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Le astronavi di Cesare
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Le astronavi di Cesare

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Gaio Giulio Cesare, il grande condottiero, viene ridato alla vita per guidare un’epica battaglia contro un invasore alieno che un’umanità del futuro ormai pacificata non riesce a fronteggiare. Benvenuti nel fantascientifico mondo de LE ASTRONAVI DI CESARE del due volte vincitore del “Premio Urania” Alberto Costantini. Un magnifico romanzo per gli appassionati di fantascienza.

Un attentato, i pugnali degli assassini, una vittima. Tutto sembra finire qui. O forse no: qualcosa sta rifluendo nel corpo ormai esangue di Gaio Giulio Cesare. E l’uomo più potente di Roma si risveglia in un mondo incomprensibile, sopra un letto dalle lenzuola troppo pulite, dove uomini e donne in camice bianco gli rivolgono domande di cui non comprende il significato. Il condottiero romano è stato “ripescato” dall’abisso del passato, riproducendo fino all’ultimo dettaglio lo schema dei circuiti neuronali, i suoi ricordi, le sue sensazioni, e quindi inserendoli in un supporto biologico quanto più possibile simile al corpo che possedeva nella sua prima vita. Ma non è un’oziosa bizzarria di scienziati che giocano a imitare gli dei, bensì una dura necessità: l’Umanità, dopo essere riuscita finalmente a esorcizzare gli impulsi violenti che l’avevano portata sull’orlo dell’autodistruzione, si trova a fronteggiare una minaccia proveniente dal cuore nero del Cosmo, un pericolo mortale che rischia ora di costringerla a riappropriarsi degli istinti bestiali cui aveva consapevolmente rinunciato. E così, gli umani del XXII secolo, piuttosto di rinunciare all’innocenza faticosamente raggiunta, hanno scelto di “recuperare” vecchi uomini di guerra, di tutti i tempi e di tutte le nazioni, per farli combattere in loro vece contro la razza guerriera più feroce dell’Universo conosciuto. L’autore di Terre accanto e di Stella cadente torna con un romanzo che si snoda lungo i sentieri delle stelle, a cavallo fra la fantascienza classica e i più antichi miti dell’umanità.
LanguageItaliano
Release dateJan 12, 2015
ISBN9788868670382
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    Le astronavi di Cesare - Alberto Costantini

    Prologo

    Allora Gangleri disse: «Tu dici che

    tutti gli uomini caduti in battaglia 

    dall’inizio del mondo ora sono in 

    Valhöll da Odhinn. Credo che vi 

    debba essere una folla enorme».

    Rispose Hár: «Vero è ciò che tu dici: 

    vi è una grande folla che diventerà 

    ancor più numerosa. Tuttavia sembrerà 

    insufficiente quando arriverà il lupo.

    Nelle lunghe ore trascorse a occhi chiusi, adagiato su quell’asettico lettino dalle lenzuola ruvide, o nelle pause tra una terapia e la successiva, o ancora negli interminabili pomeriggi di un parco assolato, quando un ozio inquieto lo costringeva suo malgrado a riflettere e a dar spazio ai ricordi, la prima sensazione che gli sfiorava la memoria era un sottile brivido lungo il filo della schiena. Sì, come un disagio indefinibile, simile a una fastidiosa febbricola...

    In realtà, era stata tutta una giornata strana, quella, al punto che aveva addirittura pensato di restarsene a casa, a poltrire sotto le coperte. La folla, di cui spesso aveva sollecitato il consenso e che altrettanto spesso aveva vergognosamente adulato nei suoi istinti meno nobili, gli dava ora un senso quasi fisico di ripugnanza. Anche gli amici attorno a lui, anziché ispirargli sentimenti di fiduciosa sicurezza e placido, incontrastato dominio, gli sembravano dubbiosi, infidi, sfuggenti. Circolavano addirittura voci di un attentato, cui non sarebbero stati estranei proprio gli uomini che aveva non solo salvato dalla rovina, ma addirittura beneficato con una forse imprudente generosità. Orsù, si accomodassero pure: non era la prima volta che affrontava la morte; spesso, in guerra, l’aveva addirittura ricercata e sfidata, anche se era ben diverso avere attorno soldati pronti a morire per te o invece viscidi politicanti in attesa di un tuo passo falso per addentarti la gola.

    Lei, la fedele sposa, l’aveva intuito, pur nella sua femminile ingenuità, e la sua mente ansiosa aveva collegato i mille rivoli dei presagi infausti in un sogno strano: veniva rapito in un mondo diverso, oltre le nuvole, dove colloquiava con esseri celesti... I sogni sono inganni, ma aveva ugualmente voluto parlarne con l’amico Spurinna, studioso dei mille segreti occulti della psiche umana, che aveva scosso il capo pensieroso, invitandolo a tenere gli occhi bene aperti.

    Le chiacchiere degli amici gli ronzavano ora nelle orecchie come fastidiosi calabroni: untuose attestazioni di amicizia, impudenti richieste di favori. La calca lo stringeva dappresso, e il sudore prese a scendergli dal capo. Ecco, almeno in questo invidiava i re di un tempo lontano: la sacralità della loro persona li esentava dal contatto fisico con sudori, odori, grida... Senza rendersi conto di come, si trovò tra le mani un biglietto: l’ennesima denuncia di un tradimento, pensò con amarezza. L’avrebbe letta la sera stessa con sua moglie, e magari avrebbe sorriso della sua apprensività. E avrebbe riso anche dei cupi presentimenti che ora lo opprimevano.

    Quello che provò, fu come una vampa di calore secco, seguita da un formicolio che partendo dagli arti raggiungeva tutto il resto del corpo. È così che si muore? si chiese perplesso.

    Lentamente la sensazione di torpore svanì.

    Ma ad essa subentrò un’impressione ancora più strana: vedeva se stesso camminare tra la folla plaudente. Era qualcosa che già aveva provato, in sogno. Stava dunque sognando? Intanto, il se stesso che inseguiva con lo sguardo aveva già varcato la soglia. Un individuo che non riconobbe gli afferrò servilmente un lembo del vestito.

    «Attento!» gridò d’istinto, come per metterlo sull’avviso. Ma dalla bocca non uscì alcuna voce.

    Con un gesto improvviso, ma evidentemente studiato, uno dei postulanti estrasse un’arma, forse un pugnale, e lo colpì. L’altro se stesso rimase come stupefatto, si guardò intorno smarrito, forse cercando qualche viso amico, ma i congiurati lo stringevano da vicino, ed egli si coprì gli occhi con le mani insanguinate, non prima che lo sguardo errante si posasse, tra tanti volti, su uno particolarmente amato.

    Morì senza dire una parola.

    Nell’ampia sala cadde un silenzio innaturale. Le voci si udivano ancora, ma smorzate, lontane; le figure si fecero evanescenti. L’ultima cosa che intravide furono tre ombre che portavano via il suo corpo.

    Era dunque questa la morte?

    Allora era vero quanto si diceva, ossia che qualcosa di noi sopravvive a quell’evento così fatale e definitivo? Provò un sottile senso di orgoglio accorgendosi di non provare paura. Era tutto così naturale... Non percepiva, in realtà, nessuna sensazione, neppure quel lieve fastidio. Si guardò riconoscendo le sue membra e la sua figura. Un ultimo raggio di sole giunse dal mondo che stava lasciando, poi tutto il suo universo fu un vuoto incolore. Ma neppure quello fu in grado di sgomentarlo. Si chiese piuttosto che cosa sarebbe successo ora: forse qualche personaggio della bizzarra mitologia umana gli si sarebbe fatto incontro? Oppure anche quella strana luce diffusa si sarebbe spenta per sempre? Se era così, non poteva augurarsi sorte migliore.

    Il Nulla era preferibile a qualunque paradiso.

    Si accorse di aver recuperato la sensibilità, quando udì il battito del cuore. Non s’era avveduto che il suo generoso cuore si fosse fermato: ora, invece, lo sentiva pulsare nelle tempie e sotto la pelle dei polsi. Dall’orecchio non arrivava nessun suono, ma il cervello percepiva i movimenti degli organi interni. D’un tratto, il sangue prese a circolare rapidissimo nelle vene, simile a un torrente di montagna. Da quanto duravano quelle sensazioni? Domanda futile: il tempo stesso era un concetto che in quel nuovo universo non aveva senso. Adesso però poteva contare i battiti dei suoi polsi. Gli sembrava quasi di essere nell’alveo materno, un’esperienza che credeva di aver dimenticato, e invece era ancora annidata da qualche parte del suo ricordo. Forse si apprestava a reincarnarsi?

    Una sensazione spiacevole, quasi dolorosa, si risvegliò dentro di lui: adesso percepiva delle piccole punzecchiature di spillo che gli provenivano dalle terminazioni nervose. Anche il mondo esterno stava cambiando; gli occhi vedevano ora scorrere ombre, e dagli orecchi gli arrivava un lontano rimbombo che cresceva e scemava. Riprese a contare i battiti del cuore: ogni 3600 circa, doveva calcolare che fosse trascorsa un’ora, ma ben presto si stancò di quella insulsa aritmetica, distratto da quanto avveniva intorno a lui. Aguzzando al massimo la vista, gli sembrò di distinguere una figura umana; alcuni dei suoni si rivelarono essere voci. Sentì una dolorosa fitta a un dito, e istintivamente lo ritrasse: dunque, ora poteva controllare alcuni semplici movimenti del corpo. Anche dal suo interno le sensazioni arrivavano più chiare e nitide: lo stomaco brontolava per la fame, la lingua asciutta reclamava liquidi, le funzioni fisiologiche erano incontrollabili, ma indubbiamente presenti.

    Per la prima volta dalla sua morte dormì.

    In sogno, sembrò che una donna gli parlasse, ma non intese le parole della sua lingua. Al risveglio la rivide: era un volto femminile, non bello e non giovane; molto materno, si sarebbe detto.

    «Pou khòrou eimì?» chiese in greco.

    La donna rimase perplessa, sorrise imbarazzata e chiamò qualcuno. Di lì a poco, arrivò un ragazzo dai capelli lunghi, vestito in una foggia strana:

    «Romaistì? Latine

    Certo che parlo latino, per Castore! ci mancherebbe altro... pensò.

    «Non sforzarti di parlare e neppure di capire» lo consigliò la donna in un latino approssimativo e barbarico: «sei ancora molto debole.»

    «Soprattutto» precisò l’uomo «cerca di affrontare i problemi uno per volta. Per il momento ti basti sapere non sei né morto né impazzito. D’accordo?»

    Beh, questa era una buona notizia, anche se le due eventualità prospettate apparivano senz’altro più ragionevoli. Prima che le forze lo abbandonassero, chiese da bere, e la donna si affrettò a porgergli un calice d’acqua. Era il più strano bicchiere che avesse mai visto: sottilissimo, candido, sembrava fatto di papiro. Ma per il momento il contenuto era più interessante del recipiente, e intinse la lingua nel liquido fresco.

    Per molto tempo - giorni? settimane? - non successe nulla, solo lunghissimi sonni e brevi, inquiete veglie. Qualcosa dolorosamente infilato nel braccio gli trasmetteva - così gli spiegarono - quel nutrimento che il suo stomaco non poteva ancora elaborare. Due volte al giorno, la donna che esercitava le funzioni di medico, lo visitava e ogni volta non mancava di esprimere il suo compiacimento per le migliorate condizioni. Fu autorizzato ad assumere bevande e pappette da bambino, e infine a mettere sotto i denti il primo pasto solido. Sotto la sorveglianza severa della donna, poté muovere i primi passi nella stanza, e poi in un vasto parco, multicolore per l’imminente autunno.

    Erano dunque trascorsi sei mesi dalle Idi di Marzo...

    «Gaio Giulio Cesare, nato a Roma nel 653 a. U. c., cittadino romano e uomo non ignoto a suo tempo.»

    «Benissimo» commentò una voce femminile che sembrava giungere dall’altra parte di un grande specchio. «Sei in grado di ricordare gli avvenimenti più importanti della tua vita?».

    Cesare sorrise e iniziò a elencare le cariche rivestite, le trionfanti campagne militari, le riforme attuate e quelle che meditava di introdurre nel corpo vecchio e malato della Repubblica. Quando tacque, per qualche istante non si udì nulla; ne concluse che di là stessero valutando la veridicità del suo racconto e la coerenza delle risposte.

    «Come giudichi le tue attuali condizioni fisiche?» tornò a chiedere la voce.

    «Eccellenti; in ogni caso, migliori di quando sono morto.»

    «Credo che morto non sia il termine più adatto» intervenne l’altra voce, quella maschile. Dopo una nuova pausa, la donna riprese: «penso sia tuo diritto porre a noi delle domande... » lo specchio, quasi per magia, divenne trasparente e dietro di esso comparvero tre figure: l’uomo che aveva conosciuto all’ospedale e le due dottoresse che a turno l’avevano assistito.

    «Bene» annunciò con l’aria di chi da lungo tempo aveva preparato la domanda: «in primo luogo, cosa sono io e cosa siete voi?»

    «Capire cosa siamo noi» rispose il giovane «è abbastanza difficile per un uomo del tuo tempo: diciamo che siamo i tuoi posteri 2250 anni dopo la tua morte.»

    «Quindi ci troviamo nel 3003 dalla fondazione di Roma» concluse dopo un rapidissimo calcolo. «Non pensavo di aver dormito tanto».

    «Beh, noi usiamo una datazione diversa, ma mi pare che il computo degli anni corrisponda. Quanto alla seconda domanda, noi ti diremo com’è andata, e se ti farà piacere non crederci, avrai tutta la nostra comprensione».

    «Provateci almeno» rispose Cesare piccato.

    «Allora, vediamo un po’... nessuno è in grado di viaggiare fisicamente nel tempo, ma possiamo riportare al presente immagini del passato. Va bene fino a qui? Con uno strumento abbiamo, per così dire, copiato i tuoi pensieri, i tuoi ricordi, le tue strutture razionali ed emozionali, abbiamo riprodotto tutti i frammenti del tuo codice genetico e li abbiamo posti su di un supporto organico... » e qui si interruppe; «immagino di non essere stato molto chiaro» aggiunse dopo una breve pausa.

    Cesare rimase perplesso, ma fu questione di un istante; rifletté un poco, poi disse lentamente, scandendo bene le parole:

    «Proviamo a metterla così: avete ricomposto gli atomi che costituivano la mia anima nel medesimo ordine in cui la Natura li aveva creati, poi avete fatto lo stesso con gli atomi del corpo. Il risultato è un altro Me Stesso che, diversamente da quanto sosteneva il buon maestro Epicuro, ha mantenuto totale e completa memoria della sua vita precedente. Ci sono andato molto lontano?»

    «Non molto» rispose la dottoressa ammirata «non molto.»

    «Prima che proseguiate con le spiegazioni filosofiche, vorrei però sapere un’altra cosa, molto importante per me. Lo avete fatto per una qualche bizzarra scommessa? o per divertirvi a giocare agli dei?»

    «No, no» intervenne l’uomo: «non avremmo mai avviato un programma del genere, se non vi fossimo stati costretti. Nei prossimi giorni ti sarà spiegato a grandissime linee cos’è successo tra il 44 avanti Cr... scusa, fra la tua morte e oggi, ma per il momento ti basti sapere che alcuni anni or sono c’è stata una guerra mondiale; capisci cosa intendo?»

    «Fatico a figurarmelo, ma credo di sì. Vai pure avanti.»

    «È stata una guerra devastante, che ha messo a rischio la stessa sopravvivenza della vita su questo pianeta. Ci saremmo sterminati a vicenda, se un giorno non fosse giunta un’astronave aliena, che prese a orbitare intorno alla Terra.»

    «Alienus nel senso di altrui o di estraneo, forestiero

    «Scusami, hai ragione. So che neppure questo è facile da accettare, ma ora abbiamo la certezza che esistono altri mondi abitati.»

    «Non c’è nulla di assurdo, in questo» replicò subito Cesare: «se i mondi sono infiniti, nulla vieta di pensare che qualcuno di essi sia abitabile e abitato. Anzi, la probabilità gioca proprio a favore di tale eventualità.»

    «Benissimo. L’impatto con questi esseri piovuti dal cielo fu talmente traumatico, che i vari contendenti di quel folle massacro conclusero non una delle solite tregue, ma finalmente una pace vera e propria. Non solo, ma tutti noi esseri umani giurammo concordi che mai ci sarebbe stata una nuova guerra su questo pianeta. Per questo bruciammo o epurammo tutti i libri di storia che accennassero, anche lontanamente, a fatti bellici, e con l’aiuto degli amici alieni, inserimmo nel DNA di ogni terrestre un gene che eliminasse qualunque istinto aggressivo.»

    «Temo di non seguirvi: mi state dicendo che avete modificato la natura dell’uomo?» chiese Cesare sinceramente stupito. Di tutte le stranezze, quella gli appariva senz’altro la più incredibile.

    «Non è stato facile» disse l’uomo con una punta di malcelato orgoglio «ma ci siamo riusciti. Ora siamo quasi immuni dalle malattie, abbiamo accresciuto la durata e la qualità della vita, abbiamo costruito le nostre astr... dei mezzi per volare tra le stelle, e colonizzato pacificamente i pianeti più vicini della galassia.»

    «Già, ma purtroppo un giorno...» disse Cesare con tono leggermente canzonatorio.

    «Un giorno» continuò l’uomo senza raccogliere la provocazione «siamo entrati in contatto con una razza di ominidi, che ha iniziato a usare... usare...»

    «Usare...?»

    «Violenza» disse in un soffio, quasi volesse liberarsi di una parola che gli ustionava la bocca. L’uomo ora sudava copiosamente, e chiese alla dottoressa un bicchiere d’acqua.

    «Noi» continuò dopo essersi ripreso «non siamo in grado di difenderci dall’aggressione, i nostri amici alieni non vogliono essere coinvolti. La strada che abbiamo imboccato ci ripugna profondamente, ma credimi, non avevamo alternative.»

    «Quindi, se ho capito bene, avete bisogno di soldati...»

    Anche quella parola sembrava provocare un rigurgito di nausea, ma l’uomo riuscì comunque a restituire un cenno di assenso.

    «C’è una cosa che non capisco» osservò Cesare ignorando le smorfie dell’interlocutore. «L’arte della guerra si evolve assieme alla storia umana. Le nostre tecniche e le nostre armi erano più perfezionate rispetto a quelle dei tempi di Annibale, che a loro volta superavano largamente le armi e la tattica dei greci, a loro volta migliori di quelle egiziane o babilonesi. Ho motivo di credere che la guerra, oggi, si combatta con armi che io neppure riesco a concepire. Sbaglio?»

    «Non sbagli, ma è più facile istruire nel loro uso un uomo antico che già conosce cosa sia la guerra, piuttosto che eliminare l’inibizione alla violenza di un uomo moderno, che tecnicamente le dovrebbe saper usare.»

    «Franchezza per franchezza, mi sembra un’ipocrisia bella e buona» obiettò Cesare: «non volete e non potete più fare la guerra, quindi andate a rifugiarvi sotto gli orli della toga di noi poveri nonni. Morti per di più. Ma lasciamo correre; mi parlavi di un esercito...»

    «Evidentemente non sei il solo a essere stato richiamato dal buio dei secoli trascorsi. Non è un’operazione facile né economica, ma sulla base di quel poco che si è salvato dall’oblio, abbiamo stilato un elenco dei migliori combattenti della storia, venuti prima e dopo di te.»

    Gli occhi di Cesare si illuminarono. Esisteva dunque qualcosa di simile ai mitici Campi Elisi, dove avrebbe potuto incontrare le persone che aveva amato in vita...

    «Prima di essere impiegato, però, dovrai trascorrere un periodo di istruzione: penso ti interesserà sapere cosa hanno fatto gli uomini negli ultimi tempi; poi dovrai imparare una delle lingue moderne per comunicare con noi, infine riceverai informazioni sulle... sulle...»

    «... armi» completò Cesare.

    «Sì, sulle... armi utilizzate durante le ultime... le ultime...»

    «...guerre? combattimenti? conflitti? battaglie?»

    «Basta, per favore!» implorò l’uomo.

    Per tutta la vita, Cesare aveva amato la conoscenza ed era stato avido di curiose novità,

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