Oversound
By Andrea Zanon
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Oversound - Andrea Zanon
danza
L’idolo
Ora che poteva vedere da vicino i tatuaggi, si accorse che quella che gli era sembrata una croce era in realtà una rosa dei venti, piuttosto rozza, e che la linea sottostante era un coltello disegnato in orizzontale. La scritta, quella sì, l’aveva vista giusta: ROXY, maiuscolo. Indossava una maglia nera da motociclista, senza maniche, con un messaggio sulla schiena: Se leggi questo, allora la troia è caduta
. Forse Roxy e la troia erano la stessa persona, o forse Roxy era un vecchio cane, magari un pitbull femmina. Ne avrebbe riso, o almeno sorriso, in altre circostanze; si ritrovò invece a pensare all’identikit che aveva fornito alla polizia, completamente sbagliato. In effetti, oltre alla scritta, l’unico dettaglio corretto era che il braccio di quel tipo fosse enorme. Erano passati più di sette mesi ed ora se lo ritrovava davanti, al supermercato.
Fissava quei disegni tra deltoide e bicipite al limite dell’ipnosi, in uno stato di esaltazione e timore religioso. Come se, in fila davanti a lui alla cassa rapida con massimo dieci oggetti, non ci fosse il bestione che aveva fracassato la testa ad un marocchino nel parcheggio dell’Oversound, ma una di quelle madonne in gesso che piangono sangue. Da un paio di minuti stava combattendo con l’impulso di toccarlo, di passare un dito su quella scritta che l’aveva ossessionato per mesi. Quando l’altro fece un passo e cominciò a scaricare la sua roba sul rullo l’occasione fu troppo ghiotta: fece un movimento un attimo troppo lungo per prendere una busta, e gli fu addosso.
- Oh, mi scusi.
Due occhi gelidi gli si piantarono contro. Fu preso dal panico: fino a quel momento non aveva mai pensato di poter essere riconosciuto. Da troppo tempo era lui il testimone, quello che aveva visto tutta la scena, per sbaglio, cercando un luogo discosto dove pisciare. L’altro ammazzava e lui guardava, i ruoli erano rimasti cristallizzati in quella posizione da sempre, senza possibilità di rovesciamento. Il braccio calava sulla testa dell’africano, e i tatuaggi s’imprimevano nel suo ricordo.
Per più di mezz’ora l’aveva inseguito per tutta la città mercato, tra i banchi degli alcolici, nel reparto formaggi, tra i televisori, ovunque, senza riflettere. L’altro si muoveva e lui guardava, non era contemplato il fatto che fosse lui ad essere visto, osservato, e, forse, riconosciuto. Adesso, però, l’aveva toccato e aveva modificato il loro rapporto, tutto poteva cambiare.
La paura cancellò ogni pensiero. In un attimo fu sicuro che il motociclista potesse guardargli dentro e cogliere il loro legame, con una sorta di istinto primordiale. Gli si paralizzò il cervello. Non appena quegli occhi distolsero la loro attenzione dai suoi, mormorò ancora delle scuse, che andarono perse nel rumore della gente intenta a pagare e fare spese. Si ritrasse, prese dei chewing gums da uno scaffale, e si bloccò, incerto se prendere anche una barretta di cioccolato. Forse il cioccolato l’avrebbe reso meno sospetto, o forse sarebbe bastato fischiettare e cambiare fila, come in un film. Aprì i chewing gums e ne mise in bocca un paio. Un istinto automatico gli diceva di andarsene il più lontano possibile, di fare cose semplici e rassicuranti.
Gli fu impossibile. Aveva cercato per mesi di fuggire quella scena che continuava a pararsi di fronte ai suoi occhi, senza riuscirci, fino a quando aveva capito che non era la paura a ripresentargliela, ma una specie di ammirazione. Da qualche parte, giù nei recessi del suo dna, qualcosa di primitivo osservava quell’omicidio e riavvolgeva il nastro, di continuo, e ci vedeva qualcosa che lui non era mai stato. Qualcosa di cui aveva bisogno. Si sentiva come quelle ragazze che amano i padri che le picchiano, e finiscono per sposare mariti che le picchiano. Si voltò, cercò qualcosa nei volti in fila dietro di lui, poi tornò a fissare quei tatuaggi.
Due bottiglie di vino dall’aria poco costosa, dell’affettato, una confezione di spugne. La spesa degli dei. L’idolo comprava cose assolutamente normali, pagò in contanti senza dire una parola, prima di andarsene si girò a fissarlo un’ultima volta, scansò un bambino e fece due passi incerti, con il sacchetto che sbatteva contro il ginocchio, due dita di pancia che sbordavano tra la maglietta e la cintura.
Lui pagò delle scatolette di tonno che non ricordava d’aver preso, un sacchetto di pane a lunga conservazione dall’aspetto sintetico, e la confezione di chewing gums aperta. Saltellò da un piede all’altro mentre la cassiera