La rivoluzione verde
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La rivoluzione verde - Eveline Dayal
luna…
1
Mattia Sannai lavorava da alcuni anni per la S.I.G.A., la Società Italiana di Genetica Agraria. Fu costituita nel 1963 e il suo primo fondatore, il Sen. Prof. Nazareno Strampelli, era un ricercatore geniale precursore dei tempi.
Ogni volta che ci pensava, Mattia si stupiva sempre per come fosse riuscito quell’uomo, con i pochi mezzi che aveva, a raddoppiare la produzione cerealicola italiana. Già nella prima metà del XX secolo tramite incroci tra varietà geneticamente distanti
di frumento, lo scienziato aveva reso la penisola autosufficiente al fabbisogno interno.
A distanza di un secolo il dottor Sannai, un tipo massiccio dai capelli tendenti al castano chiaro, era molto orgoglioso di appartenere alla S.I.G.A. e soprattutto che gli fosse stato affidato un incarico nel centro di ricerca sperimentale da parte del dipartimento della facoltà di Agraria di Sassari.
A Platamona le due lunghe serre principali, insieme alle altre minori, custodivano i risultati degli esperimenti frutto di anni di studi genetici sulle colture. I vivai erano stati un fiore all’occhiello dell’istituto negli anni ‘90 per poi essere andati in declino per trent’anni. Solo a partire dal 2025 con l’assegnazione di nuovi fondi, l’acquisizione di recenti know-out e l’orientamento favorevole dell’opinione pubblica, era stata possibile la riapertura del centro.
L’edificio principale, sembrava una bella villetta tra il verde, poco distante dal mare, senza nessuna recinzione né cartello che potesse dare nell’occhio.
Il dottor Sannai salì alcuni scalini, entrò nell’androne centrale, poi si avviò subito lungo il corridoio sulla destra e bussò alla seconda porta a sinistra. Desiderava parlare con una sua collega, la giovane dottoressa Alice Cadoni. Si strofinò le mani sul camice per asciugarle, poi fece capolino senza aspettare una risposta.
«Hai visto che spettacolo? Quella piccola modifica genetica che avevamo scartato nel 2047, oggi, a distanza di quasi due anni sta dando buoni risultati».
«Mattia, hai capito adesso, ci vuole pazienza! Ormai con la manipolazione del DNA possiamo rendere qualsiasi pianta adatta alle condizioni più estreme».
«E va bene, se vuoi che ti dica che hai sempre ragione, lo ammetto», si avvicinò da dietro e con le braccia le cinse la vita « Per questa volta hai vinto tu… ma solo questa volta!»
Lei si girò dentro il suo abbraccio e con la punta delle dita avvolte nei guanti in lattice, lo allontanò da sé dipingendo attorno alla bocca due insenature che volevano proprio dire te l’avevo detto
.
«Ragazzi, la volete finire?» esordì il professor Prandi mentre entrava in laboratorio con delle scarpe che sembrava pesassero cento chili. Ed era accompagnato da un signore che subito si presentò:
«Buongiorno, ehm, ragazzi!» tossicchiò, «mi chiamo Michele Servili e sono il Sindaco di Iglesias, il professore mi ha invitato qui, ma… »
«Ci scusi» si ricomposero i due giovani, «stavamo riflettendo sulla conservazione del germoplasma in condizioni di asepsi, induzione di nuova variabilità genetica e selezione in vitro a livello cellulare di mutanti». Mattia sembrava una macchinetta, parlava velocissimo mentre sulle sue labbra si combatteva per non fare esplodere una risata. Quella frase era il lasciapassare per tutti gli studenti che avessero voluto occuparsi di genetica agraria. Anche gli altri si misero a ridere mentre mostrava con fare da sapientone
una delle porticine a vetro delle celle frigo.
Poi si abbottonò bene il camice bianco, sotto portava jeans e camicia di lino blu, e diventato a un tratto serio:
«La stavamo aspettando Sindaco, il professor Prandi ci aveva avvertito. L’esperimento che abbiamo portato avanti è riuscito perfettamente e siamo già pronti a distribuire peschi nani resistenti alle inondazioni, al gelo, alla siccità e persino al fuoco. Il nostro territorio è purtroppo interessato da fenomeni di acidificazione, inoltre l’eccessiva salinità ostacola la crescita degli alberi da frutto e la loro produzione. Le piante prototipe sviluppate con l’aiuto dell’ingegneria genetica hanno dimostrato di poter tollerare bene questi stress ambientali».
Alice continuò sciorinando il suo sapere:
«Una volta non ci saremmo mai sognati un simile risultato. Era ancora utilizzato un batterio tumescente per veicolare nuovi geni all’interno del DNA. Bisognava individuare tra migliaia di mutazioni quelle inutili da eliminare, per trovare quella unica che servisse», specificò la studiosa che proseguì guardando il Sindaco dritto negli occhi.
«Molti si opposero agli OGM ottenuti così, soprattutto in Italia. Nessuno voleva cibarsene e il timore eccessivo del diffondersi indiscriminato di piante transgeniche nei terreni coltivati in modo tradizionale, causò addirittura la proibizione degli studi. Dopo decenni di sviluppi nella ricerca, di rassicurazioni e con l’avvento della vera ingegneria genetica, finalmente oggi possiamo individuare i singoli geni endogeni della pianta su cui occorre intervenire per potenziare determinati caratteri».
Quando si fermò per riprendere fiato Mattia le sfilò le parole di bocca:
«La genomica inoltre, ha reso possibile la modernizzazione del breeding ovvero la selezione assistita da marcatori, detti anche MAS. I computer quantistici hanno fatto il resto, in pochissimo tempo ci forniscono i dati di milioni di codici incrociati. Con l’utilizzo combinato dei due sistemi siamo riusciti a ottenere uno sviluppo inatteso in questo campo e possiamo festeggiare, oggi… non è vero professore?»
«Bene Sannai, il primo carico per Arborea con mille peschi nani dovrà partire entro dieci giorni, mi raccomando. Dottoressa Cadoni, intanto illustri a Servili i nostri ultimi prodotti. Sappia, che il Sindaco è anche un grande proprietario terriero dell’iglesiente. Mentre dottore, lei venga con me, le devo parlare».
2
Si allontanarono dal centro di ricerche, un caseggiato bianco su due piani in mezzo alla pineta che nascondeva tutta la costruzione. All’interno, un paio di uffici di rappresentanza ma nei laboratori, i sofisticatissimi impianti per la sterilizzazione, conservazione e stabulazione di organismi geneticamente modificati, erano tenuti in ambiente controllato.
Il personale non contava più di una decina di addetti, eppure riuscivano a mantenere la struttura in ottimo stato, con una manutenzione quasi maniacale. Le serre erano dotate di tutti i più efficienti sistemi di copertura, innaffiatura, spruzzatura di medicinali e disinfestanti, oltre agli apparati di controllo dell’umidità, della temperatura e del soleggiamento.
Il direttore, il professor Luciano Prandi, era alto, robusto e stava così diritto da sembrare sempre sul punto di comandare un assalto. Un uomo severo, rigoroso e profondamente convinto che solo seguendo alla lettera i regolamenti e i disciplinari si potessero raggiungere risultati esemplari.
«Siamo alle soglie del 2049, e ancora non si è trovato rimedio per questo maledetto clima», disse a Mattia mentre si dirigevano all’interno della serra più piccola. La ghiaia asciutta scrocchiava al loro passaggio come patatine sotto i denti.
«Vedi, te ne avevo già parlato. Trent’anni fa, tu eri appena nato. Quando abbiamo avviato il progetto insieme alle Nazioni Unite e alla FAO per fermare la desertificazione in Africa, non sapevamo ancora bene a cosa stessimo andando incontro. Era stato appena scoperto il fotovoltaico a basso costo e le piante modificate che sopravvivevano alla scarsità di acqua; ci sembrava così di avere risolto i problemi di quella gente.
Come potevamo supporre che una parte del Sahara, nel corso di una generazione, sarebbe diventato il giardino del mondo e i problemi adesso, ce li avessimo noi? Quei popoli, col sottosuolo che si ritrovano, ora hanno pure l’acqua, giacimenti minerari ed energia dal sole. Producono più frutta di tutta l’Europa. Dobbiamo correre ai ripari!
Qui invece il clima è peggiorato, piove troppo per otto mesi l’anno, e gli altri sono talmente torridi che bruciano ciò che resiste alle inondazioni. Il governatore della Sardegna pretende una svolta!
Non possiamo più permetterci di perdere tutte le quote di mercato degli ortaggi e della frutta. Ci servono piante più robuste, con radici forti e che resistano a TUTTO. Altrimenti il centro sarà costretto a chiudere, e anche la nostra isola, che si è votata all’agroalimentare e al turismo».
«Volevo dare la notizia ufficialmente, ma dato che è così preoccupato», disse il ricercatore «penso di potermi sbilanciare. Guardi questi germogli, professore, sono l’esito dei miei ultimi anni di ricerche, li avevo tenuti celati qui, tra altre colture ibridate. Ecco, questi fili d’erba, sono a dir poco… mostruosi! Sono piccole ed esili erbette ma capaci di crescere dappertutto, non hanno bisogno di niente. Sono infestanti, ignifughe, idrorepellenti come la Salvinia molesta, hanno