Ifigenía in Àulide
By Euripide
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Ifigenía in Àulide - Euripide
IFIGENÍA IN ÀULIDE
Εὐριπίδης, Ἰφιγένεια ἡ ἐν Αὐλίδι
Originally published in Greek
ISBN 978-88-674-4221-8
Collana: AD ALTIORA
© 2014 KITABU S.r.l.s.
Via Cesare Cesariano 7 - 20154 Milano
Ti ringraziamo per aver scelto di leggere un libro Kitabu.
Ti auguriamo una buona lettura.
Progetto e realizzazione grafica: Rino Ruscio
IFIGENÍA IN ÀULIDE
PERSONAGGI:
AGAMÈNNONE (padre di Ifigenía)
MENELÀO (fratello di Agamènnone, re di Sparta)
CLITEMNÈSTRA (madre di Ifigenía)
IFIGENÍA (figlia di Agamènnone e Clitemnèstra)
ACHILLE (eroe greco)
VECCHIO SERVO
ARALDO
CORO
AMBIENTAZIONE:
La scena rappresenta il campo degli Achei in Àulide.
(Agamènnone esce dalla tenda, e chiama un vecchio servo)
AGAMÈNNONE:
O vecchio, vien qui, presso questo
padiglione.
VECCHIO:
Son qui. Che novelli
pensieri, Agamènnone, volgi?
AGAMÈNNONE:
T'affretti?
VECCHIO:
M'affretto. è la mia
tarda età molto insonne, e ben lieve
sui cigli mi pesa.
AGAMÈNNONE:
Che stella
è quella che in cielo veleggia?
VECCHIO:
è Sirio, che, presso alla Plèiade
settemplice, in mezzo alla volta
del cielo, s'affretta.
AGAMÈNNONE:
Non s'ode né voce d'uccello
né d'onde sciacquío. Su l'Eurípo
i venti son muti.
VECCHIO:
Agamènnone re, perché mai
venuto sei fuor della tenda?
In àulide tutto è tranquillo:
immote son tutte le scolte.
Rientriamo.
AGAMÈNNONE:
Felice ti reputo,
o vecchio, ed invidio quell'uomo
che senza pericoli, ignoto,
senza fama, trascorre la vita.
Men felice mi sembra chi vive
tra gli onori.
VECCHIO:
Ma pur, negli onori,
della vita consiste il decoro.
AGAMÈNNONE:
è fallace decoro; e il potere,
sebben dolce, ad averlo t'accora.
Uno sbaglio talor verso i Numi
la tua vita sconvolge; talora
la cruccian gli umori
degli uomini, tristi e discordi.
VECCHIO:
Non son queste le cose, Agamènnone,
che ai príncipi invidio; ed Atrèo
non ti diede la vita perché
tu soltanto godessi; ma devi
provare piaceri e dolori,
ché tu sei mortale;
e, voglia o non voglia, dei Numi
è tale il volere.
(Agamènnone accende una lampada e si mette a scrivere su una tavoletta)
Che fai?
Accendi la lampada, e in quella
tavoletta che teco hai recata,
tu scrivi, e lo scritto
cancelli e sigilli, e di nuovo
riapri, ed a terra lo gitti,
e quante stranezze commettono
i folli, commetti.
Che pena t'angustia, che nuova
sciagura, Signore? Su, via,
partecipe fammene, parla.
Onesto, a te fido sono io:
ché Tindaro un giorno mi diede,
fra i doni di nozze, alla tua
consorte, compagno
fedele alla sposa.
AGAMÈNNONE:
Leda, figlia di Testio, ebbe tre figlie:
Clitemnèstra, mia sposa, Febe, ed Elena.
A richieder costei, si presentarono
quanti contava piú prestanti giovani
l'Ellade tutta; e qui minacce sursero
fra lor di morte, ché nessun voleva
privo restar della fanciulla. E Tíndaro
in imbarazzo grande era, se cederla
convenisse, oppur no, per conseguirne
maggior vantaggio; e questa idea gli venne:
che tutti quanti i giovani prestassero,
stringendosi le mani, e confermassero
con libagioni e imprecazioni, un giuro
che tutti l'uomo a cui movesse sposa
di Tíndaro la figlia, aiuterebbero,
se mai qualcun glie la rapisse, e in bando
lui mandasse dal letto; e moverebbero
a campo, e la città distruggerebbero,
con l'armi, ellèna fosse, o fosse barbara.
E poi ch'ebber giurato, e il vecchio Tíndaro
accortamente con la fine astuzia
li ebbe ingannati, disse alla sua figlia
che fra i rivali ella scegliesse quello
a cui piú d'Afrodite la spingessero
l'aure dilette. Ed ella scelse, oh, fatto
mai non l'avesse! Menelào: ché poi,
dalla terra dei Frigi a Lacedèmone
quell'uomo giunse che alle Dee fu giudice,
come n'è fama tra gli Argivi; e un fiore
parea nelle sue vesti, e d'oro fulgido
con barbarica pompa, e innamorato
rapí l'innamorata Elena, e ai campi
d'Ida l'addusse. E Menelào non c'era.
Ma come ritornò, furente corse
l'Ellade tutta, e i giuramenti a Tíndaro
un giorno fatti ricordò: che aiuto
convien prestare a chi patí sopruso.
E alla guerra correndo, allora gli Elleni
impugnarono l'armi, e in questo d'àulide
angusto passo vennero, di navi,
di scudi armati, di cavalli e cocchi.
E duce me, perché di Menelào
ero fratello, elessero. Deh, fosse
toccato ad altri un tanto onor! Ché tutte
son raccolte le genti, e noi qui stiamo,
e non possiamo navigare, in àulide.
E Calcante, indovino, a cui rivolti
nella distretta ci eravamo, tale
responso diede: che alla Diva Artèmide
che quivi ha sede, Ifigenía mia figlia
sacrificar si dee: sacrificandola,
facile il mare avremo, e struggeremo
la gente frigia: se non l'immolassimo
nulla di ciò conseguiremmo. Appena
udito ciò, diedi ordine a Taltíbio
che rimandasse con un alto bàndo
tutte le genti: ché mia figlia uccidere
io non l'avrei sofferto mai. Ma qui,
tanto mi disse il fratel mio, che infine
mi fe' convinto a osar lo scempio orribile.
E una lettera scrissi, e l'inviai
alla consorte mia, perché la figlia
nostra mandasse, che ad Achille sposa
esser dovrebbe; e dello sposo i pregi
magnificavo; e che le navi ascendere
con gli Achei rifiutava, ove la nostra
figliuola a Ftia sua sposa non andasse.
Tal pretesto usai dunque, per convincere
la sposa mia: d'Ifigenía le nozze
fingere; e soli fra gli Achei lo sanno
Calcante Ulisse e Menelào. Ma quello
che stoltamente allor deliberai,
or lo muto di nuovo in questa lettera,
che tu fra l'ombre della notte, o vecchio,
aprire e poi chiuder m'hai visto. Orsú,
questa missiva prendi, e ad Argo récati.
E ciò che nelle sue pieghe essa asconde
io tutto ti dirò: ché tu fedele
alla mia casa, a Clitemnèstra sei.
VECCHIO:
Dimmi, parla, sicché le parole
ch'io dirò, con lo scritto s'accordino.
AGAMÈNNONE:
(Legge la lettera)
Di Leda germoglio, io t'avverto
in questa missiva
che tu la tua figlia non mandi
all'ala d'Eubea sinuosa,
ad àulide immune dai flutti:
ché in altra stagione le nozze
della figlia dobbiam celebrare.
VECCHIO:
E Achille, deluso del talamo,
cosí, contro te di furore
non sarà tutto un fremito, contro
la tua sposa? Di tanto pericolo
mi dici che pensi?
AGAMÈNNONE:
Il nome, e non l'opera, Achille
prestava: di nozze
nulla ei sa, né di quanto ora faccio,
né che a lui la fanciulla promisi,
al legittimo amor del suo talamo.
VECCHIO:
Agamènnone re, troppo ardire
fu il tuo, che, promessa tua figlia
al figliuol della Dea, come vittima
tu venir la facevi pei Dànai.
AGAMÈNNONE:
Ahimè, ché allor fui dissennato,
ahimè ch'ora sono sacrilego.
Ma via, non ti prostri vecchiaia:
affretta il remeggio dei piedi.
VECCHIO:
M'affretto, o signore.
AGAMÈNNONE:
E non sia
che indugi vicino alle fonti
pei boschi, e che il sonno ti vinca.
VECCHIO:
Non dire bestemmie.
AGAMÈNNONE:
E ovunque la via si divide,
tu guarda ed osserva, perché
non ti sfugga, se mai qualche carro,
su rapide rote