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Buon pranzo buona domenica
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Buon pranzo buona domenica

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Questo libro prova a raccontare un pranzo speciale, alla cui tavola si siedono persone emarginate e sole, alla ricerca di calore, di cibo e un po’ di compagnia. Viene chiamato in vari modi – è “il pranzo della domenica”, “il pranzo dei poveri”, “la mensa del povero” – e nasce circa quindici anni fa, da un’idea della Caritas di Senigallia.
La domenica è un giorno particolare per tutti i centri di accoglienza, anche per il Centro di solidarietà Palazzolo: di domenica non vengono erogati i servizi quotidiani, cioè la possibilità di fare una doccia, di avere il pacco viveri, di pernottare, e via così.
Per questo motivo, e per coinvolgere un maggior numero di volontari, fondamentale per mantenere in vita il lavoro quotidiano del Centro, nel 1999 si aprì alle parrocchie l’opportunità di entrare a contatto con l’esperienza di un pranzo comunitario. I volontari, coordinati da un referente, garantiscono la loro presenza nel calendario annuale e nei turni di ogni domenica o festività al pranzo della domenica, che dà ospitalità e cibo a un ampio numero di utenti.
Dalla fine del 2013 il Ministero ha consegnato alla Caritas un registro, nel quale gli ospiti e i volontari devono registrarsi, per attestare la quantità di persone coinvolte e consentire al Fondo nazionale per il volontariato di stabilire una quota di finanziamento adatta.
LanguageItaliano
Release dateMar 28, 2015
ISBN9788890991325
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    Buon pranzo buona domenica - Chiara Michelon

    N(essuno)

    Buon pranzo, buona domenica

    di Chiara Michelon

    Navigammo su fragili vascelli

    per affrontar del mondo la burrasca

    ed avevamo gli occhi troppo belli:

    che la pietà non vi rimanga in tasca.

    (Fabrizio De André, Corale , 1968)

    Introduzione

    Questo libro prova a raccontare un pranzo speciale, alla cui tavola si siedono persone emarginate e sole, alla ricerca di calore, di cibo e un po’ di compagnia. Viene chiamato in vari modi – è il pranzo della domenica per i volontari, oppure il pranzo dei poveri, la mensa della domenica, la mensa del povero – e nasce circa quindici anni fa, da un’idea della Caritas di Senigallia.

    La domenica è un giorno particolare per tutti i centri di accoglienza, anche per il Centro di solidarietà Palazzolo: di domenica non vengono erogati i servizi quotidiani, cioè la possibilità di fare una doccia, il pernottamento, il pacco viveri, e via così.

    Per questo motivo, e per coinvolgere un maggior numero di volontari, fondamentale per mantenere in vita il lavoro quotidiano del Centro, nel 1999 si aprì alle parrocchie l’opportunità di entrare a contatto con l’esperienza di un pranzo comunitario. I volontari, coordinati da un referente, garantiscono la loro presenza nel calendario annuale e nei turni di ogni domenica o festività al pranzo della domenica, che dà ospitalità e cibo a un ampio numero di utenti.

    Dalla fine del 2013 il Ministero ha consegnato alla Caritas un registro, nel quale gli ospiti e i volontari devono registrarsi, per attestare la quantità di persone coinvolte e consentire al Fondo nazionale per il volontariato di stabilire una quota di finanziamento adatta.

    Il pranzo rappresenta uno dei tanti risvolti esemplari della comunità della carità, da cui il nome dell’organismo, appunto, che si impegna per dare ascolto e aiuto alle persone che ne hanno bisogno, poveri di denaro, poveri di beni, poveri di amore, deboli, esclusi, emarginati, rinnegati dalla società. Sulla strada oggi si possono incontrare i più tradizionali marginali, cioè persone malate con una cronicità, tossicodipendenti, alcolisti, diseredati e persone psicologicamente instabili, cioè coloro che un tempo venivano riuniti sotto l’egida del sottoproletariato urbano, ma anche persone che appaiono integrate nella società, insospettabili, uomini, soprattutto, e donne, che fanno parte di una normalità che vacilla e non sa tenere il passo con la velocità spietata del mondo moderno e delle sue feroci selezioni che decretano vincitori e sconfitti.

    Dietro all’apparente semplicità del gesto, quello di un pranzo preparato e servito con generosità di spirito, si cela un affresco variegato sul quale si stagliano le figure fondamentali alla riuscita della giornata. Sono loro, sono gli ospiti, insieme ai volontari, che danno a questo pranzo un senso profondo ed emozionante, loro che sedendosi uno accanto all’altro alla tavola dei poveri regalano, a chi sa ascoltarla, una ricchezza rara.

    Luca

    Babbo, dove vai?

    Esco, ma ti prometto che torno presto. Alle tre sono qui e giochiamo a calcio insieme tutto il pomeriggio!

    Nicola ha quattro anni e sta in pigiama sul tappeto del salone. Si è svegliato da poco, ha bevuto una tazza di latte con i cereali e non ha fatto altro che giocare con le costruzioni.

    Sì, sì, sì! Ma dove vai adesso?

    Al pranzo speciale.

    E la mamma?

    La mamma sta qui con te, che domande!

    Ciao babbo.

    Ciao, piccolo. Tesoro… io vado. Sei riuscita per caso a fare la torta?

    Mi risponde dal bagno, la voce è bassa: Certo, sul tavolo della cucina. Buon pranzo!

    Mi dirigo in cucina. Sul tavolo c’è una grande busta di carta. Nell’aria sento un profumo irresistibile di dolce appena sfornato. Dentro alla busta, posizionati con cura tutta femminile, due involucri ricoperti di carta stagnola. Non resisto alla curiosità e sbircio all’interno: due crostate di marmellata, quella di fragole che fa la nonna. Accanto alla busta, sul tavolo, un biglietto: non vorrai mica farli restare con la voglia? Che angelo, penso.

    Esco di casa, l’aria è frizzante ma c’è un sole che invita a starsene fuori. Quando torno porto Nicola a giocare a pallone al mare, invece che al campetto, penso. Salgo in macchina, adagio la busta seduta al mio fianco e mi viene l’acquolina in bocca. Per fortuna le torte sono due, durante l’ultimo pranzo non abbiamo potuto offrire neanche un assaggio di dolce. La mamma di Silvia ne aveva preparata una con la cioccolata, deliziosa ma piccolina. Avremmo dovuto sperare che qualcuno non volesse la sua parte, ma mica siamo scemi. Così l’abbiamo lasciata in cucina, per gli ospiti della sera. Silvia ci era rimasta un po’ male.

    Parcheggio vicino all’edicola. Nei giardini davanti alla Caritas vedo già qualche ospite che si aggira tra le panchine. Quando c’è il sole molti si avvicinano alla mensa qualche ora prima, si siedono sulle panche, si guardano attorno. Chiacchierano tra loro, chissà cosa si dicono. Ci penso sempre. Ma cosa si diranno? Si conoscevano, prima d’ora?

    Suono il campanello e corro in cucina. Accidenti, oggi sono in ritardo di un quarto d’ora.

    Scusate il ritardo!

    Ma dai, Luca. Tu sei sempre in ritardo!

    Però mi faccio perdonare subito: ho due torte ancora calde.

    Grande, Luca! Anzi… grande la santa donna che ti ha sposato! Metti il grembiule che c’è un sacco da fare stamattina.

    Mi allaccio il grembiule e comincio. Oggi il ritmo lo dà Livia. È un pilastro della Caritas, lei. Fa la volontaria da almeno quindici anni e quando c’è lei in cucina sai che tutto andrà nel migliore dei modi. Mai un inghippo, mai un ritardo. Cotture impeccabili e piatti da leccarsi i baffi.

    Forza, inizia a tagliare le cipolle. Oggi c’è il sugo di tonno. Ci facciamo le penne, che dite? Quelle piacciono sempre.

    Inizio a sbucciare e affettare. Non c’è nessuno con le mani in mano, la prima ora siamo tutti così concentrati che quasi non ci parliamo. Certo, avrei preferito pelare le patate, invece che le cipolle. Sto piangendo come un disperato. Gli altri mi guardano e ridono.

    È la punizione per il ritardo.

    Ma non bastavano i dolci? La prossima volta mi porto gli occhiali da sole.

    Dopo un’ora tutto il pranzo è imbastito, tranne il pollo che è ancora in

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