Achille e la tartaruga che ride
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Conosciamo approfonditamente quello che hanno detto i nostri pensatori e continuiamo a studiarci intorno. Ma, al di là del contenuto, non sappiamo in quali condizioni abbiano elaborato le loro riflessioni. Condizioni di tipo personale, emotivo, esistenziale, ecc. Né potremo conoscerle mai seriamente.
Possiamo però immaginarle, inventarle, a partire dalle riflessioni serie dei nostri, e dalle poche notizie che abbiamo di loro. Ovviamente la chiave con cui si sviluppa questa costruzione non può che essere ironica.
Per ciascuno dei filosofi presi in considerazione, costruiamo un racconto che, partendo e comprendendo anche gli aspetti reali della loro vita e gli elementi “seri” del loro pensiero, li mescola con fantasie volutamente paradossali.
Il racconto, preceduto da una brevissima annotazione circa il pensatore e il tema trattato, punta a mostrare il volto spiritoso della filosofia. D’altra parte, è l’occasione per rispolverare o accostare temi e personaggi della storia del pensiero.
Proviamo a fantasticare sul noumeno e sull’essere, sul tempo e sull’asino di Buridano, come se fossero usciti dalla casualità di un evento spassoso.
E che saranno mai questi raccontini un po’ fuori di testa?
Potrebbero servire come favolette dall’effetto superTavor: il bimbo crolla subito nel più profondo sonno, se non altro per autosalvaguardare il proprio futuro mentale. O come lettura semiseria per chi è incuriosito dalla filosofia: alla fine (forse anche a metà) sarà felice di non aver perso tempo a studiarla, o sarà preso dal sacro furore di mangiarsela in un boccone. Potrebbero far imprecare il paludato accademico per la spudorata profanazione in atto o suscitare il sarcasmo del superpositivo sempre pronto a usare il martello pneumatico contro le fantasticherie.
Potrebbero, forse, più semplicemente, essere lette per divertirsi un po’ e incuriosirsi degli argomenti seri che sono l’occasione dello scherzo.
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Achille e la tartaruga che ride - Luigi Mariani
RIDE
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COSA PENSAVA QUIZ
Cogito, ergo sum!
, spara all’improvviso il professor Setter, che punta da un tempo sadico lo studente.
Cartesio!
, risponde a razzo Laqualunque (nipote di Cetto), trattenendo tra i pensieri il conseguente tiè!!!
.
Bravo!, ma non basta. E se cominciassi a chiederti dov’era il Nostro quando ha pensato la famosa pensata, come stava quel giorno, dove viveva di solito, se gli piacevano i fagioli o se camminava veloce, che mi dici?
, rilancia la jena docens.
Carogna!
, risponderebbe anche Lachiunque.
In realtà, dei filosofi noi conosciamo quello che hanno detto e scritto; talvolta sappiamo anche quello che hanno fatto, da biografie ufficiali, ben inamidate.
Possibile che non ci venga voglia di immaginare qualcosa di più? Ad esempio sull’origine dei loro percorsi mentali, più o meno contorti, sui contesti in cui si trovavano quando sono stati assaliti dalle loro elucubrazioni?
Non è magari che Zenone, esile e un po’ rachitico, amasse le tartarughe e odiasse i palestrati? O che Buridano fosse un grande somaro a scuola? O Kierkegaard fosse di nascosto un dongiovanni?
Per carità, niente ricerche in biblioteca! Proviamo per una volta a usare la fantasia. Proviamo a fantasticare spudoratamente: che tipi erano? Paciosi come Hume o irascibili come Wittgenstein? Perché è diverso ragionare con uno che ti sventola l’attizzatoio sotto il naso: sei portato, chissà perché, a dargli ragione.
Con un pizzico (abbondante!) di incoscienza, ecco qua che vengono fuori storielle un po’ demenziali, ma forse divertenti. Che potrebbero anche essere utili.
Potrebbero, ad esempio, mostrare il volto sorridente della filosofia, che, come tutte le cose serie, è anche divertente. Dissacrare spesso serve paradossalmente a consacrare.
O potrebbero (ri)avvicinarci piacevolmente alla materia.
Ecco dunque una serie di racconti fantastici (basati comunque su passaggi del pensiero consolidati) relativi ad alcuni filosofi. Vi si immaginano situazioni paradossali in cui una pensata
potrebbe (?!) essere stata partorita. E che diventano l'occasione per rinfrescarci la memoria.
Chissà mai che lo studente Laqualunque e il ragionier Esodati comincino ad amare (oddio, non esageriamo!) la filosofia
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Essere: e da che altro vogliamo cominciare?
PARMENIDE
(520/515 - 450/440 a.C.)
Se volessimo dare un contrassegno a ciascun pensatore, non potremmo che assegnare quello di padre della filosofia occidentale proprio a lui. Dato che l’affermazione di fondo con cui viene normalmente identificato Parmenide (l’essere è e non può non essere; il non essere non è e non può essere
) sembra un po’ una filastrocca che fa sorridere chi non ama le astrazioni, cerchiamo di vederne la concretezza.
Siamo all’inizio della filosofia. Il motivo centrale è la ricerca del principio di tutte le cose, cioè dell’elemento che le unifica e le spiega. E’ un fatto nuovo. I nonni
del pensiero filosofico (se Parmenide è il padre…) si sbizzarriscono un poco: Talete pensa che l’acqua sia l’origine di tutto, Anassimene l’acqua, ecc. Parmenide comprende che questo principio non è fisico e lo individua nell’essere. Infatti tutte le cose sono. Ma l’essere è l’opposto del nulla, che, appunto, non è. L’essere non può essere nulla e non può neppure diventarlo; così come il nulla è nulla e non può venire ad essere. L’essere, dunque, è e non può non essere; il non essere non è e non può essere. Gira e rigira, possiamo dirlo in mille modi, ma il succo è sempre questo: tutto è e niente non è.
Da ciò deriva che l’essere è da sempre e non può nascere o perire. Viceversa il nulla. Ma deriva anche che l’essere non può divenire, perché diventerebbe nulla. Non vale l’obiezione che diventa un altro essere: infatti quell’essere
diventerebbe comunque nulla. E, infine, la molteplicità delle cose è impossibile, perché ciascuna di esse non sarebbe
l’altra; il che è impossibile. Ogni cosa conterrebbe il niente.
Tutto ciò comporta che spazio e tempo non sono reali, perché implicano molteplicità e divenire. Il mondo diveniente e molteplice che abbiamo sotto gli occhi è totalmente illusorio.
Se n'è accorto anche Amleto.
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UN DUBBIO AMLETICO
C’era una volta l’essere.
Ma va?
, direte voi, l’essere c’era una volta, c’è adesso e ci sarà sempre! Se no, che essere è?
. Giusto! Infatti, l’essere non può non essere. Ricominciamo.
Non c’era una volta il non essere.
Ma va?
, ripeterete voi, il non essere è nulla e quindi non era, non è e non sarà mai!
. Giusto anche questo! Il non essere non è e non può essere. Ariricominciamo.
C’era una volta Parmenide.
Stavolta non potete dire nulla, perché Parmenide c’era davvero e ora non c’è più.
A sentire lui, non è vero che non c’è più!
, dirà il filosofo di turno. Anche questo è vero. E allora, come la mettiamo?
Mettiamola così: prima di discutere, sentiamo la storia.
Parmenide era un distinto signore che abitava ad Elea, un posticino non da poco nell’Italia meridionale, affacciato sul magnifico mare del Cilento. Aspetto severo e autorevole, non era certo un burlone di campagna. Eppure riuscì, con poche parole ben assestate, a mettere in subbuglio il pensiero del suo tempo e quello dei secoli a venire. Dopo di lui, ancora oggi non c’è filosofo che possa trascurare quello che ha detto.
In fondo, l’hobby di scoprire com’è fatto il mondo era nato da poco e procedeva con diletto di quelli che lo coltivavano in assoluta serenità e con qualche piacevole discussione. Sarà l’acqua che dà vita al creato? O saranno i numeri che governano il mondo? Forse il logos, forse l’intelletto, forse gli atomi, forse… Insomma, un passatempo meglio che raccogliere francobolli (anche perché allora erano introvabili).
Ed ecco che arriva lui (apre piano la porta, poi si butta sul letto… no, Mina non c’entra). E non perde tempo. L’essere è e non può non essere; il non essere non è e non può essere
, butta lì di colpo. Oddio, essendo uomo di mondo, non è proprio così brutale. Per addolcire la pillola, usa i versi e scrive un gradevole poema. Ma la sostanza non cambia: il registro dei discorsi precedenti (Talete, Pitagora, ecc.) muta completamente. L’acqua è buona per gli occhi, come dicono da noi, e i numeri li fanno gli equilibristi. Qui si tratta di cose serie, anzi della più seria di tutte, l’essere, appunto. Che è poi tutto: se niente non è, tutto è.
Fermi qui, se no ci complichiamo la vita. Vediamo piuttosto come avrà fatto il buon Parmenide ad arrivare a tanto.
In verità, lui passava tranquillamente la sua esistenza in quello splendido scenario sopra il mare. Non c’erano barche che inquinavano, al massimo qualche trireme attraccava a Palinuro per visitare i meravigliosi templi di Paestum. Aveva un amico più giovane, Zenone, col quale discuteva di cose importanti e anche divertenti, considerato che il ragazzo era abilissimo a scoprire paradossi, soprattutto sull’assurdità del divenire. Se l’essere non può non essere, dicevano, come mai vediamo ogni momento