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Mallen, detective per caso
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Mallen, detective per caso

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"Mallen, detective per caso" narra le vicende di un giovane pensionato che si trasforma in investigatore privato, spinto dal desiderio di spezzare la monotonia del proprio status esistenziale.
LanguageItaliano
Release dateApr 7, 2014
ISBN9788869093272
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    Mallen, detective per caso - Egidio Colombo

    ambientato.

    Personaggi

    Enrico Mallen – investigatore privato.

    commendator Varzi – armatore.

    Alberto – figlio di Varzi.

    dottoressa Gruber – segretaria di Varzi.

    Luigi Alfredi – titolare del bar Veliero.

    'Zizì', Ezio Zini – collaboratore di Mallen.

    Rosina, 'la nordica' – prostituta.

    'Savio', Saverio Ciccone – capoccia della mala.

    'don Nico', Nicola Scarrà – boss delle scommesse.

    donna Franca Delle Langhe – nobildonna levantina.

    Ester e Matteo – figli di donna Franca.

    Valerio Visconti – segretario di donna Franca.

    Dottor Borelli – amministratore immobiliare.

    Gianni Cordero – commissario di Polizia.

    ispettore Morando – vice di Cordero.

    Valter – giardiniere di Villa Ester.

    Zelda Valdesi – dirigente della Questura.

    Javet, 'il biondo' – narcotrafficante.

    Gloriana Wilson – primo amore di Mallen.

    Capitano Faedda – ufficiale della Guardia di Finanza.

    Tony – frequentatore della discoteca Medusa.

    1

    Debutto nei carrugi

    Erano le undici di un radioso mattino di marzo e l'aria tiepida che saliva dal porto anticipava l'avvento della nuova stagione.

    Me ne stavo appollaiato su un alto sgabello del bar Veliero e sorseggiavo senza fretta uno squisito Negroni, guardando distrattamente il via vai dei passanti che si incrociavano nei vecchi portici di Sottoripa.

    Mi sentivo profondamente annoiato e, come già mi era accaduto in quell'ultimo periodo, stavo pensando alla mia singolare situazione.

    Cinque mesi prima avevo concluso il mio rapporto lavorativo con una multinazionale, accettando un'allettante offerta di congedo anticipato, e mi stavo godendo la pensione, finalmente affrancato da obblighi e orari di lavoro.

    Libero anche da impegni e vincoli famigliari - poiché ero vedovo e la mia unica figlia viveva in Argentina - frequentavo regolarmente amici e vecchi compagni di scuola, con i quali amavo far bisboccia e tirar tardi la notte. Curavo anche i miei hobby preferiti e, per tenermi in forma, facevo trekking con un gruppo di escursionisti e praticavo pesistica e arti marziali nella palestra del Dopolavoro Portuale.

    Insomma, il mio pensiero primario consisteva nel cercar di trascorrere il tempo nel miglior modo possibile.

    Nondimeno, quell'invidiabile stato di perenne vacanza stava causandomi una sgradevole depressione e, proprio per quel motivo, avevo cominciato a considerare seriamente la necessità di trovarmi una occupazione che desse una sferzata alla monotonia della mia condizione esistenziale.

    Prima di deglutire l'ultimo sorso, ordinai il bis e andai a rintanarmi in fondo al locale, nell'angolo in cui mi sentivo più a mio agio...

    All'improvviso mi venne in mente che quello era il giorno del mio cinquantunesimo compleanno e, con un profondo senso di fastidio, pensai agli amici di Mamma Rosa, che in serata mi avrebbero sicuramente festeggiato. Malgrado la mia forte avversione per commemorazioni e cerimonie d'ogni genere, in quel caso non potevo certo defilarmi. Guai se non mi fossi presentato: non me l'avrebbero mai perdonata.

    Mamma Rosa era una caratteristica osteria/trattoria che programmava musica live due sere alla settimana: jazz al martedì e blues al venerdì. Nel tempo era diventata un importante punto di riferimento per jazzisti, bluesmen e appassionati dei due generi musicali e io vi suonavo la chitarra da oltre vent'anni, con un gruppo amatoriale.

    Oltreché alla musica afroamericana coltivavo anche un altro hobby: nutrivo un forte interesse per gli enigmi polizieschi ed ero un accanito lettore di libri gialli. Conseguentemente mi appassionava tutta la cronaca nera e spesso mi scatenavo in lunghissime dissertazioni sui fatti delittuosi più eclatanti.

    Bazzicavo frequentemente alcuni bar della città vecchia e ogni volta che vi si formavano capannelli di persone disputanti su eventi criminosi, potete star certi che lì in mezzo, a tener testa a tutti, c'ero quasi sempre io, Enrico Mallen.

    Nell'ultimo periodo avevo dimostrato di possedere un buon intuito e apprezzabili capacità deduttive, azzeccando la soluzione di casi in base alle sole informazioni mediatiche, e le notizie dei miei successi si erano diffuse velocemente con il passa-parola, cosicché, tra il serio e il faceto, gli amici dell'angiporto avevano preso a chiamarmi 'detective', e con questo appellativo ero da tempo conosciuto in tutto il centro storico genovese.

    Fu per quella ragione che un giorno prese forma un grottesco equivoco che avrebbe cambiato radicalmente la mia vita.

    La sera precedente avevo ricevuto una strana telefonata. Una donna, che si era qualificata come segretaria personale di un certo commendator Varzi, mi aveva informato che il suo principale era intenzionato ad ingaggiarmi. Avevo tentato di avvertirla che stava sbagliando persona, ma lei, senza starmi a sentire, mi aveva chiesto dove avrebbe potuto incontrarmi l'indomani, in tarda mattinata...

    Verso le undici e venti, proprio mentre stavo terminando il mio secondo Negroni, una grossa auto nera, con i vetri posteriori affumicati, si accostò al porticato. Ne scese una bella donna di mezz'età, con un attillato tailleur grigio e una grossa busta gialla sottobraccio. Entrò di fretta nel locale, si accostò al bancone e chiese qualcosa a Luigi, titolare del bar e mio vecchio compagno di liceo. Lui puntò l'indice verso di me e lei mi raggiunse a passi veloci.

    E' lei il detective Mallen? chiese con voce stentorea, senza attendere risposta. Sono la dottoressa Gruber: le ho telefonato ieri sera.

    Sì, ma stia a sentire un attimo, io non sono...

    Ah no, stia a sentire lei! m'interruppe con piglio autoritario. Non ho tempo. Il mio principale mi sta aspettando in macchina. Dobbiamo prendere il volo per New York e siamo in ritardo! In questa busta troverà una foto, un assegno e un foglio con le istruzioni del commendatore. La foto è di suo figlio che, purtroppo, ha problemi di droga. Alberto manca da casa da quattro giorni. Non è mai successo prima, salvo qualche assenza di una sola notte. Riprese fiato e continuò: L'assegno è di tremila euro, per cominciare. Il commendatore le chiede di cercare suo figlio senza clamori, cioè la cosa non deve risapersi in giro. Noi staremo a New York tre o quattro giorni, il tempo necessario per concludere un affare. Potremmo essere di ritorno venerdì pomeriggio... Nella busta troverà anche il numero del mio cellulare: dovrà telefonarmi ogni giorno, a cominciare da stasera, per aggiornarmi sull'andamento delle ricerche... Insisto sulla massima riservatezza.

    Bene, adesso posso dire qualcosa io?! esclamai.

    Lei non badò alle mie parole. Si alzò di scatto, mi porse la busta e aggiunse: Ah, dimenticavo! Il suo cellulare ce l'ha la banda dei 1900 megahertz?

    Ma che cavolo...

    Okay, ho capito!... Tenga questo e lo utilizzi per chiamarmi negli Stati Uniti. Arrivederci!

    Ehi, ehi, aspetti... Io non sono quello che crede... esclamai, alzandomi.

    Ma lei era già sulla porta. Si volse appena e gridò:

    Perdiamo l'aereo! Se ha bisogno di altri ragguagli, mi telefoni!

    Fece un cenno di saluto e sparì nella macchina nera.

    Posai la busta su un tavolino e andai ad appoggiarmi al banco.

    Luigi mi guardava di sottecchi, sciacquando alcune tazzine da caffè.

    Mica male la pollastrella, eh? esclamò.

    Dai, piantala!... Che cosa ti ha chiesto quella, quando è entrata?

    Se sapevo chi fosse il detective.

    E tu?

    Che dovevo rispondere? L'ho mandata da te.

    Questa sì che è da raccontare... borbottai.

    Qualcosa non va?

    Niente, niente... Preparami un caffè doppio, per favore...

    Tornai a sedermi e aprii la busta. Ne estrassi una foto, un assegno e un foglio scritto con una penna stilografica:

    Egregio signor Mallen,

    ho bisogno del suo aiuto per rintracciare mio figlio. Come Le spiegherà la mia segretaria, Alberto manca da casa da quattro giorni. Sono molto preoccupato perché non è mai stato fuori per così tanto tempo.

    Non mi rivolgo alla polizia perché non voglio correre che la faccenda diventi di dominio pubblico.

    Forse può esserLe utile sapere che mio figlio frequenta saltuariamente il Caffè Pinna, un bar della vecchia darsena, e anche la birreria Principe, presso la stazione ferroviaria.

    Io, purtroppo, devo andare a New York per affari urgenti. Le accludo una foto di Alberto, un assegno e il numero telefonico della dottoressa Gruber: la prego di chiamarci ogni giorno.

    Ci conosceremo al mio ritorno. Spero che cinquemila euro bastino come acconto. Buon lavoro!

    comm. Tullio Varzi.

    Rimasi per un po' soprappensiero e poi decisi di parlarne a Luigi. Gli raccontai della telefonata della sera precedente e dell'incontro con la Gruber. Poi gli feci leggere il foglio con le istruzioni.

    Cosa ne pensi? Tu accetteresti?

    Lui appoggiò il gomito sul banco del bar e il mento sul palmo della mano, rimanendo in silenzio per qualche secondo.

    Beh, ormai ci sei dentro, Enrico rispose. E poi questa è un'occasione per verificare se vali anche 'sul campo', come investigatore...Prendila come una sfida... Cosa c'è? Ti vedo perplesso,

    Io accetterei... ma mi sento a disagio.

    A disagio per cosa?

    Quelli credono che io sia un vero detective.

    Ho capito, e allora?

    E allora non lo sono, che diavolo!

    Lo sappiamo solo noi. E poi, mica l'hai creato tu questo equivoco.

    Certo, ma è comunque una situazione truffaldina.

    Hai tentato più volte di chiarire il malinteso, no? Quindi non capisco il tuo senso di colpa... Mettiamola così: se tu riuscissi a trovargli il figlio, quanto pensi che potrebbe importarne a Varzi se sei un detective vero o fasullo? Secondo me non hai scelta; quelli ormai stanno partendo per gli Stati Uniti e tu hai in mano la busta con l'assegno. Per loro significa che hai accettato l'incarico. Cosa vorresti fare adesso? Telefonare e dire che non vuoi occuparti del caso?... Andiamo!

    Tacqui per qualche istante e infine convenni che il suo ragionamento non faceva una grinza; così mi lasciai persuadere, anche perché in cuor mio stavo già accarezzando l'idea di mettermi alla prova...

    Va bene, mi hai convinto.

    In bocca al lupo, allora...

    Crepi il lupo!

    Se avessi potuto immaginare in quale ginepraio stavo per cacciarmi, probabilmente non avrei mai accettato...

    A questo punto ritengo opportuno dirvi qualcosa su di me, se non altro per soddisfare la vostra curiosità.

    Sono un tipo robusto e longilineo - di bella presenza ma non tanto simpatico - con tempie brizzolate, occhi chiari, naso aquilino, spalle larghe e gambe lunghe. Ho un temperamento sensibile, un animo generoso ma un carattere burbero, con una certa inclinazione ad attaccar briga; tuttavia, per fortuna, la mia indole riflessiva riesce sovente a frenare i miei impulsi.

    Sono stato sposato con una creatura eccezionale, sconfitta da un brutto male all'età di quarantatré anni, e non ho più incontrato la donna in grado di occupare l'immenso vuoto da lei lasciato.

    Ho una figlia in Sud America, che purtroppo non vedo da anni a causa della mia fottuta paura dell'aereo, e una nipotina che non ho mai conosciuto.

    Ho avuto una vita alquanto rocambolesca, alle dipendenze di una società di apparecchiature belliche, operante nel medio oriente e negli stati balcanici, e mi sono trovato spesso impelagato in situazioni scabrose, rischiando talvolta di non riportare a casa la pelle...

    Riguardo a preferenze e fobie, vi dirò che mi piacciono i giubbotti di pelle, le motociclette, le fritture di pesce e le persone educate, mentre odio le cravatte, la televisione, gli sbruffoni e i politicanti d'ogni genere. Per quel che concerne il sesso, non sono quel che si dice un donnaiolo ma, di fronte alle lusinghe di una bella signora, non mi tiro certo indietro...

    Bene. Venti minuti dopo la mia decisione ero in darsena, al Caffè Pinna. Mi avvicinai al banco e ordinai un aperitivo. Appena il barista mi servì, gli mostrai la fotografia di Alberto.

    Cerco questo tizio. Ho saputo che è un vostro cliente.

    L'uomo s'irrigidì e disse ad alta voce:

    Non ci piacciono i ficcanaso!

    Immediatamente due uomini, seduti in fondo al locale, mossero verso di me, con piglio minaccioso. Il meno grintoso allungò i pugni ma, prima che potesse farmi qualcosa, gli sferrai un violento calcio all'inguine. Questi si accasciò a terra rantolando e l'altro si bloccò di colpo, chinandosi per soccorrerlo. Approfittai del momentaneo vantaggio e urlai:

    Calma, calma! Non cerco rogne!

    Guadagnai d'un balzo l'uscita e mi allontanai velocemente, seguito dai vaffanculo degli astanti.

    Beh, come inizio non c'era male!...

    Non nascondo che quando avevo deciso di assumere l'incarico avevo pensato ad un lavoretto facile. Vado nei bar, faccio qualche domanda, mostro la foto e prima o poi trovo qualcuno che mi da la dritta giusta e il gioco è fatto... E invece, col cavolo! E se è vero che il buon giorno si vede dal mattino, quella sarebbe stata sicuramente una brutta giornata.

    Mi diressi a passi rapidi verso l'imboccatura della darsena, agitato e malfermo sulle gambe, compiacendomi tuttavia per come avevo saputo affrontare quel frangente imprevisto.

    Ehi, amico... chiamò un giovane allampanato che mi aveva seguito. Ero nel bar. Ho sentito che cerchi qualcuno. Forse posso esserti utile... Fammi vedere quella foto

    Gliela porsi. Lui la guardò e poi disse:

    Ce l'hai un cinquanta?

    No, se ti accontenti ho questi.

    Gli porsi una banconota da venti euro, che subito arraffò.

    Bebo! esclamò il giovane, con una voce stridula. Ci facciamo insieme, ogni tanto.

    Bebo?

    Sì, è così che lo chiamiamo.

    Sai dove posso trovarlo?

    Forse conosco chi può darti questa informazione.

    Porse la mano a mo' di questua e io dovetti allungargli altri venti euro.

    Tre o quattrocento metri più avanti, sul marciapiede di destra, c'è lo slargo di piazza della Commenda. Ci troverai una strana coppia: un senegalese, nero come il carbone, e il suo compagno, un balordo con i capelli rossi. Se non sono in piazza li trovi sicuramente nel bar all'angolo.

    Ci andai e li individuai subito.

    Erano appoggiati ad una ringhiera nera e discutevano animatamente tra loro. Quando mi avvicinai si ammutolirono di colpo e mi fissarono con sguardi ostili.

    Calma, non sono della polizia! mi affrettai a rassicurarli. Cerco questa persona dissi esibendo la foto.

    Continuavano a guardarmi senza dire nulla.

    E' mio nipote mentii. Vorrei riportarmelo a casa.

    Silenzio.

    Bastano cinquanta?

    Il balordo scosse la testa e sibilò:

    Meglio cento!

    Pescai due banconote dal giubbotto e le tenni ben strette in mano.

    Okay, cento!

    E' stato qui l'altro ieri. S'è comprato una bustina.

    Sai dove potrebbe essere, adesso?

    Forse da Zizì.

    E dove abita questa Zizì?

    Non è una donna.

    Bene, sai dove abita questo Zizì?

    Qui nel carruggio, secondo portone a sinistra.

    Il rosso mi strappò i soldi di mano e li diede al compagno.

    Io mi infilai nel vicolo e arrivai al secondo portone. Sullo scalino d'ingresso era seduto un omaccio tarchiato, forse ecuadoriano, che non accennò minimamente a spostarsi.

    Dovrei entrare dissi in maniera garbata.

    Che cazzo vuoi? mi apostrofò lui.

    Mantenni la calma e spiegai:

    Devo vedere Zizì.

    La voce dell'uomo cambiò registro:

    Non c'è ancora, ma arriverà presto. Aspettalo al secondo piano.

    Si spostò di lato e mi permise di entrare. La scala era buia e sporca e l'aria maleodorante era insopportabile. Mi sedetti sull'ultimo gradino del secondo pianerottolo.

    Aspetti Zizì? mi chiese una prostituta belloccia che stava scendendo dal terzo piano.

    Sì.

    Tranquillo, sarà qui a momenti.

    E infatti, dopo alcuni istanti, nella penombra delle scale si materializzò una sagoma umana, con un borsino a tracolla e un paio di calzoni gialli, attillatissimi. Era una persona di bell'aspetto, con un fisico asciutto e una espressione cordiale.

    Aspetti me? cinguettò.

    Sì, ma non per quel che pensi.

    Peccato... Allora cosa vuoi?

    Cerco mio nipote.

    E perché vieni a cercarlo qui?

    Perché lo hanno visto da te.

    Intendi Bebo?

    Proprio lui.

    Non mi ha mai detto, Bebo, di avere uno zio così figo!

    Lascia perdere, per favore! E' qui?

    Certo che è qui: ha dormito da me questa notte.

    Stentavo a crederci. Possibile che fosse stato così facile trovarlo?

    Gli feci vedere la foto di Alberto.

    E' questo il ragazzo che è in casa tua?

    Sì, sì è lui! Aspetta che apro la porta.

    Zizì armeggiò nella vecchia serratura e dopo un po' spalancò l'uscio. Ma in casa non c'era nessuno.

    Non capisco. Stanotte ha dormito qui da me, te l'ho detto... Di solito non si alza prima delle due e io gli preparo sempre qualcosa da mangiare. Pensavo di trovarlo ancora a letto esclamò, rosicchiandosi l'unghia del pollice destro. Quando non sa dove andare a dormire lo ospito io volentieri; sai lui mi paga sempre il disturbo. Figurati che una volta...

    Ehi, ehi, frena! esclamai. Non ho tempo da perdere! Piuttosto, dimmi dove potrebbe essere andato!

    Mi spiace, non saprei rispose intimorito. "Prova un po' al Porto Antico, oppure in piazza De Ferrari, o anche ai giardini dell'Acquasola.

    Lo ringraziai e poi proposi : Senti un po', che ne diresti di scambiarci i numeri telefonici? Se mi aiuti a trovare Bebo, potrei ricompensarti generosamente.

    Zizì accettò subito e promise di farsi vivo, qualora avesse avuto notizie importanti da comunicarmi.

    Ci vediamo!

    Appena sceso nel vicolo avvertii un certo languore allo stomaco, così entrai in un bar e mi feci due tramezzini e un bicchiere di barbera.

    L'aria si era riscaldata e cominciavo a sudare, così mi tolsi il giubbotto e lo assicurai alla vita.

    Decisi di cominciare dal Porto Antico, ma girovagai senza alcun risultato per oltre un'ora. Allora mi inoltrai nei carruggi per raggiungere la zona attorno a piazza De Ferrari.

    Alcuni vicoli pullulavano di prostitute di varie etnie, alcune ammiccanti, altre fastidiosamente aggressive. Mentre cercavo di far capire con gesti e occhiate che non stavo cercando sesso, rimediando battutacce e sberleffi d'ogni genere, la mia attenzione venne attratta da una di loro, appostata sotto l'arco di un vecchio portico.

    Ciao bel giovane salutò lei, appena mi vide.

    Ciao, sei italiana?

    Si vede, eh? rispose con compiacimento. Ormai siamo rimaste in poche. Poche ma buone! aggiunse, facendo una giravolta su se stessa.

    Era una donna carina, alta e formosa ma non volgare, e vestiva con un certo buon gusto.

    Come ti chiami? chiesi.

    Mi chiamano 'la nordica'. Rosina 'la nordica', e tu?

    Enrico.

    Allora Enrico, ce ne facciamo una? tagliò corto lei.

    Magari più tardi, eh?... Adesso sono impegnato.

    Estrassi la foto di Alberto e gliela mostrai.

    Maledizione, sei uno sbirro?! esclamò lei, cambiando subito umore.

    No, tranquilla, non sono un poliziotto.

    Il suo sguardo divenne gelido. Mi scrutò con diffidenza e si guardò attorno preoccupata.

    Questo ragazzo è mio nipote ripresi, cercando di essere

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