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La protezione del patrimonio artistico italiano nella RSI (1943-1945)
La protezione del patrimonio artistico italiano nella RSI (1943-1945)
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La protezione del patrimonio artistico italiano nella RSI (1943-1945)

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Il libro raccoglie nel modo più sobrio ricerche d’archivio e testimonianze attinenti i beni artistici e culturali italiani, rimasti
esposti per i cinque anni di guerra al terrorismo aereo nemico contro l’Italia e per quasi due anni, da Napoli alla Toscana, al rischio di preda per saccheggio o distruzione in conseguenza a devastazioni belliche e a razzie militari o civili.
Il testo documenta la messa in sicurezza finalizzata al completo recupero, con ritorno alle naturali sedi di studio, dei tesori dello Stato italiano. Per la rilevante parte di essi, in particolare opere d’arte toscane e l’oro della Banca d’Italia, fu organizzato un forzato trasferimento in Alto Adige, le carte d’epoca ragguagliano anche su imprevisti e contrasti tra Autorità competenti.
La conclusione è un riassunto di come e da chi sono stati salvati dai rischi della guerra e della sconfitta i tesori appartenenti all’Italia e, dovendoli radunare e proteggere, posti in territorio a ridosso del confine del Brennero, esposto a rivendicazioni ma sempre italiano e tale riconosciuto dal Trattato di Pace del 10 febbraio 1947.
LanguageItaliano
Release dateJul 16, 2015
ISBN9788879807258
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    La protezione del patrimonio artistico italiano nella RSI (1943-1945) - Andrea Carlesi

    © copyright 2012

    by Greco&Greco editori

    Via Verona, 10 - 20135 - Milano

    www.grecoegrecoeditori.it

    ISBN 978-88-7980-544-5

    Foto: 19/05/1944 "Arrivo delle porte di bronzo del battistero di Firenze (che erano state trasportate

    a Incisa) nel cortile interno di Palazzo Pitti". Il civile al centro, in piedi, è il Prof.

    Heydenreich.

    Fonte: Zentralinstitut für Kunstgeschichte - Photothek

    A mio figlio Pietro,

    nella speranza che,

    una volta grande,

    possa apprezzare

    questa fatica del babbo

    Ringraziamenti

    Un caloroso e sentito ringraziamento all’Ing. Arturo Conti, Presidente della Fondazione della RSI – Istituto Storico, fonte inesauribile di conoscenza storica ed esempio di coerenza assoluta verso le proprie idee, per avermi seguito lungo questo difficile cammino, spinto a profonde riflessioni e per aver da subito creduto nella validità del mio lavoro.

    Un grazie sentito va a tutte quelle persone, che, nelle loro varie posizioni, mi hanno fatto dono della loro disponibilità e professionalità:

    Dr.ssa Simona Pasquinucci dell’Archivio Storico della Soprintendenza fiorentina; Dr.ssa Federica Onelli dell’Archivio Storico del Ministero degli Affari Esteri; Dr.ssa Luciana Di Bussolo e Dr.ssa Edda Armani, della Commissione Interministeriale per il Recupero delle Opere d’Arte di Roma, che mi hanno messo a totale e completa disposizione l’intero Archivio Siviero; Dr.ssa Elena Franchi di Firenze, per la disponibilità verso i miei numerosi quesiti; Dr. Christian Führmeister, del Zentralinstitut für Kunstgeschichte di Monaco di Baviera, per la gentilezza con la quale mi ha sempre dato risposte e materiale prezioso.

    Per la celerità di risposta alle mie richieste d’informazioni e all’invio del prezioso materiale, un doveroso ringraziamento a Elissa Calfin e Sally McKay del Getty Research Institute di Los Angeles; Petra Winter del Zentralarchiv der Staatlichen Museen di Berlino; Rebecca L. Collier del NARA e Holly Reed del NARA – Still Picture Reference, di College Park, Maryland (USA); Dr. Martin Kröger del Politisches Archiv dell’Auswärtiges Amt di Berlino; Kristin Hartisch del Bundesarchiv di Berlino; Martina Caspers del Bundesarchiv-Bildarchiv di Coblenza; Dr. Lutz Klinkhammer dell’Istituto Storico Germanico di Roma; Massimo Becattini per l’invio del suo film Il cacciatore di opere d’arte; Alessandro Olschki (recentemente scomparso) della Casa Editrice Leo S. Olschki di Firenze per la sua testimonianza e materiale fotografico; Horst Wieder del Museum für Vor-und Frühgeschichte di Berlino.

    Un sincero grazie a Karsten Evers, figlio del Prof. H. G. Evers, primo Direttore del Kunstschutz, per la massima disponibilità a donarmi importanti documenti e foto riguardanti suo padre, tratti dall’archivio di famiglia.

    Un ringraziamento particolarissimo va alla signora Mareile Langsdorff, figlia del Prof. Alexander Langsdorff, Direttore del Kunstschutz, la quale, sin dai primi contatti, si è dimostrata felice di mettere a mia disposizione il suo archivio di famiglia e i ricordi a lei tramandati dai suoi familiari, aiutandomi poi, a cercare di risolvere dubbi e problematiche storiche e facendomi prezioso dono di tante pagine del diario di suo padre e della sua cara amicizia.

    Desidero inoltre ringraziare gli amici, che mi hanno aiutato in alcune traduzioni: Stephan Keller, Grazia Giovannini.

    Un grazie all’amica Marzia Mura di Merano per le foto dell’ex tribunale di San Leonardo in Passiria.

    Sono grato ai miei genitori, a mia sorella Claudia e mio fratello Lorenzo, in particolare, per la vicinanza dimostratami.

    Infine, non certo in ordine d’importanza (anzi!), un grazie di cuore a mia moglie Daniela, la quale mi ha sempre supportato in questi anni di ricerche e ha pazientemente sopportato le innumerevoli ore, che ho tolto alla famiglia per dedicarle a questo lavoro.

    Fonti

    - ACS - Archivio Centrale dello Stato (Roma)

    - ASMAE - Archivio Storico Diplomatico del Ministero degli Affari Esteri (Roma)

    - ASGF - Archivio Storico Gallerie Fiorentine (Firenze)

    - ASGF - Archivio Poggi [in deposito presso la Soprintendenza] (Firenze)

    - Archivio Siviero - presso Commissione Interministeriale per il Recupero delle Opere d’Arte (Roma)

    - The Getty Research Institute (Los Angeles - California - USA)

    - NARA - National Archives and Records Administration (College Park - Maryland - USA)

    - Bundesarchiv (Berlino - Germania)

    - Auswärtiges Amt - Politisches Archiv (Berlino - Germania)

    Nonostante svariate richieste, ripetute nell’arco di ben due anni, non mi è stato concesso, per validi motivi insindacabili (l’archivio appartiene a un Ente privato), di visionare l’archivio storico dell’Istituto Germanico di Storia dell’Arte di Firenze, dove si trovano documenti riguardanti il Kunstschutz e in particolare il Prof. Heydenreich.

    Presentazione

    Presentare La protezione del patrimonio artistico italiano nella RSI (1943-1945) è un dovere per chi si dedica a far emergere verità della seconda guerra mondiale e della Repubblica Sociale Italiana riguardanti tutti gli italiani.

    Un piacevole dovere quando l’autore è uno studioso per passione che, con sua sorpresa, viene accolto tra gli esperti di Archivi come valente scopritore di documenti pubblici e privati in Italia e all’estero.

    Il libro di Andrea Carlesi è un’opera prima. Raccoglie nel modo più sobrio ricerche d’Archivio e testimonianze attinenti i beni artistici e culturali italiani, rimasti esposti per i cinque anni di guerra al terrorismo aereo nemico contro l’Italia e per quasi due anni, da Napoli alla Toscana, al rischio di preda per saccheggio o distruzione in conseguenza a devastazioni belliche e a razzie militari o civili.

    L’introduzione è rigorosa nel descrivere il contesto politico militare. Preziose e ben collocate le note. Nella dovuta evidenza i ruoli delle Soprintendenze e del Ministero dell’Educazione Nazionale.

    Il testo documenta la messa in sicurezza finalizzata al completo ricupero, con ritorno alle naturali sedi di studio, mostra e conservazione, dei tesori dello Stato italiano. Per la rilevante parte di essi soggetta a un forzato trasferimento in Alto Adige, in particolare opere d’arte toscane e l’oro della Banca d’Italia, le carte d’epoca ragguagliano anche su imprevisti e contrasti tra Autorità competenti.

    La conclusione è un riassunto di come e da chi sono stati salvati dai rischi della guerra e della sconfitta i tesori appartenenti all’Italia e, dovendoli radunare e proteggere, di proposito posti in territorio a ridosso del confine del Brennero, esposto a rivendicazioni ma sempre italiano e tale riconosciuto dal Trattato di Pace del 10 febbraio 1947. Con fondati motivi la Resa di Caserta lo aveva confermato territorio di applicazione della cessazione del fuoco in Italia del 3 maggio 1945.

    Nella fiducia che il libro riscuota il meritato successo e critiche costruttive, è auspicabile che i connazionali dei protagonisti (tedeschi del Kunstschutz, americani della Quinta Armata e italiani dell’Onore) della encomiabile operazione di trasporto e custodia di beni di valore inestimabile, con integrale e sollecita restituzione ai luoghi di provenienza, apportino conferme e approfondimenti.

    Al giovane Andrea Carlesi un plauso e un fiducioso invito a insistere in ricerche e pubblicazioni.

    Arturo Conti

    Presidente Fondazione RSI

    Istituto Storico

    Introduzione

    L’atto per la cessazione delle ostilità delle FF.AA. regie verso le Nazioni Unite a seguito di resa incondizionata viene firmato dal Generale Walter Bedell Smith, Capo di Stato Maggiore anglo-americano del Mediterraneo, delegato del Comandante Supremo Generale Dwight Eisenhower (che diserta l’evento). Insieme a lui il Commodoro Royer Misling Dick (Inghilterra), il Generale Lowell W. Rooks (Stati Uniti), il Generale inglese Kenneth William Dobson Strong e il suo aiutante Capitano Andrew De Haan. Per il Governo regio la firma è del suo rappresentante il Generale Giuseppe Castellano, accompagnato dall’interprete Franco Montanari del Ministero degli Esteri, nipote di Badoglio.

    Con detta resa regio-badogliana firmata a Cassibile in Sicilia il 3 Settembre 1943, ma resa nota soltanto l’8 successivo (lasso di tempo durante il quale gli Alleati continuarono i loro bombardamenti sulle città italiane e il soldato italiano ignaro a combattere e morire accanto all’alleato tedesco su tutti i fronti), l’Italia praticamente cessava di esistere come stato sovrano, per ridursi a terra di conquista e mero campo di battaglia per i due schieramenti contrapposti.

    Da un lato vi erano le truppe anglo-americane, termine con il quale si tende solitamente a generalizzare quelle che furono in realtà due vere e proprie armate multietniche. Alle dipendenze della V^ Armata statunitense combatterono infatti i brasiliani della Força Expedicionaria Brasileira (FEB), come i francesi del Corp Expeditionnaire Francais (CEF) di cui facevano parte anche truppe di marocchini, algerini, tunisini e senegalesi. Nelle fila della VIII^ Armata britannica invece militarono truppe australiane, neozelandesi, sudafricane, canadesi, polacche e indiane, alle quali andarono poi ad aggiungersi gli italiani del Corpo Italiano di Liberazione (CIL) con uniformi e armamento britannico. Esse avevano già iniziato l’invasione dalla Sicilia nel luglio precedente e proseguivano verso nord. Dall’altro le truppe tedesche (già presenti in Italia al momento della resa combattendo insieme agli italiani per contrastare l’avanzata alleata) che affluirono in massa dal Brennero per colmare la falla apertasi nel fronte sud, proprio a causa della resa italiana, considerando oltretutto la parte d’Italia non ancora in mano agli Alleati come territorio occupato, quale in effetti era, perché come conseguenza dell’Armistizio stipulato dal Governo Badoglio con le potenze «alleate», le Forze Armate germaniche in Italia si vennero a trovare in una situazione che dava loro, giustificatamente, la figura di truppe di occupazione di territorio nemico¹. Ciò però con l’aggravante di ritenerla colpevole di tradimento, con tutte quelle conseguenze che questo sentimento può portare verso la popolazione civile e militare, tenendo presente che con la firma del trattato di resa e la conseguente deposizione delle armi, una nazione si impegna a cessare ogni ostilità in maniera permanente. Qualunque individuo di detta nazione che impugni successivamente un’arma compie un atto illegale e viene automaticamente considerato franco tiratore e, secondo le norme internazionali di guerra, passibile di fucilazione immediata.

    Addirittura la fase successiva alla resa dell’8 Settembre 1943 non fu un periodo armistiziale, che è quel periodo transitorio di non belligeranza che dalla resa porta alla sigla del trattato di pace; ma bensì la dichiarazione di guerra alla Germania del 13 Ottobre da parte del Regno del Sud, il quale sottostava al controllo alleato civile, militare ma anche monetario e legislativo da parte dell’AMGOT (Allied Military Governament Occupied Territory – Governo militare alleato dei territori occupati). Nonostante la dichiarazione di guerra, gli americani non riconoscono all’Italia del sud la qualifica di alleati, ma solo la più riduttiva di cobelligeranti.

    Conseguentemente all’invasione militare, i tedeschi immettono il marco d’occupazione e già dal 10 settembre instaurano due zone d’operazione, vale a dire quel territorio al cui interno, proprio per ragioni di natura bellica, si toglie il potere all’autorità civile per darlo a quella militare. In pratica si sospendono le leggi civili e si attuano quelle militari e per ogni tipo di reato è competente il tribunale militare marziale. Per i tedeschi, nella Zona d’Operazione in guerra comanda colui che è designato comandante in campo, indifferentemente dal grado rivestito.

    Esse sono la Prealpi (Alpenvorland) comprendente le province di Bolzano, Trento e Belluno sotto la guida dell’SS-Obergruppenführer Franz Hofer e la Litorale Adriatico (Adriatisches Küstenland) comprendente le province di Udine, Gorizia, Trieste, Pola, Fiume e Lubiana, sotto la guida dell’SS-Obergruppenführer Friedrich Rainer.

    Queste due zone, sempre in virtù della natura giuridica della zona di operazione, stanno sotto il completo controllo del Gauleiter, il quale dipende direttamente da Hitler, così che, su di esse, sia il Plenipotenziario Generale che il Comandante Supremo delle Forze Armate tedesche non hanno nessuna autorità. In conseguenza di ciò anche il Kunstschutz non ha nessun tipo di influenza su quei territori. Nelle Prealpi l’amministrazione dell’arte viene esercitata dal Dr. Josef Ringler, già Direttore del Museo di Innsbruck, coadiuvato dall’assistente Dr. Ellen Haniel e dall’archivista Dr. Huter; mentre nel Litorale Adriatico dal Dr. Frodl, già Soprintendente della Carinzia, e dall’assistente Erika Hanfstängel.

    Il 12 settembre, per volere di Hitler, un commando di paracadutisti tedeschi e uomini dei servizi di sicurezza delle SS (SD – Sicherheitsdienst) liberano Mussolini dalla prigione-albergo di Campo Imperatore sul Gran Sasso, dove era stato condotto a seguito del suo arresto, ordinato dal Re Vittorio Emanuele III immediatamente dopo il Colpo di Stato del 25 luglio.

    Portato in Germania, il Duce incontra Hitler, che gli conferma la sua stima, ma lo costringe a far da scudo al popolo italiano per evitare tremende ritorsioni (un fautore delle quali è il Generale Rommel).

    Nasce così il 23 settembre 1943 il Governo dello Stato Nazionale Repubblicano, la cui formazione viene annunciata alle 12,30 via radio a Roma da Alessandro Pavolini e nato per volontà di Mussolini, il quale rientra in Italia dalla Germania il 23 Settembre stesso atterrando all’aeroporto di Forlì, accolto da Rahn, Wolff insieme a Ricci, Pavolini e Mezzasoma.

    Il 28 alla Rocca delle Caminate presso Predappio si svolge la prima riunione del Consiglio dei Ministri, durante la quale Mussolini accetta ufficialmente la carica di Capo del Governo, chiedendo poi a tutti gli italiani di tornare a riprendere il proprio posto per servire la nazione e riaffermando inoltre l’alleanza dello Stato Nazionale Repubblicano alle nazioni del Tripartito. Stato Nazionale Repubblicano che dall’1 dicembre assumerà la denominazione di Repubblica Sociale Italiana.

    Stato di fatto perché la situazione di guerra impedisce alla prevista Assemblea Costituente di emanare un legittimante Atto Costituzionale.

    La RSI fu comunque un vero e proprio stato sovrano su di un territorio che andava da Napoli alle Alpi, con una popolazione di oltre 30 milioni di persone, il cui compito morale fu quello di salvaguardare detta popolazione in una situazione resa difficilissima dal contesto che si era venuto a creare. Si trattò cioè di salvare il salvabile, traghettando l’Italia con la sua popolazione inerme verso la fine della guerra, cercando di subire il minor danno possibile.

    Nelle due Zone d’Operazione seppur rette da militari tedeschi (i Gauleiter come abbiamo visto sono SS) giuridicamente la sovranità italiana resta intatta, anche se temporaneamente sospesa per cause di guerra. La moneta è la lira italiana e gli stipendi di tutti gli statali vengono erogati dai competenti Ministeri della RSI.

    Anche Hofer e Rainer e loro sottoposti ricevono lo stipendio dalle autorità italiane per le loro funzioni civili, che svolgono in sostituzione di governativi italiani talvolta neppure destituiti. Per lo stipendio militare sono competenti le specifiche FF.AA. germaniche, che però vengono pagate complessivamente dalla RSI in rate mensili concordate dai due Governi².

    Nella Z.O. i cittadini italiani potevano circolare liberamente. Il permesso d’ingresso era necessario per reparti militari italiani o tedeschi o funzionari dello stato italiano nell’esercizio delle loro funzioni o comunque per qualsiasi individuo che entrava, con la sua attività, nella sfera operativa militare tedesca. Certo i tedeschi non accettavano di buon grado le intrusioni italiane, ma trattandosi pur tuttavia di territori italiani, dovevano loro malgrado concedere il permesso d’ingresso. L’unico ostacolo che potevano interporre era quello di rispondere alle richieste italiane il più tardi possibile.

    Va ribadito che l’OZAV e quindi anche l’OZAK, pur essendo militarmente sottoposte al controllo totale tedesco, proprio in virtù della natura stessa della Z.O., erano giuridicamente Italia e quindi territorio italiano.

    Non solo queste due furono le Zone d’Operazione in RSI.

    Via via che il fronte arretrava venivano dichiarate Z.O. le varie province toccate dal fronte o nella retrovia o comunque anche province in zone lontane dalla linea del combattimento, ma che rivestivano importanza ai fini bellici, dovuta ad esempio a vitali vie di comunicazione, fortificazioni in costruzione ecc. Una volta dichiarata Z.O. detta provincia passava sotto il potere dei militari, vale a dire Kesselring, Comandante Supremo delle FF.AA. tedesche in Italia (Gruppo Armate C). Il Prefetto italiano non veniva destituito, ma rimaneva in carica per funzioni civili non inerenti a scopi bellici, come la sussistenza e l’assistenza agli sfollati.

    Il Governo della RSI funzionò con la preesistente organizzazione statale, amministrativa e giudiziaria:

    Ministeri, Consiglio di Stato, Corte dei Conti, Banca d’Italia, Corte di Cassazione, ma anche tribunali, scuole, università, Soprintendenze culturali, poste, servizi sociali; in virtù di un trapasso con regolari consegne tra lo stato dei 45 giorni di Badoglio e quello repubblicano di Mussolini.

    A ciò andrà ad aggiungersi la ricostituzione delle FF.AA. e in virtù del fatto che la RSI mantenne fede al patto di alleanza con la Germania e gli altri stati dell’Asse, i suoi soldati combatteranno al fianco dei vecchi alleati sul suolo italiano, come su tutti gli altri fronti, compreso quello dell’estremo oriente. Il marco d’occupazione viene ritirato, perché con la riaffermazione dello Stato venne a mancare l’obbligo per i tedeschi di una integrale occupazione dell’Italia non invasa, perché considerata ancora un alleato, se pur debole. Assistiamo all’inizio di una notevole attività legislativa completamente indipendente da ingerenze esterne e molte leggi emanate durante la RSI sono tuttora valide, perché mai dichiarate illegittime, anche se molte rese inefficaci nel dopoguerra. La Repubblica Italiana ha inoltre ritenuto validi e accettati tutti gli atti giuridici creatisi sotto la RSI come, per esempio, contratti di vendita e di acquisto o diplomi e lauree.

    Come stato sovrano la RSI cercò fortemente di avvalersi anche di un riconoscimento internazionale, anche se questo arrivò principalmente dai paesi che avevano aderito all’Asse. Ecco quindi che le Rappresentanze Estere accreditate presso il Governo della RSI (come risulta da una lettera del 17/03/1944 del Sottosegretario agli Esteri Serafino Mazzolini al Gabinetto del Consiglio dei Ministri) sono l’ambasciata di Germania con sedi a Fasano e Venezia (più la sede distaccata di Roma, detta l’Ambasciata bassa), l’ambasciata del Giappone con sedi a Venezia, a Gardone e a Cortina d’Ampezzo, mentre a Venezia sono presenti Legazioni di Ungheria, Romania, Bulgaria, Croazia, Slovacchia, Manciukuò e Thailandia; mentre invece le Rappresentanze della RSI nelle capitali estere (come da lettera del 20/03/1944 sempre del Sottosegretario agli Esteri Mazzolini al Gabinetto del Sottosegretario di Stato per la Marina) sono le ambasciate a Berlino, Parigi e Tokio (competente anche per i territori cinesi occupati dal Giappone e Singapore), oltre a Legazioni a Budapest, Bucarest, Sofia, Bratislava, Belgrado, Bangkok. Sono presenti poi Gerenze d’Affari a Bruxelles, L’Aja e Atene, mentre in Spagna vi è un agente per la tutela degli interessi italiani.

    Il Ministero delle Finanze del napoletano Domenico Pellegrini-Giampietro e il Ministero dell’Economia Corporativa del fiorentino Angelo Tarchi si profusero in una strenua lotta contro l’invadente alleato per la tutela del patrimonio industriale italiano e in un fortissimo impegno per mantenere una sana situazione finanziaria, nonostante le enormi difficoltà dovute al periodo bellico, che portò l’Italia del nord ad avere una situazione economica e produttiva molto migliore non solo del resto d’Italia (a Milano il prezzo del pane è venti volte minore che a Napoli), ma anche di altri paesi europei. Situazione economico-finanziaria che, pur dovendo fare i conti con la forte ingerenza tedesca e il proseguo di una guerra dai danni catastrofici, si rivelò meglio del previsto, tanto da limitare di molto gli oneri finanziari per la ricostruzione e da permettere una rapidissima ripresa industriale del nord Italia.

    La tutela dei 700mila Internati Militari Italiani (IMI) in Germania fu attuata tramite l’ambasciata repubblicana a Berlino e il SAI (Servizio Assistenza Internati) con sede a Verona. Tutela materiale, legislativa e religiosa, anche grazie alla quale il numero degli italiani che non fece ritorno in Patria non superò i 33mila (compresi coloro che persero la vita sotto i bombardamenti americani e inglesi), cioè circa il 6% … degli oltre 106mila italiani caduti in mano slava, disgraziati tra i disgraziati, ben 73mila persero la vita in prigionia, cioè il 70%.

    Rimane tuttavia innegabile, che la presenza tedesca in Italia era soverchiante in tutti gli aspetti della vita produttiva e soprattutto militare. Si trattava certo di un alleato, ma il cui agire risentiva fortemente di una certa sfiducia verso il popolo, l’esercito e le autorità italiane dopo il tradimento del settembre ’43, se non era spesso caratterizzato da una malcelata ostilità.

    Bisogna poi sempre tenere a mente, che dopo lo sfaldamento di ogni autorità costituita conseguentemente all’armistizio e l’abbandono dei posti di comando del personale preposto, con il derivato vuoto di potere e totale disordine organizzativo, il controllo di ogni aspetto della vita in Italia fu facile preda dei tedeschi, che la sottomisero subito al loro controllo, comportandosi da veri occupanti, almeno sino alla nascita della RSI, la quale, come abbiamo visto, si adoperò costantemente al fine di limitare la pesante ingerenza tedesca.

    Rimane il dato di fatto, che non muterà sino alla fine del conflitto, che ciò che concerne la logistica, i trasporti e le attrezzature è saldamente in mano all’esercito tedesco: insomma sono i tedeschi che dispongono dei mezzi di trasporto, sono i tedeschi che possiedono il carburante, sono i tedeschi che controllano le vie di comunicazione, sono sempre i tedeschi che hanno materiali e attrezzature.

    Questo influenzerà molto, come vedremo, anche gli aspetti pratici degli avvenimenti che verranno trattati di seguito.

    In Italia i provvedimenti da adottare per la tutela dei monumenti e delle opere d’arte in stato di belligeranza furono previsti dalla Legge 6 luglio 1940, n. 1041 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 185 dell’8 agosto 1940) sulla Protezione delle cose d’interesse artistico, storico, bibliografico e culturale della nazione in caso di guerra promulgata dal senato e dalla camera delle corporazioni a mezzo delle loro commissioni legislative e firmata, oltre che dal Re Vittorio Emanuele III e da Mussolini anche dal Ministro dell’Educazione Nazionale Bottai e dal Guardasigilli Grandi.

    Dato che a quella data si riteneva che l’unica offesa possibile al nostro patrimonio artistico da parte del nemico potesse provenire esclusivamente dal cielo, tramite i bombardamenti aerei, il Ministero dette incarico alle Soprintendenze di decentrare tutti i beni artistici mobili, provenienti prevalentemente da musei e chiese, così come biblioteche e archivi, che si trovavano in luoghi siti all’interno delle città, ritenute giustamente reali obiettivi di attacchi aerei nemici, trasportandoli nelle campagne circostanti in rifugi sicuri, quali ville, conventi e castelli, affidati alla guardia di custodi locali e periodicamente ispezionati da personale specializzato messo a disposizione dai musei. Le opere che non potevano essere rimosse furono protette in loco, solitamente tramite protezioni di sacchi di sabbia o veri e propri muri di mattoni. Dal 10 luglio 1943 però, con l’inizio dell’Operazione Husky, vale a dire lo sbarco alleato in Sicilia e la conseguente e progressiva occupazione del territorio italiano, le offese belliche non arrivano più soltanto dal cielo, ma viene a crearsi anche un fronte terrestre che, man mano che l’avanzata verso nord continua, coinvolge ogni località che trova sul suo cammino, la quale viene improvvisamente a trovarsi sulla linea del fuoco.

    La sicurezza che dette ville, castelli e conventi garantivano ai tesori d’arte,

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