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Giapponesi Poverini!
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Giapponesi Poverini!

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Lo scopo di questo scritto è dimostrare che il sistema giapponese, applicato alla vita quotidiana ed alle relazioni umane, genera una realtà tragicomica, inimmaginabile per chiunque, popolazione locale inclusa. Lo stile di vita nipponico rappresenta una ideale ricetta della infelicità, per le persone che nascono, crescono, studiano, lavorano e vivono al suo interno. Lio Giallini vive e lavora in Giappone dal 1995, dove ha anche svolto una approfondita indagine sulla mentalità nipponica e sugli effetti che produce, nella società e nella vita delle persone. Ha pubblicato “Soumei nanoni, nazeka koufuku ni narenai nihonjin” (Fusosha Publishing Inc. Tokyo – Giugno 2010).
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateAug 30, 2012
ISBN9788867514472
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    Giapponesi Poverini! - Lio Giallini

    mentalita`.

    GIAPPONE OVVERO PARADISO APPARENTE.

    Tutti ti vedono ma nessuno ti guarda.

    Alessandra era arrivata all’aeroporto del Kansai (Osaka) la sera tardi, di una fredda giornata invernale. Il sincronismo delle operazioni di sbarco le era passato quasi inosservato. Guardava stupita la pulizia degli ambienti. Riceveva con stupore il saluto di tanti emeriti sconosciuti che, inchinandosi davanti a tutti i passeggeri, ripetevano strane parole, come in un rituale noto e praticato lungamente. Il treno che l’aveva portata davanti al terminal del ritiro bagagli era senza macchinista e senza personale di servizio. Aveva appena fatto in tempo a scendere al piano inferiore. Stava ritirando gratuitamente il carrello, mentre le sue valigie completavano il primo giro sul nastro trasportatore, che era a due passi da lei. Che fortuna, si era detta. In meno di cinque minuti i bagagli erano a disposizione dei passeggeri. Si era domandata piu` volte dove fossero i poliziotti, armati fino ai denti. Non sapeva che la maggior parte del personale di servizio a terra, negli aeroporti giapponesi era costituita da semplici impiegati e da burocrati della dogana, naturalmente affiancati da qualche poliziotto, ma senza fucile mitragliatore e con la pistola interamente contenuta in una fondina ben chiusa. Le operazioni di ritiro bagagli si stavano svolgendo in assoluto silenzio ed in perfetto ordine. C’erano solo due americani che parlavano fra loro come se fossero ai lati opposti di una carreggiata autostradale. Forse volevano essere sicuri che tutti sentissero i loro discorsi. Piu` probabilmente, volevano far capire di essere americani. Fra la zona del ritiro bagagli e il check point della dogana dell’aeroporto del Kansai c’erano poco piu` di una ventina di metri. Alcune unita` cinofile del Servizio Antidroga operavano in quell’area e i cani, di tanto in tanto, annusavano la valigia di qualcuno, disturbando il meno possibile il movimento dei passeggeri, verso i banchi del controllo doganale. Tutto sempre in religioso silenzio. Alessandra se la stava prendendo comoda. A giudicare dalla folla che stava facendo la coda, era preparata ad aspettare almeno un’ora. Non si era resa conto che c’erano due tipi di code: quelle per residenti e quelle per stranieri che entravano in Giappone per la prima volta, per turismo o per lavoro. Era dalla parte sbagliata.

    Ma non aveva avuto nemmeno il tempo di disperarsi, come avrebbe fatto al Leonardo Da Vinci o alla Malpensa. Infatti nei 10 minuti circa, in cui era rimasta erroneamente dalla parte opposta, la fila giusta, dove avrebbe dovuto trovarsi lei, si era quasi completamente svuotata. Nonostante avesse sbagliato, toccava comunque gia` a lei. Ha qualcosa da dichiarare? Solo un oggetto d’arte, comprato a Venezia. E` un regalo per il mio presidente, aveva risposto. Mentre l’impiegata controllava il suo passaporto, un collega dei Servizi Aeroportuali aveva gia` fatto il check dei bagagli e si era gia` trattenuto la parte di scontrino di sua competenza. Prego … ed era gia` fuori.

    Dal momento in cui aveva messo piede in territorio nipponico, aveva attraversato mezzo aeroporto in un treno gestito esclusivamente da un computer. Aveva ritirato il carrello e il bagaglio quasi contemporaneamente. Sbagliando a fare la fila era comunque riuscita a passare attraverso due check point, senza correre, senza particolare sforzo e soprattutto, senza il minimo problema. Tutto quanto in meno di venti minuti. Non era ancora arrivata a destinazione, in questo straordinario paese del sol levante e gia` lo amava. In quel preciso frangente tuttavia, stava pensando ad altro.

    Erano da poco passate le undici di sera. Alessandra, da qualche mese residente a Milano, era pugliese. Per una strana associazione di idee, invece di concentrarsi sul modo migliore per arrivare in centro di Osaka, si era messa a pensare a Maglie, sua citta` di origine. Piu` precisamente, pensava alla linea ferroviaria Maglie-Lecce. Le sue idee, dopo tante ore di volo, erano un po’ appannate. Le sembrava di ricordare un treno regionale in partenza dalla stazione di Maglie alle 19:47 e poi un altro, l’ultimo della giornata, alle 20:44. Per il prossimo treno, successivo al diretto delle 20:44, si doveva aspettare fino al giorno dopo, alle 07:13.

    Un suo amico, che non era riuscito a chiudere occhio durante la notte, si era addormentato all’alba, su una panchina e si era risvegliato immediatamente dopo la partenza di quel medesimo treno ed aveva dovuto aspettare, per il prossimo, fino alle 09:08. Suo padre le avrebbe detto Ale, tesoro mio, ma che ci azzecca questo paragone fra Maglie, Lecce e l’aeroporto di Osaka? Sfortunatamente per lei, in quel momento, suo padre non era parte dei suoi pensieri. Una ragazza in uniforme, in servizio davanti alla prima porta di uscita, dall’altra parte del lungo corridoio che separa la zona degli arrivi dai grandi ascensori trasparenti, le stava spiegando che il modo migliore per raggiungere il New Hankyu International era prendere l’autobus. Oh Dio! L’autobus! Alessandra odiava viaggiare in autobus, sia in Puglia che in qualsiasi altra regione d’Italia. Quello che prima era il sospetto di dover trascorrere gran parte della serata, se non la notte intera in aeroporto, ora si stava trasformando in realta`. Nella sua mente, non c’erano dubbi. Era ovvio. Il prossimo autobus sarebbe sicuramente stato l’ultimo per quella sera. Spesso, gli automatismi dei nostri pensieri ci fanno erroneamente credere che la realta` del nostro paese di provenienza si applichi al mondo intero.

    La faccia di Alessandra aveva cambiato colore gia` piu` di una volta. Il suo respiro si era fatto affannoso. La signorina giapponese in uniforme, vicino a lei sembrava ora rendersi conto che qualcosa non stava funzionando a dovere.

    Cercava di interagire con lo sguardo di Alessandra ma, il feedback che riceveva era incomprensibile, per lo standard locale. Anche lei pareva ora completamente in preda ad un attacco di panico … Oh, oh, oh … ah, ah, oh borbottava ad alta voce. In Giappone, questo modo di agitarsi e` un segno di rispetto e considerazione verso il cliente. Ma, naturalmente, Alessandra non ne era a conoscenza. Con una insospettata energia, Alessandra si era catapultata fuori, seguita a ruota dalla agitatissima giapponese. Quest’ultima le stava spiegando come fare il biglietto. La fortuna la stava assistendo in qualche modo. Infatti, la macchinetta dei biglietti era esattamente li’, fuori dalla porta. Allo stesso modo in cui si trovavano le altre innumerevoli macchinette.

    Tutte esattamente in fila, fuori da ogni porta, ad ogni uscita dell’aeroporto, verso i terminal degli autobus. Il suo autobus e` la` le aveva detto la signorina, con voce tremante. E` il numero cinque. Il cinque era in partenza, davanti a lei di una trentina di metri. Alessandra, lasciato il bagaglio dietro di se`, con uno scatto da primatista mondiale dei cento metri piani, si era portata all’altezza del posto di guida. Ma l’autista, disgraziato, aveva gia` iniziato le operazioni per la partenza. Le portiere erano gia` state chiuse e l’autobus era gia` in movimento. Stop, STOP … please, FERMATI! Ma che scemo! … FERMATI … CAZZO! Alessandra urlava. Correva. Si agitava, lanciando in alto le braccia. Niente. Sicuramente l’autista era uno stronzo. Cosi` avrebbe confermato anche suo padre uno stronzone di autista. Alessandra era disperata. Non si rendeva conto della totale irrazionalita` dei suoi gesti e del panico che li provocava.

    La serata buia e fredda, la solitudine che inconsciamente l’aveva assalita a svariate migliaia di chilometri da casa, il senso di nausea che fisicamente provava, che prende spesso le persone stanche e scoraggiate, tutto questo e molto altro ancora contribuivano a creare uno stato d’animo, indescrivibile a parole, che le opprimeva il cuore. Avrebbe sicuramente pianto se non avesse alzato gli occhi. Un centinaio di persone, davanti a lei (un altro centinaio erano dietro ma lei non le aveva viste) si erano fermate come per verificare gli eventi. Che cosa e’ successo? Avrebbero voluto chiederle. Ma nessuno diceva nulla, nemmeno una parola. E nessuno la guardava direttamente. Erano solo fermi. Un altro autobus numero cinque, era appena arrivato di fianco a lei e stava parcheggiando nella piazzola di sosta. Non erano certo le ore di punta dell’aeroporto ma, per ogni minuto che passava, due aerei erano in atterraggio ed altri due stavano decollando.

    Il numero degli autobus in fila, ai vari terminal era indecifrabile. Il suo prossimo autobus sarebbe partito di li` in dieci minuti secchi. Quindici minuti esatti dopo quello che lei aveva appena perso. L’attacco di panico poteva considerarsi finito. Era il momento di ricomporsi e ripresentarsi al pubblico, in versione tranquillizzata.

    Alessandra, con la mano destra, aveva preso il lembo della sua giacca e lo aveva tirato verso il basso. Contemporaneamente, aveva allungato il suo bel collo verso l’alto, con il mento che puntava la sua spalla sinistra. Si era stirata un pochino. Con garbo. Con calma e con eleganza. Quella che era possibile in una situazione leggermente imbarazzante per chiunque altro al posto suo, lei compresa. Un po’ di piu`, per una bella ragazza pugliese, con gli occhi neri neri. Con l’aspetto di chi non ha paura di nulla e di nessuno. Solo l’aspetto.

    Con movimenti lenti era tornata nei pressi delle due valigie, non troppo grandi e nuove di zecca. La signorina giapponese in uniforme era li` e le stava confermando la partenza del prossimo autobus in dieci minuti. Una ragazza italiana, al posto suo, si sarebbe sganasciata dalle risate. La giapponese era serissima. Il suo sguardo era fisso a terra ed il suo viso non lasciava trasparire la minima ilarita`. I duecento passanti erano gia` scomparsi. Alcuni dentro gli autobus in partenza ed altri dentro l’aeroporto. Chi per aspettare qualcuno che doveva arrivare e chi per presentarsi al check-in. Nessuno di loro, nemmeno uno, si era fermato per chiedere chiarimenti sull’accaduto. Nessuno era li` per burlarsi di lei. Per farle delle domande o per chiedere spiegazioni. L’autobus numero cinque, nel frattempo, aveva gia` parcheggiato ed erano gia` iniziate le operazioni di carico dei bagagli. Il bagagliaio si trovava sul lato sinistro, nella parte inferiore dell’autobus, adiacente al marciapiede.

    Due uomini, in tuta da lavoro, con ordine e precisione si inchinavano al cliente. Lo salutavano. Applicavano ulteriori fascette blu e bianche alle valigie. Staccavano lo scontrino. Lo consegnavano al cliente e mettevano con cura, la valigia gia` contrassegnata, nel bagagliaio. Nello stesso momento in cui le valigie di Alessandra erano state riposte all’interno del bagagliaio, l’autista dell’autobus aveva riavviato il motore. Lei era salita a bordo dalla portiera anteriore, aveva consegnato il biglietto nelle mani dell’autista, che prontamente lo aveva lasciato cadere nella apposita macchina, alla sinistra del posto di guida. Ora, era comodamente seduta. L’autobus era perfettamente pulito. Privo di graffiti. Non solo le parti in pelle dei sedili erano come nuove, ma anche le copertine igieniche in stoffa bianca, da utilizzare sopra il poggiatesta, davano l’idea di essere state appena cambiate. Erano bianchissime. Adesso Alessandra cominciava a rilassarsi. Non era poi cosi` male viaggiare in autobus. Le sembrava incredibile di sentirsi felice per la propria solitudine. Si sentiva non spiata.

    Libera di sbagliare qualcosa. Piacevolmente sola. Nessuno dei passeggeri a bordo dell’autobus la stava guardando. Nessuno le faceva pesare i suoi ridicoli atteggiamenti, i suoi gesti esagerati e scomposti, di dieci minuti prima. Nessuno ammiccava. Nessuno stava ridendo alle sue spalle. Proprio esattamente il contrario di quello che sarebbe successo a Lecce o peggio ancora a Maglie, dove anche dei perfetti sconosciuti si sarebbero presi gioco di lei. Era bello essere in Giappone. Aria nuova. Gente diversa. Un autobus ogni quindici minuti, anche la sera tardi.

    Una questione di privacy e di tatto.

    Conoscendo la mentalita` italiana, il presidente della ditta che la richiedeva in prova, le aveva fatto prenotare una stanza al New Hankyu International, a Umeda, in centro di Osaka, tre giorni prima dell’inizio del lavoro.

    Tanto per darle la possibilita` di ambientarsi un po’. Per farle respirare l’aria della citta` in santa pace. Si era anche offerto di mandarla a prendere in aeroporto da una sua dipendente ma, Alessandra, aveva categoricamente rifiutato la cortesia. Alessandra era figlia unica. Solo la decisione di andare a studiare Economia e Commercio a Roma aveva comportato ore e ore di discussione, con suo padre. Le raccomandazioni della mamma erano continuate fino alla fine dell’ultimo anno di corso. Si erano interrotte solo in concomitanza con la tesi di laurea, ma non perche` la mamma finalmente avesse finito di preoccuparsi. Piu` semplicemente, Alessandra aveva preparato la tesi, quasi interamente a casa sua, in Puglia. L’idea che, ora, lei fosse da sola in Giappone era interpretata dai suoi genitori come una catastrofe, una tragedia, un disastro. Una calamita` naturale che si era abbattuta sulla famiglia. Mia figlia e` impazzita, diceva suo padre ai colleghi di ufficio. Non potra` mangiare nulla la`… io la conosco a mia figlia! Quelli … i giapponesi … mangiano il pesce crudo. Capisci? Crudo!

    E mentre pronunciava queste parole, il padre di Alessandra si portava la mano destra, chiusa come se tenesse un pesce stretto stretto, vicino alla bocca che, a quel punto era aperta e faceva il gesto di mangiarsi la testa del pesce a morsi. Non era questo il modo esatto per descrivere come si mangia il sushi ma, era comunque un modo efficace, per far capire la situazione ai colleghi. Era la prima volta che Alessandra metteva piede all’estero. Per i suoi genitori sarebbe stato ideale un viaggetto in treno, di tre o quattro giorni, in Svizzera o in Austria. Non qualche anno in Giappone. Per queste e molte altre ragioni, Alessandra aveva chiesto ed ottenuto di arrivare in Giappone il giovedi` sera e di rimanere da sola, fino al lunedi` successivo. Orgogliosamente ora, sapeva di avere fatto la scelta giusta.

    L’importanza dell’aspetto formale.

    Aveva dormito bene, profondamente. Alle 09:30 aveva gia` mangiato una abbondante colazione, aveva gia` fatto la doccia, si era lavata i denti, era gia` davanti ad Hankyu Department Store. Le vetrine di Hankyu sono famose in tutto il Giappone. Anche con gli addobbi post-natalizi erano fantastiche. Se fosse stato necessario invogliarla a fare un po’ di shopping, quelle vetrine avrebbero certamente soddisfatto allo scopo. Alessandra era in anticipo di 30 minuti secchi sull’orario di apertura. In Giappone, avrebbe imparato presto che non si scherza sugli orari. Le dieci di mattina non sono le nove e cinquantanove e non sono le dieci e un minuto. Le dieci sono esattamente le dieci. Punto.

    Non sapeva come ingannare quei lunghi trenta minuti. Aveva, per caso, dato uno sguardo all’interno del salone al pianterreno di Hankyu, attraverso la grande porta a vetri. Al centro di quello spazio ampio e ben arredato c’erano tanti impiegati, in grande maggioranza giovani ragazze, disposti in semicerchio. Davanti a loro, una signora dall’aspetto austero ed autorevole parlava gesticolando poco, con l’aria di una persona che sta dicendo cose estremamente importanti. All’inizio Alessandra pensava che stessero facendo un meeting, magari per qualche nuova disposizione, o per questioni di normativa, o nuovi prezzi. Ma era davvero necessario salutarsi cosi` tante volte? La signora al centro, di tanto in tanto, si inchinava e tutti si inchinavano, a loro volta e salutavano. Non sembrava assolutamente che stessero recitando le preghiere del mattino. E certamente, non si trattava nemmeno di un rito propiziatorio per cominciare bene la giornata. Lentamente forse, Alessandra cominciava a capire. Stavano facendo addestramento. Ma, addestramento a che cosa? Era possibile che stessero facendo addestramento formale per imparare a salutare? Probabilmente, pensava, i giapponesi imparano a salutare fin da bambini, a scuola, in famiglia. Certamente non avranno bisogno di addestrarsi di nuovo, da adulti.

    Dopo venti minuti era altrettanto chiaro che non si trattasse di un rituale religioso. Mentre lei pensava ad altre improbabili ipotesi, nel tentativo di trovare una spiegazione valida, due poliziotti ed una giovane ragazza in uniforme (in uniforme di Hankyu, non della polizia) si erano avvicinati alla porta di ingresso, dalla parte interna del Dptm. Store.

    Un poliziotto a destra, l’altro a sinistra e la ragazza al centro. Mancavano esattamente sette minuti alle dieci. Al centro del salone, il raggruppamento degli impiegati si era sciolto. Il personale si era disposto alla destra o alla sinistra di ogni banco espositore, all’inizio o alla fine di ogni corridoio di transito. Al pianterreno di Hankyu si vendevano accessori, gioielli e bigiotteria di vario genere. Gli espositori erano dei contenitori di cristallo, perfettamente lucido e trasparente, poggiati su dei banchi di legno, lavorati a mano.

    Tutti gli impiegati stavano in piedi, nella stessa posizione, con le gambe leggermente divaricate, le braccia distese e convergenti al centro, verso il basso e con le mani raccolte, una dentro l’altra, davanti al corpo. Alle dieci meno tre minuti i due poliziotti, davanti alla porta principale, avevano rimosso la grande tabella sulla quale erano scritti gli orari di apertura (10:00) e di chiusura (20:00) del negozio. Avevano aperto con la chiave la parte centrale della porta principale di ingresso e avevano spalancato le ante, schierandosi uno da una parte e l’altro dall’altra, sul prolungamento delle ante stesse. Si era formata una piccola folla di clienti. Forse cinquanta o sessanta persone ma, nessuno tentava di entrare, nessuno parlava a voce alta, nessuno faceva domande a nessun altro. Le ante centrali della porta erano spalancate ma, subito dopo, al centro dell’ingresso, c’era una sorta di esile barriera, in verita` piu` simbolica che materiale, formata da una catenella di acciaio, appesa alle estremita` superiori di due piccoli ed esili montanti, anche questi in acciaio, alti piu` o meno un metro e sostenuti da un basamento circolare, poggiato a terra. La ragazza in uniforme era esattamente al centro dei due montanti, dietro la catenella. Alle dieci meno un minuto, la ragazza aveva afferrato i due montanti con catena e li aveva spostati dietro l’anta destra della porta. Si muoveva con gesti eleganti e misurati. Si era portata al centro dell’ingresso, un passo verso l’esterno, aveva fatto un profondo inchino e aveva salutato i clienti. Era ferma al centro dell’ingresso, come una statua. Con il braccio destro, teso verso l’alto, la mano destra tesa con le dita unite, parallela al prolungamento del corpo, il braccio sinistro teso verso il basso, con la mano sinistra tesa con le dita unite, parallela al corpo. Un grande orologio, che Alessandra non aveva ancora localizzato nello spazio circostante, scandiva le ore dieci in punto. La ragazza si era fatta da parte e si trovava esattamente sulla prosecuzione dell’anta sinistra, con il corpo allineato con il prolungamento dell’asse trasversale dell’anta medesima. Il suo braccio sinistro era teso trasversalmente al suo corpo, la mano sinistra anch’essa tesa con le dita unite, il braccio destro era proteso in avanti, con l’avanbraccio piegato a novanta gradi e parallelo al suo petto e cosi` pure la mano destra, con le dita unite, ad indicare l’ingresso libero, ai clienti. I poliziotti avevano fatto due passi indietro, in modo da non disturbare i clienti che entravano. Ordinatamente, i clienti stavano entrando, salutati al loro passaggio, con espressioni verbali sincronizzate e profondi inchini, elargiti loro da tutti i dipendenti, dirigenti inclusi. Alessandra, camminava sbalordita al centro del corridoio, salutata a destra e a sinistra da un numero imprecisato di impiegati. Si sentiva come una principessa. Ricordava che, alla Rinascente del suo paese in Italia, erano presenti in sala di supporto al pubblico, non piu` di dieci o dodici impiegati che, normalmente, non rispondevano al saluto nemmeno quando erano i clienti a salutarli per primi. Al pianoterra di Hankyu ci saranno stati oltre duecento dipendenti, in quel momento. Velocemente aveva imboccato la scaletta ed era salita al secondo piano. Stessa situazione, stessa scena. Lei camminava al centro, adesso con aria compiaciuta e loro, tutti i dipendenti, nessuno escluso, la salutavano con profondi inchini e la ringraziavano di essere li`. Non la stavano ringraziando per avere comprato qualcosa. Lei era troppo scioccata e non avrebbe comunque comprato nulla, in quelle condizioni. Loro la stavano ringraziando solo perche` lei era li`. Che paese meraviglioso. Che gente per bene. Che stile. Che ritualita`. Che formalita`. Non trovava le parole adatte a descrivere a se stessa le sensazioni che provava in quel momento. Che rispetto. Purtroppo per lei, i suoi pensieri erano sempre molto piu` lesti di ogni altra sua attivita` sensoriale. Invece di starsene li` a godersi l’attimo di felicita`, la sua mente si era spostata indietro nel tempo. Si ricordava di una sua esperienza personale, che nel momento in cui era stata vissuta pareva persino essere divertente, che lei stessa aveva avuto in una profumeria, nel centro storico di una piccola citta` di provincia, poco a nord di Roma. Alessandra era in profumeria per comprare il dopobarba preferito da suo padre. Lo aveva trovato, sapeva gia` il prezzo e si stava portando alla cassa, per pagare e andarsene. La cassiera, una ragazza giovanissima che avra` avuto forse meno di diciotto anni, era al telefono. La sua faccia era infuocata. Rossa oltre misura per via del sangue in circolazione sotto la pelle chiara. Le sue braccia si muovevano in modo scoordinato e a scatti. Le mani, occasionalmente, entravano con violenza dentro i suoi capelli rossi, tinti di un rosso mogano artificiale e sembravano restare momentaneamente imprigionate nel groviglio scomposto che era sopra la sua testa. Stava parlando con il fidanzato o con qualcuno che, fino a qualche minuto prima, era il fidanzato. Lui, forse, l’aveva combinata grossa, questa volta. Lei avrebbe voluto parlare sottovoce.

    Nel contempo, faceva sforzi che interessavano tutte le sue corde vocali. Tutti i muscoli del suo collo, che appariva tozzo e con le vene gonfie, erano in attivita` allo scopo di dare profondita` e significato alla parole che emetteva a fatica. Pareva visibilmente furibonda. Erano circa le dieci e trenta del mattino. Il negozio, di dimensioni notevoli per una profumeria di una piccola citta`, era stato appena aperto e dentro c’era solo Alessandra. La cassiera non l’aveva degnata di uno sguardo, per almeno cinque minuti.

    Alessandra, un po’ per paura di doverci litigare e un po’ per ascoltare quello che lei diceva al telefono era rimasta in disparte, in silenzio, in posizione leggermente angolata, rispetto al banco della cassa. Mentre parlava al telefono, gli occhi dell’impiegata roteavano e la parte bianca, si scopriva di qualche millimetro, tutta intorno all’iride, in qualsiasi direzione la si guardasse, conferendole un aspetto da internata in nosocomio, in stile qualcuno volo` sul nido del cuculo. A questo punto, Alessandra aveva pensato bene che fosse meglio squagliarsela. In fondo, avrebbe potuto comprare il dopobarba anche in un altro negozio. Mentre stava tentando di prendere una decisione, la cassiera, senza dire una parola e continuando a litigare con il soggetto al telefono, le aveva fatto un cenno con la mano destra, come per dire devi pagare? Dammi qua e sbrigati! Alessandra, aveva appoggiato il dopobarba sul banco e aveva messo il denaro nell’apposito contenitore di fianco alla cassa, di fronte alla ragazza, ora indemoniata piu` che mai. La cassiera aveva messo il denaro in cassa. Aveva battuto lo scontrino. Aveva sbattuto il resto sul banco e, senza incartare il dopobarba, aveva detto Ahhh ciao. Hai la borsina, vedo. Si riferiva ad una grande borsa di plastica, in quel momento ben chiusa, che Alessandra teneva in mano, a lato della sua borsetta di pelle, portata a tracolla. Me la apri, per favore? Il tono della sua voce non lasciava spazio a domande di chiarimento o a commenti di nessun genere. Alessandra aveva aperto, con tutte e due le mani, la grande borsa di plastica e la cassiera aveva lanciato il dopobarba, cosi` com’era, dentro la borsa. Centro. Aveva detto soddisfatta, come momentaneamente estraniata dalla discussione al telefono. Ciao. Grazie. Arrivederci. Senza dire una parola, Alessandra era uscita ed aveva tirato un sospiro di sollievo. Tuttavia, una volta al sicuro, fuori dalla profumeria, si era resa conto dell’assurdita` di tale evento.

    Naturalmente, lei non si aspettava che la cassiera operasse un lancio del genere. E se nella borsa di plastica ci fosse stato un oggetto delicato o prezioso? Per esempio un vaso di vetro di Murano? Oppure uova? O un dolce? Era possibile un atteggiamento simile da parte di una cassiera? Non solo era possibile, era tutto realmente accaduto, in un negozio forse considerato elegante, in una piccola citta` del centro Italia. Soltanto adesso, trovandosi all’interno di un centro commerciale giapponese, Alessandra si rendeva conto della follia di quella esperienza vissuta in profumeria, qualche anno prima. Mamma mia, quant’e` bello il Giappone!

    Mamma mia, quant’e` bello il Giappone!

    Nei Dptm. Store giapponesi, almeno un intero piano e` destinato alla promozione ed alla vendita di cosmetici.

    Ogni brand, ha un suo preciso spazio commerciale. In ogni banco, di una singola marca di prodotti lavorano cinque, sei, sette ragazze e qualche volta anche di piu`, vestite nella uniforme, che caratterizza tale logo. Ogni cliente viene prontamente servito da una commessa. Il tempo di attesa, nonostante il gran numero di clienti, e` ridotto al minimo. Il cliente sceglie il prodotto che desidera fra una vasta gamma di campioni. La commessa prontamente ringrazia e prende una confezione nuova, di tale prodotto. La mette sul banco.

    Apre la scatola e mostra il contenuto, al cliente. Richiude con cura la scatola. A questo punto, il cliente dovra` pagare il prodotto. Naturalmente, la commessa, dopo avere mostrato le componenti del prezzo, incluso l’importo totale al cliente e dopo avere ottenuto il denaro o la carta di credito, provvedera` di persona al pagamento, presso la cassa piu` vicina. La commessa, normalmente di ritorno in tempi eccezionalmente rapidi, si occupera` del confezionamento finale, del prodotto. Se si tratta di un acquisto personale, il prodotto verra` confezionato con una bella carta standard. Se si tratta di un regalo, il cliente potra` scegliere la confezione regalo, selezionando il tipo ed il colore della carta da regalo, oltre al tipo ed al colore del nastro da abbinare alla carta. Il pacchetto, in confezione regalo, sara` preparato in tempi brevissimi e con grandissima cura. Sara` posto in una adeguata borsetta di carta o di plastica. Tale confezione regalo e` completamente gratis e non comporta costi aggiuntivi per il cliente. Fa parte del service del negozio. Dopo avere restituito il resto o la carta di credito al cliente, insieme allo scontrino, la commessa uscira` all’esterno del banco, consegnera` con tutte e due le mani il prodotto al cliente e contemporaneamente salutera` con un profondo inchino, ringraziando ancora una volta. E` esattamente a quel punto che, tutte le altre commesse del banco ringrazieranno il medesimo cliente e saluteranno, tutte nello stesso momento. Imparare a ringraziare e a salutare, tutti nello stesso momento, fa parte integrante dell’addestramento formale degli impiegati, ogni mattina, prima dell’apertura del negozio. Mamma mia, quant’e` bello il Giappone!

    Subito innamorati.

    Alessandra, senza saperlo, apparteneva ad una categoria di stranieri molto vasta che, per comodita`, definiremo innamorati a prima vista. Sono soggetti che si innamorano del Giappone al primo impatto, al primo contatto o comunque, durante i primissimi giorni di permanenza qui. Non stiamo parlando solo di coloro che entrano in Giappone da paesi estremamente poveri o da una situazione di sofferenza personale. Tali immigrati probabilmente resterebbero affascinati anche da qualsiasi altro paese piu` ricco e tecnologicamente piu` evoluto del loro. Stiamo parlando, di un gran numero di persone che, pur arrivando qui da una condizione agiata o relativamente benestante, restano affascinate dalla qualita` dei servizi, dalla comodita` dei trasporti, dalla affidabilita` della tecnologia disponibile, dalla conveniente concentrazione di negozi, dalla distribuzione dei beni di consumo, dalla gentilezza degli interlocutori nipponici e cosi` via. Per esempio, ad Osaka, per chi si sposta usufruendo della metropolitana Midosuji ci sono treni ogni 30 secondi o al massimo, lontano dalle ore di punta, ogni due minuti e mezzo. Non e` difficile innamorarsi di un servizio cosi` organizzato. Per simili ragioni, non e` raro innamorarsi del Giappone fin dai primissimi giorni di permanenza qui. Ove tale innamoramento duri per mesi, per anni o per poche settimane, dipende da vari fattori che vedremo in seguito.

    Nel caso di Alessandra, il meraviglioso feeling iniziale sarebbe, diciamo cosi`, leggermente cambiato, appena nel giro di poche settimane. Tale e` il destino di gran parte di questi innamorati della prima ora.

    Un ritardo di 12 minuti.

    Il racconto entusiasta di due novelli sposi in viaggio di nozze rappresenta una affidabile testimonianza, sintetica ed eloquente. Michele e Marisa, siciliani, hanno viaggiato in treno, nel cuore del Giappone. Hanno visitato luoghi romantici come: Miyajima, Hiroshima, Onomichi, Amanohashidate, Kyoto e anche Osaka, il Monte Fuji e Tokyo. Il programma era stato pianificato da una agenzia specializzata. Si erano serviti di treni locali, espressi, super-rapidi, , incluso il Nozomi, uno Shinkansen particolarmente veloce. Tempo medio giornaliero complessivo di attesa in stazione, valutato con pignoleria da Michele ad ogni cambio di treno, inferiore ai 15 minuti. Vuol dire, scendere da un treno in arrivo e salire immediatamente o quasi, su un altro treno, in partenza dopo pochi secondi o dopo pochissimi minuti.

    Il ritardo dei treni, su oltre cinque giorni di viaggio, era stato pari a zero. Nessun ritardo. Gli sembrava impossibile.

    Loro non lo sapevano ma, la JR (Japan Railways – una holding che e` anche principale gestore dei treni ad alta velocita`) aveva appena comunicato i risultati relativi alla gestione delle linee ferroviarie, dell’anno precedente. Il presidente di una delle compagnie del gruppo JR si era presentato in prima serata TV, per salutare gli ascoltatori utenti, per promuovere i servizi erogati dal gruppo e, esagerando in modestia alla maniera locale, per chiedere scusa a tutti i giapponesi e a tutti coloro che avevano usufruito dei servizi della JR. Infatti, diceva lui con l’aria mesta di uno che dovrebbe farsi perdonare pur sapendo di avere raggiunto un traguardo straordinariamente importante, su 160.000 (centosessantamila) corse di treni, gestite dalla JR su tutto il territorio nazionale (escludendo naturalmente il ritardo dovuto a terremoti, tifoni, calamita` naturali o incidenti di altro genere – ivi includendo svariati casi di suicidio in cui qualcuno cerca di ammazzarsi buttandosi sotto il treno) il ritardo complessivo annuale dovuto a errori umani era stato di ben 12 minuti. Dodici minuti di ritardo per tutte le 160.000 corse, durante un intero anno di esercizio.

    Quel presidente, scusandosi di nuovo, aveva garantito agli ascoltatori che la JR avrebbe fatto il possibile, durante la gestione dell’anno in corso, per abbattere ulteriormente questo intollerabile ritardo complessivo di 12 minuti, dovuto ad errori del proprio personale. Che meraviglia viaggiare in treno, in Giappone!

    Un paese da amare.

    La puntualita` e la pulizia dei treni sono solo una delle tante ragioni che spingono una infinita` di persone ad innamorarsi subito del Giappone. La tecnologia, che qui e` resa disponibile a tutti, a prezzi relativamente ragionevoli, si rinnova a ritmi impensabili altrove. Giornalmente, nuovi prodotti e nuovi servizi si riversano su un mercato, in continua trasformazione. Un telefonino, dopo sei mesi dalla sua uscita nel punto vendita e` gia` piuttosto obsoleto e dopo due anni e` un pezzo da museo. Simile sorte tocca anche a computer, videogiochi, stereo, elettrodomestici in genere, sistemi di sicurezza e tanti altri prodotti tecnologici.

    Per non parlare poi dei centri commerciali in cui tali prodotti sono venduti. Spesso sono negozi stracolmi di tecnologia, che occupano un intero grattacielo. Un piano dedicato ai computer. Un altro alle stampanti. Un piano di telefonini. Uno di macchine fotografiche. Un altro di televisori. Tre o quattro piani di elettrodomestici e cosi` via. In una citta` italiana, in tutta la citta`, e` impossibile trovare lo stesso genere di prodotti, al medesimo livello di aggiornamento tecnologico disponibile in Giappone, in uno solo di questi negozi. Inoltre, la distribuzione di prodotti e servizi di ogni genere e` diffusa e capillare, anche in centri piccoli o periferici. I grandi department store sono quasi sempre raggiungibili in metropolitana ed accessibili, direttamente dalla stazione. La stagione delle piogge non limita le abitudini dei giapponesi, in riferimento allo shopping. Certamente, supermercati, department store ed una miriade di altri negozi, inclusi quelli in versione miniaturizzata, costituiscono l’ossatura portante di tale organizzazione. Ma e` la logistica che completa il quadro.

    I convenient store meritano di essere citati con qualche particolare aggiuntivo. Si tratta di catene di negozi che sono aperti 24 ore su 24, sette giorni alla settimana, 365 giorni all’anno. Coprono una molteplicita` di settori commerciali. Sono piccoli negozi di generi alimentari.

    Ma vendono anche prodotti per l’igiene personale, per la pulizia della casa, giornali e riviste. Sono una cartoleria in miniatura, unita ad un ufficio postale con limitate possibilita` di spedizione. Al loro interno c’e` sempre una grande fotocopiatrice, un angolo per prodotti surgelati o refrigerati ed un altro angolo dove si possono scaldare delle vivande da consumare subito, fuori dal negozio. All’uscita delle stazioni ferroviarie o nei pressi di nodi stradali e anche vicino alla propria abitazione non mancano mai uno o piu` convenient store. La comodita` che generano diventa chiara, in caso di emergenza. Quando finisce la carta del fax.

    Quando si deve spedire un plico che deve essere recapitato il giorno dopo e sono gia` le 11:00 di sera. Quando sono esaurite le batterie di un qualsivoglia telecomando e in mille altre situazioni. I giapponesi si rendono conto di quanto siano comodi i convenient store quando si recano all’estero dove, normalmente, non ci sono o non si trovano con altrettanta frequenza. Un’altra ragione che spinge il visitatore ad amare subito il Giappone e` certamente legata alla bellezza dei giardini e dei parchi nipponici. Soprattutto quelli che circondano i templi, ma non solo quelli. Lo stile, la cura e la ricercatezza dei dettagli applicati alle legature, alle recinzioni, ai viottoli, alla disposizione delle pietre lungo i percorsi dell’acqua, alla potatura delle siepi e degli alberi, il design complessivo del giardino, le sue tematiche, il rapporto fra i pieni e i vuoti, l’abbinamento dei colori studiato al variare delle stagioni, ma anche valutato in base al clima, alla posizione del sole durante l’intero arco della giornata e alla illuminazione notturna, sono l’eredita` di una cultura millenaria, nell’arte di trasmettere emozioni, attraverso l’allestimento, la coltivazione e la gestione del giardino.

    Altre ragioni per amare il Giappone.

    Le ragioni per amare il Giappone sono molteplici e richiederebbero una trattazione accurata, circostanziata ed erudita che non saremmo nemmeno in grado di fare. Le pubblicazioni disponibili, utili all’approfondimento, sono innumerevoli. Proviamo, di seguito, a scrivere un semplice elenco di motivazioni, tutte valide allo scopo, ma senza un preciso ordine di importanza. Senza una gerarchia. Senza troppa meditazione. Di getto. Cosi` come ci arrivano alla mente. Una sola delle espressioni che seguono, anche presa in considerazione singolarmente, sarebbe sufficiente a giustificare l’amore verso il Giappone.

    I giapponesi sono estremamente gentili, generosi e particolarmente rispettosi delle persone, dei luoghi pubblici e privati. Generalmente, sono onesti e precisi. Da queste parti, la cultura dell’acqua ha generato un approccio che favorisce l’igiene personale e caratterizza l’igiene pubblica.

    Qualsiasi persona, in qualsiasi momento, puo` entrare in un palazzo privato adibito ad uffici oppure in un albergo o in qualsiasi altro luogo pubblico ed usufrire dei bagni a disposizione, sempre pulitissimi, senza dover rendere conto a nessuno e senza dover giustificare la propria presenza in quel luogo. I telefoni pubblici sono tutti in perfetto ordine e perfettamente funzionanti. Nessuno si permette di danneggiare un bene di pubblica utilita`, nemmeno durante le manifestazioni di protesta, che restano comunque rare e che non sfociano mai in eccessi di violenza.

    In modo ancora piu` sintetico aggiungiamo altre importanti ragioni per amare il Giappone. Kyoto. Il monte Fuji. Il matcha e tutto quanto a base di matcha, in particolare il gelato. Il matcha-shiratama. Il te` giapponese. Il kimono. Il sumo. La semplicita` ed il rigore dei templi. Il fascino dei giardini, in ogni stagione. La logistica del paese. La qualita` dei servizi. La tecnologia antisismica degli edifici. L’organizzazione delle poste e delle spedizioni, in genere.

    La serieta`, il coraggio e la forza dei giapponesi colpiti da calamita`. Il mare di Okinawa. L’area di Nagano e dintorni. Amanohashidate. Miyajima. Matsushima. In qualsiasi citta`, in qualsiasi momento c’e` sempre un taxi libero. I giovani non si vergognano di essere impiegati nella pulizia delle stazioni e le ditte li pagano bene per quel servizio. L’arte delle percussioni e del Taiko. Il castello di Himeji e tutte le altre fortezze. Il Kenrokuen. Il Korakuen.

    Il sole rosso in campo bianco della bandiera giapponese. Il mercato del pesce. Il sushi e il sashimi. L’urushi. La serieta` con cui le amministrazioni pubbliche affrontano il problema delle barriere architettoniche e dei servizi che garantiscono la mobilita` dei portatori di handicap. Ci sono tantissime altre motivazioni per amare questo straordinario paese del sol levante che, tuttavia, e` ben lontano dalla perfezione in cui, emotivamente, lo collocano i cittadini nipponici.

    FRANCESCO.

    Francesco era arrivato in Giappone con il desiderio di voltare pagina. Non aveva in mente nessun obiettivo commerciale o economico o di carriera. Voleva solo voltare pagina. Non avrebbe mai potuto immaginare cio` che lo aspettava. Romano de Roma, si era laureato in lettere e filosofia, quando aveva 24 anni. Avrebbe potuto cominciare a fare politica da giovanissimo, come aveva scelto di fare suo fratello, qualche anno prima. Ma era troppo idealista, troppo indipendente e non stava cercando un lavoro. Ove cio` fosse una scusa o una opportunita` era ancora tutto da dimostrare. Francesco amava studiare. Studiava tutto cio` che gli interessasse, fosse un articolo scientifico trovato su una rivista americana o un libro di psicologia o una ricetta di cucina. Studiava qualsiasi cosa. Soprattutto per il suo amore per lo studio si era alienato un gran numero di compagni di scuola. Loro non avevano mai osato chiamarlo secchione. Sapevano che Francesco non avrebbe mai potuto definirsi tale. Ma erano in troppi a non capire il fascino segreto dei libri che lui leggeva cosi` avidamente. Studiava Dante a memoria. Leggeva libri in continuazione, al ritmo di due o tre alla settimana, qualche volta. Scandagliava quasi tutti i quotidiani, ogni mattina, alla ricerca di notizie interessanti. Lui sapeva fin dal principio che non si sarebbe candidato mai per nessun partito, in nessuna lista. Non

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