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Stupor Mundi
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Stupor Mundi

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Palermo 1228. Federico II il grande imperatore, si appresta a partire per la sesta crociata. Ma prima di allontanarsi dal suo regno dev'essere svolto un ultimo compito.
Palermo, oggi. Una serie di omicidi scuote la città. Luca e Stefania si ritrovano in una lotta contro il tempo a riportare alla luce un tesoro di cui nessuno sapeva l'esistenza, tranne i Due Padri. Ma chi sono queste due figure enigmatiche e perché il vecchio magnate tedesco, Von Beckett, Vuole impossessarsi del loro tesoro? In un'avventura tra le bellezze della Sicilia e i suoi monumenti abbandonati i due ragazzi dovranno ritrovare il tesoro dello stupor mundi, sentendosi protetti dalla figura del grande imperatore che amò la loro terra e la loro città, come loro oggi.
LanguageItaliano
Release dateOct 1, 2013
ISBN9788868554743
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    Stupor Mundi - Giovan Battista Luciani

     STUPOR MUNDI

    Questo libro è dedicato ai miei figli presente e futuro della mia vita

    Capitolo 1

    Federico II Hohenstaufen, re di Sicilia e di Svevia, futuro re di Gerusalemme, imperatore dei Romani, re d'Italia e di Germania, duca di Puglia, Principe di Capua, stava fermo davanti la finestra del castello della Favara a osservare lo splendido giardino costruito da suo nonno materno,Ruggero II, e fatto modificare diverse volte da lui stesso e dai suoi avi, fino a diventare, come era ora, uno dei più belli d’Europa. Con i suoi giardini pieni di delizie e il lago artificiale fatto costruire proprio dal nonno, talmente grande, che al centro vi era stato possibile costruire un isolotto pieno di palme e agrumeti che occupava gran parte dello spazio, luogo di incontri piacevoli e giornate indimenticabili. Tutto era una delizia per lo sguardo. E poi, al di là del muro di cinta la sua amata. Palermo. Lo sguardo dell’imperatore si soffermò in quel momento su una coppia di falchi che volteggiava sulla sua testa. Si sentiva come protetto da quegli uccelli, come gli antichi faraoni, che vedevano in questi animali il loro dio protettore. Ma il pensiero del re era anche altrove, al viaggio imminente che si apprestava a fare, quel lungo viaggio che aveva più volte rimandato in Terrasanta ma che ora lo vedeva costretto a partire. Costretto da quel papa che in un gioco di amicizia/inimicizia lo aveva portato ad accettare di guidare una nuova crociata contro quelli che venivano definiti infedeli e nemici, ma nei confronti dei quali il re vedeva solo potenti uomini con cui allacciare rapporti diplomatici e commerciali. Quegli stessi uomini che erano come suoi fratelli essendo lui cresciuto nei quartieri della sua amata Palermo, punto d’unione tra le due religioni che lui aveva imparato a conoscere e a non odiare ma solo ad ascoltare, come ora ascoltava la voce della sua cristianità. A tutto questo pensava Federico quando sentendo aprire la porta del gran salone si voltò e vide entrare i suoi uomini più fidati. Per primo, come Federico si aspettava entrò Rinaldo, a lui Federico aveva affidato il comando durante la sua assenza dall’Italia. Subito dietro, Pier delle Vigne, uno dei suoi più fidati consiglieri, forse l’unico, si inginocchiarono entrambi davanti al loro re e imperatore. Tutto sistemato mio re, potete star sicuro che in Vostra assenza il tesoro sarà ben custodito. Federico era stato costretto a nascondere il suo tesoro, quel tesoro di forzieri pieni di monete d’oro, e di contratti di vassallaggio che erano il salvagente suo e del suo regno contro i continui attacchi da parte del papa, della lega lombarda, e dei tanti avvoltoi che si aggiravano per l’Europa. A quei tempi l’unica cosa che veramente contava erano i contratti e i soldi. Più se ne avevano, più un regno era solido. Non vedendo nessuna risposta da parte dell’imperatore alla rivelazione di Rinaldo, Pier delle Vigne prese la parola, unico uomo che si poteva permettere di prendere parola al cospetto del re senza essere stato prima interpellato. Sire è ora di andare. La sua presenza qua potrebbe attirare le attenzioni del papa e se non far scoprire tutto, metterlo sul chi vive di quello che potrebbe trovare a Palermo. Pier delle Vigne aveva ragione e Federico questo lo sapeva, si girò a guardare la sua amata città, forse per un ultima volta, dalla finestra. Non sapeva quando l’avrebbe rivista, voleva assaporare ogni parte di quel panorama che vedeva, avrebbe voluto portare con sé il sole, le vie affollate della kasba, quel miscuglio di religioni e dialetti che poteva incrociare solo nella sua amata Palermo. Il Papa lo costringeva a conquistare la terrasanta, e per farlo Federico doveva abbandonare il suo paradiso in terra, il suo giardino dell’eden. Giratosi nuovamente verso i suoi fidati uomini, con il cuore triste, e gli occhi quasi velati dalle lacrime, si allontanò, seguito dai suoi fedeli, dalla sua amata città.

    Capitolo 2

    La Vespa Piaggio rossa, sfrecciava sicura in mezzo al traffico congestionato della città. Il motore da 250CC., 4 valvole, raffreddato a liquido, superava agilmente le vetture che incontrava sul suo cammino e sotto le mani sicure del centauro filava dritta a destinazione. Superata piazza Villiena, o dei Quattro canti, sotto l’occhio viglie delle statue raffiguranti i re angioini e le varie patrone della città, susseguitesi nel corso dei secoli ,il motore sfrecciò oltre Piazza Pretoria e si andò a posteggiare davanti al bar sempre affollato di turisti e studenti della vicina facoltà di Giurisprudenza dell’università degli studi di Palermo. Messo l’antifurto, dopo essere sceso, il centauro si tolse il casco, dal quale uscì una cascata di capelli rossi ricci che aveva già conquistato diversi cuori, il tutto condiva un viso con due grandi occhi azzurri e un bel corpo, che se non perfetto, faceva girare le teste di molti ragazzi. Stefania si passò la mano nei capelli, se li ravvivò, e si diresse a passo spedito verso la facoltà. Quella non era la sua facoltà, non ci era mai entrata, era stata mandata là dal suo professore e capo del laboratorio presso il quale lavorava grazie a una borsa di studio, Professore Andrea Giuffrè, o meglio, da Letizia l’assistente personale del professore e sua migliore amica. Ciao Stefi sono Letizia Buongiorno! Aveva risposto con voce ancora assonnata la ragazza. Ma non sono ancora le otto che è successo Leti? Lo so gioia non è colpa mia, stamattina il prof mi ha chiesto se potevo mandare qualcuno a ritirare un qualcosa a Giurisprudenza da un certo prof. Bentivoglio. Ti chiamavo perché volevo chiederti se puoi andarci tu Ok il tempo che mi preparo e vado. Però te lo porto di pome, devo andare da mia nonna, mi tocca. Ok fai con calma, il prof rientra domani mi ha telefonato che era ancora a Milano. Magari questo Bentivoglio è un bell’uomo, e il prof. ti sta facendo un piacere. Aveva scherzato l'amica per farsi perdonare di averla svegliata così presto. Si come no, rispose Stefania che intanto si era alzata, così magari me lo porto a letto e ti aiuto a superare gli esami che dici? Davvero lo faresti? Tu si che sei un amica! La solita Letizia aveva pensato Stefania, pronta a tutto pur di raggiungere la meta finale della laurea. Dopo aver chiuso la telefonata, mentre aspettava che il caffè fosse pronto, aveva aperto la finestra, ed era rimasta a guardare il suo amato mare. Non passava giornata che non si svegliasse e rimaneva cinque minuti buoni a guardare quello che ormai definiva il suo mare. Palermo la sua amata città era nata dal mare, tutto era iniziato da lì. L’appartamento era un bivani che la nonna le aveva dato, in affitto diceva lei, ma era in arretrato da sempre visto che non pagava mai, e per sdebitarsi ogni tanto l’andava a trovare per farle compagnia. Uscita di casa si era messa sulla moto ed era arrivata a Giurisprudenza. Non ci bastavano i nostri prof. pure quelli di giurisprudenza ci volevano aveva pensato la ragazza. E ora era li a sbrigare quell'impegno così importante per il suo amato prof da chiamare da Milano per avvertire Letizia. Entrata dal portone principale si diresse con passo spedito verso la portineria Buongiorno, sono Stefania Prestigiacomo cercavo il professor Bentivoglio vengo da parte del Professore Giuffrè della facoltà di lettere In fondo all’atrio, biblioteca del dipartimento di diritto privato. Lo trova là, sta presiedendo la sua solita lezione con un gruppo di suoi alunni Le rispose il portiere senza alzare la testa, troppo impegnato a risolvere il suo cruciverba. '1 orizzontale: Nome della Altavilla madre di Federico imperatore.' Stefania lasciò il portiere al suo cruciverba e rompicapo di storia, attraversò l’atrio del palazzo, l’ex Fabbrica seicentesca dei Padri Chierici Regolari Teatini di San Giuseppe, che sin dal 1805 ad oggi ospitava la facoltà universitaria per volere del re, Ferdinando II di Borbone che la fondò per soppiantare quello che fino a quel momento era stato il centro diAlta cultura. Superò l’Aula Magna, piena di studenti che ascoltavano una relazione sulla microcriminalità e le ripercussioni sul sistema giudiziario, o almeno così diceva la tabella affissa accanto la porta d’ingresso, e si diresse verso la biblioteca indicatale dal portiere. Ecco un buon motivo perché non aveva scelto giurisprudenza, i titoli dei libri più lunghi delle materie, rise la ragazza fra sé. Arrivata alla porta in fondo che la targa accanto identificava come biblioteca bussò. Dall’altra parte una voce giovane la invitò ad entrare. Aperta la porta Stefania vide un gruppo di ragazzi curvi su un tavolo pieno di libri che all'unisono alzarono la testa verso di lei. Le ragazze la guardarono e la giudicarono come era abitudine dell’universo femminile, i ragazzi la guardarono e la desiderarono. Ciao ragazzi cercavo il professor Bentivoglio Le teste si girarono nuovamente all’unisono in direzione questa volta di un uomo sulla sessantina seduto a una scrivania in disparte. L’uomo, che si sentì chiamare alzò anche lui la testa dal libro che aveva davanti e si tolse gli occhiali Sono io Bentivoglio prego l’uomo le indicò una sedia davanti la sua scrivania. Vengo da parte del professor Giuffré Oh Andrea, e come sta il caro prof. So che è ancora a Milano per quella conferenza Senza attendere risposta dalla ragazza chiuse il libro che aveva davanti. Se non sbaglio è venuta per questo? L’uomo tirò fuori un cofanetto di legno dalle dimensioni ridotte, senza particolari fantasie di ritocco, con solo un disegno in rilievo sul coperchio, e lo porse alla ragazza che prontamente si allungò e lo prese. Stefania notò che pesava più del dovuto rispetto alle dimensioni, ma non ci fece caso. La ringrazio e infilò il cofanetto nella borsa che aveva a tracolla. Sono io che ringrazio lei mia cara mi ha evitato una passeggiata nel nostro caro traffico. Oh non me ne parli… e detto ciò si alzò. Allungò la mano per salutare l’uomo anziano che, con un gesto che lasciò per un attimo in imbarazzo Stefania stessa, si alzò a sua volta e presa la mano offertagli dalla donna e le fece un bacio mano. Dopo essersi ripresa prontamente dal gesto dell’anziano professore e aver salutato anche i ragazzi che da quando era entrata la studiavano facendo finta di leggere i libri che avevano davanti, Stefania uscì dalla biblioteca e si diresse verso il portone d’uscita, ripercorrendo il percorso dell’andata a ritroso. Messasi il casco salì sul suo motore mise in moto e ripartì, non prima di dare uno sguardo alla chiesa di San Cataldo, con alle spalle svettante sopra di lei la torre della chiesa della Martorana. Era proprio bella la sua città.

    Capitolo 3

    Il direttore dell’albergo era nervoso. Quella non era la classica visita di un capo di stato o di un alto funzionario di qualche emirato mediorentale. La prenotazione era stata fatta arrivare tramite mail seguita da una telefonata. L’uomo, che si era presentato come segretario generale dell’entourage personale di Von Beckett, aveva prenotato tutto un piano dell’albergo. Aveva riservato la suite Franca Florio, il top che l’albergo poteva offrire, per Von Beckett in persona e le restanti camere per l’entourage al completo. Dopo aver ricevuto conferma della prenotazione, come era sua abitudine, il direttore aveva svolto indagini particolareggiate sul suo cliente alla ricerca di qualche notizia che potesse aiutarlo a mettere a suo agio durante il soggiorno l’ospite tanto importante. Questo modo di agire, e farsi trovare sempre preparato sui gusti personali dei suoi clienti, oltre a stupire i clienti stessi, aveva permesso al direttore di entrare nelle grazie di una delle famiglie più potenti nel settore alberghiero, che lo avevano messo a capo di un fiore all’occhiello,di quello che costituiva l’impero Hilton, l’hotel villa Igiea Hilton.Francesco Cusimano, questo il suo nome, aveva così scoperto la passione di Von Beckett, il suo ospite, per la Sicilia e Palermo in particolare. Aveva scoperto che l’uomo non era nuovo nella sua terra, vi era già stato altre volte. Ma questa volta la permanenza sarebbe stata più duratura delle precedenti volte, o almeno così l’uomo supponeva, visto che la prenotazione aveva solo la data di arrivo e non di partenza. Francesco aveva scoperto altresì che le altre visite dell’anziano miliardario tedesco, lo avevano portato in giro per l’isola, a girarla in lungo e largo, era anche capitato che molte volte era tornato in un luogo dopo averlo già visitato, come se cercasse qualcosa,stranezze dei ricchi pensò il giovane direttore abituato alle stravaganze dei miliardari. A questo pensava Francesco quando vide il panfilo dell’uomo fare il suo ingresso nel porto privato dell’hotel. Il Dubai, con i suoi 162 metri e 13470tonnellate di peso a pieno carico, la capacità di raggiungere i 25 nodi e un pescaggio di 9,32 metri era un albergo5 stelle galleggiante, che lo aveva reso l’accessorio obbligatorio di tutti i miliardari che in un certo qual modo contavano. Lo yacht calò l’ancora e attraccò, mentre il personale a bordo si muoveva, per svolgere ognuno il proprio compito in sincronia con gli altri, come in un perfetto meccanismo svizzero. Nel giro di qualche minuto dallo yacht scesero il capitano e l’equipaggio che si schierarono a doppia fila a formare un corridoio umano, pronti a rendere omaggio al loro capo, che dopo cinque minuti buoni finalmente comparve sulla scaletta per scendere a terra. Francesco che nel frattempo aveva raggiunto il molo di attracco lo riconobbe subito. Il pallore della sua pelle in particolare lo colpì, si ricordò che quando lo vide in foto durante le sue ricerche quello del colorito era un elemento che lo aveva già colpito, ma ora di presenza era anche peggio. L’uomo non si capiva come, camminava da solo, sembrava che da un momento all’altro stesse per accasciarsi a terra morente, e infatti Francesco per evitare questo spiacevole incidente al suo invitato corse subito al suo fianco a tendergli la mano più per sorreggerlo che per salutarlo. Un minuto prima di poterlo toccare la donna che era scesa dietro Von Beckett deviò e si impossesso della mano del direttore e stringendogliela saluto l’uomo: Sono Glenda, assistente personale e particolare di Von Beckett, il mio padrone preferisce evitare contatti con gli estranei ma è lieto di fare la sua conoscenza. Francesco rimase stupito da quella donna talmente bella, ma completamente assoggettata a quell’uomo che poteva schiacciare in qualsiasi momento. Gli suonò strano anche, da come la donna aveva scandito la parola, padrone, in maniera marcata e forte come a far sentire a tutti che lei era proprietà di Von Beckett.Francesco spostò l’attenzione sull’anziano uomo che fino a quel momento era stato in silenzio curvo sotto il peso dell’età. Sentendo lo sguardo del direttore su di sè Von Beckett si girò, e Francesco si sentì come se si trovasse a guardare a quattr’occhi la morte. Lo sguardo di quell’uomo infatti, con le iridi ormai prive di qualsiasi colorito a causa delle cataratte, era come lo sguardo della morte in una partita a scacchi, con premio la propria anima prima di ricevere uno scacco matto. La voce quasi soffocata parlò talmente piano che il direttore ebbe paura di non sentire. Gradirei andare subito in camera mia e di non essere disturbato. Il terzetto composto da Glenda , Von Beckett e Francesco che faceva strada, si diresse verso l’albergo a bordo della limousine, anche se l’hotel non distava più di 100metri dal porto. Una volta sistemato l’uomo e tutto il suo entourage Francesco tornò ai suoi impegni giornalieri.

    Capitolo 4

    Von Becket stava disteso nel letto della sua suite. Le forze non erano più quelle di un tempo e la stanchezza cominciava a essere uno stato normale del suo fisico. Sognava sempre, ogni volta che si addormentava, il giorno o meglio dire la sera che aveva conosciuto la sua Glenda. La donna che lo aveva riportato in vita, a vivere quella vita che piano piano ora se ne stava andando. Era la sera di gala di Lord Beckensit. La serata era perfetta, il clima londinese quella sera aveva dato una tregua e sembrava di trovarsi in un qualche paese del sud. Von Becket era andato con la moglie, tra loro due ormai era solo un contratto, il sentimento che li aveva uniti tanti anni prima ormai si era spento del tutto, per lasciare spazio alla noia. Entrambi ormai sopravvivevano nell’attesa che la loro vita subisse una svolta o arrivasse la parola fine. Buonasera Signori, Lord Beckensit è felice della vostra presenza alla serata in Suo onore. Li accolse il maggiordomo. Dopo essersi tolti i soprabiti, furono fatti accomodare nel grande salone già pieno di gente. Tutta la nobiltà inglese si era data appuntamento quella sera. Anche se Von Becket era tedesco, la moglie apparteneva ad una delle famiglie più antiche della Londra che contava. Lui odiava quelle persone, per lui erano e sarebbero rimasti per sempre i nemici inglesi. In quella guerra sotterranea tra le due potenti nazioni, che anche se vari trattati di pace avevano cercato di fermare o quantomeno placare, era tutt'ora in atto, anche se magari non si combatteva più sui campi di battaglia e non erano le armi a tuonare. In quella guerra lui voleva giocare un ruolo in primo piano e sconfiggere definitivamente i tanto odiati inglesi. Naturalmente questi pensieri Von Becket non li esprimeva, ma sapeva che anche loro pensavano lo stesso nei suoi riguardi. Guarda c’è Lord Block che ci sta salutando. La giovane coppia appena arrivata si diresse a passo spedito verso l'anziano lord che a mano tesa li salutava Buonasera Von Becket! Madame! Charles! Che piacere! Che bella serata. Siamo stati fortunati, Londra oggi ci ha risparmiato dalla nebbia e dalla pioggia. Finiti i convenievoli i due uomini si girarono a guardare la sala Sembra proprio che Lord Beckensit faccia sul serio con questa idea di candidarsi alle elezioni. Disse il vecchio Lord indicando la sala piena di pezzi grossi dell’industria e dello stato. Lord Block si riferiva alla notizia di cui si parlava ormai continuamente. Un Lord. Un uomo dal sangue blu, come dicevano loro, un uomo a cui spettava di diritto entrare alla camera dei Lord senza bisogno di fare nulla, aveva deciso di sfidare il governo in carica e si era dato alla politica attiva a pieno titolo, deciso a vincere le elezioni e a farsi dare il mandato dalla regina per formare un nuovo governo. Von Becket lo sapeva, tutte le persone presenti quella sera, non aspettavano altro. Uno di loro stava per diventare, se tutto fosse

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