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L’EuroSogno e i nuovi Muri ad Est
L’EuroSogno e i nuovi Muri ad Est
L’EuroSogno e i nuovi Muri ad Est
Ebook492 pages7 hours

L’EuroSogno e i nuovi Muri ad Est

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About this ebook

Inverno 2005. Il gas russo è bloccato alle frontiere per una disputa tra fratelli ex sovietici. Mezzo Vecchio Continente resta a secco. Dopo il tribolato primo decennio post-sovietico la Federazione russa è riemersa come potenza regionale grazie a un’incredibile rinascita economica. L’obiettivo di questo reportage è raccontare la vita di alcuni di questi Paesi in vorticoso cambiamento, i percorsi storici e i mutamenti socio-economici. In un periodo di duri contrasti fra élite le opinioni pubbliche rischiano di diventare vittime di falsificazioni, strumentalizzazioni e generalizzazioni estreme.
LanguageItaliano
Release dateJan 7, 2014
ISBN9788879805124
L’EuroSogno e i nuovi Muri ad Est

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    L’EuroSogno e i nuovi Muri ad Est - Giuseppe D’Amato

    Indice

    L’EuroSogno e i nuovi Muri ad Est

    G IUSEPPE D’A MATO

    L’E UROS OGNO E I NUOVI M URI AD E ST

    L’Unione Europea e la dimensione orientale

    Copyright

    © copyright 2008

    by Greco&Greco editori

    Via Verona, 10 - 20135 - Milano

    www.grecoegrecoeditori.it

    ISBN 978-88-7980-456-1

    In copertina: designer Vladimir Ovsepian (Mosca)

    Titolo

    Giuseppe D’Amato

    L’EuroSogno e i

    nuovi Muri ad Est

    L’Unione Europea e la dimensione orientale

    A Luigi Bencetti

    e alla sua compagna di vita Isabella

    Introduzione

    La Frauenkirche è tornata ad occupare il suo tradizionale posto nel panorama di Dresda ¹. Le terribili ferite, causate dal peggiore conflitto che l’umanità abbia mai visto, sono ormai rimarginate. Con la Guerra Fredda alle spalle, il Vecchio Continente ha riunito i suoi «due polmoni» ed ha recuperato le nazioni slave alla civiltà comune.

    La ricerca di nuovi equilibri è l’elemento caratterizzante di questo primo periodo successivo alla caduta del Muro di Berlino e post allargamento dell’Unione europea ad Est. La rivoluzione arancione in Ucraina è stata un acceleratore inatteso, che ha messo a nudo la realtà del dopo primo maggio 2004 e che ha mostrato anche come la Prima Europa non si attendeva di doversi confrontare con situazioni prima impensabili ². La «guerra del gas» tra Mosca e Kiev, nell’inverno 2005-2006, e quella «del petrolio» tra Mosca e Minsk, l’anno successivo, sono state un campanello d’allarme, con ripercussioni sulla vita quotidiana del cittadino europeo. La «sicurezza energetica» rappresenta il capitolo centrale nei rapporti tra i due Poli continentali, l’UE a ventisette Stati, e la Federazione russa. Da questa relazione, che stenta a decollare, dipenderà in gran parte il futuro del Vecchio Continente e la sua capacità di restare protagonista a livello globale.

    Per i Quindici l’allargamento ad Est è stato il saldo di un debito morale, maturato dopo la Seconda guerra mondiale. Ma se vincitori e vinti dell’ultimo conflitto si sono alla fine riconciliati, un solco profondo rimane ancora oggi tra i russi e i popoli caduti nell’oblio, sotto il tacco di Stalin. Estoni, lettoni, lituani, polacchi, cechi, slovacchi, ungheresi dovettero sopportare, per mezzo secolo, chi la dominazione sovietica chi un regime politico altrui.

    Questi popoli continuano a guardare con sospetto verso Mosca. «I polacchi e i finlandesi – ha dichiarato nel dicembre 2004 in una visita ad Helsinki l’allora premier Marek Belka – dovrebbero essere in prima linea nella politica UE verso l’Est, soprattutto quando si tratta di Russia, Moldova, Bielorussia e persino Caucaso. Dobbiamo portare informazioni ai nostri partner UE sulla natura complicata della Russia. È normale per noi seguire cosa succede dietro alla frontiera est» ³.

    Questa situazione conflittuale rende assai complessi i rapporti tra Russia ed Unione europea. I Paesi fondatori dell’UE, Italia e Germania in primis, hanno necessità di relazioni stabili con il Cremlino, mentre, nella Seconda Europa, alcuni dei nuovi membri UE – soprattutto la Polonia (il cui peso è diventato cruciale nei rapporti continentali) – sembrano intenzionati a volersi prendere delle rivincite. Su questi ultimi l’influenza degli Stati Uniti pare più forte di quella esercitata da Bruxelles ⁴. Nell’area ex sovietica ed in quella ad essa limitrofa Washington porta avanti una sua politica di «esportazione dei diritti umani» e di «messa in sicurezza» delle rotte delle materie prime in contrasto con gli interessi russi. La comune lotta al terrorismo delle due ex superpotenze della Guerra Fredda ha sancito, dopo l’11 settembre, solo una tregua nel Grande Gioco per il petrolio ed il gas dell’Asia Centrale ex sovietica, una battaglia strategica determinante per il XXI secolo, da cui è quasi del tutto assente l’UE ed in cui si è inserita prepotentemente la Cina, che, secondo alcuni esperti, ha tutte le carte in mano per uscire vincitrice.

    Le contese sono adesso commerciali. Si chiude il rubinetto e consolidati accordi politico-economici saltano in aria. Interi Paesi possono essere messi in ginocchio con una semplice avvitata di chiave inglese. Per mantenere la propria influenza nello spazio ex sovietico la Russia non manda più in giro uomini con l’uniforme dello zar o dell’Armata Rossa. Le sono sufficienti i colletti bianchi della Gazprom.

    La Regione di mezzo, che si estende dal Baltico al mar Nero – comprendente Bielorussia, Ucraina e Moldova, corrispondente un tempo ai possedimenti dell’antico Granducato di Lituania di medioevale memoria –, è così diventata terreno di scontro. Da una parte vi è il tentativo di costringere la Russia a ritirarsi sempre più ad Est verso l’Asia e ad isolarla, dall’altra la volontà del Cremlino di continuare a mantenere inalterata la sua influenza sull’ex impero zarista, sfruttando soprattutto il tasto energetico e i rapporti commerciali. Ogni consultazione elettorale in questa zona grigia d’Europa, abbandonata nel ’91 da Mosca, si trasforma puntualmente in una rissa, senza esclusione di colpi, con gravi conseguenze sull’intero continente.

    Dal 1992 la latina Moldova ha subito la secessione della Transnistria (o Dnestr), che mira all’unione con la Federazione russa. L’Ucraina, Paese dalle più anime conviventi, rischia di perdere parte del territorio nazionale a favore del Cremlino, mentre è impegnata ad aderire all’Unione europea ed alla Nato. La Bielorussia, a lungo presieduta da un uomo definito in Occidente come «l’ultimo dittatore d’Europa», fa a sorpresa l’occhiolino all’UE se si giudica dall’interscambio commerciale e dai rapporti tesi con Mosca emersi con la «guerra del gas e del petrolio» nell’inverno 2006.

    Nel mondo slavo orientale si assiste allo sdoppiamento di identità così simili da rendere difficile la comprensione delle differenze. Grandi russi, Piccoli russi e russi Bianchi appartengono ad un’unica famiglia, che si è separata col crollo dell’Urss ⁵. La fondazione di Stati indipendenti ha dato inizio alla ricerca delle diversità, alla propria autochiarificazione. Se si viaggia in questi Paesi verso ovest la lingua si trasforma lentamente da russo in polacco attraverso un misto nella Regione di mezzo. Ecco perché alcuni storici parlano di «separatismo», e non di «nazionalismo», dalla Grande Madre russa. Gli ucraini sono più avanti in questo percorso rispetto ai bielorussi. La politica, gli equilibri continentali ed oggi in particolare gli scontri in campo energetico sono gli elementi fondanti di queste nuove realtà, forse più della lingua e delle dissomiglianze tra etnie.

    Dopo le delusioni maturate con la CSI, la Comunità degli Stati Indipendenti sorta dalle ceneri dell’Urss, il Cremlino ha tentato di mettere in piedi un mercato comune – il SEC –, sul tipo di quello europeo degli anni Sessanta, con Bielorussia, Kazakhstan ed Ucraina. Il suo decollo o meno dipende da Kiev e dall’abilità del Cremlino a non usare con i partner il linguaggio dei diktat. Il mondo, all’improvviso, potrebbe vedere risorgere sotto altre forme un’entità che raccoglie quasi il 90% dell’Unione Sovietica, ma che corrisponde, in realtà, a quasi tutte le terre dell’impero zarista, escluso il Baltico, il Caucaso ed alcune repubbliche asiatiche minori. Le capacità russe di aggregazione non sono, però, brillanti ed il timore di tornare ad essere dei sudditi di Mosca è consistente nelle locali opinioni pubbliche. La paura di restare esclusi dal cosiddetto Sogno europeo – ossia la speranza di creare una società ed un’economia umanamente sostenibile, non più legata solo al profitto, in un’entità transnazionale libera, democratica e ricca – fa poi sì che i popoli della Regione di mezzo guardino decisamente ad ovest ⁶.

    Verso il vecchio Occidente, sebbene in maniera diversa, guarda anche la Russia, uscita sconfitta dalla Guerra Fredda e ridotta oggi come territorio a quella precedente alle conquiste di Pietro il Grande nel Settecento ⁷. Furono i democratici di Boris Eltsin, è bene non dimenticarlo, a volersi disfare dell’impero, che era ormai una camicia di forza. Solo in questo modo Mosca sarebbe stata in grado di risollevarsi più rapidamente ed offrire alla propria gente una qualità di vita decente. La depressione russa degli anni Novanta è stata peggiore di quella americana successiva al ‘29. La guerra nel Caucaso ed il dramma del terrorismo sono stati prove durissime da superare.

    La presidenza Putin ha ridato al Paese, a livello globale, nuovo lustro e mezzi finanziari considerevoli. È stato sconfitto il separatismo nelle regioni ed il Centro moscovita ha ripreso il controllo anche delle leve economiche. La tanto agognata stabilità è arrivata. Ma non solo. Per la prima volta dopo decenni, il cittadino medio ha iniziato ad arricchirsi, a viaggiare, a disporre della propria vita come meglio gli aggrada. Pur prigioniera del suo vecchio stile imperiale, il Cremlino ha cercato, senza invero riuscirvi, di cambiare approccio alla sua politica nel vicino estero e nel suo cortile interno di casa per l’apparizione ai suoi confini di un’entità statale così rilevante come l’UE.

    «No all’unilateralismo, sì ad un mondo multipolare», è stato uno degli slogan dell’amministrazione Putin, che ha realizzato notevoli aperture verso Cina, India ed Iran, nel tentativo di controbilanciare lo strapotere statunitense. La decisione di Washington di dislocare una stazione radar ed intercettori in Repubblica Ceca ed in Polonia per le sue Guerre Stellari in funzione anti-iraniana o nord-coreana ha destato malumore nell’opinione pubblica federale. Lo Scudo spaziale Usa è un primo embrione di sicurezza comune europea o l’inizio di una nuova corsa agli armamenti, è stata l’interrogativo posto dai militari dell’ex Armata rossa. Una volta sentitasi chiusa in un angolo e con l’avvicinarsi delle elezioni in Patria, la Russia ha incominciato a mostrare i muscoli con continui test di armi sofisticate, la ripresa dei voli dei bombardieri strategici e la sospensione unilaterale del CFE, il Trattato per il controllo degli armamenti in Europa. I progressi in campo militare di Paesi medio-piccoli e della Cina con il suo programma anti-satellite impongono ormai una ridiscussione degli accordi internazionali in materia di disarmo ⁸.

    Alla fine del secondo mandato presidenziale di Putin, la Russia è più forte o più debole di qualche anno fa? Il più esteso Paese del mondo, disteso per 11 fusi orari, manda segnali come al solito contrastanti e difficili da decifrare. Ogni anno l’ex Patria dei Soviet perde qualcosa come settecentomila abitanti. Tra qualche decennio potrebbe essere ridotta ad avere poco più di cento milioni di anime. «Ancora troppi», potrebbe affermare provocatoriamente lo scrittore polacco Stanislaw Lem. Alcoolismo, elevato tasso di suicidi, incidenza dell’Aids e della tubercolosi, oltre alla spaventosa corruzione, sono vere emergenze nazionali. Lo scoppio di una lunga ondata di razzismo nei confronti dei caucasici e degli stranieri è l’ulteriore sintomo di un malessere generale. Il sommerso, l’illegalità, la corruzione e la criminalità formano un mostro che rischia di ingoiare l’intera società. Le cifre sciorinate dagli esperti sono semplicemente spaventose.

    L’aspetto esteriore più visibile di un nuovo Paese emergente è la comparsa sul jet-set o nel mondo degli affari di miliardari e capitani d’azienda, nati dal nulla, persone del tutto prive di scrupoli. Paragonare i nuovi ricchi russi alla generazione degli uomini d’affari statunitensi di fine Ottocento non è fuori luogo. Con questa gente l’imprenditoria internazionale dovrà confrontarsi in futuro.

    Dopo il maggio 2004 i Quindici UE – locomotiva di questa Unione con 492 milioni di abitanti – sono apparsi a lungo in crisi, soprattutto per il rallentamento delle rispettive economie, per la mancanza di veri leader e per la bocciatura della Costituzione europea da parte di Olanda e Francia ⁹. Le spinte ideali all’unione si sono sensibilmente ridotte. Il federalismo alla Delors perde colpi, mentre i particolarismi nazionali prevalgono sulla solidarietà comunitaria ed il protezionismo incombe.

    La strada dall’integrazione economica all’unione politica non è stata percorsa per intero e troppe sono le contraddizioni di un’Europa cresciuta sugli eccessivi compromessi. Senza una Costituzione – poi sostituita da un mini-Trattato leggero – è pressoché impossibile gestire una comunità formata da ventisette Stati ¹⁰. Le domande «Che cos’è l’Unione europea?» e «Dove l’UE termina geograficamente?» – non trovano le necessarie risposte. Senza di esse si possono generare spaventosi equivoci. In futuro, l’Unione sarà un’entità politica (federazione o confederazione o qualcos’altro) o semplicemente un’area economica ed uno spazio libero e democratico? Si sceglierà la via delle più velocità? Il tempo delle decisioni è dietro l’angolo.

    Da esse dipenderà un’organica politica estera comune di vicinato. A parte l’adesione, si deve stabilire uno status per quei Paesi, che condividono l’ideale europeista. Nel gennaio 2007 solo il 46% degli europei era favorevole ad ulteriori allargamenti ¹¹. I Balcani attendono. Ed incombe la questione Turchia, con l’apertura al mondo musulmano e del bacino meridionale del Mediterraneo.

    I nuovi membri dell’UE gustano la nuova realtà, lontana dai pericoli passati, ma si preoccupano di un futuro complicato all’interno dell’Unione. Il loro europeismo è stato soprattutto indotto dalla volontà di fuga da una situazione geostrategica sconveniente e dall’incapacità delle classi dirigenti di riformare i propri Stati. Dal punto di vista economico soltanto l’asburgica Slovenia ha completato il suo programma di riforme, secondo gli accordi, ed ha adottato l’euro. Il percorso per gli altri verso l’adozione della moneta unica è, invece, pieno di difficoltà. E lo sarà ancor di più per bulgari e romeni. Secondo numerosi esperti, che evocano il caos politico ed economico, la loro strada verso la prosperità e la stabilità europea sarà quanto mai dura. Come hanno clamorosamente dimostrato gli scandali in Polonia, alcuni di questi neo membri non hanno poi nemmeno fatto i conti con la propria eredità comunista. Dossier e documenti compromettenti escono dagli archivi, seguendo strategie poco chiare, diventando armi politiche ¹².

    Delusione, eccitazione e stanchezza sono i sentimenti imperanti nel Vecchio Continente, dove convivono più Europe, che attraversano momenti storici, sociali ed economici diversi. L’elemento caratterizzante di questa realtà è l’essere o meno parte di questa comunità che tenta di realizzare il più ambizioso dei progetti del XXI secolo, il più inebriante dei Sogni.

    Il cammino è, però, disseminato d’ostacoli. Così chi è dentro l’Unione ha un atteggiamento più o meno pessimistico, chi è fuori è positivo nelle sue opinioni e non vede l’ora di entrarvi. Alcuni Paesi si sono risvegliati dalla sbornia successiva all’adesione ed in alcune fasce della popolazione albergano sensazioni negative. La realtà al tempo della globalizzazione, che porterà alla piena integrazione, è più dura di quanto si pensasse soprattutto per gli strati sociali più deboli.

    L’allargamento dell’UE ad Est ha provocato indirettamente la costituzione di nuovi Muri: culturali, burocratici, finanziari, politico-energetici. Opposte interpretazioni di fatti storici, il sistema dei visti e dei permessi di soggiorno, i divari netti nelle retribuzioni e nelle possibilità economiche tra i lavoratori, i dissidi tra le dirigenze della regione creano forti disagi ed emozioni non positive.

    Il grande reporter polacco Ryszard Kapu.cimski sosteneva che «al tempo della globalizzazione siamo sommersi da informazioni. Il problema è che spesso non si è in grado di analizzarle». Ed, in un periodo di scontro geostrategico, si può facilmente diventare vittime di falsificazioni, strumentalizzazioni e generalizzazioni estreme.

    L’obiettivo del nostro lavoro è raccontare la realtà di questi alcuni di questi Paesi in vorticoso cambiamento, i percorsi storici seguiti, i mutamenti socio-economici. Non si ha assolutamente la pretesa di essere esaustivi su queste tematiche, ma perlomeno di fornire degli elementi utili per la comprensione di eventi che stanno diventando sempre più di dominio pubblico.

    1 La Chiesa della Nostra Signora è rimasta, per decenni, un cumulo di rovine a ricordo dello spaventoso bombardamento di Dresda nel 1945. È stata uno dei simboli dell’Europa divisa. La sua ricostruzione è stata completata nel 2005.

    2 Con l’espressione rivoluzione arancione si tende a definire quegli eventi connessi con le presidenziali ucraine dell’autunno 2004. Milioni di persone scesero in piazza a protestare contro i brogli, consentendo ai filo-occidentali di prendere il potere. La «Prima Europa», quella dei Quindici, è chiamata anche «Vecchia Europa», quasi in maniera dispregiativa

    3 Quotidiano finlandese Helsingin Sonomat, edizione internazionale, 9.12.2004.

    4 La «Seconda Europa» è denominata anche «la Nuova Europa».

    5 Grandi russi, Piccoli russi e russi Bianchi sono denominazione utilizzate nell’Ottocento per le popolazioni slave orientali dell’impero zarista. I polacchi come i cechi e gli slovacchi sono slavi occidentali.

    6 Jeremy Rifkin, Il Sogno europeo, Milano, 2004. Quello europeo è il primo sogno transnazionale emerso nell’éra della globalizzazione. È il tentativo di creare una nuova storia e società, con attenzione ad una elevata qualità della vita e ad un’economia sostenibile. Il Sogno americano è troppo centrato sul progresso materiale personale e troppo poco preoccupato del benessere generale dell’umanità.

    7 Il modo di vivere è completamente cambiato. Il 46% dei russi, intervistati dal Centro Levada nel 2006, si considera «occidentale». In realtà la gente tende a considerare quasi esclusivamente l’aspetto consumistico. Nell’epoca della globalizzazione il concetto di Occidente è ormai superato dagli eventi. È un gruppo di Paesi dallo sviluppo più avanzato – dal Canada al Giappone nell’emisfero nord – con valori comuni ad essere diventato il punto di riferimento. Per comodità anche nella presente trattazione viene utilizzato questo termine.

    8 Pechino sta sviluppando armi spaziali investendo importanti capitali. All’inizio del 2007 ha distrutto un suo satellite con un missile lanciato dalla Terra. Forte è stato l’allarme nella comunità internazionale.

    9 Terza entità statale per popolazione, dopo Cina ed India. Gli Stati Uniti hanno raggiunto nel 2006 il traguardo dei 300 milioni di abitanti. La Costituzione europea, firmata a Roma nel 2004, non è stata ratificata in un referendum popolare nel 2005 da francesi ed olandesi.

    10 Il summit dei leader dell’UE del giugno 2007 ha fatto ripartire l’Europa dopo due anni di blocco. Al posto della Costituzione, ratificata da 18 Paesi su 27, è stato proposto un «mini-Trattato», che ha sensibilmente ridimensionato le proposte contenute nella Carta di Roma. Questo documento è stato firmato a Lisbona nel dicembre 2007.

    11 Eurobarometro. Solo il 41% dei cittadini dei Quindici è favorevole ad altre adesioni, mentre il 67% se si interrogano i cittadini dei 12 nuovi Stati membri.

    12 Secondo dati dell’Unione europea, nel 2005 il reddito di bulgari e romeni ha raggiunto solo il 33 ed il 34% del livello medio UE. Tra i Dieci del 2004 la Slovenia è quella più vicina agli standard comunitari con un reddito pari all’82% della media, superiore a quello del Portogallo (71%) e vicino a quello della Grecia (84%).

    Per il loro aiuto e per gli spunti di riflessione offerti si ringraziano Ewa Grabowska dell’agenzia PAiz di Varsavia, il corrispondente tedesco Stefan Scholl, il politologo Christian Forstner del Fondo Hanss Seidel di Monaco di Baviera, i colleghi Almerico Di Meglio ed Erminio Ferrari, l’editorialista di Moskovskij Komsomoletz Michail Rostovskij. Pagina Internet di riferimento: www.europarussia.com

    Nota bene: per le trascrizioni in caratteri latini di parole slave, scritte in cirillico, presenti nel testo si è preferito utilizzare la dizione giornalistica più corrente e non la traslitterazione scientifica, usata, invece, spesso nelle note.

    Oltre il fiume

    Bielorussia: in cerca di una propria identità

    L’aeroporto è deserto. Al mattino, al Minsk-2, sono pochissimi i voli in partenza ed in arrivo. Una guardia di frontiera nella sua divisa colore oliva ci accompagna per corridoi stretti e sale spaventosamente buie. Il silenzio regna sovrano. Si ode solo lo scalpitio nervoso dei tacchi delle poliziotte. Sembra quasi di vivere un qualche episodio di un film di spie. Troppi sono i racconti di occidentali e di russi espulsi o con disavventure alle spalle in questo Paese. Noi dobbiamo semplicemente ritirare alla dogana il visto per entrare in Bielorussia. Tutti sono gentili, escluso un funzionario anziano, di sicura scuola sovietica, con una paio d’occhiali d’altri tempi. Sbrighiamo le pratiche in pochi minuti. Con un giovane impiegato riusciamo persino a capire che abbiamo gusti calcistici diversi: lui e la sua Dinamo Minsk! «Benvenuto», bisbiglia, accennando a qualcosa di simile ad un sorriso, una donna militare, che ci ha squadrato a lungo, verificando l’autenticità del nostro passaporto, ma poi apponendo il fatidico timbro.

    La zona esterna antistante l’aeroporto è anch’essa deserta. Un poliziotto si ostina lo stesso a fermare le rarissime auto in transito e a non far sostare nessuno. Bisogna percorrere una quarantina di chilometri per arrivare in centro. Le strade sono ampie e pulite. Non c’è assolutamente traffico. Ad un tratto, sulla nostra destra, si erge un’imponente colonna a forma di spada su una collinetta, sorta con la terra raccolta in tutti i luoghi, dove si è combattuto in questa martoriata repubblica nella Seconda guerra mondiale. È la famosa Kurgan della gloria.

    Un pezzo di Urss non ancora tramontato

    Le strade di Minsk usano ancora toponimi sovietici. Si sprecano le vie intitolate ai capi del proletariato mondiale. Il monumento dedicato a Lenin primeggia incontrastato davanti al Palazzo del governo, quello di Feliks Dzerzhinskij, fondatore dei servizi segreti comunisti, rimane dirimpetto all’edificio dove sorge il locale Kgb. Vi è anche una statua di Kalinin, forse l’ultima rimasta dopo il 1991 in territorio ex sovietico ¹. L’obelisco di piazza della Vittoria ha sempre una stella rossa piantata in cima con la scritta CCCP. Non c’è alcun sentimento negativo verso il proprio recente passato. Anzi. Non manca la nostalgia ed il 7 novembre, anniversario della rivoluzione d’ottobre, è ancora festa. Un vecchio detto afferma che «a Minsk tutto succede due giorni dopo che a Mosca». Ed, in effetti, gli eventi russi e baltici del 1990-91 hanno avuto un eco assai ridotto in Bielorussia. Due le ragioni principali: l’economia qui ha sempre funzionato anche quando nel resto dell’ex superpotenza era paralizzata con i negozi desolatamente privi di merce; non vi era un forte movimento nazionalista comparabile a quello di altri Paesi vicini.

    Estesa poco più di una volta e mezza la Grecia con un uguale numero di abitanti, la Bielorussia si è ritrovata indipendente, cadendo in piedi e non in pezzi come il resto delle allora repubbliche sovietiche. Il calo limitato del Pil del ’91 non ha confronti con il crollo di quello russo e la sua successiva spaventosa depressione. Il tessuto industriale ha retto e prodotto merci finite per il mercato interno e per l’esportazione. Televisori e frigoriferi, mobili ed abiti hanno continuato a riempire le case bielorusse e degli ex Paesi fratelli. Le autorità del tempo riuscirono anche a tenere sotto controllo, per quanto possibile in quella drammatica situazione, l’inflazione e a limitare l’arrivo di masse monetarie in cerca di merce da acquistare. Non dimentichiamo che l’Urss di Gorbaciov era un Titanic che stava affondando, portando nel baratro chi era rimasto a bordo.

    Nell’autunno del 1991, quando visitammo per la prima volta la Bielorussia in compagnia dell’amico e collega Almerico Di Meglio nel corso di un irripetibile reportage su tutte le repubbliche sovietiche, scoprimmo un Paese, preoccupato sì per gli eventi moscoviti, ma senza chiari segnali di un prossimo collasso. I negozi erano ben riforniti e scarse erano le code; per entrare nei ristoranti non si pagavano mazzette; i taxisti mettevano il tassametro e volevano essere pagati in rubli; i mercati colcosiani erano aperti anche la domenica con tanti acquirenti, mentre quelli di Stato chiusi; gli stipendi non erano sufficienti per soddisfare tutte le esigenze, ma la gente non era ridotta alla fame.

    A questi fondamentali elementi di vita quotidiana vanno aggiunti la terribile esperienza subita durante la seconda guerra mondiale – un vero collante collettivo – e la reale composizione etnica del Paese, ormai russificato da generazioni. La Bielorussia uscì completamente disintegrata dall’ultimo conflitto. La follia omicida di Hitler cancellò gran parte della popolazione. Basta visitare il memoriale di Khatyn, ad una quarantina di chilometri dalla capitale, per rendersene conto. Qui si ricordano 186 villaggi distrutti dai nazisti con un solo sopravvissuto, Josif Kaminskij ². Alla fine della guerra, oltre 2milioni e 300mila persone avevano perso la vita. A lungo il Paese era stato trasformato in un campo di battaglia, dove l’Armata Rossa e la Wehrmacht si confrontarono senza esclusione di colpi. Minsk venne ridotta ad un cumulo di macerie.

    Nel corso del Ventesimo secolo i confini bielorussi sono cambiati di frequente, aggiungendo o levando minoranze polacche. La russificazione ha lasciato scarsi elementi autoctoni: dopo la riforma linguistica degli anni Trenta, il bielorusso è stato avvicinato al russo e lo si è continuato a parlare soprattutto nelle campagne. I nazisti hanno successivamente eliminato completamente la numerosa comunità ebraica. I pochi, che si sono salvati durante la guerra, sono fuggiti fra le braccia di Stalin o poi sono emigrati in Israele. «I bielorussi sono un popolo di contadini slavi di ceppo orientale – lo stesso di noi russi – mischiati con artigiani o commercianti ebrei, ormai scomparsi», chiarisce sbrigativamente un intellettuale moscovita.

    In queste terre sono state scritte importanti pagine di storia contemporanea: il Congresso fondatore del partito operaio socialdemocratico – primo embrione del partito di Lenin –; il trattato di Brest-Litovsk, che, nel marzo 1918, chiuse le ostilità tra Germania e Russia nella Prima guerra mondiale; l’accordo di Belovezh, che sancì la fine dell’Unione Sovietica ³. Si può quasi affermare che la parabola comunista iniziò in una casetta nascosta da degli alberi in pieno centro a Minsk nel 1898, prese vigore grazie ad una pace capestro con il Kaiser siglata in una fortezza sull’odierno confine polacco e si concluse nel dicembre ’91 in una fredda residenza di un parco naturale ad una manciata di chilometri da Brest.

    Queste terre hanno dato i natali tra l’altro all’umanista Francysk Skaryna, al rivoluzionario Kaustus Kalinovskij, al pittore Marc Chagall con la sua scuola di Vitebsk, allo scrittore Janka Kupala, alla matematica Sophia Kowalewska, al chimico premio Nobel 1977 Ilya Prigozhin, al padre della cibernetica Aleksander Malinovskij, al disegnatore degli aerei jet sovietici Pavel Sukhoi, al ministro degli Esteri sovietico Andrej Gromyko, alla ginnasta olimpionica a Monaco di Baviera Olga Korbut ⁴. Di Pinsk (anche denominata Pensk) erano il primo ministro israeliano Golda Meir e i presidenti Haim Weizmann ed il nipote Ezer ⁵. Sempre in queste zone sono nati altri due prestigiosi premier: Menachem Begin e Shimon Peres.

    Minsk o Mensk o Miensk

    Minsk inframmezza edifici di tre/quattro piani di buona fattura architettonica con i grigi palazzoni sovietici. Si è sviluppata lungo la sua strada principale, corso Indipendenza, ex corso Skaryna. Tutta la parte compresa tra piazza della Vittoria e l’incrocio con via Komsomolskaja rappresenta di fatto il centro, anche se la vicina zona del Troitskoe predmestie, sobborgo storico sul fiume Svisloch un tempo abitato da mercanti e proprietari terrieri, attrae maggiormente l’attenzione dei turisti. Dirimpetto, l’isola del pianto con il suo triste memoriale dedicato ai caduti nella guerra in Afghanistan è visitata dai capitolini soprattutto nei giorni festivi e le coppie, appena convolate a nozze, qui lasciano il bouquet e si affollano qualche metro più in là per le fotografie di rito intorno ad una statua di un angelo. È tradizione popolare che le spose accarezzino le parti intime del monumento in bronzo in segno benaugurale di fertilità.

    Fondata nel 1067, Minsk (chiamata in bielorusso sia Mensk che Miensk) ottenne lo status di capoluogo di un governatorato russo nel 1796, diventando successivamente capitale della Bielorussia nel 1919. Risorta dopo l’ultimo conflitto, ha oggi 1,7 milioni di abitanti. E non sembra proprio. Non c’è mai traffico e le code si formano solo quando passa un qualche corteo presidenziale o di ospiti stranieri. Nei fine settimane, in particolare quando il clima lo consente, è lungo prospekt Masherov, sul lungo fiume, dove la gente va a passeggiare e dove vengono allestiti banchetti con bibite e leccornie varie. Non lontano, quando c’è quiete, non è raro vedere i pescatori negli stagni in cerca di pace e tranquillità.

    Sono passati una quindicina di anni dalla nostra prima visita e Minsk rimane ordinata e pulita. È una città sicuramente piacevole. Cambiamenti ve ne sono stati, ma non siamo di fronte a vere rivoluzioni urbanistiche come, ad esempio, a Mosca. A differenza delle città baltiche, ormai assediate dai centri commerciali presenti in particolar modo nelle periferie, la capitale bielorussa ha sempre come punti di riferimento i super magazzini di memoria sovietica, Gum e lo Tsum. Fare quattro passi al loro interno aiuta a comprendere meglio il Paese.

    Anche nelle ore di punta non vi è ressa e i clienti non mancano. La merce in esposizione è quasi tutta di produzione bielorussa: colbacchi d’altri tempi a 30-35mila rubli; piumini ultima moda fabbricati a Vitebsk per 375mila rubli; vestiti di buona foggia di Gomel’ a 182mila rubli. Un euro vale all’incirca 2.500 rubli. La qualità è discreta. Solo la pelletteria è stata fornita da una società mista italobielorussa. Mancano, invece, completamente le merci cinesi, presenti solo nei mercati. I supermarket alimentari hanno prodotti russi e soprattutto locali e sono ben assortiti. Il prezzo di frutta e verdura è elevatissimo, anche rispetto a Mosca, la terza città più cara del mondo, stando a varie rilevazioni del 2005. Grande attesa vi è a Minsk per la costruzione di un grande magazzino sotterraneo davanti al Palazzo del governo nello stesso stile di quello della piazza del Maneggio nella capitale russa o del Globus di Kiev sotto al Maidan. Quasi sembra che i bielorussi vogliano prendere il meglio dai fratelli, evitando gli eccessi. Le vicine due torri davanti alla stazione ferroviaria rimangono il simbolo della città.

    Le uniche file che vediamo sono al McDonald’s centrale, all’incrocio tra via Lenin e corso Indipendenza, in un primo pomeriggio. Orde di adolescenti mettono a dura prova la pazienza degli inservienti. I trilli dei cellulari sono continui come gli schiamazzi e le risate allegre. Per 3.880 rubli un Big Mac fa la felicità dei bambini. I vassoi sono strapieni e qualcuno non riesce nemmeno a portare il cibo comprato fino ai tavoli. Solo attendendo a lungo si riesce a trovare una sedia.

    Bar e locali da tè sono stati aperti in gran numero. Spesso dalla strada non sembrano niente di particolare, ma, una volta al loro interno, ci si trova in ambienti assai curati come i loro menù con torte e delicattesse di ogni genere. Il Beze in Corso indipendenza è uno di questi, uno dei più alla moda visto il numero degli avventori nonostante i prezzi elevati. I bielorussi tentano di importare la tradizione dei cafè mitteleuropei.

    A Minsk ci si diverte con poco. Per le feste di fine d’anno 2005, davanti al Palazzo della repubblica, è stato messa su una pista da pattinaggio con ghiaccio artificiale. Migliaia sono le persone che volteggiano tranquillamente in pieno centro. Soltanto il marciapiede è rimasto libero per il passaggio dei pedoni o per i tanti che scattano foto ricordo. D’estate, invece, la gente si riversa sul lungofiume a passeggiare o ad ascoltare musica. Spaventosa fu la calca il 30 maggio1999, quando scoppiò un forte temporale durante la Festa della birra. Cinquantatre giovani morirono schiacciati nei vicini tunnel della metropolitana.

    Per strada o nei negozi non si sente nessuno parlare in bielorusso. La lingua usata comunemente è sempre il russo. Se ci si avventura su una delle due efficienti linee della metropolitana si è sorpresi che i nomi delle stazioni sono in bielorusso e questo crea qualche difficoltà ai visitatori meno attenti.

    I fratelli maggiori russi

    «La Bielorussia è un’invenzione sovietica. Perché Karamzin non la cita nemmeno nei suoi lavori? ⁶», sostiene uno storico moscovita. «La nazione contadina! È una specie di sovkoz con un ex direttore di kolkoz come presidente per più di un decennio», sentenzia sprezzante un altro intellettuale di scuola liberale. «La Bielorussia – rimarca un giornalista vicino ai circoli riformisti – è uno dei pochi posti nell’ex Urss, dove è sopravvissuto il tipico provincialismo sovietico. Salame economico per tutti, insomma». Se a Mosca si parla di nazione bielorussa non sono pochi quelli che storcono il naso e sono più inclini a segnalare una semplice variante regionale. Minsk è stata sempre vista come una città della sterminata provincia russa. La Bielorussia non è l’Ucraina, dove certe caratteristiche sono state sviluppate, ci viene spiegato. Durante il potere zarista queste terre erano semplicemente indicate come il territorio nord-occidentale ⁷ e divise in governatorati. La realtà è probabilmente che la nascita della coscienza nazionale in Bielorussia è stata più tardiva e tortuosa che altrove. Solo la formazione dell’Urss ha permesso l’emergere di questa identità.

    Quando, all’inizio degli anni Novanta del Ventesimo secolo, venne concepito il progetto di Unione russo-bielorussa nessuno si sorprese ⁸, tanto che, da dopo il 1995, non esiste un confine comune con una vera dogana tra i due Stati. Il presidente bielorusso Aleksandr Lukashenko era persino, ad un certo punto, disponibile ad accettare per il suo Paese lo status di regione o repubblica autonoma all’interno della Federazione russa. Il suo reale obiettivo, dicono i suoi avversari politici, era il Cremlino, dove Boris Eltsin appariva sempre più debole per il suo cattivo stato di salute e per la persistente crisi economica ⁹. Con l’elezione nel 2000 di Vladimir Putin, un leader forte e popolare fra la gente, la situazione è cambiata ed il progetto di Unione ha rallentato il suo corso. Ogni qualvolta in Russia si assiste ad un passaggio di potere commentatori e politici vari riesumano vecchi discorsi sull’Unione ed ipotizzano cambiamenti costituzionali che garantiscano la prosecuzione del mandato al presidente uscente. Comunque sia, l’idea di Solgenitsin di un’unica entità statuale slava orientale, che unisca russi, bielorussi ed ucraini, con il possibile inserimento del Kazakhstan (dove sono comprese le terre siberiane russe meridionali) rimane viva a Mosca.

    Per tutto il primo quinquennio degli anni Duemila, la politica di integrazione russo-bielorussa è andata avanti e formalmente sono stati creati alcuni organi comuni, come un Parlamento bilaterale con un bilancio statale. Il primo obiettivo da raggiungere è l’introduzione del rublo russo al posto di quello bielorusso, il secondo la migliore definizione costituzionale dell’Unione ¹⁰. A Mosca, tuttavia, sono molti gli analisti ad avere dei dubbi su un vero futuro per questa entità. Troppo spesso i progetti rimangono sulla carta e i risultati ottenuti sono alquanto nebulosi. Dal gennaio 2000, segretario dell’Unione è stato scelto Pavel Borodin, ex tesoriere del Cremlino ai tempi di Eltsin, colui che volle l’assunzione da San Pietroburgo di Vladimir Putin nell’amministrazione presidenziale ¹¹.

    «Malgrado le somiglianze, noi bielorussi siamo diversi rispetto ai russi – asserisce Nina Shydlouskaya dell’ Associazione mondiale Batskaustchyna (Patria) –. Noi bielorussi insieme agli ucraini amiamo il lavoro molto di più dei russi. Abbiamo avuto prima la concezione di proprietà privata. Nei nostri villaggi, ad esempio, i contadini curano tantissimo i propri orti. Andate a vedere quelli russi. Spesso un degrado. Ai russi piace bere. Cercate qui degli ubriachi nelle strade. Solo nelle nostre regioni orientali – Vitebsk o Mogiliov –, ossia vicino al confine con la Federazione, se ne vedono. I russi, poi, sono educati con una mentalità imperialistica e non possono vivere senza la Russia. Per noi è diverso». La giovane Mascia la pensa allo stesso modo. «Esistono fra noi – dice questa avvenente studentessa di Lingue – differenze simili come quelle tra francesi e belgi. La nostra maggiore caratteristica nazionale è la pazienza, forgiata da secoli di sopportazione». Ma «per gli ucraini esiste un limite – sottolinea Nina Shydlouskaya –. Quando questo viene oltrepassato loro agiscono. Noi, di solito, no. Purché non vi sia la guerra, è il nostro motto più comune. Non è importante che viviamo con gli spiccioli». Quando si parla della vita post sovietica nel grande Vicino i bielorussi iniziano a sorridere e a raccontare le disavventure di cui sono state vittime. La corruzione in generale, ma soprattutto quella della polizia stradale russa, viene messa in risalto in tutte le salse. Seguono descrizioni accurate delle disastrate strade russe. Le curatissime arterie bielorusse sono un sogno a certe latitudini.

    Un osservatore indipendente è colpito soprattutto dalla tenacia e dalla laboriosità di questo popolo, meno anarchico e più responsabile dei russi, anche se maggiormente ingenuo. La Bielorussia appare un Paese a mezza strada tra Russia e l’UE in cerca di un’identità più precisa e di un posto nella comunità internazionale.

    La nazione bielorussa

    Tra le tre identità slave orientali quella bielorussa è sicuramente la più debole. Le sue origini vengono fatte comunemente risalire al Granducato di Lituania, erede della Rus’ Kieviana, progenitrice della Russia moderna ¹². Nel 1307 aderì al nuovo Stato il principato di Polacak (in russo Polotsk), prima vera entità feudale di queste terre, che già allora, in ambito lituano, venivano denominate Belaja Rus’. Belaja ossia bianca significa libera dal giogo tataro-mongolo, sotto il quale erano cadute nel tredicesimo secolo le odierne Russia ed Ucraina. Ma di colore bianco è anche il costume tradizionale di queste genti come estremamente pallidi erano i loro volti. Alcuni storici ritengono, invece, che la parola belaja abbia connotati religiosi: queste popolazioni slave erano ortodosse, quindi pulite a differenza dei lituani, di ceppo baltico, a lungo pagani. Altri studiosi sono dell’opinione che tale denominazione sia connessa con ragioni geografiche: bianco significa oriente. Secondo altri specialisti ancora, bianca viene da privilegiata, situazione in cui si trovavano i territori orientali (intorno a Polotsk e Vitebsk) all’interno del Granducato.

    Nel 1323 il granduca Gediminas stabilì la sua capitale a Vilna, che rimase per secoli uno dei centri politici e culturali bielorussi ¹³. L’elemento slavo prevalse su quello baltico per lingua, fede e costumi in uno Stato fondamentalmente multietnico, tollerante dal punto religioso e dove esisteva un buon bilanciamento dei poteri. Nel Cinquecento, quando già da tempo il Granducato aveva legato le sue sorti a quelle polacche, vennero approvati ben tre Statuti, in antico bielorusso in caratteri cirillici ¹⁴. E nella stessa lingua, in precedenza, tra il

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