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Per pregare Dio, Padre di ogni uomo, con le parole di Gesù
Per pregare Dio, Padre di ogni uomo, con le parole di Gesù
Per pregare Dio, Padre di ogni uomo, con le parole di Gesù
Ebook926 pages14 hours

Per pregare Dio, Padre di ogni uomo, con le parole di Gesù

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L’autore, avendo scoperto la grande efficacia della preghiera insegnata da Gesù, dopo anni di studi e ripensamenti, vissuti in un voluto isolamento spirituale per scoprire i fondamenti della fede dovuta alle sole Sue parole, ora ne ripropone una lettura che vuole essere un atto d’amicizia per chi sente il bisogno di rivolgersi a Dio in un’intimità L’autore, avendo scoperto la grande efficacia della preghiera insegnata da Gesù, dopo anni di studi e ripensamenti, vissuti in un voluto isolamento spirituale per scoprire i fondamenti della fede dovuta alle sole Sue parole, ora ne ripropone una lettura che vuole essere un atto d’amicizia per chi sente il bisogno di rivolgersi a Dio in un’intimità assoluta e appagante. Dichiarandosi innamorato di Gesù, ma non osando definirsi Cristiano, per la purezza di questo termine, presenta tuttavia le considerazioni che parlano dei nostri rapporti con Dio “Padre di noi” perché, “come un bambino meravigliato”, a chi può ascoltarlo vuol dire: “Guarda, vedi e prova anche tu”.assoluta e appagante. Dichiarandosi innamorato di Gesù, ma non osando definirsi Cristiano, per la purezza di questo termine, presenta tuttavia le considerazioni che parlano dei nostri rapporti con Dio “Padre di noi” perché, “come un bambino meravigliato”, a chi può ascoltarlo vuol dire: “Guarda, vedi e prova anche tu”.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateSep 30, 2013
ISBN9788891122049
Per pregare Dio, Padre di ogni uomo, con le parole di Gesù

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    Per pregare Dio, Padre di ogni uomo, con le parole di Gesù - Giannantonio Viola

    *

    FASCICOLO PRIMO

    PERCHÈ DIO – PERCHÈ LA VITA

    ARGOMENTI

    PERCHÈ DIO.

    Premessa.

    Vie d’indagine per cercare Dio.

    L’INTELLETTO CERCA DIO.

    Con la filosofia. Pensieri.

    La condizione che può reggere una fede.

    Ascoltando la voce della natura.

    Considerando il caso quale creatore.

    Una ragione altra dal caso e da Dio.

    Indagando con la scienza. (Nota).

    Il senso di alcune parole.

    Bene- Dolore- Male- morte- Polvere del suolo- Sofferenza- Vergogna- Vita.

    La vita.

    Il tempo.

    Lo spazio.

    La materia.

    Legame tra materia, pensiero e spirito.

    Che cosa o chi siamo.

    La verità e la ragione d’essere di Dio.

    Nota sul principio di causa-effetto.

    VERSO UN DIO CREDIBILE. Introduzione.

    Attendibilità della Bibbia. Storicamente e come parola di Dio.

    La lettura della scrittura ebraica

    L’alfabeto ebraico.

    DIO SI FA CONOSCERE.

    Parte prima. Il diritto d’essere il creatore.

    Dall’Esodo.

    Rivedendo i brani scelti.

    PERCHÉ LA VITA (Questa nostra vita).

    Dal libro della genesi. Premessa.

    Genesi. Il testo.

    Rivedendo i brani scelti. Introduzione.

    Analisi dei brani scelti.

    Dal versetto 1/1 al versetto 1/25. La creazione dell’universo.

    Dal versetto 1/26 al versetto 2/24. La creazione dell’uomo.

    Il senso di alcune parole.

    Dal versetto 3/1 al versetto 3/24. La ragione della nostra vita.

    CONCLUSIONE DELLA PARTE PRIMA.

    * * *

    PERCHÈ DIO.

    PREMESSA.

    Com’è noto, di fronte alle difficoltà della vita l’umanità ha elaborato il pensiero dell’esistenza di esseri superiori, che, definiti Dei, dirigono ogni nostro destino.

    Così questa idea, da sempre compagna dell’umanità in risposta alle sue paure, perlopiù dovute all’ignoranza delle leggi naturali e ad una concezione fantastica degli eventi, ha fatto concepire divinità d’ogni tipo per ogni occasione.

    Pensate sacre, temute e adorate, queste potenze sono state immaginate con aspetti umani o con sembianze di bestie variamente combinate, a governare il fuoco e la pioggia, l’amore e la guerra, e ogni altra possibile evenienza di cui l’uomo riscontri la sua incapacità di dominio; ancora oggi, senza fine.

    In genere, quali che siano, tutte queste divinità sono state immaginate con la possibilità d’essere invogliate a intervenire in favore di chi le prega con fede, offrendo loro ogni cosa sacrificabile e ogni sofferenza dovuta ad autoimposizioni di tormenti corporali secondo le più diverse forme di religiosità.

    Infatti, le espressioni di fede sono certamente infinite come le preghiere rivolte agli Dei, a volte espresse nel più intimo raccoglimento ed altre volte pronunciate con forza con altri fedeli dello stesso credo, cantate da un luogo elevato da un maestro di preghiera o affidate a canne vibranti nell’aria o, ancora, scritte su bandierine che le consegnano al vento, o scritte su fogli nascosti tra i sassi di luoghi sacri per consegnarle direttamente alla propria divinità.

    Ma, affinché l’atto di pregare (un) Dio non sia un gesto inutile o sciocco, occorre poter credere non solamente nella sua verità nell’Essere, ma anche nella sua capacità e volontà di ascoltarci e di risponderci.

    Infatti, per lasciare maturare in noi un convincimento della sua presenza nell’universo della nostra esperienza terrena, forse vorremmo che fosse visibilmente buono e giusto e sempre attento a predisporre e garantire per noi le condizioni di vita migliori che potrebbero indurci a riconoscerlo ed amarlo.

    Però, poiché le sofferenze del mondo paiono veramente negare ogni testimonianza del suo essere su di noi e per noi, è forse addirittura un atto di violenza voler parlare di Dio come Essere vero, buono e consolatore, a chi vive in sé una condizione di dolore senza fine, o a chi ha perso ogni certezza sociale e ogni affetto per un lento abbandono o per un tragico evento, o ancora, a chi non vede attorno a sé altro che morti cruente dovute alla ferocia umana priva d’ogni misericordia.

    Perciò, queste pagine, sono rivolte a chi ha bisogno di trovare ragione delle condizioni di vita sue o di chi gli sta a cuore, nella speranza che, alfine, possa comprendere, accettare o rafforzare, il pensiero che la ragione della nostra esperienza terrena sia attribuibile unicamente a Dio che qui chiamiamo Padre e che Gesù dichiara essere il solo buono.

    Qui, fortunatamente, già solo per questo primo fascicolo, potremo alfine scoprire che il fondamento di questa bontà è riconoscibile nella ragione della nostra vita presente, costretta a volte tra spine e tribolazioni e alla dissoluzione finale per quella nostra sora morte corporale di cui Francesco d’Assisi diceva: Laudato si’ mi’ Signore.

    Oggi poi, che con la comprensione scientifica di ciò che accade nel mondo fisico che ci circonda, si è abbandonata la considerazione del mito a favore di quella del fenomeno (per cui  il fulmine è riconosciuto non più come l’espressione d’una violenza punitiva di un Dio nascosto tra le nubi, ma come un fenomeno fisico tra campi elettrici, persino in parte domabile ed evitabile).

    Ora,per cercare cerchiamo la conferma dell’esistenza di un Dio, ragione di un universo e partecipe all’esistenza d’ogni cosa creata, che possa essere utilmente pregato, abbandonandone ogni immaginazione fantastica, possiamo tentare di ritrovarla nella realtà in cui viviamo.

    E questo è ciò che faremo.

    Matteo 13/52: Ed egli disse loro: Per questo ogni scriba divenuto discepolo del Regno dei Cieli è simile ad un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche.

                                                   * * *

    VIE D’INDAGINE PER CERCARE DIO.

    Abbiamo detto: Ma, affinché l’atto di pregare Dio non sia un gesto inutile o sciocco, occorre poter credere non solamente nella sua verità nell’Essere, ma anche nella sua capacità e volontà di ascoltarci e di risponderci.

    Dunque, dubbiosi come il Tommaso apostolo di Gesù che può essere in ciascuno di noi, per pensare che Dio sia una cosa vera e pertinente a ogni uomo, qui vogliamo poterlo riconoscere come verità presente nella realtà concreta del nostro mondo e della nostra vita, perché, un Dio immaginario qui non interessa.

    Perciò, volutamente liberi da ogni fede preconcetta, per il tema L’intelletto cerca Dio, ci inoltreremo per sei vie d’osservazione, secondo i temi seguenti:

    * Con la filosofia.

    * Ascoltando la voce della natura.

    * Considerando il caso quale creatore.

    * Una ragione altra dal caso e da Dio.

    * Indagando con la scienza.

    * La ragione e la verità d’essere di Dio.

    E le scoperte che si sveleranno alla nostra attenzione, potranno essere constatazioni di realtà a volte meravigliose, perché, come leggiamo nel decimo versetto del ventiseiesimo capitolo del Vangelo di Matteo, Gesù disse: Non c’è nulla di nascosto che non debba essere svelato e nulla di segreto che non debba essere conosciuto. Così, se potremo pensare che Dio sia ritrovabile in noi stessi e nel nostro presente e potremo riconoscerlo come Padre di noi, finalmente potremo accostarci all’esame della nostra preghiera con tutta la fede e la speranza necessarie.

    * * *

    L’INTELLETTO CERCA DIO.

    CON LA FILOSOFIA.

    Quando gli avvenimenti della nostra esistenza ci pongono interrogativi sul significato della nostra vita e sull’uso che possiamo farne e sui perché delle varie sofferenze che colpiscono l’umanità, non ritrovandone o non volendo riconoscerne le cause in noi, forse ne vorremmo in ogni caso una spiegazione. Per questo possiamo lasciar correre per ogni dove la fantasia accettando ogni mito o possiamo utilizzare ogni nostra facoltà per cercare una ragione credibile e verificabile e, come abbiamo appena ricordato, anche pensando ad un Essere personale, che per antica consuetudine, in varie forme equivalenti, è chiamato Dio.

    Ma, poiché è con le capacità di immaginare, riflettere e argomentare, che può svilupparsi la ricerca delle cause prime di ciò che vogliamo riconoscere come esistente, inizieremo a vagliare alcuni pensieri volti a questo scopo.

    Notando che coloro che sono ritenuti maestri di questo tipo d’indagine, detta filosofia, generalmente argomentano gli stessi dubbi e le stesse certezze che ogni persona prima o poi esamina sui perché della vita, possiamo iniziare un percorso verso la conoscenza di Dio, proprio iniziando con la lettura di alcuni loro pensieri.

    Però, trattandosi di considerazioni ben riconoscibili da chi ne pratica una certa frequentazione, qui non ne saranno citati gli autori, perché, per una lettura senza condizionamenti, a ogni brano si possa attribuire il valore che personalmente sentiamo di dovergli assegnare per la verità o il dubbio che ci trasmette.

    Qui, quelli raccolti, patrimonio della cultura occidentale, sono ricordati seguendo il corso dei tempi, con una datazione indicativa della loro enunciazione riportata da vari testi di filosofia anche scolastici.

    * Riguardo agli Dei, non ho la possibilità di accertare se sono o se non sono, sia per l’oscurità dell’argomento, sia per i limiti della vita. (V sec. a. C.).

    * Perché Dio, che, totalmente felice in sé, ha voluto creare l’uomo perché l’adorasse e lo onorò tanto da creare tutto un mondo per lui, da farlo signore dei viventi, da amarlo come un figlio, lo fece afflitto da ogni male? (III sec. C.)

    * Se Dio vuole togliere i mali del mondo e non può, allora non è Dio perché risulta impotente.

    O può e non vuole e allora è invidioso, ossia nutre sentimenti di astio per la nostra condizione e non può essere considerato Dio. O non vuole e non può. Allora certamente non è Dio.

    Se vuole e può allora è Dio.

    Ma allora, dunque, da dove vengono i mali del mondo? E se non vengono da Lui, perché li permette? (I sec. a. C.)

    * Se esiste qualche cosa che l’uomo non ha potuto o non può creare, chi lo ha creato è superiore all’uomo. E chi è stato e continua a essere superiore all’uomo se non Dio?

    Dunque Dio esiste. (I sec. a. C.)

    * Se Dio non interviene nelle questioni della vita, da che cosa si comprende che Dio esiste? (I sec. a. C.)

    * Credere è così assurdo che quindi credo. (II sec.)

    * Non cerco di comprendere per poter credere, ma credo per poter comprendere. (1100)

    * Alcune cose sono semplicemente possibili perché si generano e si corrompono e quindi possono essere o non essere. Ora, è impossibile che tali cose siano sempre state. E quello che può non essere, qualche volta sicuramente non è. Perciò tutte le cose possono non essere. Quindi c’è stato un inizio delle cose e prima niente è esistito.

    Ma se ciò è vero, ora nulla esisterebbe, perché ciò che è non viene all’esistenza se non per mezzo di ciò che è.

    Se nulla avesse avuto l’Essere, sarebbe stato impossibile che qualche cosa avesse incominciato a esistere e così niente esisterebbe, ma riconoscendo l’esistere della nostra vita e del mondo, ciò è evidentemente falso.

    Questa necessaria possibilità dell’Essere, che deve esistere, è ciò che chiamiamo Dio. (1200)

    * Con i dogmi della fede si deve fare come con le pillole delle medicine: bisogna ingoiarle subito senza masticarle. (1600)

    * La paura che accompagna la vita di troppe persone si divide in buona e cattiva: la buona nasce dalla fede nel Dio in cui si crede, la cattiva è unita al timore di un Dio in cui non si crede. Gli uni temono di perderlo, gli altri temono di trovarlo. (1600)

    * Negare il caso non vuol dire affermare l’esistenza di Dio, potrebbe esserci una causa del mondo che non sia né il caso, né Dio. (1700)

    * Non userò il termine Dio perché il suo significato non è mai stato definito con chiarezza e perché forse non ci sono due persone che ne abbiano la stessa idea. Ne consegue che le discussioni su di esso non avranno mai fine. (1700)

    * Gli uomini hanno sempre tratto le loro convinzioni dell’esistenza delle divinità dall’ignoranza, dalle paure, dalle calamità. Gli uomini che hanno tremato si sono fatti le loro divinità. Dunque fu nel laboratorio della tristezza che l’uomo forgiò i suoi Dei. A essi sacrificò ogni sorta di bene materiale, i suoi giovani, i suoi figli. Il loro culto s’intreccia alla vita e finisce per oscurarne ogni conoscenza attribuendo a essi l’origine d’ogni avvenimento. La vita, non più cosciente e libera in sé, diventa condizionata dalla religione che il timore ha voluto che si inventasse. (1700)

    * Perché sostituire la fede con la celebrazione della Verità che nessuno conosce e con la Ragione che non ha mai asciugato una lacrima? (1800)

    * Si conosce l’uomo dal suo Dio e l’Iddio dall’uomo che lo pensa. La conoscenza di Dio è la conoscenza che l’uomo ha di sé stesso. (1800)

    * Se la teologia vuol definirsi conoscenza di qualche cosa, deve diventare veramente scienza naturale e conoscenza della realtà dell’uomo. (1800)

    * Se ci sono atei, vuol dire che le prove su Dio non valgono niente ed è alquanto imprudente fornire prove insufficienti perché, proprio queste, sono le più adatte a rafforzare l’ateismo. (1800)

    * Se per ogni esistenza vogliamo che ci sia una causa, allora dobbiamo volere una causa anche per Dio, ma se dobbiamo pensare che Dio abbia la sua causa in sé stesso, allora dobbiamo pensare che anche il mondo può avere la sua causa in sé stesso. Senza avere necessariamente bisogno di Dio. (1800)

    * Se il concetto Dio è sopra dell’intelletto umano ed irraggiungibile, allora è indefinibile e per ciò stesso indimostrabile. (1900)

    * E’ impossibile parlare di Dio per comprenderlo. Non possiamo ritenerci al di fuori di Dio per comprenderlo. Ogni parlare di Dio, persino il definirlo buono, è destinato a essere l’espressione di una non conoscenza della Sua realtà. (1900)

    * Dobbiamo riconoscere Dio in quello che conosciamo, non in quello che non riusciamo a conoscere. (1900)

    * Credere in Dio vuol dire accorgersi che quest’esistenza in cui ci ritroviamo ha una qualche cosa d’incomprensibile, perché non ne capisco né la necessità né il fine. Credere in Dio vuol dire capire che la vita è una questione. (1900)

    * Non posso immaginarmi un Dio che ricompensa e punisce l’oggetto della sua creazione, un Dio che soprattutto eserciti la sua volontà nel modo in cui l’esercitiamo noi stessi. (1900)

    * La conoscenza di Dio è allo stesso tempo conoscenza e rinuncia alla conoscenza. (1900)

    * Non è che la mentalità moderna neghi l’esistenza di Dio, è che non riesce a dare un senso alla parola. (1900)

    * La fede ammette così poco il dubbio, che ci si può chiedere come si possa discuterne razionalmente. (2000)

    * Ho visto così tante atrocità insopportabili in pace e in guerra, che Dio non può permettersi di esistere. (2009)

    * * *

    LA CONDIZIONE CHE PUÒ REGGERE UNA FEDE.

    Dalla lettura dei brani filosofici scelti, emerge che già prima di Cristo si ragionava di Dio perlopiù accettandolo quale creatore del tutto con discussioni che quindi non riguardavano tanto la sua esistenza quanto le sue qualità, soffermandosi su ogni dubbio che potesse scaturire dalla constatazione dei mali del mondo. Qualità che potevano essere: la conoscenza del tutto e d’ogni singolarità, la potenza e la bontà, per concetti che possono avere diverse valenze. Infatti, secondo la nostra libera fantasia, un Dio può essere immaginato buono se pensato pronto all’amore, al perdono e all’aiuto, ma può invece essere considerato buono e giusto, se pensato pronto a concedere favoritismi e vendette a chi lo invoca per l’affermazione di egoismi anche rovinosi per gli altri.

    Così, discutere tanto di Dio senza definirne concordemente e inconfondibilmente il concetto, è tanto più assurdo quanto più chi ne vuol discutere si propone come maestro di pensiero.

    A proposito ricordo un medico, curioso delle possibilità terapeutiche non convenzionali che, dopo aver voluto ascoltare che cosa pensassi della vita, ritenendosi molto colto mi disse: Lei mi sembra uno che vuole scalare l’Everest senza nessuna attrezzatura; legga Platone.

    Ma ricordo anche una delle persone a me più care al mondo, che dopo una vita trascorsa seguendo l’evoluzione continua del pensiero filosofico alla ricerca della verità, in tardissima età, alla domanda posta in vera attesa di un’opinione condivisibile: Allora che cosa è la vita?, con una leggera alzata di spalle rispose: E... boh?. E per questo lo amai ancor di più.

    Ma dunque, se non basta dire Platone, proviamo a dire Gesù?

    Però, se notiamo che tra i pensieri filosofici citati che pongono in discussione l’esistenza di Dio, non ne compare nessuno suo, dobbiamo ricordare che, secondo i Vangeli, Gesù non pone la ricerca di Dio ma Lo presenta.

    Ora, poiché per essere liberi da ogni fede preconcetta e credere in un Dio, dobbiamo poterlo riconoscere come verità attinente alla realtà del nostro mondo, non ci rimane altra possibilità che quella di cercarlo in quella che crediamo essere la verità della nostra esistenza chiedendoci che cosa siamo noi stessi e che cosa sia ciò che chiamiamo realtà.

    Questo perché la fede che potremmo far nostra, non dovrà nascere dal pensiero credo per comprendere, ma dal suo ribaltamento voglio comprendere per poter credere.

    Però, nell’inseguire pensieri sempre più analitici alla ricerca della verità della nostra vita, può capitare di sentire la grande intollerabilità dei nostri vincoli naturali, con la mente che vuole liberarsi dall’immanente o da ciò che è il nostro essere qui, ora. E le domande sulla nostra realtà e su Dio sembrano svanire e perdere ogni carattere di primaria importanza, perché l’interrogativo di base d’ogni pensiero e d’ogni ragionamento, diventa: Ma perché è l’Essere?. E non nel senso di chiedersi se sia meglio vivere o non vivere, ma nel senso di chiedersi: Perché l’Essere e non il Nulla?, e riandare a un universo di studi, trattazioni ed enunciati su che cosa siano per noi l’Essere e il Nulla.

    Però, questo interrogativo che sembra non poter avere una risposta ragionevole, forse ne ha l’unica nella constatazione del fatto che, se crediamo di esistere, allora l’Essere c’è, essendo possibilità migliore del non essere; migliore nel senso di più potente, invincibile e irremovibile.

    Tuttavia, se non vogliamo ritenere come sufficiente questo pensiero di pura constatazione, forse possiamo accettarlo come soddisfacente, perché, come presenti nell’Essere, anche per noi l’Essere è opzione migliore o almeno vincente del non Essere.

    Perciò, l’Esistente che ci contiene può essere immaginato come l’espressione di una verità assoluta cui tutto, il Nulla compreso, è relativo.

    Infatti, per giustificare la preminenza dell’Essere sul Non Essere, occorre affermare che l’Essere ha, o deve avere la sua giustificazione.

    Quando si tende a definire la ragione e la giustificazione dell’Essere con Dio, occorre convenire che questi, per essere pensato come causa e origine unica del tutto, deve avere in se stesso la ragione del suo esistere, o che, per altra espressione, deve potersi riconoscere come l’Unico Essere assoluto, ossia come l’Essente.

    E questi, come vedremo, è il Dio biblico che si definisce Yahweh, inteso come Colui che è, o Colui che solo è.

    * * *

    ASCOLTANDO LA VOCE DELLA NATURA.

    Ora, precisato il concetto fondamentale per una fede in Dio , riprendiamo la nostra ricerca lasciando correre il pensiero allo splendore di una notte stellata, alla bellezza delicata di un fiore, alla complessità della vita sociale di api e formiche e ad ogni meraviglia di una creazione che non smette di stupirci.

    Guardando il mondo naturale che ci circonda e vedendone la grandezza e la magnificenza, molte persone dicono: La natura ci parla di Dio. E con ciò vogliono affermare che le immense bellezze del mare, delle catene dei monti, del cielo e delle stelle e la stupenda varietà delle innumerevoli forme viventi, sono la conferma dell’esistenza di Dio, della sua volontà e capacità creatrici e del suo amore infinito espresso dal dono di tutto questo alla vita dell’umanità.

    Un aspetto meraviglioso della natura sono poi le condizioni cosmiche e fisiche che rendono il nostro pianeta adatto alla vita.

    Condizioni che ne sono la massa e dimensione e la forza d’attrazione, verso il suo centro che non ci lascia sfuggire nell’universo, tanto calibrata da essere perfettamente adatta alla nostra struttura corporea. Ma anche la sua distanza dal sole e lo spessore e la consistenza dell’atmosfera che la circonda per garantirle una giusta irradiazione di luce e calore e renderla un luogo ideale per lo sviluppo biologico di tutte le forme viventi. Infine, il giorno e la notte per la vita attiva e per il riposo e l’avvicendarsi delle stagioni che permettono e garantiscono cicli ambientali adatti ad ogni specie vivente.

    Diffusamente anche in ambito culturale, data la loro estrema perfezione, queste condizioni paiono testimoniare con ogni evidenza l’esistenza di (un) Dio e la perfezione della sua opera creatrice, pensata e realizzata in modo straordinariamente ammirevole, per creare un privilegiato posto per la vita dell’uomo.

    Per questo, molte persone deducono che la natura ci parla di Dio.

    Per altro verso però, occorre notare che proprio la natura origina le più sconvolgenti catastrofi: i tremendi terremoti che distruggono edifici e servizi di intere città, le piogge torrenziali che creano incalcolabili danni all’agricoltura e ad ogni imprenditorialità su aree vastissime, le eruzioni vulcaniche e i grandi incendi boschivi, le siccità e le desertificazioni inarrestabili che annientano ogni possibilità di vita e le epidemie di malattie sempre nuove e incurabili, che ammorbano paese dopo paese.

    Ma così, se per parlare alla nostra coscienza, la natura deve usare un linguaggio terrificante, il pensiero dell’esistenza di un Dio pertinente a tutto questo diventa insopportabile. Anche perché, se, secondo un pensiero che gode di una qualche diffusione, volessimo ritenere le forze nemiche della natura come punizioni divine per le nostre colpe, vorremmo anche poter dire che, punendoci, quel Dio sarebbe ingiusto e inaccettabile, perché, se è Lui che ci ha creati, è Lui che ci ha fatti tanto deboli da essere soggetti ad errori imperdonabili.

    Inoltre, un evento crudele, che strazia la fede in Dio quale Padre buono, è la nascita di un (nostro) figlio con una difficoltà mentale o fisica, tanto grande da minarne le possibilità di una vita almeno sopportabile.

    La conclusione di queste considerazioni sulle sofferenze del mondo è che, di un Dio reale e buono non si vuole proprio sentir parlare.

    Però, se questa disposizione d’animo pare ben giustificata, dobbiamo rilevare che una natura nemica non ci consegna indiscutibilmente la negazione dell’esistenza di Dio, ma che, più facilmente e sicuramente, ci fa capire che il Dio, che potremmo pensare presente in, e per, questa natura, non corrisponde al Dio che vorremmo.

    Così, per una ricerca di mediazione, non di rado si tenta di presentare come verità il pensiero che il mondo sia tutto organizzato meravigliosamente bene e che le sue anomalie siano solamente l’effetto di scelte umane scriteriate.

    E, a sostegno di questa tesi si richiamano alla mente: l’uso imprudente e improprio delle fonti energetiche, l’inquinamento delle acque e dell’atmosfera, le deforestazioni indiscriminate, il disordine morale che diventa fonte di epidemie di mali incurabili e quant’altro di distruttivo si possa immaginare. Tuttavia, pur se occorre riconoscere una verità anche a questo pensiero, è facile rilevare che ben poco può fare l’uomo per evitare e contrastare la deriva dei continenti, i terremoti, le eruzioni vulcaniche, i maremoti, gli uragani, i tornado e la continua insorgenza di nuove malattie.

    In effetti, con questi fatti l’umanità convive fin dai suoi albori, quando le scelte umane, orientate alla sola ricerca della sopravvivenza in un mondo pieno di difficoltà e d’insidie, non potevano certo influire sulle potenze della natura, né turbarne gli equilibri ecologici in modo irreparabile.

    Perciò, se vogliamo sostenere che la natura ci parla di Dio, dobbiamo ammettere che ce ne parla in modo alquanto contraddittorio senza saperci offrire nessuna comprovata conoscenza di Lui.

    * * *

    CONSIDERANDO IL CASO QUALE CREATORE.

    Questo terzo percorso d’indagine, qui considerato esaminabile per la ricerca di Dio, in realtà è perlopiù usato per negarne l’esistenza con un’indiscutibilità che vuole essere evidente. Infatti, è il pensiero che prende spunto dall’affermazione che la prima particella del mondo e poi tutto il suo sviluppo e tutta la sua realtà abbiano avuto inizio per pura casualità, senza nessun progetto, senza nessuna legge e senza nessuna apparente ragione.

    Così, per quest’ipotesi, la necessità dell’esistenza di un Dio ideatore e creatore sarebbe del tutto ingiustificata e del tutto ininfluente la sua continua presenza o la sua perpetua assenza nell’universo che sperimentiamo. Anzi, la sola idea di Dio, sarebbe del tutto inutile, quand’anche non sciocca o intellettualmente dannosa.

    Fortunatamente (almeno per la nostra eventuale scelta di preghiera), la tesi dell’assoluta casualità quale legge degli eventi possibili per la nascita dei primi elementi delle realtà materiali, stabili anche se infinitesimali, pare che non possa proprio reggere a un esame delle probabilità di una realizzazione degli eventi basilari per la loro formazione.

    Infatti, ammettere che il mondo sia iniziato e continui ad esistere per caso, equivale ad affermare che la prima particella di materia del nostro universo sia stata generata dall’incontro, del tutto casuale, di alcune realtà totalmente sconosciute e improbabili, vaganti in una condizione indefinita, che si sono organizzate per formare stabilmente i primi atomi. Ma poi che, per ammissioni sempre più inverosimili, ancora per caso, si siano create infinite diverse molecole a formare per caso ogni gas, ogni liquido, ogni minerale e poi, per caso, le prime micro-gocce del cosiddetto brodo primordiale dove si ipotizza che si sia formato il primo germe di vita. E poi, sempre per caso, gli infiniti esseri unicellulari e l’inizio del processo della riproduzione, per originare ogni erba, ogni pianta, ogni fiore, ogni animale del mare e ogni animale della Terra e ancora, sempre per caso, le stelle, i pianeti, i buchi neri, ogni forma della materia, e l’immensa realtà dell’antimateria e quella della materia oscura. E poi e poi e poi tutto, tutto per caso!

    Ma se, per una fede così incredibile, si ammette l’ipotesi d’una simile casualità costruttiva, per una minima coerenza logica, si deve ammetterne una equivalente de-costruttiva, che avrebbe dovuto, con la stessa determinazione e la stessa puntualità demolire e disperdere ogni tentativo costruttivo. Il tutto a dar vita ad un immaginario fai e disfa, per cui, già per ottenere un solo atomo, la prevalenza delle libere associazioni costruttive su quelle distruttive dovrebbe essere stata così grande da risultarne un’ipotesi di probabilità al di fuori della sua stessa definizione di evento di casualità.

    Se mai il processo casuale costruttivo avesse potuto realizzarsi, non avrebbe mai dovuto potersi stabilizzare. E se si vuol dire che questo pensiero è contro l’evidenza, perché il mondo esiste, la risposta è: Sì, ma non per caso.

    Infatti, si può poi anche notare che le rocce terrestri che si formano ancora oggi per raffreddamento di magma lavico, sedimentazioni e processi di mineralizzazione e cristallizzazioni di composti più o meno semplici, presentano gli stessi elementi chimici e le stesse strutture fisiche di quelle risalenti a milioni di anni fa e di quelle delle origini del nostro pianeta.

    Se possono variare e sono variati e variano in continuazione i caratteri ereditari delle specie viventi e la combinazione degli elementi fondamentali della materia, da che si è formata la Terra ed anzi l’universo, non c’è caso che abbia fatto né che faccia variare gli elementi chimici e dinamici che ne costituiscono la sostanza.

    E tanto meno che le rocce si trasformino in esseri viventi.

    Perciò, se, infine, si volesse immaginare una casualità costruttiva mirata, con una sua legge particolare, uni-direzionale, si ritornerebbe, di fatto, al concetto di un disegno creatore dovuto a Dio o a un’altra ipotetica causa, tutta da immaginare e definire.

    A proposito, ricordo un trattato d’un matematico, alquanto simpatico, che paragonava la possibilità creatrice del caso a quella di un vento che sulla sabbia di una duna formi la lettera I e poi di seguito, ben allineate con quella, le lettere O e V e poi ancora, senza distruggere nulla di quanto ha formato, ancora il vento, anteponga, alle tre già costituite, la lettera G e lasciando tutto in ordine, casualmente sappia completare il tutto fino a scrivere il nome GIOVANNI; pure con le virgolette.

    Quel matematico, amabilmente, concludeva: Impossibile.

    E la più piccola aggregazione di energia, organizzata a formare l’entità minima della materia, si regge su una composizione di forze che richiede un processo costituente infinitamente più complesso di quello descritto e che, ancora oggi, non è nemmeno del tutto immaginabile. E dunque, se vogliamo spiegare con il caso la formazione del mondo e di tutte le disposizioni per la sua continuazione, bisogna ammettere che sia esistita e che continui ad esistere una casualità costruttiva preminente in grado di creare stabilità, con leggi precise e permanenti, che ne permettono la continuazione e l’evoluzione.

    Persino l’idea di alcuni studiosi, che vorrebbero vedere l’evoluzione degli esseri viventi come frutto di un continuo susseguirsi di casi privi di una qualsiasi giustificazione, non regge a fronte di chi per via di analisi più attente sulle variazioni dei caratteri ereditari, preferisce vederne cause precise e naturali nei cambiamenti ambientali e nella selezione spontanea per la sopravvivenza o in quella artificiale dovuta all’intervento umano.

    Insomma, l’ipotesi che tutto ciò che costituisce il nostro mondo sia dovuto al caso libero, non si sa proprio dove possa trovare un appiglio sostenibile.

    Oggi poi si sa che persino l’apparente casualità di una spirale di fumo segue regole caratteristiche ben visibili e matematicamente bellissime.

    La casualità non è una prova attendibile di nessuna realtà e le argomentazioni sulla possibilità che il caso sia il costruttore del nostro universo non possono negare l’esistenza di principi fondamentali e statuti permanenti per la sua organizzazione ed evoluzione,

    Così alfine, per ragionare sull’origine di un universo, pare che si imponga una ricerca attenta e motivata, libera da pensieri volutamente irremovibili, piuttosto che la negazione di un disegno originale e di una sua possibile giustificazione.

    * * *

    UNA RAGIONE ALTRA DAL CASO E DA DIO.

    Nel ricordo d’alcuni tratti filosofici, avevamo letto che negare il caso non vuol dire affermare l’esistenza di Dio, perché potrebbe esserci una causa del mondo che non sia né il caso, né Dio, per un’ipotesi che pone un quesito meno trascurabile di quanto possa apparire, tanto che sarebbe forse opportuno saperne immaginare risposte verificabili.

    Ma, fino ad oggi quest’idea ha permesso solamente di immaginare che tutto il sistema di forme materiali che vediamo, sia frutto di una illusione virtuale elaborata da una qualche mente superiore o che abbia origine da una del tutto diversa, indefinibile e inimmaginabile realtà, che però rimane quindi priva di riscontro.

    Infine, se, seguendo un’idea dei sostenitori dell’esistenza di un sistema di infiniti universi paralleli nel tempo e nello spazio, si volesse pensare di aver trovato la ragione del mondo, si vede bene che i nostri interrogativi si trasferirebbero solamente a un’ipotesi ancora meno certa di quella che può impostarsi su ciò che di un unico nostro universo vediamo o crediamo di vedere come reale.

    Insomma, non sapendo proprio tratteggiare un sostegno al pensiero di una causa d’origine della nostra vita in questo nostro spazio, che non sia retto dalla conoscenza della nostra esperienza terrena, finalmente possiamo provare a inoltrarci nell’esame delle realtà dell’esistente, vagliando ciò che, del nostro mondo, la scienza afferma d’aver scoperto come certo e sostenibile.

    * * *

    INDAGANDO CON LA SCIENZA.

    NOTA.

    Poiché la sola osservazione degli aspetti visivi esteriori e le ipotesi concettuali della realtà che ci circonda e ci costituisce, non riescono a darci nessuna certezza di verità, tentiamo un’ultima e diversa via d’indagine.

    Ma, per rendere inequivocabili i pensieri che seguiranno, alcuni termini che incontreremo dovranno essere intesi con il significato per cui saranno usati.

    Perciò, facendo ricorso ai dizionari citati al termine di questo testo, ma anche a precisazioni che si renderanno necessarie nel corso delle considerazioni relative ai vari argomenti che affronteremo, qui di seguito ne è proposto un glossario che, sperato non pedante, vuole essere inequivocabile nell’interesse comune.

    * * *

    IL SENSO DI ALCUNE PAROLE.

    PER CUI SARANNO USATE NELLE PAGINE SEGUENTI

    Assoluto. Come di norma, anche qui, per assoluto intenderemo ciò che non è relativo, ossia ciò che ha in sé il motivo e la ragione del riconoscimento del suo essere, dei suoi valori e delle sue qualità e ciò che è definibile e riconoscibile come vero per se stesso. Il colore bianco non è una qualità assoluta della neve perché dipende dalla luce che la illumina; il tempo non è un concetto di una realtà assoluta, perché è relativo a quello del divenire.

    L’Essente, è invece pensato come cosa assoluta, perché, pensato quale ragione del tutto, deve avere la propria giustificazione in sé.

    Coscienza: È una è parola cui si affidano vari significati.

    Qui, per i diversi usi, si distinguerà in coscienza di sé e in coscienza morale che, per un’espressione usata da Gesù per insegnarci a pregare in modo conveniente, è intesa come la dispensa di sé dell’uomo. Concretamente è intesa come la componente del nostro spirito cui fanno capo i pensieri ed i giudizi dei fatti che interessano la sfera individuale. Può essere formata con pensieri buoni o cattivi, elevati o spregevoli.

    La coscienza di sé o coscienza dell’Io interiore; in psicologia indica il riconoscimento che la mente ha di se stessa e dell’esistenza dell’individuo che la percepisce ed è, o può essere, pensata come facoltà e qualità ereditaria, parte e frutto del programma individuale detto D.N.A.

    La coscienza morale, ancora in ambito psicologico, indica invece il complesso di pensieri e di orientamento di giudizio che determina la persona. Poiché si forma in conseguenza delle esperienze di vita come recepite dall’individuo, non è codificata nel D.N.A..

    La coscienza morale è anche intesa come la guida delle espressioni della vita interiore e come l’aspetto avvertibile dell’anima. Per Gesù, una coscienza orientata all’osservanza della Legge del Padre, dà buoni frutti e assicura la comunione con Dio, ora e nella vita futura.

    Energia: Scolasticamente è definita come attitudine a produrre lavoro. Si riconosce nei suoi effetti di: forza d'aggregazione e coesione molecolare, calore, lavoro, luce, peso, spostamento, suono, eccetera, ed è distinta in cinetica e potenziale, elettrica e termica, eolica e geotermica, e via dicendo.

    Pur essendo per ora indefinibile, in fisica è considerata come il fondamento, concreto ed indagabile dell’Esistente nelle sue varie manifestazioni, di tutto l’universo.

    Esperienza: È ciò che la nostra mente percepisce dei fatti della vita che interessano la sfera individuale in modo diretto e non mediato, così che le diverse esperienze possono diventare frutto di conoscenza, ricordo e bagaglio della personalità. E possono essere le sensazioni che derivano dalla percezione della materia, nelle sue qualità di solidità, peso, temperatura e così via, o dall’esperienza di fatti mentali o spirituali quali l’amore, la gioia, l’onore e via dicendo.

    Se inciampiamo in un sasso, ne percepiamo la solidità e ne facciamo esperienza riconoscendola come testimonianza della materialità; se invece gioiamo o ci rattristiamo, percepiamo un sentimento e ne facciamo esperienza riconoscendolo come testimonianza della spiritualità.

    Poiché tutte queste percezioni ci appaiono vere, vogliamo riconoscere come vero ciò di cui abbiamo esperienza.

    Esistenza: È la definizione della percezione che abbiamo di noi stessi come presenze in un mondo che ci appare avvertibile e osservabile in modo sensibile, ma, per un’esperienza limitata, nel tempo e nello spazio, da confini invalicabili. Per questo, il termine esistenza è visto come sinonimo di vita anche se, per vita, dovremmo intenderne la gestione variamente consapevole. Infatti, sono comuni le espressioni: venire all’esistenza e vivere un’esistenza.

    Esistente: Secondo il pensiero comune è tutto ciò che forma il nostro universo ed è percepibile e valutabile dai nostri sensi: vista, tatto, udito, olfatto e gusto, o da strumenti di rilevazione concreta. Perciò la definizione di esistente è usata in distinzione di ciò che è ideale e fantastico e, in questo senso, è ciò che permette il concetto di realtà.

    L’Esistente è l’espressione dell’Essere.

    Essere: Come verbo, qui è distinto con l’iniziale minuscola, mentre come sostantivo, qui è indicato con quella maiuscola. Nasce dall’idea di poter affermare che qualche cosa è in quanto percepibile nella realtà del sistema di cose in cui ci riconosciamo e che è certo, in quanto constatabile con tutta credibilità. Così, l’Esistente è la prova della realtà dell’Essere per la constatazione che qualche cosa è, e a sua volta l’Essere è ciò che afferma la verità dell’Essente.

    L’Essere è l’espressione dell’Essente.

    Essente: Il senso di che cosa sia l’Essente, può essere compreso con un parallelo con l’amante.

    Poiché per amante intendiamo colui che manifesta l’amore, creando l’amato, per Essente possiamo intendere colui che manifesta l’Essere creando l’Esistente. Così, concettualmente e necessariamente, l’Essente pensato come origine dell’Essere e dell’Esistente, deve essere pensato come l’Assoluto perché ha o deve avere in se stesso la propria giustificazione.

    L’Essente è la ragione e la causa dell’Essere che a sua volta è causa di ogni forma dell’Esistente.

    Ma, a ben vedere, quest’ultima affermazione può far nascere l’interrogativo che chiede come sia possibile, trarre i concetti di realtà dell’Essere e dell’Essente immateriali, da ciò che è esistente e materiale.

    Però, poiché le sensazioni dei sentimenti quali l’amore e l’odio, percepiti dalla mente, ci fanno scoprire il nostro essere con un’esperienza reale almeno quanto quella offerta dalle percezioni fisiche del corpo quali il benessere e il dolore, possiamo valutare l’analogia tra i concetti di Amore e di Essere per vagliarne la concretezza.

    Infatti, come l’amore è il sentimento personale dell’amante che si rivela nell’amato, così l’Essere è il sentimento dell’Essente che si rivela nell’Esistente, perché, come l’amato può essere una forma fisica quale un fiore o immateriale come la Patria, così l’Esistente può essere una forma fisica come una roccia, o immateriale come l’anima dell’uomo.

    Perciò, se consideriamo come realtà ogni forma dell’esistenza del nostro universo, diventa accettabile e ben sostenibile la realtà dell’Essente che chiamiamo Dio, per la relazione che l’Esistente testimonia l’Essere che testimonia l’Essente.

    E diventa accettabile l’affermazione per cui tutto ciò che crediamo esistente, noi compresi, è parte o espressione di Dio, l’Essente.

    Giustificazione: Qui è intesa come il riconoscimento indubitabile di giustezza e sinonimo di ragione, fondamento e motivo d’essere di un soggetto. Per le considerazioni di questo fascicolo, potremo dire che la bontà di Dio è la giustificazione o la ragione della nostra vita.

    Materia, per la fisica contemporanea più che una verità conoscibile è un concetto necessario per spiegare i fenomeni naturali. In questo senso è l’elemento fondamentale per affermare che la realtà è verità riconoscibile.

    Qui, per iniziare, intendiamo dunque per materia tutto ciò che è sostanza dell’universo concretamente percepibile, anche se poi, per le considerazioni seguenti, in distinzione dalla realtà definiremo la fantasia, e in distinzione dalla realtà materiale distingueremo la realtà dello spirito, non come immaginazione fantastica, ma come deduzione intellettuale e come conseguenza dell’esame di esperienze che toccano i sentimenti.

    Materialità, è la condizione di riconoscimento di ciò che riteniamo realtà materiale, o fisica, o concreta dell’Essere. Qui è intesa come definizione della qualità dell’Esistente.

    Nulla: impensabile e indefinibile, spesso è inteso come sinonimo di ‘niente’, ma mentre il concetto di niente è considerato espressione di relatività, quello di nulla è ritenuto espressione di assolutezza. Mentre il niente può essere inteso come la mancanza di una cosa che c’è come esistente, il nulla dovrebbe intendersi come la mancanza di ogni forma esistente e come definizione del non essere.

    Forme verbali che evidenziano i due concetti sono: nell’armadio vuoto non c’è niente come per un'assenza relativa di qualche cosa che può esistere, e oltre l'universo c'è il nulla per una assenza assoluta d'ogni forma pensabile dell'essere.

    Pensiero: Facoltà umana di elaborare contenuti mentali, concetti, immagini e costruzioni frutto di ragione. Per antica concezione, ritenuto indipendente dalla materia, testimonierebbe la componente spirituale dell’uomo. Oggi però, la ricerca scientifica riscontra che il pensiero è indissolubilmente legato alla materia e al corpo ed afferma che, posto in relazione con la coscienza individuale, può esserne considerato sia strumento di sviluppo che derivazione.

    Infatti, la relazione tra pensiero e coscienza può essere espressa dicendo che la coscienza è la guida dei pensieri che la formano percependo un evento, così che si intende che, per comprendere e valutare un fatto, la coscienza ne orienta i pensieri di giudizio verso l’intolleranza o l’accettazione, il perdono o la condanna e le deduzioni che ne conseguono contribuiscono alla sua evoluzione.

    Persona: Definizione di un essere (fisico o spirituale) singolo, riconoscibile e considerabile nell’ambito dei rapporti sociali; è l’individuo cosciente di sé, autonomo, capace di amministrarsi, determinarsi, stabilirsi e definirsi con esattezza e di prendere decisioni da sé stesso.

    Per le indagini che seguiranno, vedremo che: Dio è una persona, lo Spirito Santo è una persona, noi siamo persone.

    Processi biochimici: Successione di condizioni dovute a variazioni dell’assetto chimico di un corpo animato.

    Ragione: Questo termine qui è usato quale sinonimo di giustificazione, movente, fondamento.

    Realtà: Definizione convenzionale di tutto ciò che attiene al sistema di cose in cui ci pensiamo e affermiamo di riconoscerci e che definiamo anche il nostro universo o l’esistente. Così, la realtà, è anche considerata quale unica conferma e certezza della verità d’essere del nostro mondo e di noi stessi, ma per ciò, della realtà si devono poter acquisire conoscenze e conferme per constatazione immediata o diretta, personale o collettiva, o per via d’indagini sperimentali, essendo però considerato reale anche un concetto che esprime una realtà: i numeri sono considerati realtà.

    A proposito di tutto ciò che non essendo percepibile dai sensi o da strumenti fisici di rilevazione, di fatto è reso certo e innegabile da esperienze non rilevabili e valutabili strumentalmente, distinguiamo anche una realtà spirituale. Ne fanno parte i sentimenti quali l’amore e l’odio, la gioia e la sofferenza e le elaborazioni del pensiero, quali la filosofia, la fede, la morale, l’etica e l’espressione artistica. Qui sovente il concetto di realtà è usato come sinonimo di verità, anche se potremo valutare l’essenza della realtà così da poterla distinguere in realtà fisica e in realtà spirituale.

    Realtà fisica. Qui consideriamo realtà fisica, tutto ciò di cui possiamo avere percezione o con i nostri sensi o con strumenti tecnici di rilevazione e valutazione.

    Realtà spirituale. Consideriamo invece realtà spirituale, tutto ciò che non essendo percepibile dai sensi di tatto, vista, udito, ecc., è reso certo da esperienze sentimentali o da ipotesi e deduzioni logiche tratte dalla ricerca delle verità dell’Essere non ritrovabili nelle conoscenze della realtà fisica.

    Relativo: È l’aggettivo che distingue ciò che trova definizione e valore in dipendenza di altra cosa concreta o ideale, come fatti o valori. Qui è usato in distinzione da ciò che è assoluto.

    Scienza. Attività d’indagine permessa da una forma d’uso massimo dell’intelligenza umana, dove per intelligenza si intende la capacità di intelligere, ossia di leggere tra, e qui, di vedere e cercare la verità tra e nei fatti dell’esperienza reale

    Spirito: Di questo termine, ricco di significati, qui ne distingueremo tre, intendendolo, A) come sinonimo di anima e di vita o B) come qualità del carattere definita dal rapporto che un individuo ha con se stesso o con gli altri, per cui diciamo che una persona è uno spirito allegro o triste, riservato o intraprendente, e via dicendo, C) come realtà immateriale personale definita da Bibbia e Vangeli, per cui sono puri spiriti: Dio, lo Spirito santo, Gesù risorto, gli angeli e gli uomini accolti in Cielo.

    Spirituale: Tutto ciò di cui può essere pensata l’esistenza, ma che non è riscontrabile nella materialità.

    Verità: Parola dal significato lungamente discusso in ambito filosofico, qui è intesa come rispondenza alla realtà di una cosa presa in considerazione, per cui diciamo: verità di un fatto, di un racconto, di un’affermazione, dove, però, ovviamente il giudizio di rispondenza è condizionato dalla conoscenza che si ha di quella realtà.

    Diciamo con maggiore verità che dopo questa vita avremo la vita eterna quanto più sappiamo che cosa sia o che cosa si debba intendere per essa.

    Pilato, non volendo accettare risposta all’interrogativo: E che cosa è la verità?, permise a Farisei, scribi e sacerdoti, di mettere a morte Gesù.

    * * *

    Dunque, precisati i termini che incontreremo, proviamo a inoltrarci nell’esame delle più recenti affermazioni della ricerca scientifica per vedere se, finalmente, potremo trovare il fondamento della ragion d’essere di Dio, valutando le conoscenze più significative e apparentemente certe sulla realtà della nostra vita e dell’universo di cui siamo parte, espresse oggi, inizio del terzo millennio.

    Ma pure se è dalla nascita della critica della verità di ciò che appare, che nasce il germe di una conoscenza che sembra offrire certezze verificabili, non dobbiamo dimenticare che la scienza, che cerca le verità concrete dei fatti, non può essere considerata del tutto immune da critiche e perplessità, perché, infatti, possono non essere del tutto certe le vie e le capacità di scrutare e comprendere ciò si crede di vedere.

    Tuttavia, la fiducia che qui le è accreditata, nasce dal fatto che, per credere in qualche cosa di ipotizzabile e avviarne un’indagine, l’uomo deve almeno credere in se stesso e nel mondo che lo accoglie.

    La ricerca che può definirsi scientifica, nacque certamente con la capacità dell’uomo di chiedersi per quale ragione qualche cosa galleggiava e perché una cosa poteva romperne un’altra, ma diventò sapere condivisibile e trasmissibile, quando, fondandosi sulla conferma di risultati ripetibili di esperimenti d’indagine, osservabili nelle stesse condizioni, ne trasse leggi comportamentali fisiche, chimiche e matematiche per la loro conoscenza.

    Per questo, alcune notizie di questo ambito saranno sostanza delle argomentazioni seguenti, particolarmente dedicate a chi, come l’apostolo Tommaso, per riporre fede in Gesù, pensa di doverne constatare la sostenibilità con prove concrete e verificabili: a chi, per pregare, deve poter credere e, per credere, ha bisogno di soddisfare mille interrogativi con risposte intelligenti che lo pongano al riparo da ogni critica e da ogni ripensamento.

    Ora, quale scrivente, essendo nella condizione di voler trasmettere la grandiosa figura di una splendida realtà, ma incapace di crearne da solo il disegno e di renderne la ricchezza dei colori, cercherò di produrne un’immagine con una sorta di mosaico o puzzle, rubando frammenti di sapere alla cultura d’ambiti anche apparentemente distanti tra loro.

    Però, per non proporre un inganno a chi legge, devo precisare che le notizie scientifiche cui farò riferimento, non sono frutto d’una mia cultura particolare, ma sono riportate come onestamente credibili perché parte di testi di libri autorevoli e di saggi divulgativi ricordati al termine di queste pagine.

    Infatti, per le diverse parti di questo primo fascicolo saranno evidenti i contributi resi dai testi scientifuci ricordati al termine di queste pagine e quelli delle notizie delle più recenti scoperte scientifiche sulle realtà della materia e della nostra mente, riportate dai periodici Asimmetrie, Newton, Focus e le Scienze, mentre, per il seguito, saranno chiari gli apporti di pensieri tratti dalla Bibbia, ma soprattutto della traduzione della Torah resa da Dario Disegni, e di quelli espressi da Paul Davies, Jean Guitton e Elemire Zolla.

    Perché, il riferimento alle espressioni del sapere scientifico che ricorderemo, è motivato e permesso solamentedal servizio che queste possono rendere alla giustificazione del gesto di preghiera, ed anzi, alla giustificazione della preghiera a Dio quale Padre nostro o Padre di noi.

    E dunque, per avviarci alla ricerca di un possibile Dio connesso con la nostra realtà, avendo ben presente l’avviso appena espresso, vedremo che cosa, possiamo credere che siano:

    * la vita,

    * il tempo,

    * lo spazio,

    * la materia,

    per vedere alfine:

    * Quale sia il legame tra materia, pensiero, spirito.

    * Che cosa o chi siamo realmente.

    * La verità e la ragione d’essere di Dio.

    * * *

    LA VITA.

    Per l’introduzione all’esame del perché di Dio, s’è affermato che, per poter pensare che esista un Dio, come il Tommaso apostolo di Gesù che può essere in ciascuno di noi, vogliamo poterlo riconoscere come verità presente nella realtà concreta del nostro mondo e della nostra vita.

    Perciò, se per vita intendiamo il divenire, con un inizio e una fine dei processi biologici di varia complessità delle forme viventi, possiamo dire che la vita umana è l’esperienza che la nostra corporeità fa della sua presenza terrena, per un processo di nascita sviluppo e morte, con la possibilità di riconoscersi e compiere scelte.

    Però, per queste pagine per la parola vita distinguiamo tre concetti.

    * Per vita materiale o fisica, intendiamo l’esperienza individuale di appartenenza all’universo materiale di cui siamo parte per un tempo compreso tra la nascita e la morte. Ma poiché ne è conoscibile la causa concreta, ma non la ragione se non per fede, non è possibile nessuna ipotesi oggettiva del suo uso più conveniente alla persona.

    * Con l'espressione di vita spirituale o dello spirito esprimiamo invece la qualificazione della vita materiale in rapporto alla determinazione di mete e di aspettative personali. Così distinguiamo: vita di piacere, di studio, morale, dissipata, pubblica, privata, ecc. Ma la vita dello spirito può anche essere intesa come vita dell’anima o vita vera o semplicemente come Vita secondo il linguaggio dei Vangeli. Per Gesù, qui in Terra si può essere vivi fisicamente, ma morti spiritualmente e la vita dell’anima è l’unica vita di cui, come vedremo ampiamente, l’uomo deve aver cura per non perdere se stesso.

    * Infine, con vita eterna, definiamo la vita che, secondo Gesù, è la conoscenza piena e diretta di Dio, conoscenza che è da intendersi come condivisione di vita e di pensiero con Lui e che, perciò, è possibile solamente all’anima. Un pensiero ricorrente presenta la vita eterna come vita senza fine nel tempo, ma questa è un’immagine non corretta perché, come vedremo, il tempo non è una realtà del mondo materiale e ancor meno di quello spirituale.

    Così, per capire che cosa o chi siamo, di questa vita è necessario cercarne la causa, l’origine e la ragione.

    Ora, se l’affermazione che la sua causa è riconoscibile nell’avvenimento della fecondazione di un ovulo femminile da parte di uno spermatozoo maschile, quale che ne sia il processo, generalmente non crea dubbi, quella che sostiene che la sua origine e ragione siano dovute a un’anima personale, forse richiede una considerazione a sé.

    Nella maggior parte delle versioni cristiane dell’Antico Testamento e dei Vangeli, col termine anima si rendono le parole ebraiche nèfesh, neshamà e rùah, e le greche ànemos, pneùma e psuchè o psiche per esprimere il concetto che esista in noi una realtà immateriale e immortale, che è l’unica verità della nostra appartenenza all’Essere ed all’Esistente.

    Però, poiché nelle tradizioni ebraica e greca, tutti quei lemmi erano espressioni di vento, respiro e alito, usarli per affermare che possono esprimere una realtà immateriale, per non pochi critici appare come una metafora ingiustificata, intellettualmente tanto scorretta da annullare la credibilità delle affermazioni del Genesi e di Gesù.

    Ora, poiché, per quanto riguarda la lettera greca dei Vangeli, avremo l’opportunità di discuterne il senso con tutti i fascicoli seguenti, tra poco vedremo solamente che cosa possano significare i termini: rùah, nèfesh e neshamà che incontreremo nei brani presi in esame.

    * * *

    IL TEMPO.

    Nell’accenno di che cosa possiamo intendere per vita, abbiamo detto che la verità della sua ragione è da cercare nella spiritualità, che esamineremo più avanti, mentre la sua causa è ritrovabile nella materialità.

    Ma perché la nostra vita fisica sia la verità della nostra appartenenza all’Essere, occorre che tempo, spazio e materia, siano realtà certe e indiscutibili, ovvero che siano realtà o verità assolute.

    Nel linguaggio corrente, riconosciamo un senso comune alle espressioni: tranquillità e silenzio assoluti, assoluta parità di diritti e così via, ma, per una maggiore definizione, possiamo ricordare che il termine assoluto, dal latino absolutum, letteralmente ha il senso di sciolto da ogni vincolo. Perciò qui la definizione di assoluto vorrà esprimere il carattere di ciò che, senza vincoli, è, avendo in sé la sua ragione d’essere.

    Una concezione generalmente nota (dovuta alla filosofia greca) definisce il tempo come l’esperienza di vita tra un prima ed un dopo o come la percezione delle variazioni dello stato delle cose, assumendone uno iniziale come riferimento: così l’idea di tempo nasce dal succedersi delle cose, pur non essendo delle cose.

    Ossia, il tempo, quale concetto relativo al divenire, al venir giorno e al venir notte, al vivere e al morire, che consideriamo come realtà, non è una verità a sé, ossia non è una cosa vera in se stessa.

    Ora, voler dire a qualcuno che il tempo non è una realtà, molto probabilmente equivale a volersi far prendere per pazzi: ieri era ieri, oggi è oggi e domani, se ci sarà un domani, sarà domani. Altroché se il tempo non è una realtà! E chi non sa che cosa è il tempo?

    Già, ma proviamo a chiederci: E chi sa che cosa è il tempo?.

    Poiché viviamo con la constatazione continua che nel nostro universo tutto ha un inizio e una fine e crediamo di poter dire che questo avviene in un certo tempo, affermiamo che il tempo è una realtà innegabile del nostro mondo con la stessa certezza di quando affermiamo che la neve è bianca, dimenticando che il suo colore dipende da quello della luce che la illumina.

    I dizionari definiscono il tempo come un insieme di attimi in successione che scorrono tra l’inizio e la fine di un avvenimento, o meglio come la quantità di istanti in successione che misura il divenire delle cose.

    Ma se questa può sembrare una spiegazione, di fatto non lo è, perché, se si afferma che una cosa è l’insieme di infinite parti di quella stessa cosa non si spiega che cosa sia quella cosa.

    Così, se diciamo che il tempo è un insieme di istanti, intesi come parti piccolissime di tempo, non spieghiamo che cosa sia il tempo, anzi, affermiamo che di che cosa sia il tempo, non ne sappiamo proprio nulla.

    Dunque, il concetto di tempo, che non si spiega in sé, non esprime una verità (o realtà) assoluta.

    Oggi, il divenire del giorno è misurato in ventiquattro ore frazionate in minuti e secondi, perciò, con buona sicurezza, sentiamo di poter dire: Sono le sei, tra poco sarà giorno e sono le diciotto, tra poco sarà sera.

    Così, considerando un tempo misurabile, pensato come grandezza fisica indagabile della realtà del mondo, possiamo vedere se una sua maggiore conoscenza può dirci qualche cosa della sua e nostra verità.

    Bene, ogni grandezza fisica deve essere considerata limitata se le sue ampiezze, anche ritenute grandi o piccole, sono definibili con misurazioni, mentre può essere immaginata infinita se è pensabile estesa oltre i confini di ampiezze concretamente misurabili.

    Perciò, per esaminare le implicazioni della concezione del tempo, possiamo pensarlo finito e realtà relativa, o infinito e realtà assoluta, per una considerazione che si rivelerà veramente importante per riflettere su alcuni temi dei fascicoli seguenti.

    Poiché una linea retta è un noto esempio grafico della concezione del tempo, per crearcene una sua immagine mentale possiamo pensarne una di fronte a noi, come una successione ininterrotta di punti geometrici, cioè privi di dimensione, a rappresentare ciascuno un attimo, che, dopo la definizione dei primi due (punti immaginari), non cambi mai di direzione.

    Pensandola orizzontale, vediamo la retta illimitata sia a destra sia a sinistra del punto in cui la incontra il nostro sguardo, così da immaginare il tempo come una linea infinita dalle due parti di quel punto pensato come immagine di un istante o attimo.

    Se ora pensiamo che quel punto sulla retta, di fronte a noi, la divida in due rami, dobbiamo riconoscere che nessuno dei due è pensabile di valore misurabile e inferiore alla precedente retta intera, perché ognuno è un’entità, se si vuole finita da una parte, ma infinita dall’altra, il cui valore è dunque ancora infinito e perciò equivalente a quello della retta iniziale.

    Infatti, la divisione in due parti di un valore infinito non genera due grandezze di valore un po’ meno infinito, ma genera due nuove entità di valore ancora infinito per cui metà retta ha lo stesso valore, infinito, dell’intera.

    Se poi, da una retta ne sottraiamo una parte individuata tra due punti distinti, possiamo capire che, per grande che sia il suo valore, purché misurabile, le due restanti parti (di retta, ovvero di tempo) rimarrebbero infinite, tanto da permettere di affermare che qualsiasi tempo definito è del tutto ininfluente sul tempo infinito.

    Un attimo, un millennio, migliaia di millenni, considerati rispetto alla concezione del tempo infinito, non hanno un valore significativo o, se si vuole, sostanziale e reale: se pure se ne vuole riconoscere un valore, questo risulta di fatto del tutto irrilevante ed irriconoscibile all’interno del sistema in cui si trova.

    Così il luogo di un punto su una retta geometrica o di un istante sulla retta del tempo, o di un suo qualsiasi tratto, non ha nessuna posizione giustificata in e per se stessa. Si può dire che è parte del tempo e che è nel tempo, ma non si può dire quando, perché per qualsiasi istante possiamo riconoscere un valore alla sua posizione solo in relazione ad eventi che la precedono o che presumibilmente la seguiranno, conteggiando l’insieme di spazi temporali che la separano da quei riferimenti.

    Infatti, diciamo: venti anni fa, domani mattina, l’anno prossimo o, riferendoci al momento presunto della nascita di Gesù, che pure non è un dato assoluto, dieci anni avanti Cristo o mille anni dopo Cristo.

    Dunque, al tempo della nostra vita non possiamo riconoscere una ragione e una collocazione temporale assoluta, ma solamente relativa: se si vuole alla nostra nascita o a quella del Cristo o a quella dell’universo, che però, a loro volta, sono punti di riferimento che, nel tempo infinito, non hanno una posizione con significato proprio o assoluto.

    Ossia, il tempo o momento della nostra nascita non ha nessun valore in sé.

    Un pensiero della filosofia attuale sostiene che tutto è adesso, per affermare che tutta l’esistenza avrebbe consistenza in un’unica contemporaneità e che tutto è adesso da sempre e per sempre, per tutto il passato e per tutto il futuro.

    Ma il concetto dell’adesso, del tutto adesso, pur molto affascinante, non rappresenta una realtà, perché il tempo scorre in continuazione, senza fermarsi nemmeno per l’attimo dell’adesso, a fissare la continua distinzione tra tutto il passato e tutto il futuro.

    L’adesso come punto temporale non è reale, perché, come il punto geometrico, non ha dimensione. Infatti, nel momento in cui pensiamo l’attimo dell’adesso, lo distinguiamo da tutto il passato che non c’è più e da tutto il futuro che non c’è ancora.

    E dunque: l’attimo non c’è, non esiste, non è una cosa vera.

    Così, la definizione del tempo come insieme di attimi diventa il pensiero di cose inesistenti.

    Per questo, l’idea che il tempo sia una cosa reale, è priva di verità.

    Il tempo non è la realtà delle cose; infatti non è la ragione del venir giorno e del venir notte.

    Perciò, riferendoci all’esistente come realtà, non ci rimane che dire semplicemente che tutto è tralasciando anche il ragionevole impulso di dire adesso, riconoscendo che la concezione del tempo, per quanto suadente, è una grande illusione.

    E dunque?

    Dunque, per una considerazione del tempo legata alla nostra esperienza dei fatti del mondo, che possa essere utile alla verità del nostro esistere, potremo cercare di capire quale vantaggio possiamo riconoscere al momento e alla durata della nostra presenza terrena, anche perché, se sappiamo che c’è un tempo per seminare e uno per mietere, non sappiamo se c’è un tempo per la nostra vita. Infatti, alcuni esseri umani muoiono ancor prima di nascere, mentre altri vivono una vita breve ma gloriosa e, altri ancora, campano più di cent’anni per una quotidianità sconosciuta.

    E non tutti muoiono in estate.

    Ma, se, per queste poche osservazioni, possiamo pensare di aver completato un primo approccio di conoscenza sulla verità del tempo, vedremo come dovremo riconsiderarla con attenzione per capire il senso della presenza terrena di Gesù in un dato momento della storia umana.

    * * *

    LO SPAZIO.

    Normalmente lo spazio è inteso come la realtà valutabile geometricamente che ci accoglie e in cui viviamo, ci riconosciamo e muoviamo, senza disperderci in esso, con una libertà di scelta che, pur limitata, ci pare innegabile.

    Così affermiamo che siamo su una Terra, posta a un estremo di un insieme immenso di altre forme celesti che chiamiamo Via Lattea, parte di uno spazio, forse infinito, che chiamiamo universo, cosmo e cielo.

    E oggi pare fuor di dubbio di dover affermare che l’universo che ci accoglie sia in espansione, rendendo l’idea che sia immenso, ma limitato, ed immerso in una realtà più grande, facendo nascere le domande su che cosa posa esserci oltre e fuori.

    Così, in risposta, è stata formulata l’affermazione che ‘non l’universo è nello spazio, ma che lo spazio è nell’universo’.

    E questa espressione che forse può apparire più un gioco di parole che l’utile constatazione di una realtà, qui diventa particolarmente comprensibile

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