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Before the first love: Prima del primo amore
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Before the first love: Prima del primo amore
Ebook115 pages1 hour

Before the first love: Prima del primo amore

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About this ebook

In un istituto un bambino e una bambina uniscono le loro solitudini, è la prima stagione della vita di Francesco e Laura, quella prima del primo amore. È da questa stagione che Francesco vuole ripartire per raccontare ad un padre troppo assente tutto ciò che gli è accaduto, da ragazzo e da uomo sposato. Dalla primavera delle speranze all’autunno delle disillusioni. Ma la lettera, concepita all’uscita dal coma dopo un incidente stradale, il racconto di quelle stagioni disegnano, pagina dopo pagina, il possibile inizio di una nuova vita.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateJun 21, 2014
ISBN9788891146526
Before the first love: Prima del primo amore

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    Before the first love - Adriano Fedeli

    I

    Vita da istituto

    In quella serata lavorativa non si fece tanto guadagno al ristorante di Franco, tutti erano presi dalla Tv. Trasmettevano un evento più unico che raro:

    la Nazionale stava giocando la finale di coppa del mondo e nessuno aveva intenzione di uscire, preferendo rimanere rintanati in casa a farsi un piatto di pasta.

    Vedendo la situazione, Franco mi diede le chiavi della sua abitazione, era il mio migliore amico

    -Vai ragazzo che chiudo io baracca.

    Sì, mi chiamava ancora ragazzo, ma ormai avevo passato i trent'anni, da qualche anno, comunque lo ringraziai e con un cenno di mano lo salutai e, appena oltrepassata la soglia della porta, sbadigliai, come conclusione di una giornata ben spesa. Lungo il cammino verso l'umile dimora che da qualche giorno mi ospitava si sentivano trombette e schiamazzi, urla ed incitazioni, dai balconi sventolavano bandiere. Ma le strade erano deserte.

    Passo dopo passo ero assorto nei miei pensieri: mi ritornavano in mente i ricordi più belli prima della sentenza, ma il fatto di non poter più rivedere i miei figli mi uccideva. Era la cosa su cui riflettevo di più.

    Mi accostai a un ponte vicino a casa, e mi sedetti sotto di esso con una bottiglia di vodka nel caso mi venisse freddo.

    Sentii una voce:

    -Volevi davvero che finisse così?-

    Mi voltai, ma non vidi nessuno. Evidentemente ero travolto dalla stanchezza e dalla pazzia... quel giorno mi avevano avvolto come una coperta in pieno inverno.

    Dal momento in cui il tribunale decise che dovevo rimanere solo, non feci altro che pensare a quanto fosse bello vivere in compagnia, insieme agli amici e ai parenti che ormai non avevo più. Rimpiangevo ogni singolo momento, ed ero arrivato a dire che la solitudine fa bene fino ad un certo punto.

    Arrivai a una conclusione: dovevo chiedere scusa ai miei figli e a Laura, anche se lei se lo meritava meno di tutti.

    Non potevo vivere con il rimorso di un errore non voluto.

    C'era una vecchia BMW parcheggiata sul canale, la rubai cercando di imitare i vandali che fanno vedere in svariati film. Ero sempre più privo di me stesso. Iniziai a sfrecciare, accesi la radio e la prima cosa che sentii fu: Sul dischetto va Trezeguet... traversa!.

    Non vedevo nulla. Ogni macchina, tra le poche che giravano, sembrava dovesse venirmi addosso. Fabio Grosso, siamo nelle tue mani. Parte lui pur avendo qualche rotella fuori posto, cominciai ad interessarmi alla partita. Attimi di tensione, poi... L'Italia è Campione del Mondo! Campioni del mondo! Campioni del mondo! Nel 2006 siamo campioni del mondo. In quell'istante un delinquente alla guida, tutt'altro che sobrio, si scontrò contro di me, facendomi sbandare e andare fuori strada. Non si fermò per prestare soccorso, e ancora oggi non so chi fosse il conducente di quella dannata vettura. Al momento dell'impatto non capii più niente: vidi tutto sottosopra, immagini confuse. Percepivo l'asfalto ruvido e freddo con il palmo, sentivo sempre più suoni di trombette svanire nel nulla fino a perder conoscenza.

    Uscii dal coma un mese dopo, ma in quel tempo passato sdraiato senza sensi vidi sequenze della mia esistenza in questo mondo, come la sedia di un quel bar molto speciale o l'altare dove mi sono sposato e tante altre.

    Secondo le voci che giravano per il reparto dove sostavo, la macchina si era ribaltata, ma in quel mese nessuno dei miei stretti famigliari si preoccupò di venirmi a trovare, nemmeno i miei figli, solo il mio caro amico Franco, mi hanno detto. Poi in quei giorni di rinascita ricevetti la tua lettera; posso dire che è stato un risveglio felice.

    E ora ho deciso di risponderti, papà, a modo mio:

    questo è quello che mi è capitato da prima del primo amore.

    ***

    Erano gli inizi degli anni ’80; per chi poteva permetterselo erano bei tempi, sia riguardo alla musica che al cinema; per me non era così.

    Il settembre del 1981, un’annata che non scorderò facilmente. Avevo dieci anni e conobbi lei.

    Era una giornata caldissima, molto afosa, quasi da perderci la testa. Nel collegio delle Marie era facile diventare bersaglio di qualcuno, bastava essere un po' diverso dagli altri.

    Quella mattina cercavo disperatamente un posto fresco dove adagiarmi e, dopo aver girato tutto l'istituto, trovai finalmente un gradino di marmo all'ombra, adiacente al parco giochi. Lì notai una mischia insolita di ragazzi e ragazze e poi sentii un urlo simile ad un Basta!, ma non fui mai in grado di capire con certezza chi avesse urlato; in fondo erano le dieci di mattina e la fame mi assaliva. Preso il panino, feci per morderlo, mentre si sedeva accanto a me una bambina che all'inizio neanche mi notò. Non riuscivo a guardarla bene, ma intuii che avesse la mia stessa età. Dopotutto ero un bambino e, spinto dalla curiosità, sarei riuscito a fare di tutto pur di conoscerla. Presi coraggio, quel poco che basta per dire imbarazzato -Vuoi un pezzo di merenda?-

    Lei si girò, mi gettò uno sguardo timido e, dopo aver dato il morso al panino, si sdraiò con la schiena sulla fredda gradinata e mi chiese: -Come mai tu non mi prendi in giro?-.

    Ero rimasto senza parole, non sapevo cosa rispondere. Lei insistette: -Allora, perché?-.

    Pensai una ventina di secondi a cosa avrei potuto rispondere, mettendomi ripetutamente le mani tra i capelli nero carbone, e l'unica frase che uscì dalla mia bocca fu: -E perché ti dovrei prendere in giro, scusa?-.

    Si tranquillizzò, iniziando a parlarmi di lei. Si chiamava Laura, veniva dagli Stati Uniti. I genitori durante una vacanza in Italia erano morti ed era questa la causa per la quale veniva derisa.

    Vivevo nella sua stessa situazione, solo che io non ero americano.

    Si erano fatte ormai le quattro e le suore ci richiamavano a separarci nuovamente nelle rispettive camerate, bambini da una parte e bambine dall’altra. Eh sì, la vita in collegio non era affatto facile, l'unica cosa che mi rasserenava era pensare e parlare con Laura, ma questa cosa non era destinata a durare, poiché poco dopo, nel dicembre del 1981, lei venne adottata: fu un giorno triste. A riferirmelo fu Sandro, un tipo paffutello nel quale non si distingueva il mento dal collo. Ero in cortile, aspettando che lei si presentasse per stare un po’ insieme, per parlare e anche semplicemente per sfogarci come ormai era nostra abitudine. Lui venne da me correndo e agitando le braccia vistosamente.

    - Francesco, Francesco! Laura è stata adottata!-.

    In un primo momento non realizzai, perciò gli chiesi di calmarsi e di ripetermi ciò che aveva detto. Rimasi scosso da quell'evento e restai cupo, spento. Ma fortunatamente in quell'istituto c'era una suora di cui mi potevo fidare.

    Era una persona intelligente e innovativa una delle poche con le quali avevo legato.

    Si prese l'incarico di badare a me e mi portò a trovare Laura fuori dall'istituto. Per la prima volta misi il piede fuori da quell'inferno. Era il 5 settembre 1982 e per le sette eravamo all'esterno dei cancelli. Mi sentii libero e lo urlai, ma l'unica cosa che rimediai fu uno scappellotto dalla suora, niente da ridire, me lo ero meritato.

    Eravamo arrivati a destinazione davanti alla villa di Laura. La mia accompagnatrice era sfinita; continuava a ripetere frasi nel suo dialetto mentre io fissavo insistentemente quell'immenso cancello di metallo nero. Citofonammo e questo, come per magia, si aprì.

    Notammo subito un lungo viale di brecciolino che si piantava sotto la suola dei sandali e un immenso giardino pieno di piante di limoni e aranci. In lontananza si intravedeva una maestosa fontana. Uscì di casa un'anziana signora che, stringendo la mano alla monaca, fece come il gesto di volersi inginocchiare, ma la suora glielo impedì.

    Entrammo finalmente nell'abitazione; uno specchio rifletteva la mia immagine…

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