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Una camera tutta d’ambra
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Una camera tutta d’ambra

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A differenza della maggior parte dei tesori trafugati durante il conflitto, la Camera d’ambra aveva per il regime nazista un  alto valore simbolico. Era stata concepita da un architetto tedesco per un re di Prussia, creata da artigiani tedeschi e apparteneva quindi alla categoria delle opere che la Germania aveva il “diritto di recuperare” e custodire nel cuore del Reich. Fu questa la filosofia con cui le autorità di Berlino, dopo l’Anschluss con l’Austria nel 1938, si impadronirono dell’intero apparato – corona, scettro, paramenti – utilizzato per l’incoronazione del Sacro Romano Imperatore (gli oggetti tornarono a Vienna alla fine della guerra e sono ora nella Camera del tesoro del Kunst Historisches Museum).
(dalla prefazione di Sergio Romano)
LanguageItaliano
Release dateJan 7, 2014
ISBN9788879805100
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    Book preview

    Una camera tutta d’ambra - Vittorio Orsenigo

    Premessa

    Fortitude fu senza dubbio l’operazione di Intelligence più riuscita della Seconda guerra mondiale. Grazie infatti alla straordinaria maestria dei servizi segreti britannici nell’arte della deception, cioè della disinformazione e dell’inganno, l’Alto Comando tedesco fu completamente sviato circa il luogo del grande sbarco alleato in Europa per l’apertura del Secondo Fronte europeo nel 1944.

    Berlino, stordita dall’intossicazione informativa messa in atto da Londra, si convinse infatti che le armate alleate sarebbero sbarcate nel nord della Francia, nella zona del Pas de Calais, e che le iniziative in atto in Normandia costituivano piuttosto una diversione per far spostare le temutissime Panzer-Divisionen verso le spiagge normanne. Così, in attesa dell’ipotetico arrivo del grosso delle forze anglo-americane a Calais, le truppe tedesche stazionate in Belgio e nel nord della Francia non si mossero quando, nel fatale giorno più lungo (6 giugno 1944), le navi alleate apparvero alle prime ore dell’alba sulle coste della Normandia.

    Per gli alti responsabili nazisti si trattava solo di sbarchi di diversione: le postazioni presenti erano quindi sufficienti per resistere a un’iniziativa militare considerata tutto sommato di impatto limitato…

    Proprio ciò che, in realtà, i servizi segreti britannici volevano far credere ai tedeschi! Un obiettivo al quale avevano lavorato da più di un anno.

    Missione compiuta!

    La lentezza con cui i tedeschi reagirono allo sbarco in Normandia permise dunque alle truppe comandate dal generale Montgomery di consolidare definitivamente le teste di ponte alleate e agli uomini del generale statunitense Bradley, rimasti indietro in attesa degli eventi, di salpare dall’Inghilterra per avviare la liberazione dell’Europa dal giogo nazista.

    È evidente che un eventuale fallimento dell’operazione Neptune (lo sbarco vero e proprio) avrebbe avuto conseguenze incalcolabili. Avrebbe in ogni caso consentito al regime nazista di resistere ancora a lungo e agli scienziati nazisti di guadagnare tempi supplementari alla ricerca di armi di distruzione di massa.

    Ora, protagonista principale di questa guerra non convenzionale, di questa disinformazione utilizzata in una dimensione senza precedenti, fu un giovane catalano, Juan Pujol García, nome in codice Garbo. Agente doppio, i tedeschi erano assolutamente sicuri che Pujol lavorasse per Berlino e che fosse anche alla testa di una rete di spie favorevoli al nazismo attive in Inghilterra .

    In realtà Pujol operava per l’MI5, il controspionaggio britannico, e la rete dei suoi 27 agenti operativi era totalmente fittizia, uscita di sana pianta dalla sua fervida immaginazione e sagomata con l’aiuto degli esperti inglesi per renderla ancora più credibile. Una fantastica galleria di personaggi inesistenti, ma assolutamente verosimili e, in alcuni casi, addirittura accattivanti

    Garbo, nei quasi tre anni di attività per i servizi britannici, fece pervenire centinaia di lettere e messaggi radio alla stazione dello spionaggio tedesco ( Abwehr) a Madrid, che riferiva direttamente a Berlino, spingendo con guizzo geniale i tedeschi verso l’accettazione di informazioni del tutto devianti, fino al clamoroso successo dell’operazione Fortitude, operazione che cambiò senza dubbio il corso della guerra.

    Quella che stiamo per raccontarvi è appunto la storia di Juan Pujol García (incredibilmente decorato sia dai tedeschi che dai britannici!) e dei suoi fantastici exploit.

    Una storia che emerse per la prima volta solo nel 1972, quasi trent’anni dopo gli eventi, in occasione della pubblicazione del libro The Double Cross System in the War di J.C. Masterman, dove si raccontava l’utilizzo degli agenti doppi da parte dell’MI5 e del ruolo svolto da un certo Garbo in tale cotesto, la cui identità rimase però celata. Passarono ancora 12 anni senza che del misterioso agente si sapesse qualcosa in più. Anzi molti si erano convinti che fosse morto in Angola, stroncato dalla malaria, nel 1949, così come aveva fatto opportunamente credere l’MI5 per proteggerlo da possibili ritorsioni di nazisti animati da spirito di vendetta.

    Sarà finalmente nel 1984 che Rupert Allason, grande specialista e storico inglese dell’Intelligence, più conosciuto con lo pseudonimo Nigel West, ritroverà le tracce di quella che era stata la spia più efficace della Seconda guerra mondiale in Venezuela, dove si era rifatto una nuova vita e aveva costituito una nuova famiglia.

    West lo convinse a tornare in Inghilterra, in occasione del 40° anniversario dello sbarco in Normandia, per far conoscere la sua stupefacente vicenda e per ricevere formalmente, dalle mani del Principe di Edimburgo, un’alta decorazione, segno di imperituro riconoscimento di Londra per quanto il catalano aveva fatto in favore della causa alleata. Con la sua penna, la sua immaginazione, la sua capacità di capire la psicologia dell’avversario, la sua genialità per la deception, Garbo aveva in effetti salvato centinaia se non migliaia di vite umane e aveva offerto un eccezionale contributo alla vittoria finale delle democrazie.

    Pujol, alias Alaric, quando faceva credere ai tedeschi che si nascondeva in Scozia

    Pujol si racconta

    Capitolo I

    Il 24 aprile 1942 arriva in tutta segretezza a Plymouth, a bordo di un aereo speciale, un misterioso personaggio esfiltrato da Lisbona a cura dello spionaggio britannico, l’MI6.

    Di chi si tratta?

    È un giovane catalano, pallido, minuto, sulla trentina e dal cranio precocemente sguarnito, il suo nome è Juan Pujol García. Si sa che è un agente dell’ Abwehr (spionaggio militare nazista), già da diverso tempo. Fornisce informazioni alla stazione nazista di Madrid, col nome in codice di Alaric, e le sue attività vengono adeguatamente remunerate. Pujol aveva per la verità manifestato in passato il suo ardente desiderio di lavorare piuttosto per l’ Intelligence Service, prendendo più di una volta contatto con l’ambasciata britannica di Madrid. Ma era stato considerato un mitomane, un esaltato, se non un addirittura un provocatore. Non era stato insomma preso sul serio ed era stato cortesemente messo alla porta. Offeso dal trattamento ricevuto, Pujol si era allora perfidamente rivolto ai tedeschi per provare a Londra tutta la sua efficacia. Pur non essendo un professionista del settore, il catalano possedeva in effetti tali doti di intuito e di fantasia da poter creare, inventare insomma, notizie molto credibili per Berlino.

    Basti pensare che riferiva da Lisbona, facendo credere ai tedeschi di trovarsi a Londra. Scriveva di usi e costumi tipici della Gran Bretagna, pur non essendoci mai stato e pur ignorando del tutto la lingua inglese! Ma compensava le sue carenze conoscitive con geniali e naturali intuizioni di Intelligence. Berlino in ogni caso gli faceva ciecamente fiducia.

    I servizi segreti britannici dunque si erano fatalmente molto interessati a una serie di messaggi tedeschi messi in chiaro nel centro di decrittazione di Bletchely Park, nei quali si faceva spesso riferimento a un agente tedesco operante in Gran Bretagna, fonte di notizie interessantissime e di alto valore militare. Solo che le notizie fornite risultavano spesso false e inventate di sana pianta! L’MI6 (spionaggio) e l’MI5 (controspionaggio) si chiedevano di conseguenza chi fosse la fantasiosa spia e perché comunicasse informazioni fasulle o insignificanti. Che strano gioco di spie, dovevano aver commentato gli esperti inglesi! Valeva in ogni caso la pena di vederci più chiaro. Cominciano quindi le verifiche incrociate e lo studio dei dati disponibili. Chi è questo Alaric?

    Ora, mettendo insieme le richieste di collaborazione avanzate da un giovane catalano all’ambasciata britannica di Madrid, di cui l’MI6 aveva evidentemente avuto notizia, e le corrispondenze fantasiose trasmesse dalla misteriosa spia all’Abwehr di Madrid, Londra giungeva presto alla conclusione che doveva senza dubbio trattarsi della stessa persona.

    Pujol andava dunque recuperato ed esfiltrato molto discretamente (per non destare sospetti nei tedeschi che dovevano continuare a credere nella normale operatività del loro agente) e sottoposto ad adeguati interrogatori per capire meglio la sua personalità e soprattutto essere sicuri delle sue motivazioni e delle sue finalità. Poteva in effetti essere un abile impostore, ma poteva anche rivelarsi un elemento prezioso nell’ambito del progetto appena avviato per utilizzare al meglio gli agenti doppi, il Double Cross System.

    Nel suo primo interrogatorio da parte degli esperti dell’MI5, Pujol tratteggia i suoi trent’anni di esistenza e spiega come sia arrivato a mettersi al servizio dei tedeschi per poter un giorno lavorare per gli inglesi!

    Juan nasce il 14 febbraio 1912 nei pressi di Barcellona. Sua madre, Mercedes García Guijarro, è originaria della città di Granada ma si trasferisce fin da bambina in Catalogna, regione cui sentirà col passare degli anni di appartenere assimilandone presto la lingua e la cultura. Da lei Juan erediterà l’aspetto minuto, la costituzione fisica delicata e lo sguardo al tempo stesso complice e ironico che mai l’abbandonerà. Suo padre, Juan Pujol Pena, è un piccolo impresario, onesto e di formazione umanista, che assicura un buon tenore di vita per tutta la famiglia. Juan ha un fratello, Joaquín, e due sorelle, Buenaventura e Elena. Una famiglia tranquilla, borghese e cattolica, modellata sui principi di tolleranza e di rifiuto della violenza perseguiti dal padre e sulla rigida disciplina religiosa promossa dalla madre.

    Il giovane Pujol negli anni trenta a Barcellona

    Quando muore il padre, nel 1933, Juan è ancora in cerca della sua strada. Pur essendo un giovane avido di apprendere, intelligentissimo e pieno di fantasia, al liceo non si è dimostrato un allievo particolarmente dotato. Gran lettore, appassionato di storia e geografia, predisposto per le lingue straniere, Juan abbandona gli studi prima di conseguire la laurea in Lettere e Filosofia, cui in un primo momento sembrava aspirare. Preferisce cimentarsi senza troppo attendere nel mondo del lavoro. Si lancia così, con suo fratello Joaquìn, in diverse imprese commerciali, diventando per qualche tempo gestore di un cinema e titolare di una piccola ditta di trasporti. Successivamente ha una sorta di vocazione per l’avicoltura ed entra nella Accademia di Arenys de Mar, conseguendo dopo sei mesi il relativo titolo professionale.

    Juan Pujol (in alto a destra) con la sua famiglia

    Juan Pujol García, in divisa dell’esercito repubblicano spagnolo

    Ma non avrà troppo tempo di praticare la sua attività di avicoltore. Poco prima dell’inizio della guerra civile spagnola (1936-1939), Juan viene infatti richiamato alle armi per prestare servizio presso il 7° reggimento di artiglieria leggera. Evento che certo non lo entusiasma, essendo animato da sentimenti profondamente pacifisti e contrari a ogni forma di violenza, secondo gli insegnamenti paterni intensamente recepiti. Si comporta in maniera corretta, impara ad andare a cavallo, fa insomma il suo dovere. Ma quando scoppia la guerra civile farà di tutto per non combattere nelle file repubblicane.

    Si rifugia allora presso la casa isolata di un suo amico, che costituirà per lui non sorta di santuario, dove vivrà nascosto per circa due anni e non sarà mai individuato nonostante le 17 perquisizioni operate dalla polizia!

    Solo nell’aprile del 1938 sarà finalmente scoperto.

    Arrestato e detenuto in attesa del giudizio, Juan riesce tuttavia a evadere, insieme ad altri cinquanta giovani, grazie alla sua prima fidanzata, Margarita, che si era rivolta al Soccorso Bianco, un’organizzazione clandestina incaricata di nascondere e proteggere i fuggitivi franchisti. Di nuovo il giovane catalano è costretto a una vita clandestina, cercando di cavarsela alla bell’e meglio con documenti falsi.

    Alla fine però verrà riacciuffato e non potrà evitare di arruolarsi nell’esercito repubblicano. Sempre con l’idea di disertare alla prima occasione utile. Diserzioni del resto che, in pieno svolgimento della guerra civile, sono abbastanza frequenti dai due campi, sia per motivi ideologici sia per finalità per così dire alimentari: si raggiunge insomma il settore dove si pensa di essere trattati meglio.

    Completato il prescritto addestramento, Juan viene spedito sul fronte di Tarragona nel periodo del contrattacco franchista dopo l’offensiva lanciata sull’Ebro. Ma Juan non abbandona il suo disegno di libertà. Non ama combattere, non ha un’anima militarista, non è repubblicano né comunista. Così, ancora una volta, nel settembre 1938 saluta le truppe repubblicane e si dilegua affamato e disincantato.

    Nella Spagna infuocata della guerra civile però non ha molta scelta: o da una parte o dall’altra. Nel gennaio del 1939 deve raggiungere il campo nazionalista sul fronte di Teruel. Presto si rende conto che il disegno falangista è nella sostanza teso a istaurare un regime dittatoriale, non molto dissimile da quello comunista. Non essendo quindi un franchista convinto, non riesce a reprimere le sue simpatie monarchiche. Una volta addirittura porterà il berretto rosso dei carlisti durante una cerimonia di appoggio a Franco. Verrà brutalmente fermato e arrestato. Dalle prigioni repubblicane a quelle franchiste!

    Dopo qualche giorno viene liberato, ma oramai Juan è convinto che la vita nella Spagna di Franco non sarà certo gradevole per le persone autenticamente democratiche. Ha sviluppato sentimenti di rigetto verso qualunque forma di oppressione. Non sopporta le dittature, di qualunque colore politico si ammantino e a qualsiasi latitudine si manifestino. Ha scoperto insomma di essere un convinto sostenitore della libertà.

    Nell’aprile del 1939 ha infine termine la guerra civile, il paese torna lentamente alla normalità. A Burgos Juan conosce la ragazza che nel 1940 diventerà sua moglie, Araceli Gonzalez Carballo. Una ragazza affascinante, dagli occhi di fuoco, intelligente, con una fortissima personalità, amante del lusso e delle belle cose. Entrambi sono animati da una vigorosa ambizione di riuscire nella vita e dalla decisa volontà di dare forma concreta ai propri sogni. Juan ha 28 anni, tuttora alla ricerca di favorevoli opportunità di lavoro e, per di più, ora ha anche una famiglia cui pensare. Capisce presto che per lui, non essendo membro del partito della Falange né sostenitore del regime, non si aprono molte strade in un paese peraltro messo in ginocchio da una terribile guerra civile che, oltre alla perdita di migliaia di vite umane, ha causato la devastazione di strutture industriali, l’impoverimento dell’agricoltura e la distruzione di importanti realtà produttive.

    Tutta l’attività economica, insomma, stenta a riprendere. La disoccupazione infuria.

    Per sopravvivere Juan risponde a un annuncio economico pubblicato su un giornale di Madrid. Si ritrova così gerente di un albergo nella capitale spagnola, l’Hotel Majetic, una struttura devastata dalla guerra civile, fatiscente, da rimettere in piedi e che ha conservato ben poco del passato splendore. Un sistemazione che non si addice proprio a una giovane coppia che freme, invece, di dar corso alle proprie smisurate aspettative.

    Juan Pujol e Araceli ai tempi del loro matrimonio nell’aprile 1940

    Il 1° settembre 1939 Hitler invade la Polonia. Scoppia la Seconda guerra mondiale. Juan sente che non può rimanere con le mani in mano. Se durante la guerra civile era rimasto al margine degli scontri tra le due fazioni, ora le cose sono diverse. La situazione gli è molto più chiara. Il male sta dalla parte dei nazisti, il bene nel campo degli alleati. Non può non schierarsi.

    Ed è in questo momento fluido della sua vita e della storia di Spagna che Juan comincia a pensare all’idea di diventare agente segreto nel campo alleato.

    Nel loro lungo interrogatorio di Londra, che andrà avanti per diversi giorni, gli esperti dell’MI5 moltiplicano le domande su questo specifico punto. Vogliono capire meglio, mettere a fuoco la personalità del giovane catalano, debbono essere certi che non stia tentando, a sua volta, un inganno a danno degli inglesi, in un sofisticato triplo gioco condotto da Berlino.

    In definitiva, come e perché il catalano Juan Pujol García è diventato spia dei nazisti?

    Juan continua quindi il suo racconto all’ufficiale dell’MI5, che per primo lo interroga, Desmond Bristow. Un agente molto esperto, gran conoscitore della Spagna e degli spagnoli, al quale è stato affidato il preciso incarico di capire se il catalano non stia mentendo.

    Pujol diventa Alaric, spia pro-nazista

    Capitolo II

    Pujol non ha troppo la stoffa dell’avventuriero, né tutto sommato è spinto unicamente da profonde ragioni ideologiche, pur se importanti come abbiamo visto. Il suo percorso durante la guerra civile spagnola era stato in effetti alquanto zig-zagante, assai curioso, prima con i repubblicani poi con i nazionalisti, ma sembrava in realtà che non avesse voluto stare né da una parte né dall’altra. Ha di sicuro coltivato sentimenti di rifiuto ogni forma di dittatura, considera Hitler "maniaco, brutale e disumano" ed è quindi sinceramente schierato dalla parte delle democrazie. Gli inglesi lo capiscono, ma nutrono ancora qualche dubbio.

    Juan lo percepisce e cerca allora, con una delle sue trovate tipiche, di offrire maggiori garanzie di affidabilità, introducendo anche un elemento di forte emotività personale per spiegare meglio la sua scelta. Da Hendon, un quartiere di Londra dove l’MI5 dispone di edifici sicuri, in uno dei quali è ospitata la strana spia, Juan spedisce una lunga lettera alla moglie Araceli, rimasta in Spagna. Le raccomanda in particolare di fare celebrare una messa in ricordo del fratello Joaquín " barbaramente assassinato dai tedeschi". Un argomento certo abbastanza forte, se non si trattasse di una storia del tutto inventata! Suo fratello in realtà è vivo e vegeto. Juan però sapeva che i britannici avrebbero letto la lettera prima della sua spedizione e sperava che l’assassinio del fratello a opera dei nazisti sarebbe stato considerato un ulteriore motivo per spingerlo a mettersi al servizio dell’MI5. Una giustificazione però inesistente nella realtà, emblematica della sua naturale propensione a inventare situazioni e personaggi.

    Juan, allora, nella sua forte determinazione di entrare nei servizi segreti inglesi, era forse attirato dall’eccitazione del doppio gioco, dal piacere che prova l’attore nel recitare più ruoli, nel vivere la vita di più personaggi, nell’affermare più verità allo stesso tempo? Difficile dirlo. Probabilmente non c’era un solo elemento alla base della sua vocazione. Diversi dovevano essere i suoi stimoli, dei quali peraltro è impossibile stabilire un ordine di priorità: senza dubbio l’ideologia democratica, ma anche lo spirito d’avventura, la propensione all’affabulazione, la specifica ostilità al nazismo e una moglie che lo incita ad avviarsi verso quella direzione e gli sarà di grandissimo aiuto nella sua trasformazione professionale. Il denaro in ogni caso non era la sua motivazione principale. Pujol, in effetti, guadagnerà molto di meno con i britannici. Anzi, come vedremo, tutta l’operazione Garbo sarà finanziata dai nazisti, che per tutta la durata della guerra continueranno a retribuire il loro validissimo agente Alaric! L’MI5 riserverà a Garbo solo una limitata percentuale delle somme che questi continuerà a ricevere dall’Abwehr di Madrid, il resto dovrà servire a finanziare la causa comune…

    In definitiva Pujol risulterà con le sue puntuali risposte del tutto convincente, il Security Service lo recluterà ribattezzandolo Garbo (evocando la grande attrice dell’epoca Greta Garbo) proprio per la sua straordinaria capacità di immedesimarsi nelle figure più disparate, delineando personalità coerenti e perfettamente credibili. Tutti i dubbi sono dunque svaniti?

    Forse no. Ma quando si addensavano sulla mente degli investigatori del controspionaggio residue nuvole nere sulla buona fede di Pujol e sulle sue reali motivazioni, queste venivano fugate da una certezza che si imponeva su tutte le altre circostanze: l’Abwehr mostrava di avere una tale fiducia nel suo agente catalano , da perdonargli anche gli errori che non di rado si riscontravano nei suoi resoconti. Questo solo contava. Un’occasione da non perdere, un’occasione che non si sarebbe ripetuta.

    Di conseguenza nelle mani dell’MI5, Pujol o meglio Garbo, poteva diventare un formidabile strumento di intossicazione dei tedeschi e a portarli a credere qualunque cosa… Soprattutto tenendo conto che l’ufficiale trattante, il regista di Garbo sarebbe stato una delle menti più brillanti e intuitive dei servizi segreti britannici: Tomás Harris.

    Juan Pujol Garcìa diventa agente doppio dell’MI5 (controspionaggio britannico)

    La collaborazione tra Pujol e Harris si rivelerà, in effetti, tra le più proficue e produttive nelle iniziative di Intelligence realizzate dagli alleati. Parlavano la stessa lingua, si intendevano perfettamente ed erano complementari. Tomás aveva estro creativo, Juan rendeva credibili gli stratagemmi immaginati.

    Nato nel 1908 da padre inglese e madre spagnola, Harris eredita un sicuro gusto artistico e un indubbio talento per la pittura dai genitori, i quali si riveleranno stimati esperti di arte spagnola, aprendo a Londra una galleria d’arte che riscuoterà ampi consensi: la Spanish Art Gallery. Da sempre coinvolto nelle attività della galleria familiare, il giovane Tomás segue studi di indirizzo artistico e soggiorna anche un anno a Roma Presso la British Academy.

    Nel 1931 organizza la sua prima, grande esposizione con quadri di Velasquez, El Greco e Goya, ottenendo un enorme successo. Esperto a sua volta della grande pittura spagnola, Harris si reca spesso alla ricerca di tele dei migliori maestri in Spagna, paese dove si muove a suo agio, parlando perfettamente il castigliano. Sempre elegante, ma di un’eleganza non conformista, spesso originale nei modi ma senza forzature, di aspetto costantemente scintillante, capelli e occhi neri, carnagione scura, Harris non ha granché del tipico uomo britannico.

    Nel 1934 conosce Anthony Blunt, che sarà una delle famose cinque spie della rete di Cambridge (insieme a Philby, Maclean, Burgess e Cairncross) ma che per il momento si sta facendo un nome come critico d’arte, anche attraverso i suoi editoriali sulla nota rivista Spectator. Un giorno Blunt consacra uno dei suoi brillanti articoli a un’esposizione organizzata dalla galleria di Harris, elogiandone il livello artistico, l’accuratezza e il significato. L’interessato ne è evidentemente molto soddisfatto e gliene è riconoscente. Nasce così un’amicizia destinata a durare a lungo.

    Tomás Harris, il geniale ufficiale del controspionaggio inglese che sarà il nume tutelare di Pujol

    Un’amicizia peraltro potenzialmente pericolosa data l’attività segreta di Blunt, di cui Harris però non è verosimilmente al corrente. Tomás avrà altre amicizie pericolose: gli agenti doppi Kim Philby e Guy Burgess. Tanto che dopo la guerra qualche sospetto di doppiogiochismo planerà sullo stesso Harris, il quale avrebbe potuto benissimo, come del resto i suoi amici, conciliare la propria attività filosovietica con quella di intelligence attiva a danno dei nazisti. In fin dei conti Londra e Mosca non erano durante la guerra fedeli alleate nella lotta contro il comune nemico nazista?

    La stessa prematura morte di Harris, avvenuta nel 1964 in Spagna, a causa di un confuso incidente automobilistico, aveva dato voce a ulteriori interrogativi. Dopo la fuga di Philby in Unione Sovietica nel 1963 e il deflagrare dello scandalo dello spionaggio sovietico in Gran Bretagna, sarebbe stato abbastanza credibile pensare all’eliminazione a opera di Mosca di un’altra fonte suscettibile di creare ulteriori imbarazzi diplomatici e complicazioni politiche…

    Scenario credibile, plausibile, ma che non è mai stato possibile scrivere con la benché minima prova documentale o riscontro storico. Nemmeno dopo l’apertura di numerosi archivi riservati, a 70 anni dalla fine della Seconda guerra mondiale e a 25 dalla caduta dell’URSS, sono apparsi elementi di una qualche rilevanza a sostegno della tesi di un Harris agente doppio. Anzi, dai messaggi inviati da Philby a Mosca emerge chiaramente che questi non era al corrente del contenuto dell’operazione Fortitude e non conosceva i trucchi e le finte immaginate dal suo amico

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