Un viaggio in Sardegna
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Book preview
Un viaggio in Sardegna - Saverio Massari
633/1941.
UN VIAGGIO IN SARDEGNA
Diario di un viaggio vero con appendici letterarie e
informazioni turistiche irreperibili altrove
Domenica 23 giugno 2013 – A Cagliari e a Villa Simius, per Sa Ruxi –
1. Siamo arrivati in albergo poco dopo mezzogiorno e ci hanno dato una stanza niente male. Poi la luce elettrica funzionava poco, ma questo lo abbiamo scoperto dopo. La stanza era bella alta, tipo quattro metri, o più. Questo in genere è già mezza bellezza di una stanza d’albergo. Senonché anche l’armadio era così alto, quasi quanto la stanza. E nell'armadio c’era, come deve esserci, l’asta per appendere gli abiti, e Armida ha cominciato a disfare la valigia (che è un trolley) ma l’asta è molto in alto nell’armadio, e lei non ci arriva, così sale sulla cassettiera che è nell’armadio e ci arriva.
2. Nel pomeriggio al Poetto c’è una spiaggia bellissima. E’ bianca e larghissima. C’è un lounge pretenzioso, con i divani e le poltrone e a un banco fanno i toast e le piadine e servono la birra (anche se sono momentaneamente sprovvisti della birra Ichnusa cruda, della quale abbiamo sentito parlare) ma se vuoi il vino devi andare a prenderlo a un altro banco: che strano ! Ma la spiaggia è lunghissima: certamente ci saranno altri posti dove il vino è servito insieme agli alimenti. Forse loro non pensano che anche il vino è un alimento, e dei più importanti. In appendice 2 trovate informazioni sui vini sardi.
3. Poi si va a Sa Ruxi, e per chilometri la strada è piena di fenicotteri, non molto rosa. Sa Ruxi è una insenatura divisa in tre spiagge, come anticipa la guida Touring (Guida social Sardegna spiagge e mare
, una speciale guida per vacanze al mare). Ci sono molti massi di granito sulla spiaggia, nel mare e poi altri emergenti a chiudere ciascuna piaggia. Sono lisci e ci si può camminare sopra scalzi senza ferirsi, invece da noi in Puglia abbiamo i massi di calcare, che in Salento chiamano cuti, e questi nei secoli hanno perso i fossili che imprigionavano, liberando piccole cavità dai bordi affilati, e sono diventati molto taglienti, e non si può calpestarli scalzi. Pigro pensiero bizzarro: si potrebbe pensare di sostituirli con massi di granito, che sono lisci. Costerebbe moltissimo, chissà se l’Unione ha un programma per fmanziare un tale intervento di promozione turistica, proprio radicale.
4. Poi siamo andati alla spiaggia Giunco a Capo Carbonara, una spiaggia che divide il mare dallo stagno di Notteri, che
è pieno di fenicotteri. Non molto rosa. E si è fatto sera.
5. Poi siamo andati a cena al ristorante Al Moro di Villa Simius, che sta sulla guida, e abbiamo messo anche qui in appendice. E’ buono e costa circa quanto scrive la guida, vino escluso. Armida ha guardato malissimo il cameriere, senza motivo.
Le capita. E anche il maître, ha guardato malissimo, pure senza motivo. Ho pensato che volesse rimproverarli perché l’asta nell’armadio, stamane, era troppo in alto.
6. Qui, cioè qui in Sardegna, si fa un dolce che è una specie di panzerotto, riempito di formaggio dolce e poi fritto. Si serve caldo col miele sopra. Si chiama seada (sa seada).
7. Siamo andati a dormire tardissimo, nell’eccitazione dello spaesamento: bellissimo!
Lunedì 24 giugno 2013 – A Cagliari e alla Tuerredda –
1. Abbiamo preso un caffè, anzi due, al Caffè delle Arti, che sta in cima alla città e offre una veduta unica, sul centro, sul porto, sugli stagni e sui monti intorno. Quanta diversità sotto un unico sguardo! La città di Salerno avrebbe bisogno di un uguale caffè sul castello Arechi.
2. Poi siamo andati alla spiaggia di Tuerredda, spiaggia libera, parcheggio cinque euro. C’è un isolotto di fronte, chiude la baia. L’acqua del mare è turchese a riva, è del tutto trasparente. A meno di cento metri si alternano strisce blu oltremare, e verdi. Batte un vento eccezionale, a raffiche prossime a trenta nodi, ma a tratti quasi nullo. Prima da ostro, poi gira da maestrale e prende la spiaggia da terra. Raffiche di sabbia vetrosa ci spingono ad andar via, mentre le macchie di pini e acacie stretti gli uni alle altre quasi rombano sotto tanto vento. Armida parla al telefono con Nicola S. e parlano di Chia: allora ci andiamo. E’ bella. Decidiamo di tornare domani.
3. Tornati a Cagliari compriamo un contenitore per lenti a contatto. Tre euro.
4. Alle ventuno e diciannove usciamo dall’albergo per andare da Enò, vineria segnalata dalla guida in vico Carlo Felice (che è in pratica nel largo Carlo Felice, il centro della città, animato e ridente). Ci sediamo fuori, poi viene un tale freddo che ci spostiamo dentro (e fuori infatti ora è deserto!). Vi chiederete perché vi ìndico con tale pedanteria l’ora di sortita: di quell’albergo merita ricordo solo l’orario di uscita, non certo il nome o altri indizi identificativi: damnatio memoriae. E poi, arrivano momenti, dopo molto lavoro – vero o presunto tale – o forse dopo molta pressione ambientale – vera o presunta tale – o forse ancora dopo un periodo di restringimento e declino della propria capacità di essere per gli altri, di ascoltare, di contenere in qualche modo gli altri e l’altro, insomma un periodo durante il quale siete stati davvero riempiti dall’altro, e avete bisogno di fare un po’ di vuoto, ovvero di vacanza, nel significato primo della parola, arrivano momenti insomma nei quali tale è il bisogno di rivolgere lo sguardo su di sé che di sé si cattura con avidità ogni menomo particolare, il più insignificante perfino, come è in fondo l’ora in cui si mette piede fuori dell’albergo. Il che, dopo aver ripreso fiato giusto l’indispensabile, torna a provarci subito quanto sia sterile indugiare a guardarsi: si finisce col vedere l’inutile profilo operativo che ci contorna. Meglio