar conto delle ragioni per cui si sia

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