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Quando il passato ritorna
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Quando il passato ritorna

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About this ebook

Sia la letteratura che il cinema hanno fatto i conti con il periodo qui raccontato, con diversi esiti narrativi. Il riproporsi ciclico dei temi del terrorismo, fa del testo una storia interessante, specialmente nei momenti di crisi sociale e fiorire di diverse forme di indignazione e ribellione allo stato delle cose.

Oltretutto, il romanzo che ha modo di leggere il lettore è avvincente, ricco di colpi di scena ben costruiti, molto cinematogra fico nella rapida sequenza e scrittura dei capitoli e, in fine, contiene un messaggio positivo alle nuove generazioni proveniente da chi ha avuto modo di vivere quel periodo della nostra storia con i propri occhi, provando lo stesso inerme sgomento di tanti cittadini. Nelle pagine che concludono il racconto c’è una morale positiva, alla quale l’autore a da un messaggio di speranza per le nuove generazioni, a ffinché, la vicenda raccontata e ispirata a molti fatti realmente accaduti, possa essere un esempio.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateMay 2, 2012
ISBN9788866189589
Quando il passato ritorna

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    Quando il passato ritorna - Mauro Proci

    RINGRAZIAMENTI

    PRIMA PARTE

    GIOVENTÙ

    L’età in cui il sogno ha il

    profumo intenso

    del Possibile

    1 Mi chiamo …

    Mi chiamo Mauro Necci e credo di essere morto.

    Mi vedo adesso, lì a terra, appoggiato a quella cancellata di ferro battuto, con il mio sangue, ancora tiepido, che si allarga sul marciapiede in una macchia scura e densa.

    Sono stato ucciso circa mezz’ora fa con un colpo di pistola alla nuca, come si fa con i traditori.

    Mi domando però "traditore" di che? Di chi?

    Voi invece mi chiederete perché vi sto raccontando questo. Perché mi attardo, cercando di comunicare con voi ancora vivi, anziché lasciarmi trasportare nell’aldilà finalmente pacato in ogni mia pulsione.

    Non so darvi questa risposta, so solo che sento fortissimo il desiderio di lasciarvi questa mia testimonianza, di raccontarvi come cominciò ma soprattutto come finì la mia esistenza.

    Non sarà una biografia, no! Non partirò da una infanzia spesa nei cortili di case popolari o da una fanciullezza passata a giocare nei campi fuori dalla città.

    Non racconterò di amori adolescenti né di frustrazioni giovanili.

    Beh, a questo punto tanto vale incominciare.

    ~ ~

    Quando ho ricevuto il biglietto ho capito che il passato non lo puoi annullare solo perché lo hai sepolto sotto altri ricordi, il tuo passato è sempre con te e gli errori che commetti ti sono, prima o poi, rinfacciati.

    Sul biglietto c’era solo un indirizzo, Via Gattico 16, ed un’ora tardo pomeridiana, le 17,30.

    Non c’era altro ma io sapevo che quella scrittura proveniva dal mio ieri e per la precisione da circa trent’anni prima.

    Avevo riconosciuto la scrittura con il cuore prima ancora che con gli occhi.

    Così la mia mente ha ripercorso, a ritroso, quello spazio temporale che pareva interminabile, e si è fermata al 1975.

    Come la messa a fuoco di una telecamera i miei ricordi si sono fermati su di un volto, era un volto dai lineamenti forti, tipico delle nostre donne di montagna, era il volto di Grazia che, tutti noi, chiamavamo con il suo nome di battaglia; Compagna B.

    Noi eravamo una cellula della colonna torinese delle Brigate Rosse ed io ero innamorato pazzo della Compagna B.

    Come ci ero finito nelle fila di quell’organizzazione non lo saprei dire, forse una serie di sfide, di situazioni, di incontri, o forse più semplicemente il caso.

    Oggi il clima non è più quello di allora, certe parole d’ordine che in quegli anni avevano presa e significato oggi appaiono per lo meno anacronistiche, un po’ come rivedere un film muto in bianco e nero nell’era del tridimensionale.

    Eppure per la mia generazione quelle parole d’ordine avevano un fascino particolare tanto che in esse ci siamo perduti in molti e con noi le nostre e le altrui vite.

    Cercherò di mettere a fuoco maggiormente i miei ricordi così da rendere il più possibile comprensibile, anche a voi, il susseguirsi degli eventi.

    Io ero uno studente lavoratore, frequentavo cioè l’università e lavoravo in fabbrica.

    In quegli anni era assai diffuso nelle classi operaie questo genere di studenti perché i figli di operai non avevano altre possibilità per pagarsi gli studi, così si era costretti a lavorare, come i padri, in fabbrica.

    La classe operaia poteva anche andare in Paradiso (era il titolo di un film con Gianmaria Volonté) ma non poteva uscire da se stessa e migliorarsi, imprigionata com’era tra le mura del bisogno e di una società classista.

    Bene, io non sfuggivo certo a queste regole non scritte; padre tranviere e madre sarta, abitavo nelle case popolari di via Gaetano Amati 146 - interno D.

    L’Università appariva, ai miei occhi, come tempio del sapere e, contemporaneamente, come un trampolino per elevarmi e poter finalmente scegliere di vivere una vita migliore.

    Avevo scelto di frequentare Scienze Politiche perché pensavo di poter poi aiutare altri a migliorarsi e la politica mi sembrava la scelta migliore.

    La mia passione per la giustizia e per la eguaglianza sociale trovavano completezza nello studio rigoroso delle scienze sociali, così pensavo. Invece mi avrebbero spinto altrove, ma andiamo con ordine.

    Qualche frequentazione in Lotta Continua, lunghe discussioni nel Comitato di Quartiere ma nulla di più fino a che il nostro piccolo gruppo è entrato in contatto con le Brigate Rosse.

    Non siamo mai stati altro che un piccolo gruppo di fiancheggiatori, qualche azione minore, piccoli furti per autofinanziamento e volantinaggio in fabbrica e fuori dall’università, nulla di importante.

    Quando mi sono accorto che la strada stava prendendo la discesa degli omicidi o, come si diceva all’ora, passava al colpire al cuore lo Stato uccidendo, ho preso le distanze da tutti e da tutto e, lentamente, mi sono eclissato.

    Scomparire non è stato facile, dovevo guardarmi dalla polizia e dai miei ex compagni di lotta.

    Dovevo diventare clandestino anche per latitanti, nascondermi e scomparire mimetizzato tra la folla dei "qualunque", nascosto anche a Grazia, la mia compagna.

    Con Grazia l’amore e la politica non erano scindibili, entrambi erano fatti di passione e rabbia e di passione e rabbia erano anche fatti i nostri giorni.

    Cortei in corso San Maurizio, scontri con la polizia in corso Vittorio, le corse attraverso i giardini pubblici di Palazzo Reale per sfuggire alle pattuglie, poi la scelta della clandestinità e la lotta armata.

    In realtà noi non eravamo "clandestini" veri e propri, abitavamo in un appartamento al secondo piano di via Boggino 8, un casa di ringhiera, abitata in prevalenza da immigrati meridionali.

    Oggi di quella casa non resta nulla, demolita e sostituita con un brutto palazzaccio in stile moderno immerso nella Torino classica del centro storico.

    Eppure Grazia era riuscita a dare a quelle due stanze un tocco di folle personalità fatta di tende a velo agganciate un po’ ovunque e manifesti politici a coprire le macchie di umidità indelebili sui muri.

    Ricordo soprattutto gli odori di quella vecchia casa, minestrone e sudore, officina e panni stesi ma sopratutto, nel vano scala, una insopportabile puzza di orina di felino e di muffa stantia, odore di vecchio e di una umanità immersa nella povertà senza speranza.

    Il nostro appartamento invece odorava di buono, di caffellatte e di violetta, a volte anche di quel dolciastro prodotto dal fumo di marijuana, ma era più raro.

    In quell’alloggio passavano i compagni in latitanza, ci si tenevano riunioni, si nascondevano armi e documenti.

    Ma quando ciò non accadeva quelle stanzette diventavano il nostro nido d’amore, il rifugio di due ragazzi troppo giovani e sciocchi per accorgersi di cosa stava loro accadendo.

    Allora erano canzonette cantate a squarciagola, la radio sempre accesa, scoppi di risa improvvisi e lunghe chiacchierate e discussioni.

    Voci, risa, musica, tutto ciò che era allegria lì diventava VITA.

    Tutto questo, per noi, è finito un mattino di autunno.

    In corso Francia, piovigginava, i primi freddi facevano muovere i pochi, distratti, passanti a passo veloce costeggiando i muri.

    Noi stavamo facendo una rapina a scopo di autofinanziamento alla filiale del Banco di Roma; adrenalina nelle vene, una bella cifra per le casse del proletariato e un colpo di pistola sparato non si sa perché che colpì, uccidendola, una guardia giurata che si era trovata lì nel momento sbagliato.

    Siamo fuggiti, ho ritenuto di non rientrare in quell’alloggio e ho lasciato Grazia all’angolo con Corso Svizzera con la promessa che sarei tornato da lei.

    Avevamo ucciso un uomo, un innocente, un proletario come quelli che avremmo dovuto difendere.

    Mi colpiva improvvisa la verità, la lotta armata era un errore, un ceffone diretto alle mie certezze, non ho dormito per diverse notti e mi sono mantenuto in costante movimento.

    La riflessione che è seguita all’accaduto mi ha condotto a lasciare l’organizzazione e a nascondermi ad essa, così come mi nascondevo allo Stato.

    Ho letto sui giornali dell’arresto di Grazia, ho deciso così di fuggire all’estero e mi sono rifugiato in Belgio dove ho lavorato come cameriere in alcuni ristoranti italiani.

    Sono tornato in Italia solo dopo il 1990 e per ricostruirmi una vita, di Grazia e degli altri compagni di allora non ho più saputo nulla e forse non ne ho più voluto sapere nulla.

    Adesso sono passati quasi trent’anni da quel giorno di autunno e il mio ieri è tornato prepotente a farsi reale nella persona della Compagna B.

    Ho deciso di accettare l’invito di Grazia più per desiderio di rivederla che per la curiosità di sapere cosa la spingeva a cercarmi.

    Volevo sapere di lei, se era sposata, se aveva figli e cosa, in tutti quegli anni, avesse conservato di me.

    Mi sono così accorto che, in me, Grazia aveva mantenuto lo stesso posto di allora, che il ripensare a lei mi aveva stimolato ricordi che credevo di aver sotterrato sotto la polvere degli anni.

    Ma il tempo non lascia mai le cose immutate, anche la polvere degli anni pesa e modifica i sentimenti, le prospettive, gli amori e i sogni.

    L’ho imparato a mie spese vivendo gli avvenimenti che sto per raccontarvi.

    2 La Compagna B

    Sono giunto, in tram, all’indirizzo indicato sul biglietto con una ventina di minuti d’anticipo.

    Era una precauzione che avevo imparato a seguire negli anni della "fuga".

    Ho fatto un paio di giri dell’isolato verificando non ci fossero auto con passeggeri ferme o qualcuno appostato agli angoli o qualcosa di strano, stavo tornando ad essere paranoico.

    Mi sono avvicinato con circospezione al portone, era chiuso. Ho scorso i nomi degli inquilini senza riconoscere nessun cognome; Grazia non viveva lì.

    Come avrei fatto a farmi aprire? Ho deciso di aspettare l’ora dell’appuntamento posizionandomi sul lato opposto della strada defilato nell’androne di un altro portone.

    Mi stavo ritrovando, senza volerlo, a ripetere gesti usati per studiare gli obbiettivi trent’anni prima, era ancora il mio passato che mi assaliva vilmente, strappandomi alla mia normalità, costringendomi a comportamenti da spia o da terrorista che mi tornavano usuali.

    Stavo riflettendo su questo quando l’ho vista arrivare lungo la via, l’ho riconosciuta subito, non era cambiata di molto.

    Ancora con la capigliatura riccia, leonina, di un colore tiziano, lasciata, come allora, incolta.

    Indossava con la disinvoltura e l’eleganza di una modella, un abito di sartoria popolare acquistato in qualche supermercato.

    Era rimasta una bella donna e gli anni non avevano scalfito per nulla il suo atteggiamento felino da leonessa.

    Il mio cuore ebbe un sussulto, sapevo che il nostro amore era finito in quella mattina di autunno di trenta anni fa, ma speravo che ancora ci potesse essere brace residua in fondo al cuore, su cui poter riaccendere la passione di allora.

    Anche lei scorse via di fronte al numero 16 e scomparve dietro l’angolo, erano meccanismi di sicurezza che avevamo imparato insieme e che stentavano a scivolar via.

    Riappare dopo pochi minuti, sono uscito dal mio nascondiglio e le sono andato incontro, mi ha sfiorato vedendomi ma senza fermarsi ed io, a mia volta, l’ho sfiorata senza fermarmi.

    Solo un soffio di voce, la sua voce calda e profonda, che mi dice: Seguimi e prosegue verso via Borgaro.

    Il suo profumo mi ha avvolto per un attimo,

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