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Il ceppo brucia ancora
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Il ceppo brucia ancora

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“Il ceppo brucia ancora” di Rosario Casillo racconta la vita dell’autore e della sua famiglia: dal dopoguerra alla fine degli anni Settanta. La storia si svolge a Castelfranco di Sotto e attraversa i cambiamenti della società italiana di questi trent’anni che si riflettono sulla vita di tutti i giorni.
LanguageItaliano
Release dateMar 14, 2014
ISBN9788869090110
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    Il ceppo brucia ancora - Rosario Casillo

    Casillo

    I Capitolo

    Era una sera di novembre, e come ormai accadeva da giorni, il cielo rovesciava sulle vecchie case una pioggia insistente, che non faceva altro che peggiorare le condizioni di chi viveva in quei palazzi segnati dal tempo, in parte fatiscenti, che costituivano la maggioranza degli edifici dell’antico borgo.

    La guerra era passata da pochi anni e la maggior parte delle famiglie cercava con fatica di procurarsi una situazione abitativa decente. Le case erano per lo più vecchi edifici che presentavano ancora i segni delle battaglie che si erano combattute sulle rive dell’Arno.

    In molte di esse i tetti erano danneggiati, e quando la pioggia scendeva incalzante per chi vi abitava era un continuo indaffararsi a posizionare recipienti per raccogliere l’acqua che penetrava dappertutto. La vita dei residenti nel centro storico, in tempo di pioggia, era veramente problematica.

    Anche la casa dove abitava Luigi era in uno di questi vecchi edifici, e il calore che si propagava da una stufa a legna, situata nella grande cucina, non era mai sufficiente a riscaldare gli ambienti pregni di umidità.

    Il babbo di Luigi faceva il muratore, e nel poco tempo libero a disposizione dopo l’orario di lavoro, era solito recarsi nel vicino bosco di Montefalcone per raccogliere ceppi e vecchi rami secchi. Questi erano ottimi per alimentare la vecchia cucina economica che, durante l’inverno, era sempre in funzione per rendere gli ambienti dove viveva con la famiglia più confortevoli.

    Come tante altre volte il babbo di Luigi era andato in bosco con la sua vecchia bicicletta, per raccogliere legna e pigne da ardere. A casa tutti stavano in pensiero, perché a buio ormai inoltrato, non lo vedevano ritornare.

    A quel tempo la via Usciana, che portava verso il bosco, era sterrata e piena di buche che con la pioggia diventavano pozzanghere, dove era facile cadere con conseguenze anche pericolose per l’incolumità di chi la percorreva.

    Finalmente Luigi, che nell’attesa si era seduto sugli scalini ad aspettare, scorse il babbo attraverso la nebbia che calava lentamente.

    Ai suoi occhi, la figura che si avvicinava, assomigliava ad una delle creature fantastiche che ritrovava nelle storie dei fumetti, presi in prestito da qualche amico o compagno di classe. Raffaele, questo era il nome del babbo, giunto davanti alla porta d’ingresso della casa fermò la bicicletta e fece scendere la grossa balla piena di legna, che per tutto il tragitto aveva sistemato sulla canna.

    Con un gesto chiese a Luigi di sorvegliare la bicicletta mentre lui, caricatosi il sacco sulle spalle, cominciò a salire i 48 scalini che lo avrebbero portato su al secondo piano, dove lo aspettavano la moglie e gli altri due figli.

    Tutte le volte che lo vedeva ritornare dal bosco con quel pesante sacco pieno di ceppi, Luigi si riprometteva che, un giorno, quando sarebbe stato più grande, avrebbe fatto di tutto per aiutare il suo povero babbo.

    Raffaele, pur di poter dare maggior sostegno ai propri familiari, non si tirava mai indietro quando c’era del lavoro da fare.

    Quando il babbo ebbe sistemato anche la vecchia bici, prese per mano Luigi, e insieme salirono le scale buie e interminabili che li riportavano in casa.

    A quel punto Luigi e gli altri fratelli svuotarono il sacco nella vecchia soffitta, e distesero la legna ad asciugare; tutta umida com’era, non sarebbe stata adatta per essere bruciata nella cucina economica.

    I ceppi più bagnati furono sistemati davanti alla stufa perché asciugassero in fretta; all’occorrenza sarebbero stati pronti per essere bruciati senza problemi, per scaldare un po’ le stanze.

    Man mano che l’autunno avanzava, le giornate piovose lasciavano il passo al freddo che incalzava sempre di più, rendendo le notti sempre più rigide nella casa di Luigi. Raffaele non sapeva più cosa fare per rendere le due stanze meno fredde, e i suoi viaggi in bosco per fare legna divenivano sempre più frequenti.

    La mamma, alla sera prima di coricarsi, preparava con cura dei bracieri, dove metteva del fuoco che toglieva dalla stufa, e lo ricopriva con la cenere perché si mantenesse il più a lungo possibile, durante la notte.

    Nonostante tutto, però, faceva troppo freddo; si decise allora di spostare un letto nel locale che fungeva da cucina, per sistemarlo accanto alla stufa, e farci dormire i figli piccoli.

    Il Natale si avvicinava, e il babbo aveva promesso a Luigi che quando sarebbe ritornato in bosco per fare la legna lo avrebbe portato con sé, per fargli cogliere la borraccina necessaria per il presepe.

    Luigi non stava più nella pelle, e quando la domenica il babbo lo svegliò per andare in bosco, non ebbe un attimo di esitazione; saltò giù dal letto dove era rannicchiato con i suoi fratelli, e in un attimo fu pronto. Raffaele, che era un bravo padre, ma di poche ed essenziali parole, sistemò il ragazzo sulla canna della bicicletta, ed insieme si avviarono verso Montefalcone.

    A Luigi non sembrava ancora vero di essere lì con il suo babbo che pedalava tranquillo verso la collina, barcamenandosi in quella strada dalla ghiaia insufficiente e piena di pozzanghere per le piogge dei giorni precedenti.

    Giunti alla Costa Impietrata (così si chiamava la strada sterrata che portava su fino al bosco) scesero di bicicletta, e proseguirono a piedi; fino a che non giunsero in prossimità del Gocciolino, una vecchia fonte alla quale si recavano tutti, per bere un po’ di acqua buona e fare un po’ di scorta da portare a casa.

    A quel tempo non c’era ancora l’acquedotto e, per bere, non ci si fidava dell’acqua che sgorgava dalle fontanelle che erano situate nelle piazzette del paese. Specialmente la domenica mattina c’erano molti paesani che andavano in bosco a fare rifornimento per tutta la settimana.

    Molti avevano dei mezzi di trasporto più adatti; ma Raffaele, che non difettava certo d’ingegno, aveva sistemato sulla sua vecchia bicicletta un supporto di legno con una cassetta, nella quale avrebbe sistemato le bottiglie di acqua presa al Gocciolino.

    Scesi dalla bicicletta Luigi e il babbo riempirono alcune bottiglie da due litri, le sistemarono nella cassetta, e quindi s’inoltrarono nel bosco per fare un po’ di legna, e la tanto desiderata borraccina, che era necessaria al ragazzo per fare la capannuccia.

    Raccolte la legna e la borraccina, ritornarono alla fonte del Gocciolino, dove avevano lasciato la bicicletta; sistemarono tutto alla perfezione perché non cadesse, e s’inoltrarono per la discesa per arrivare a casa il più presto possibile.

    Luigi sentiva il vento freddo che gli lambiva la faccia, ma grazie ai guanti di lana che gli aveva fatto la sua mamma, non soffriva più di tanto; e poi pensava al buon piatto di minestra coi fagioli che avrebbe trovato una volta arrivato a casa.

    Dopo aver sistemato la legna e la borraccina ad asciugare nella soffitta, si misero a mangiare nella grande cucina, al centro della quale era sistemata una tavola col piano di marmo, dove la mamma aveva apparecchiato per il pranzo.

    Dopo aver mangiato, il babbo andò nello stanzino che fungeva da ripostiglio e ritornò con due caprette (supporti di legno a forma piramidale), che sarebbero servite da supporto alla vecchia porta in disuso, scelta per l’occasione come piano per il presepe.

    Finalmente fu realizzato il presepe, che a prima vista sembrava ben riuscito; soprattutto la mangiatoia, che era stata costruita con i ceppi più grandi, che il babbo e Luigi avevano raccolto nel bosco assieme alla borraccina.

    La borraccina fu sistemata con cura e, con del ghiaino bianco preso alla cementizia (fabbrica di mattonelle un po’ fuori dal vecchio borgo), si realizzarono i vialetti dove, da ultimo, sarebbero state sistemate le statuette dei vari personaggi.

    Quell’anno il presepe era un po’ più ricco degli altri anni perché, per la prima volta, c’erano anche delle statuette di marmo che il fratello maggiore di Luigi aveva comprato da Argene (era un negozio di pizzi e merletti gestito da due anziane sorelle che in prossimità del Natale vendevano anche le statuette più preziose di marmo anziché di gesso).

    Sulla grande tavola di marmo fu realizzato anche un albero di Natale con un ramo di pino che il babbo aveva preso in bosco durante uno dei suoi frequenti viaggi.

    Quando tutto fu terminato Luigi prese i quaderni di scuola e si mise a fare i compiti; come sempre dovette sobbarcarsi anche quelli del fratello più grande che, da quello che dava a capire, non era minimamente entusiasta della scuola.

    Le giornate si susseguivano tutte uguali e finalmente arrivò la vigilia di Natale; il giorno che tutti i bambini attendevano con ansia, perché avrebbero potuto scartare i doni che i genitori e i nonni gli avrebbero fatto trovare sotto l’albero.

    In realtà Luigi non si aspettava grandi doni perché la sua famiglia era molto povera; ma come sempre quelle poche cose trovate sotto l’albero lo avrebbero riempito di gioia e reso felice.

    Quell’anno poi ci fu anche una bella sorpresa, che rese felice tutta la famiglia: dalle basi americane presenti in Europa, era pervenuto a tutti i prigionieri di guerra come Raffaele un pacco dono di Natale, con un’infinità di prodotti che sarebbero tornati utili per quei tempi, dove i soldi in circolazione erano veramente molto pochi.

    Fu in occasione di quel Natale che Luigi vide per la prima volta il latte in polvere, contenuto nel pacco inviato dagli americani.

    Anche quel Natale passò, e le giornate che seguirono trascorsero scandite dai soliti impegni: la scuola al mattino, il doposcuola al C.I.F. (Centro Italiano Femminile), nei locali sopra la chiesa della Compagnia al pomeriggio, e infine qualche uscita nella piazzetta con i compagni di scuola.

    II Capitolo

    Raffaele aveva fatto la guerra arruolato nella REGIA MARINA e nel 1943, dopo l’abbordaggio della nave sulla quale era imbarcato, era stato fatto prigioniero dai tedeschi, che lo avevano portato con sé durante la ritirata verso il Nord Italia. Verificato che era un bravo cuoco, i tedeschi lo avevano destinato alla gestione, insieme ad altri prigionieri, della cucina del loro quartier generale.

    Il babbo amava raccontare ai piccoli, che lo stavano ad ascoltare estasiati, le fasi concitate della notte in cui, in compagnia

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