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Il cammino di dio
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Il cammino di dio

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Un diario - racconto del “pellegrino” Michele lungo il Cammino di Dio.

Tanti giorni in cammino con tutti i momenti intimi di gioia, dolore e speranza, misti fra spiritualità e ricerca del proprio essere sulle orme di antichi viaggiatori.

La Via Francigena nel Sud da Monte Sant’Angelo a Brindisi e poi la Via Egnatia da Durazzo a Istanbul toccando Salonicco, Kavala e attraversando la Kapadokya sui luoghi di San Paolo, scoprendo che la Chiesa di Roma ancora resiste in territori ostili grazie ad un pugno di suore, monaci e frati che stoicamente lottano continuando un apostolato che non è mai cessato.

Incontri con popoli accoglienti e non; dinieghi di semplici elemosine ed ospitalità insperate e provvidenziali, tutte rivolte al Pellegrino che, in quel momento, rappresentava un uomo povero di ricchezze materiali ma ricco di tanta umanità.

Richieste di una semplice preghiera rivolte al “pellegrino” da gente comune, da sofferenti, da preti, frati, monaci e vescovi; “sassolini” lanciati verso il cielo per tutti loro.

Un’avventura al di fuori del tempo di un uomo-pellegrino senza età.
LanguageItaliano
Release dateMar 3, 2014
ISBN9788868859091
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    Il cammino di dio - Michele Del Giudice

    tappe

    Prefazione

    Il pellegrinaggio inteso come cammino verso un luogo ritenuto sacro per la presenza del divino è una pratica devozionale molto diffusa dall’antichità sino ai nostri giorni. Quello cristiano affonda le sue radici nella prassi religiosa dell’antico popolo di Israele che secondo la Legge doveva recarsi a Gerusalemme tre volte l’anno: per le feste degli Azzimi, delle Settimane e delle Capanne (Dt 16,16; cf Es 23,17; 34,23). Si sale a Gerusalemme perché essa è la dimora, il luogo che il Signore ha scelto fra tutte le tribù, per stabilirvi il suo nome (Dt 12,5).

    Nei primi tre secoli del cristianesimo, però, il pellegrinaggio non viene affatto praticato, anzi sembra del tutto assente dalla spiritualità di Gesù che predicava la via della giustizia raccomandando la preghiera, l’elemosina e il digiuno (cfr Mt 5-6). Si tratta, però, solo di un’impressione, perché l’intera vita cristiana è un viaggio, un camminare alla sequela di Gesù (Lc 9,23; cfr Mc 8,31; Mt 16,24), a tal punto che lo stesso cristianesimo venne designato come Via (At 9,2; 19,9.23; 22,4; 24,14.22).

    I termini che il Nuovo Testamento adopera per definire lo stato del credente sulla terra è quello di paroikos o paroikia o anche di parepidemos (Eb 11,13; 1Pt 1,1; 2,11); termini che nel greco del tempo indicavano lo stato del colono greco che si allontanava dalla sua patria e viveva come straniero in una terra diversa dalla propria. L’equivalente latino peregrinus designa colui che si allontana dal proprio paese e soggiorna come forestiero in un luogo diverso dalla propria patria. Lentamente, però, si assiste ad uno slittamento semantico del termine peregrinus verso l’attuale significato di viaggiatore per devozione verso luoghi santi (cf Egeria 8,5; 45,4).

    I cristiani considerano la propria esistenza, il proprio cammino sulla terra come un vivere da stranieri in attesa di giungere alla patria celeste: non abbiamo qui una città stabile, ma cerchiamo quella futura (Eb 13,14), perché, come dice Paolo: la nostra cittadinanza… è nei cieli (Fil 3,20).

    Tali concezioni, il doloroso periodo delle persecuzioni e la mancanza di luoghi santi cristiani fanno sì che nei primi tre secoli del cristianesimo non vi sia traccia di pellegrinaggio.

    La notizia più antica di un viaggio a Gerusalemme è riferita ad Alessandro un vescovo originario della Cappadocia che, per volere divino, vi si recò per "pregare" e "visitare i luoghi santi" (Eusebio).

    Sarà però con la svolta costantiniana e con l’edificazione delle grandi basiliche del Santo Sepolcro, dell’Anastasi, dell’Eleona a Gerusalemme e della Natività a Betlemme che il fenomeno del pellegrinaggio esploderà. Ha così inizio una processione di pellegrini da ogni parte del mondo che non si è mai interrotta nemmeno nei periodi più bui e difficili della storia.

    Alla base del pellegrinaggio c’è la consapevolezza che solo chi si mette concretamente in viaggio, colui che si distacca fisicamente e si allontana dal luogo di vita abituale scopre esperienzialmente la dimensione di peregrinatio sulla terra dell’essere cristiano. Il mettersi in cammino è metafora del pellegrinaggio interiore, spirituale.

    Nel corso del IV sec., in parallelo con il crescere del pellegrinaggio a Gerusalemme, anche Roma assume i caratteri della città santa sia per la presenza delle basiliche costantiniane, sia per l’intensa opera dei papi nel restaurare e identificare le tombe dei martiri per offrirle alla venerazione di folle sempre più numerose di pellegrini. Oltre a Roma si assiste, col tempo, al sorgere di vari santuari sparsi sul territorio dove vengono venerati i santi più famosi e le reliquie più miracolose che attraggono flussi di pellegrini impossibilitati a raggiungere mete più lontane e meno sicure.

    Tra questi santuari un discorso a parte merita il santuario di San Michele sul Gargano sorto in seguito ad apparizioni angeliche nel corso del V secolo e che da meta di pellegrinaggi regionali assumerà col tempo, grazie in particolare ai Longobardi, una posizione di rilievo nella geografia cristiana dell’intera Europa.

    Ad attestarlo sono i graffiti di pellegrini giunti da ogni parte d’Europa ma anche le testimonianze letterarie. La più antica fra queste (inizi sec. IX) è contenuta del testo di fondazione del santuario di Mont Saint Michel in Normandia: la Revelatio ecclesiae Sancti Michaelis. In essa si narra come il vescovo di Avranches, Oberto, dopo aver ricevuto l’apparizione di San Michele viene esortato dallo stesso Arcangelo ad inviare dei monaci fino al Gargano per prelevarvi le sacre reliquie: un lembo del drappo rosso che lo stesso Arcangelo, sul monte Gargano, depose sull’altare costruito di sua mano, e un frammento della roccia sulla quale si era seduto.

    Ma già nella seconda metà del sec. IX un altro monaco Bernardo, con il suo pellegrinaggio, pone in relazione i due principali santuari micaelici dell’Occidente con Gerusalemme.

    Quando Michele del Giudice decise di percorrere il Cammino dell’Angelo dalla Normandia alla Puglia mi vennero immediatamente alla mente i fratres inviati da Oberto, ma anche Bernardo, l’abate Nikulas di Munkathvera che partì dall’Islanda nel 1151 per Roma e poi per Gerusalemme, passando da Monte Sant’Angelo, e l’anonimo fraticello inglese che con 14 compagni fece lo stesso percorso nel 1344.

    Gli amici dell’Associazione francese Les Chemins du Mont Saint Michel in un incontro di qualche anno fa chiesero a Michele e al CAI Foggia di progettare assieme un percorso che potesse collegare i due santuari. E forse è stata questa la molla che ha fatto scattare nella sua mente l’idea di provare a ripercorrere un itinerario antico che passando dalla Sacra di San Michele nella Val di Susa potesse essere riproposto ai pellegrini di oggi. Ma arrivando a Monte Sant’Angelo egli confidò: l’anno prossimo a Gerusalemme. Non ci si può fermare a Monte Sant’Angelo che è una meta di pellegrinaggio, ma è anche una tappa che invita a guardare oltre l’Adriatico, ad Oriente, alle radici della fede cristiana. E allora via per quest’altra grande avventura sul Cammino di Dio. Con pochissimi mezzi, senza assistenza di alcun tipo egli è giunto a Gerusalemme per pregare sul Santo Sepolcro e per sciogliere un voto. A ben vedere le motivazioni non sono cambiate di molto rispetto ai primi pellegrini.

    Da quando è tornato Michele non è più lo stesso.

    Nel corso del suo ultimo cammino Michele ripeteva ostinatamente a chiunque lo incontrasse di essere un pellegrino sulla via di Gerusalemme, suscitando a volte derisione o indifferenza e talvolta simpatia ed ammirazione. Il suo sentirsi e presentarsi come pellegrino ricorda in parte la situazione dei primi cristiani guardati con sospetto e ostilità, ma talvolta anche con grande ammirazione da parte dei contemporanei che avvertivano in loro un non so che di differente. E mi venivano in mente le parole dell’ A Diogneto, un testo cristiano del II secolo. I cristiani vivono nella loro patria, ma come stranieri residenti (paroikoi); a tutto partecipano attivamente come cittadini, e da tutto sono distaccati come stranieri; ogni terra è per loro patria, e ogni patria terra straniera (5,5)

    Tali parole manifestano quello che dovrebbe essere lo stato del cristiano sulla terra, un pellegrinaggio verso la patria celeste. Un vivere responsabilmente la propria cittadinanza terrena, partecipando attivamente alla costruzione di questa società ma con la consapevolezza di essere solo di passaggio. Il pellegrino testimonia l’esistenza di un altrove….sarà per questo che da quando è tornato Michele non è più lo stesso e non sa nemmeno lui perché. Tutto gli sta a cuore, ma il suo cuore e la sua mente abitano altrove, in quell’altrove meta di ciascuno.

    Ha compiuto un cammino tra genti e paesi lontani, ma il viaggio più lungo lo ha compiuto dentro di sé. E non ci saranno altre mete lontane da raggiungere, perché il viaggio lo ha condotto al centro del suo essere e ogni giorno da allora è diventato un cammino.

    Renzo Infante

    Prologo

    . . .

    Gennaio 2011

    Dopo aver tanto sofferto con l’anca destra malridotta, finalmente, nel gennaio 2011 sono psicologicamente pronto per l’artroplastica. Via la testa femorale, via il cotile e speriamo che vada bene.

    San Michele aiutami tu!

    Questa invocazione mi è venuta spontanea all’ingresso nella sala operatoria.

    Dopo tre mesi, nel maggio, con fatica, ho ripreso a camminare correggendo la postura, allungando sempre di più le ore di esercizi.

    Nasce così, prorompente, il bisogno di camminare in un nuovo modo: nello spazio attraverso i luoghi dei Cammini storici e nel tempo, sulle tracce della storia e di antichi pellegrini.

    Gennaio 2012

    La Via dell’Angelo. Ecco cosa cercherò di fare. Essenzialmente per due motivi:

    1.  devo un voto a San Michele. Questo grande Cammino da dedicargli mi sembra il minimo che io possa fare per ringraziarlo;

    2.  gli organizzatori frettolosi della Francigena nel Sud hanno escluso Monte Sant’Angelo ed il Gargano dal Cammino. La Francigena individuata andrebbe direttamente da Troia a Bari. Devo fare qualcosa per far capire all’Europa, ai nostri Ministeri competenti, alla Regione Puglia ed alla Provincia di Foggia che Monte Sant’Angelo è centrale nei Cammini dei giorni nostri: la Grotta dell’Arcangelo Michele è una meta! Come Roma, Santiago o Gerusalemme.

    Sono tanti i km che separano Mont Saint Michel da Monte Sant’Angelo, circa 2.500. Ce la farò? Non so. So soltanto che non posso non provarci; non me lo perdonerei mai.

    Ho bisogno di una mano. Gli amici Renzo e Federico non si tirano indietro. Renzo che mi detta la via storicamente valida e Fede ne traccia il percorso. Ma devo imparare a camminare meglio! Ecco Mariolina, fisioterapista e Fabio, podologo - posturologo che si mettono a disposizione. Tutti insieme lavoriamo tanto ed io miglioro sempre di più riuscendo a camminare 30 km ogni due giorni. Un altro Federico si affaccia nella mia vita. Mi da una forte spinta e la Regione Puglia mi offre una piccola sponsorizzazione. Acquisto tutta l’attrezzatura che è necessaria per un lungo Cammino. Lello e Filippo mi pagano il biglietto aereo per Parigi. È tutto pronto.

    Giugno 2012

    Parto l’11 giugno dalla Normandia in modo da arrivare alla Casa terrena del Santo guerriero giusto per la sua festa del 29 Settembre. Un Cammino straordinario che non mi crea problemi fisici.

    Settembre 2012

    Tutto va bene. Arrivo alla Basilica di San Michele per la festa dell’Arcangelo in perfetto orario e insieme ad una marea di pellegrini che in quel giorno, da millenni, raggiungono la Sacra Grotta.

    Che esperienza meravigliosa! E che cambiamento nella mia vita. Il tempo ha preso un’altra dimensione e la scala dei valori ha subito un totale rimescolamento.

    Ma da domani che faccio? Può terminare qui la mia esperienza di pellegrino? No, non posso fermarmi sul più bello. DEVO raggiungere Gerusalemme, il Santo Sepolcro.

    E allora forza a organizzare il Cammino di Dio: Renzo, Federico, che avete da fare nei prossimi mesi? Io leggo i diari di altri camminatori, prendo spunti per fare o non fare determinati tragitti, chiedo visti e informazioni sui vaccini da fare.

    Gennaio 2013

    Il consolato della Siria e del Libano non mi fanno nemmeno entrare negli uffici; forse non dovevo presentarmi come pellegrino! Ma forse è anche meglio così: non credo che attraversare lentamente questi due Paesi, oggi, lasci al camminatore qualche possibilità di uscirne vivo. In ogni caso, quando sarò verso il confine con la Siria constaterò se sussisteranno ancora i pericoli di attraversamento dei suoi territori.

    Vuol dire che triangolerò con Cipro. Certo mi irrita il fatto che mi è preclusa una parte del mondo. Chiedo qualche sponsorizzazione ma non ottengo neanche un centesimo tranne che il biglietto di ritorno da Gerusalemme a Roma da Franco. Molto probabilmente sono tutti convinti che non tornerò vivo da quest’avventura. A dire il vero, neanche io sono molto convinto di farcela! Però la voglia di tentare è enorme. Purtroppo, non avendo un decente budget a mia disposizione, non posso rifare una nuova attrezzatura. Devo utilizzare quella già usata per la via dell’Angelo ormai quasi del tutto usurata. Mah, devo stringere i denti.

    Manca una settimana alla partenza e ho dimenticato le vaccinazioni. Di corsa vado al Centro di Igiene e chiedo: antitifo, anticolera, antitetano, la pentavalente del turista e quella per la meningite. Devo farle tutte in un giorno. Ancora un giorno con dolore alle braccia e sono pronto per partire.

    20 maggio 2013

    Domani mattina parto per la grande avventura. Un abbraccio agli amici più cari. Ho deciso di partire in un giorno infrasettimanale per evitare i saluti dell’ultimo istante e anche che qualcuno si unisca nella discesa da Monte Sant’Angelo verso Manfredonia. Voglio percorrere la Scala Santa lentamente, guardando il panorama sul golfo di Manfredonia e lasciando perdere lo sguardo oltre l’orizzonte verso sud-est, verso la mia lontana meta.

    Ultima notte a casa. Una notte insonne. Mi giro e rigiro fra le lenzuola cercando di riposare un po’ ma senza riuscirci. Non fa niente, riposerò un’altra volta. Pippo si accorge della mia agitazione e mi si accosta chiedendomi una carezza.

    È l’alba, lo zaino è pronto, io anche, non vedo l’ora di fare il primo passo. Antonello mi accompagna a Monte Sant’Angelo. Guardo il percorso con famelica attenzione: non vedrò questi panorami che fra quattro mesi . . . spero. Mi tolgo la collanina d’oro, un caro ricordo di mio fratello che non c’è più e la metto al collo di Antonello: me la restituirai al mio ritorno!

    Rito religioso nella Sacra Grotta, padre Wladyslaw, rettore della basilica mi da la sua benedizione ed ora sono pronto . . .

    IL CAMMINO DI DIO

    1° tappa – Monte Sant’Angelo – Manfredonia

    Martedì 21 maggio

    Evviva! Il più è fatto, sono partito! Ora non mi resta che arrivare, vivo! L’avvio è molto emozionante. La Grotta dell’Arcangelo Michele è piena per la presenza della compagnia dei pellegrini provenienti da San Marco in Lamis. Padre Wladyslaw, rettore della basilica di San Michele, al termine della messa, annuncia che, al termine della messa, seguirà la benedizione di un pellegrino in partenza per la Terra Santa. I presenti restano incuriositi. Il caro padre polacco mi benedice e tutti vogliono stringermi la mano e . . . chiedermi una preghiera. È toccante una signora di San Marco che mi chiede di pregare per un ragazzo del suo paese in coma. Ovviamente inizierò con lui il mio lungo elenco dei sassolini che ogni giorno, più o meno cinque al giorno, lancerò verso il cielo ricordando un amico.

    La discesa da Monte è molto faticosa: il sindaco del Paese di Monte Sant’Angelo mi aveva promesso che avrebbe reso percorribile il meraviglioso sentiero della Scala Santa. Forse l’ha dimenticato. Ho dovuto rischiare passando su strapiombi a causa di una radicale recinzione di filo spinato con cui un pastore ha interrotto il percorso storico che tocca Ognissanti.

    Questo, però, non mi impedisce di pensare al lungo cammino che sto per affrontare. Se cerco di immaginare i prossimi mesi, mi appare un’immagine scura con lievi forme irriconoscibili che si muovono sullo sfondo: nulla di definito o di identificabile! Avventura!

    Giunto in pianura, dopo aver ammirato, quasi fosse la prima volta, la stupenda serie di gradini scolpiti nella roccia della Montagna Sacra dal cammino secolare dei pellegrini penitenti, ho la piacevolissima sorpresa di incontrare due cavalieri, Mario e Ettore che, con i loro magnifici cavalli, Libe e Smith, mi scortano fino a casa di Mario a Siponto. La Provvidenza per oggi è stata magnanima. Oltre allo spirito ha pensato anche allo stomaco. Qui a Manfredonia, il periodo delle seppie viene celebrato con prelibate maniere di cucinarle. Per me la signora Maria ha preparato un ragù di seppie e seppie ripiene come secondo. Dopo una veloce doccia e lavaggio della biancheria, un salutare riposo mi tonifica nel fisico. Gli 800 mt di dislivello in discesa, resi ancora più difficili dall’imprevisto fuori sentiero dei recinti e l’inaspettata lunghezza del percorso (23 km), hanno messo a dura prova le mie ginocchia e la mia schiena. Il lavoro fatto in palestra sotto l’attenta e competente direzione di Gianluigi Mirto, si è fatto sentire. La coscia che tanto mi ha fatto soffrire durante il Cammino dell’Angelo è tranquilla. Sì, sono dolorante dappertutto, ma niente in particolare. E questo è un buon segno. In serata ha piovuto un po’. Meno male che Mario se n’è accorto che mi ha spostato il bucato steso ad asciugare nella villetta sipontina. Una cenetta in piacevole compagnia: due sorelle della padrona di casa e Nicoletta, la moglie di Ettore conclude una giornata iniziale sicuramente positiva. Quante ne seguiranno altrettanto buone? Mah! Intanto godiamoci questa! Buonanotte a tutti. E il mio pensiero durante il percorso è andato a:

    libero (San Marco), mamma+, papá+, antonio (mio fratello+), zio Peppino+.

    2° tappa – Manfredonia – Zapponeta

    Mercoledì 22 maggio

    Non ho molto da dire su questa tappa. Parto alle 08.00 con la scorta di Mario ed Ettore coi loro cavalli e preferisco camminare sulla spiaggia. Un lungo tratto di battigia. Un’onda appena accennata che di tanto in tanto tenta di sorprendermi e bagnarmi gli scarponi. Gli zoccoli dei cavalli che mi precedono lasciano profonde orme che quell’onda cerca di cancellare senza successo. Oggi non gliene va bene una!

    Sostituisco il rito dei cinque sassolini con i gusci di altrettante piccole conchiglie. La bella novità della spiaggia diventa presto monotonia e allora, al dolce dondolio del mare, lascio andare il pensiero a ricordi ora tanto lontani e confusi e ora più recenti e precisi. Mi sorprendo a nostalgici sorrisi che vengono interrotti dai due cavalieri: la lunghissima spiaggia si interrompe. C’è la foce del Candelaro larga una quarantina di metri. Alternative:

    1 - seguire il fiume per un km verso l’interno e passare sul ponte stradale

    2 - togliermi scarponi, calze e pantaloni e camminare nel breve tratto di mare ad altezza coscia

    3 - salire sul cavallo e far bagnare lui.

    Mario e Ettore hanno già deciso per me: la terza soluzione è la migliore. Ma io non sono mai salito in groppa ad alcun equino se non sull’asinello con cui mio zio Peppino mi portava sul Poggio Tinnicoda tra Vico del Gargano e la Foresta Umbra nella mia infanzia! No problem, monto Libe che è il più tranquillo. Salgo in sella dondolando pericolosamente a destra e sinistra e, seguendo le istruzioni di Mario che mi segue su Smith. Concludo con successo la grande impresa. Riprendiamo il lento cammino fino alla successiva foce, questa volta del Cervaro. Qui i due cavalieri mi salutano: tornano indietro. Abbracci e promesse di rivederci al mio ritorno. Proseguo sulla strada provinciale molto pericolosa. Il fascino del panorama viene sostituito dal pericolo delle auto che sfrecciano ad alta velocità. Con forti dolori alle cosce giungo a Zapponeta alla 12,30: quattro ore per 23 km. No, devo dosarmi meglio! Devo tenere i quattro chilometri di media. Incontro un vigile urbano e le chiedo come fare a parlare al sindaco: ce lo chiediamo anche noi, il comune è commissariato. Non mi resta che il parroco. Davanti alla chiesa sfarzosi abbigliamenti femminili poco adatti ad una cerimonia religiosa e don Leo. Mi presento e gli chiedo ospitalità. Nessuna esitazione: la sala parrocchiale. Anche per oggi sopravvivo. Sono talmente stanco che non mi va di mangiare. Modulo e sacco a pelo e buon riposo! Comincio a scrivere il diario giornaliero ma la stanchezza del cammino e delle due notti precedenti quasi in bianco prendono il sopravvento. Dopo aver mangiato due fette di pane (comprato al panificio per 70 cent) e pomodoro (recuperato in mattinata lungo la strada), ora termino questa giornata. Sono le 19,46. Buonanotte.

    Le conchigliette di oggi:

    mamma liberina, francesco, giuseppe, carlotta, alessandra

    3° tappa – Zapponeta – Barletta

    Giovedì 23 maggio

    L’acqua fa bene ai campi, non molto ai pellegrini. Parto col buio. Voglio evitare il traffico, per quanto possibile, della SS 159 verso Barletta. La strada corre per lunghi tratti a pochi metri dal mare fra campi coltivati a ortaggi. Il problema è che non c’è lo spazio per il pedone al bordo della carreggiata. Partendo presto speravo di evitare il grande traffico delle otto. Il grande traffico, però, comincia ben prima delle otto. In più il bordo strada è molto sconnesso per cui con la pioggia si formano grandi pozzanghere. Come nei film comici, passa l’auto che schizza l’acqua addosso al passante, ho dovuto ripetere la scena tante volte perché la prima non veniva bene. Non è stato divertente. Non posso mangiare niente lungo la strada perché entrare in un orto significa affondare nel fango. Cammino come un treno non avendo la possibilità di fotografare né di guardarmi intorno sia per la pioggia e sia per gli sciacquoni che cerco di evitare ad ogni incontro con le auto. Alle 09.00 sono a Margherita di Savoia e verso le 11.00 comincio a vedere Barletta. Devio verso il mare. La spiaggia non è transitabile come ieri. Quella piccola onda sul bagnasciuga oggi è un piccolo cavallone e la rena è molle. Cammino sulla stradina che fiancheggia la spiaggia. Smette di piovere e vengo raggiunto da una troupe televisiva di TV2000. Mi seguono con difficoltà e il cameraman mi chiede di rallentare. Lo faccio molto volentieri perché qualche crampo si fa sentire. Ho camminato per 33 km senza sosta. Alla partenza mi facevano male polpacci, cosce e schiena. Ora tutto è passato ma evidentemente non sono ancora pronto per queste distanze. Ancora qualche tappa di assestamento è necessaria. Il povero operatore mi sorpassa continuamente per riprendermi da tutti i lati. Telefono a Pietro, il mio hospitalero di oggi. Mi risponde il figlio Franco: «papà ti viene incontro sul lungomare». Il regista mi chiede di fare qualche ripresa nel centro storico della bella cittadina della disfida. Come si fa a dire di no? È tutta pubblicità gratuita per il mio Cammino, per la Puglia e per Barletta nell’ordine. Ed io mi sento Pellegrino, italiano e pugliese nell’ordine. E anche vicaiolo «mupo frecato» (questo non lo traduco! Immagino il sorriso di zia Liberina). Con

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