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Il signor T e la fonte Aretusa
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Il signor T e la fonte Aretusa

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About this ebook

Uomo della metropoli, legato a paesaggi nordici e lacustri, il signor T si lascia travolgere dall'atmosfera mediterranea e dalla suggestione dei grandi miti classici, riconoscendo una dimensione di sé che gli cambierà l'esistenza.

Ispirato ai lirici greci e latini, il romanzo racconta una storia di amore, un'avventura nella quale il confine letterario e quello umano si confondono, ma è anche un omaggio dell'autrice alla sua terra e alla sua città di origine. Il posto che tutti , nei loro viaggi, hanno desiderato raggiungere. La città greca, dove la luce è bianca e dove il vento si infila tra le pietre di tufo e tra le rocce, alla ricerca di segreti e misteri ancora da svelare. La città poggiata sulle acque, dove il mare avvolge chi entra, denso e liscio come olio. Siracusa.
LanguageItaliano
Release dateJun 20, 2015
ISBN9788891193889
Il signor T e la fonte Aretusa

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    Il signor T e la fonte Aretusa - Dina Lentini

    Dina Lentini

    Il signor T e la fonte Aretusa

    ... La città greca, dove la luce è bianca e dove il vento si infila tra le pietre di tufo e tra le rocce alla ricerca di segreti e misteri ancora da svelare...

    a cura de La Natura delle Cose

    http://www.lanaturadellecose.it

    © by Dina Lentini, tutti i diritti riservati all’autore

    dedica

    Dedico questo romanzo di trasformazioni

    a Dario, mio figlio

    Un mondo di calce sotto i vapori bassi di scirocco

    Una volta presa la decisione, T non aveva perso tempo.

    Due giorni gli erano stati più che sufficienti per scorrere le offerte alberghiere e cercare di far quadrare gli orari dei due aerei che lo avrebbero portato sull’isola. Ma era soddisfatto. Alla fine, aveva scelto una sistemazione in un Bad&Brekfast in un vicolo della città vecchia e nel cuore di quella zona che doveva essere per forza quella. Se no, tanto valeva rinunciare al viaggio.

    Ma di rinunciare T non aveva affatto voglia. Voleva tornare là e, ovviamente, voleva farlo da solo.

    Si mise i biglietti nella tasca interna della giacca, insieme alla carta di identità. Separò le banconote dalle monete, tolse anche l’orologio, le chiavi e il cellulare e buttò tutto nel vano anteriore del bagaglio a mano che si chiudeva con una cerniera lampo. In una mezz’ora al massimo sarebbe stato all’aeroporto.

    La lite con Anna era una cosa nuova per lui e lo torturava. Ma non c’era via d’uscita. Non poteva farle capire il senso di quella vacanza solitaria di una settimana. Da quando stavano insieme, avevano anche sempre viaggiato insieme. Non era facile far quadrare le vacanze scolastiche di lui con le ferie e i turni di lei, ma se uno dei due non poteva muoversi anche l’altro non se la sentiva di andare per conto suo.

    La loro relazione durava da qualche anno e tutti e due avevano conservato la loro indipendenza. Almeno così gli era parso fin’ora. O forse i momenti di separazione erano ormai solo quelli obbligati dell’attività lavorativa. Anzi, a volte tutti e due si dannavano per guadagnare tempo, per correre a casa, per ritrovarsi. Forse lui e la sua compagna stavano scivolando pian piano verso un tipo di vecchio, rassicurante, legame romantico.

    Comunque, non ricordava che ci fosse mai stato nessun contrasto serio tra di loro, al massimo qualche screzio per via delle amiche di lei. T le trovava ridicole. Però rimaneva fedele al principio della reciproca autonomia, così aveva risolto smettendo di giudicarle, o meglio, disinteressandosene. Se qualcuna si presentava a casa, T si produceva in una breve e leggera performance di galanteria sobria e accogliente, poi si defilava al momento giusto lasciando ad Anna quello spazio che neanche a lei piaceva tanto ma era diventato una questione di principio. E in fondo, cosa gli toglieva? Un paio di sere al mese per un film o una pizza con qualche collega, tanto per mantenere un minimo di relazioni, di vita sociale al di fuori della coppia.

    Adesso, però, per quel viaggio lei si era intestardita. O meglio, chi, ad essere onesti, aveva chiuso subito ogni trattativa? Aveva cominciato lui, aveva fatto tutto lui. Perché, di fatto, non poteva trattare. E adesso lei non gli rivolgeva nemmeno la parola.

    Forse, pensava T, non aveva torto. Forse intuiva qualcosa. Una fuga. Un pericolo.

    Mentre chiudeva la porta di casa e si sistemava la borsa a tracolla su una spalla, era stato quasi tentato di tornare indietro e provare a scuoterla, almeno salutarla come si deve, evitare di drammatizzare. Anna era rimasta seduta in cucina, dietro la grande porta a vetri che separava l’ingresso dal resto dell’appartamento, a bere la sua tazza di latte.

    Aveva esitato. Ma, se voleva partire, non c’era più tempo. Scrollando il ciuffo di capelli rossicci che gli cadeva sugli occhi, si era infilato nell’ascensore.

    Il viaggio aereo fu rapido e perfetto. Il professore lo passò lisciandosi i baffi che non aveva fatto in tempo a spuntare e a dormicchiare dietro la tendina parasole. Era fiero di come aveva organizzato quel viaggio con una incredibile sincronia tra i due voli senza tempi morti.

    T annusò con piacere la corrente d’aria fredda che andava diffondendosi nella corriera e si sistemò per bene affondando con tutto il suo peso nello schienale. Anna lo chiamava spesso professore e, ironico o meno che fosse il suo tono, lui la lasciava fare. Del resto, era proprio quello che era e che si sentiva di essere: un professore, già di mezz’età e forse abbastanza vicino alla pensione, ma, pensava T, ancora gagliardo.

    Fuori, schermato dai vetri del finestrino che lo rendevano ancora più lattiginoso, il paesaggio isolano si lasciava scoprire nei suoi colori stinti dalla calura. I gialli spietati, i toni cupi di verde tra le macchie di cipressi isolati della campagna, il grigio argenteo delle foglie degli ulivi secolari, quello ferrigno delle rocce che scendevano fra le sterpaglie fino ai bordi della superstrada. Lontano, oltre la linea ferroviaria, qualche spiraglio interrompeva la teoria dei capannoni industriali lasciando intravedere un mare immobile. T ricordava quel mondo fermo, inalterabile e beffardo, un mondo che pareva recitare la propria arcaicità.

    La strada saliva leggermente, mantenendo l’ampiezza delle quattro corsie. La corriera si infilò in un lungo tunnel, moderno e illuminato che diventava, ancora per quasi un chilometro, una galleria aperta su un lato. T si allungò per guardare alla sua sinistra, oltre le teste dei passeggeri dell’altra fila: campi neri e gialli si snodavano fra distese di agrumi, ville di fine ottocento circondate da palmeti, recinzioni di muretti a secco, masserie ridotte a ruderi, di nuovo vegetazione rigogliosa, orti, siepi di fichi d’india, canneti, corsi d’acqua. E sul lato monte, la strada costeggiava un altopiano di erba secca punteggiato di rocce bianche e nere grotte occhiute. Chi aveva abitato lassù doveva aver goduto, almeno, di una vista totale sulla vallata, fino al mare.

    Cominciava la periferia industriale, candida, quasi un mondo di calce sotto i vapori bassi di scirocco umido. T si voltò indietro a guardare la vallata prima che sparisse dietro la curva e pensò che alla fine la cifra di quel paesaggio, il colore dominante, non fosse il verde o l’azzurro, ma il bianco.

    Due mesi prima, durante la gita scolastica, il professore aveva avuto un’avventura.

    T aveva pensato subito che fosse una cosa così, di un momento che può capitare e che finisce per svaporare in una cosa evanescente, che a ricordarla viene il dubbio, che forse non è mai esistita.

    Solo Eric, il suo amico che viveva al nord, sul lago, con la sua famiglia, ne era a conoscenza. Dopo aver deciso di partire, T gli aveva telefonato subito per dirgli che intendeva tornare laggiù. Così per dirlo a qualcuno, a uno con cui poteva parlare. Ma Eric era rimasto allibito e anzi lo aveva trattato freddamente. Del resto, voleva molto bene ad Anna.

    A lei cosa hai detto? Voglio dire, che motivo può esserci per tornare là?

    Beh, che mi hanno invitato e che vado a organizzare uno scambio fra i licei per l’anno prossimo, forse anche un paio di seminari..

    Anna non è scema. Tutte cose che potevi organizzare per telefono o per email. I contatti personali li hai già avuti, mi pare. E lei, perché non dovrebbe accompagnarti?

    No, non può muoversi adesso. E io ho finito gli esami..

    E non era il momento di darle una mano, con la casa e tutto il resto? Ok, ho capito. Sta’ attento. Ricordati che il ferragosto lo passate da noi, Matilda ha già preparato il cottage..

    Eric..

    Ho detto ok e sta’ attento..

    T si era un po’ avvilito. Per la prima volta Eric, che aveva vent’anni meno di lui, aveva invertito il suo ruolo e lo trattava come un ragazzino al quale non si può impedire di fare una fesseria. Se no, è peggio. Ma Eric aveva ormai le sue responsabilità nel lavoro e in famiglia e poi era sempre stato un ragazzo molto razionale..

    La corriera superò una rotonda nella quale svettava un’enorme palma centrale circondata da cespugli polverosi di oleandro, poi prese per il rettifilo che portava verso il centro. Ai lati, vecchie case basse si alternavano a qualche condominio nuovo. Intonaci gialli, tinte rosate o più cupe, mattoni di tufo sbriciolato intorno a ingressi fatiscenti si mischiavano a piastrelle luccicanti, a distese di vetro e metallo. Dovunque, negozietti, magazzini, paninerie, qualche bar con i tavolini di ferro sulla strada, sotto un tendone. Poi, in fondo, lo slancio del cavalcavia proteso verso la parte vecchia della città. T riconobbe tutto: i due tratti di mare, uno scorcio della marina con i filari di ficus giganteschi, le strade di asfalto lucido che salivano, o scendevano, verso la piazza.

    Non aveva alcuna intenzione di attardarsi in giri turistici. Quelli li aveva fatti a suo tempo, con gli studenti e con i colleghi. Puntava dritto al suo scopo, lui. Intanto avrebbe fatto solo una sosta tecnica per bere qualcosa in un bar e scrollarsi di dosso l’imbalordimento del viaggio in corriera, poi sarebbe andato subito in albergo.

    Prima nel suo, a depositare il bagaglio, poi nell’altro.

    Scelse un bar a caso, facendo comunque la scelta giusta perché quel posto, elegante, era frequentato da un sacco di gente. Giovani, anziani e intere famiglie si davano appuntamento là tra i tavolini, all’aperto. I camerieri facevano avanti e indietro, carichi di vassoi con gli aperitivi, le granite, le coppe di gelato. Dall’interno li seguiva una scia di odori misti, di dolci e anche di salato e di spezie.

    Si gustò una granita, profumata, con veri pezzetti di mandorla macinata e un aroma leggero di vaniglia. Poi bevve anche un bicchiere d’acqua fredda. Il tavolino e la poltrona di metallo erano troppo stretti per la sua statura e si sentiva un po’ incastrato, ma sotto la tenda arrivava una brezza leggera e ormai si sentiva benone. Chiamò il cameriere e ordinò anche una brioche salata ripiena di prosciutto e un bicchiere di vino bianco. Così, risolto anche il problema del pasto, sarebbe subito stato libero.

    Non c’era solo Eric. Anche un’altra persona sapeva. La collega con cui era stato in gita, Valeria. Per forza doveva aver capito tutto. Però con lei poteva stare tranquillo. Non gli aveva mai detto nulla, neanche un cenno. Eppure la mattina della partenza li aveva trovati sul divanetto della reception, stretti. Non abbracciati, ma proprio seduti stretti uno accanto all’altra, zitti, tranquilli. Valeria che stava per proiettarsi verso di lui con i documenti del viaggio si era subito spostata verso il bancone del bar e aveva chiesto un caffè. L’altra, la receptionist, si era sciolta da lui e si era alzata, poi aveva infilato una porta qualsiasi.

    Tutto era successo sin dall’arrivo.

    T ricordava di aver giusto controllato la sua stanza e poi di aver cominciato a girare per i corridoi. Mentre aspettava che i ragazzi si sistemassero, lui ne approfittava per fare le sue esplorazioni. Valeria era al primo piano, con le ragazze. Lui, al piano superiore, avrebbe controllato i maschi. Ma per il professore era sempre stato un divertimento: a parte qualche eccezione, che può sempre starci, non aveva mai avuto problemi e parte delle nottate le aveva organizzate lui stesso. Un po’ di baldoria e, alla fine, almeno qualche ora filata di sonno per tutti. In quell’albergo, poi, la vigilanza era facile. Nessuno poteva avere la tentazione di eclissarsi saltando da qualche finestra perché quel secondo piano era altissimo, come un quarto o quinto piano. Le stanze dei ragazzi giravano tutte intorno alla sua. Aveva una camera

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