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Dalla parte che scegli
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Dalla parte che scegli

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Aprile 2011, confine libico-algerino: forze speciali russe e agenti del controspionaggio algerino attendono nel deserto l'arrivo di una figura di spicco del regime di Gheddafi prossimo alla fine. Da Sebha fino a Tripoli, dagli esordi della guerra fino alla caduta della capitale, una spietata lotta sarà condotta dai diversi servizi segreti per impossessarsi di documenti che potrebbero alterare l'esito del conflitto in Libia.

Primo capitolo della trilogia dello spetsnaz Viktor Lisin che, in un crescendo di azione e rivelazioni, accompagnerà il lettore negli avvenimenti mediorientali dell'ultimo decennio.
LanguageItaliano
Release dateOct 9, 2013
ISBN9788868555849
Dalla parte che scegli

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    Dalla parte che scegli - Federico Dezzani

    Capitolo I

    Aprile 2011, confine libico-algerino

    L’uomo del GRU, il servizio informazioni delle armate russe, guardò per l’ennesima volta l’orologio al polso, controllò ancora la posizione satellitare sul dispositivo Glonass e inalò con avidità il fumo della sigaretta. Il caldo del deserto, la nicotina e la stanchezza produssero qualche istante di stordimento.

    No, non ci siamo, pensò. Dodici ore di ritardo erano troppe. Troppe anche in quel contesto: nel profondo del deserto e con una guerra in corso. Gettò la sigaretta nella sabbia ai bordi della statale N3 che porta dall’Algeria alla Libia e si volse verso il gruppo di uomini che aspettavano attorno ai Nissan.

    Prendiamo una macchina, andiamo a vedere.

    Voi restate qui disse rivolgendosi agli altri russi del gruppo. Voi con me.

    Salì sul fuoristrada con tre arabi del Direction du Contre Espionnage, il servizio segreto algerino.

    Varcarono il confine libico senza intoppi: il Fezzan era rimasto fedele a Gheddafi, grazie alle elargizioni che il dittatore aveva da sempre concesso alle popolazioni tuareg autoctone, ed attraverso quel varco era passata buona parte dei mezzi e uomini che affluivano dall’Algeria per sostenere le forze lealiste del regime.

    Il fuoristrada procedeva ad alta velocità, alzando nubi di polvere al suo passaggio.

    Il conducente algerino volse lo sguardo verso il sedile posteriore dove era seduto il russo, e con un cenno della testa indicò il centro urbano cui si stavano avvicinando, illuminato dalla luce rossa del tramonto.

    Ghat...

    Il russo assentì con la testa e, scostando il fucile AK- 47 che teneva tra le gambe, si sporse per vedere meglio il paesaggio. La città-oasi di Ghat sembrava non aver subito alcun danno dalla guerra civile, anzi, era rimasta indenne dagli avvenimenti degli ultimi secoli. Nata attorno all’oasi situata su un’importante via commerciale, aveva conosciuto prima la dominazione turca, quindi italiana ed infine l’occupazione francese nel 1943, prima dell’indipendenza nel ‘51. Nessuno dei passati dominatori aveva lasciato tracce in questa città da sempre regno dei tuareg.

    Viaggiarono tutta la notte e sull’approssimarsi dell’alba giunsero a circa 200 km da Sebha, punto nodale della rete stradale che dal Mediterraneo scendeva verso il cuore del deserto: per l’uomo che stavano cercando era stata una tappa obbligata del viaggio.

    Il russo provò ancora a contattare il suo referente ma anche questa volta il telefono risultò irraggiungibile. Perchè nessuno rispondeva? Stando alle ultime coordinate satellitari trasmesse del telefono, presto l’avrebbero scoperto.

    Man mano che procedevano, sul bordo della strada si notavano le prime carcasse annerite delle auto impiegate dai lealisti e dai ribelli nelle loro continue avanzate, seguite dalle altrettanto repentine ritirate. Da quando l’aviazione della NATO, sotto l’ombrello della No Fly Zone promossa dall’ONU, aveva allargato i bombardamenti anche ad obbiettivi di terra, le forze corazzate del regime erano rimaste negli stretti vicoli dei centri abitati, sostituite dai fuoristrada su cui lealisti e ribelli erano indistinguibili dal cielo. Più di una volta i bombardamenti avevano erroneamente colpito le forze dei ribelli sostenute dai governi occidentali.

    Il russo fece rallentare il veicolo in prossimità di un pick-up fermo sul ciglio della strada, sul cui pianale era stato montata una batteria di missili Grad. Il parabrezza era crivellato di colpi, ed il sangue che macchiava i sedili anteriori, testimoniava la violenza che scorreva su quelle strade.

    Jalla, ormai dovremmo essere vicini, una decina di chilometri.

    Il fuoristrada ripartì.

    Dopo che ebbero sorpassato un cartello stradale che segnava 40 km da Sebha, videro materializzarsi dietro un curva quello che avevano sempre temuto: un posto di blocco. Il russo controllò il dispositivo Glonass: non c’era dubbio, il loro uomo od almeno il suo telefono, per l’ultima volta avevano dato segni di vita in quel luogo. A bloccare la strada c’erano almeno quattro auto ed un camion Isuzu, con un pesante pezzo di contraerea montato sul pianale.

    Rallenta disse il russo al conducente. Riesci a capire chi sono?

    L’algerino a fianco del guidatore gli passò il binocolo: Ribelli.

    Il russò scrutò le auto ed il camion che bloccavano la strada davanti a loro. Non sventolava nessuna bandiera rossa-nera-verde dell’opposizione al regime, ma le barbe nere e l’assenza di uniformi lasciavano pochi dubbi sulla loro identità.

    Passatemi i fucili! disse raccogliendo gli AK-47 e deponendoli in una sgualcita sacca sportiva Adidas.

    Nessuna iniziativa se vediamo che l’uomo che cerchiamo non è più qui.

    I tre uomini del servizio segreto algerino annuirono.

    Arrivati a 50 metri dal posto di blocco, l’auto si fermò come se avesse esaurito la forza di inerzia con cui procedeva ed un uomo barbuto, con un mitragliatore PK a tracolla ed i nastri di munizioni che cingevano una consunta giacca militare, andò loro incontro.

    Io ne conto cinque disse il russo.

    Sei, c’è ne uno nella cabina del camion replicò l’algerino al volante.

    L’uomo barbuto era a pochi metri e osservava con attenzione il fuoristrada: senza targa, impolverato ed ammaccato era identico a qualsiasi veicolo in circolazione in Libia.

    Il conducente abbassò il finestrino e con deferenza salutò: Marhaba.

    Chi siete?

    Tecnici, tecnici petroliferi. Giacimento Elephant. ENI disse l’algerino mentendo.

    Petrolio? La produzione è ferma. Non è rimasto nessuno. L’uomo barbuto si sporse in avanti per vedere meglio chi fossero gli occupanti del veicolo, tenendo l’indice sul grilletto del fucile.

    Il russo, abbronzato, con la barba rossa-castana ed un berretto di lana nera, non attirò particolare attenzione nella luce dell’alba: anche questo esame è passato, pensò. Gli tornarono in mente le selezioni sostenute otto anni prima per essere assegnati al direttorato Paesi arabi e Medio Oriente del servizio GRU. La lingua araba non era un requisito d’ammissione, ma i tratti somatici erano una discriminante. Il naso dritto, gli occhi castani ed i capelli bruni erano forse incompatibili per confondersi nei Paesi arabi? No, secondo un anziano colonnello che fungeva da selezionatore. Considera i tratti... chi gli avevano detto di considerare? Forse i tratti dei siriani, o degli iracheni. Non ricordava.

    Manutenzione, senza manutenzione gli impianti si rompono. Ora andiamo a Sebha, cerchiamo cibo fresco. Ed anche per vedere qualche viso nuovo dopo mesi di deserto disse l’algerino.

    Mostrate i documenti.

    Il conducente raccolse i documenti degli altri tre passeggeri e li porse attraverso il finestrino all’uomo barbuto, il cui sguardo nel frattempo era caduto più di una volta sulla sacca blu sui sedili posteriori.

    L’uomo sfogliò con attenzione i passaporti, mentre il russo istintivamente portava la mano destra all’altezza della cintura.

    Devo controllare il veicolo disse secco il ribelle, studiando attentamente i visi dei passeggeri e tamburellando con nervosismo la mano sinistra sul calcio in legno del mitragliatore PK.

    Certo, non ci sono problemi.

    Merda, pensò il russo.

    Si udì uno sparo provenire da dietro il camion.

    L’uomo barbuto digrignò la bocca in un sorriso sdentato: Ratti lealisti. Li abbiamo presi ieri sera. Hanno cercato di forzare il posto di blocco.

    Il miliziano studiò la reazione dei quattro. Non tradirono nessuna emozione.

    Venite, ve li faccio vedere, disse orgoglioso del proprio trofeo.

    Il conducente uscì dal veicolo, seguito dal russo che si assicurò che la pesante MP-446 fosse ben salda nella cintura sotto il maglione. Voi restate qui rivolto agli altri due.

    Il ribelle li condusse dietro il camion Isuzu dove aspettavano altri due uomini che sorvegliavano i prigionieri, inginocchiati sul bordo della strada. Otto miliziani in totale, pensò il russo. L’effetto sorpresa sarebbe stato tutto.

    Guardate questi porci, tentavano di scappare di notte. Erano diretti in Algeria. Dicono che anche il cane Gheddafi è già là.

    Il loro uomo era ancora vivo, legato ed imbavagliato. Tra gli altri membri del convoglio si contava un superstite e cinque morti. Le auto, crivellate di colpi, erano parcheggiate dietro il camion. Forse quello che cercavano c’era ancora.

    Il russo studiò la situazione. L’uomo barbuto alla sua sinistra. Due uomini dietro i prigionieri. Un altro nella cabina del camion alle loro spalle. Gli altri quattro era fuori dalla sua visuale. Se ne sarebbero dovuti occupare gli algerini rimasti in macchina.

    Pistola, scudo, pistola, camion. Decise in pochi secondi.

    Si chinò verso i prigionieri: doveva allontanare l’attenzione dei miliziani da sè.

    Cani randagi! disse. Sputò sul cappuccio nero di un prigioniero.

    I ribelli risero di gusto. Ora.

    Rialzandosi estrasse la pistola con la mano destra. Sparò in pieno petto al ribelle che teneva a tracolla un AK-74: la potenza dell’arma a distanza ravvicinata, scaraventò l’uomo sulla sabbia. Fece un passo indietro e cinse con il braccio sinistro il collo dell’uomo barbuto, immobilizzandolo. Sparò al secondo ribelle dietro gli ostaggi, due colpi in velocità diretti allo stomaco ed al petto. Voltò quindi la testa verso la cabina dell’Isuzu alle sue spalle, dove l’uomo aveva già afferrato un mitragliatore lasciato sul sedile.

    Il russo, con un calcio diretto allo stinco dell’uomo barbuto che usava come scudo, gli fece perdere l’equilibrio, trascinandolo con sé per terra. Sdraiato con la schiena al suolo ed il ribelle a proteggerlo dai colpi era ora in un’ottima posizione.

    Il conducente del camion sparò all’impazzata dalla cabina, colpendo il proprio commilitone che copriva il russo. Con tre proiettili sparati attraverso la portiera, il russo lo neutralizzò.

    Aspettò qualche istante sdraiato. Arrivò di corsa un quinto uomo dalle auto che, preso dal panico, sparava senza un obbiettivo preciso. Rovinò a terra colpito da un colpo di precisione alla testa. Ne rimavano ancora tre che, presi tra il fuoco professionistico degli algerini rimasti all’auto e quello alle loro spalle, sarebbero morti in pochi minuti.

    Il russo raccolse un AK-47 da terra, si assicurò che fosse carico e tornò imprecando verso i prigionieri. Rimasti coinvolti nel conflitto a fuoco, non mostravano segni di vita.

    Slegò il suo uomo e gli tolse la stoffa conficcata nella bocca. I capelli neri cingevano il suo volto sudato in una maschera di morte. Una chiazza di sangue scuro si allargava sui vestiti all’altezza dello stomaco. Pochi minuti e sarebbe morto.

    Hasan, Hasan, resta sveglio! Portami dell’acqua! disse rivolto all’algerino alle sue spalle.

    L’uomo stava perdendo i sensi.

    Dove sono i documenti, dove sono i file?

    Hasan tossì, le forze lo stavano abbandonando: Li hanno portati via ieri sera... Dopo che ci hanno catturato... Miliziani... non so chi fossero.

    Contenevano quello che mi hai detto?

    Le prove di tutto... dal principio.... viviamo in un mondo sporco, Viktor... mantenere pulita la propria anima non è facile.... Allah sia misericordioso. 

    Le palpebre di Hasan diventavano sempre più pesanti e le forze stavano scemando.

    L’algerino tornò con una bottiglia d’acqua che porse a Viktor. Delicatamente alzò la testa di Hasan che bevve avidamente e volse ancora una volta lo sguardo verso il russo.

    Il cimitero tossì violentemente forse per via dell’acqua, il cimitero... di Tripoli, gli occhi rotearono nel vuoto e Hasan si spense.

    Viktor adagiò a terra il corpo e pensò che difficilmente Hasan avrebbe ricevuto una sepoltura vicino ai suoi cari nella città natale. Era più probabile che fosse interrato in qualche anonima fossa, privando per sempre i suoi congiunti di una tomba su cui pregare. Seppellire i propri morti durante un conflitto civile era più difficile che in altre guerre.

    Il russo ed i tre algerini perlustrarono le auto del convoglio di Hasan, ma non trovarono niente tranne i frantumi dei finestrini ed i bossoli delle armi, rimasti appiccati ai sedili a causa del sangue rappreso.

    Missione fallita? chiese l’algerino.

    Probabile, Chadli. Abbiamo poche possibilità di ritrovarli. Se non commettono qualche errore, il materiale è perso. Sempre che non l’abbiano già bruciato.

    Il russo estrasse il telefono satellitare e comunicò al comando dell’operazione, ubicato nella base navale del porto siriano di Tortosa, il nefasto esito dell’operazione.

    Stavano tornando verso il fuoristrada, quando una sventagliata di mitragliatore a distanza ravvicinata li fece gettare a terra. Nessun sembrava essere stato colpito.

    Rialzatosi con circospezione, Viktor si diresse verso il posto da cui era partito l’ultimo tracciante: ansimante a terra, ma con gli occhi iniettati di odio, il ribelle barbuto aveva lanciato un ultimo vendicativo attacco.

    Bastardo mercenario. Bastardo ucraino.

    Russo, amico mio... Tenente Viktor Lisin.... Spetsnaz.

    Un colpo di pistola riecheggiò nel deserto.

    Y

    y

    y

    Capitolo II

    Aprile 2011, Londra

    L’Audi A8 scorreva nel traffico di un piovosa mattinata londinese.

    Tempo deprimente, pensò il conducente. Il clima piovoso aveva anche permesso nei secoli alle campagne inglesi di aver pascoli sempre verdi e di allevare il bestiame da cui veniva il celebre roast-beef, ma dopo mesi ininterrotti sfiniva.

    Perché poi pensare al roast-beef alle 7:30?

    Ah, già, anche quella mattina non aveva fatto colazione.

    Era un periodo di turni massacranti: ingresso in ufficio alle otto e uscita dopo l’una di notte...

    Fosse almeno stato un banchiere, il tempo che trascorreva in ufficio sarebbe stato ben retribuito, pensò mentre l’Audi sfilava in Cannon Street, cuore della City londinese.

    Invece si accontentava di quei due soldi in croce che gli passava lo Stato. Avrebbe dovuto campare cento anni per comprarsi una villa nell’Oxfordshire. Non sapeva bene dove, in un posto come Chipping Norton forse. Pareva che quelli che contavano ormai andassero solo lì in villeggiatura, disse fra sé e sé mente guidava lungo i Victorian Embarkement.

    Il fiume era gonfio per le abbondanti piogge e le acque di un marrone torbido.

    Si intonavano con la sua situazione, rifletté l’uomo. Avrebbe dovuto essere un’operazione rapida e pulita ed invece i progressi segnavano il passo. Anzi, gli ultimi avvenimenti mettevano in forse l’intero piano. Uscirne sarebbe costato caro, soprattutto in termini economici. E di questi tempi… dannati tagli al bilancio della difesa.

    E pensare che tutto era stato studiato nei dettagli.

    Cazzo! Fottuti francesi con le loro manie di grandezza! disse l’uomo ad alta voce nell’abitacolo, assorto nei suoi pensieri, mentre passava davanti ai cancelli di Westminster.

    Quasi quasi, se le operazioni si fossero chiuse con successo, avrebbe consegnato le dimissioni ed accettato quell’offerta come responsabile della sicurezza alla British Petroleum, meditò imboccando Abingdon Street.

    Mise le frecce e svoltò su Vauxhall Bridge, dove all’altro capo sorgeva l’imponente edificio del Secret Intelligence Service.

    Harry Folsom scandì bene le parole al microfono dei cancelli del MI6.

    Superati i controlli all’ingresso, parcheggiò nei sotterranei, si sistemò la cravatta nello specchietto retrovisore e, scendendo dall’auto, controllò ancora l’ora.

    In perfetto orario per la riunione... in perfetto orario per il giorno del Giudizio.

    Si diresse verso la sala riunioni che, da una veloce occhiata dalle vetrate, sembrava già al completo. Mancava però il Segretario della Difesa Liam Fox: al suo posto sedeva un uomo obeso con spessi occhiali da vista e lucidi capelli neri pettinati all’indietro. A giudicare dal peso, vale almeno due ministri, pensò Folsom.

    Benvenuto, Colonnello Folsom. Ora siamo al completo. Possiamo cominciare disse il Direttore del SIS, squadrando rapidamente l’ultimo arrivato.

    Prima, però, le dovute presentazioni, considerato che abbiamo un gradito ospite in sostituzione del Segretario, assente per motivi di natura…politica.

    Il qui presente, disse indicando l’obeso con un gesto accompagnatorio della mano, è il consigliere particolare per le questioni mediorientali dell’attuale governo, benché abbia prestato i propri servigi già in passate amministrazioni. Professore William Oswood.

    Il Professore abbozzò una smorfia di sorriso, muovendo in avanti la pesante testa.

    Alla mia sinistra, il capo delle operazioni estere, Ammiraglio Charles Mosley continuò il Direttore.

    Ed infine, il responsabile delle operazioni in Libia, Colonnello Harry Folsom.

    Ci fu uno scambio di strette di mani e Folsom prese la parola appena dopo che i convenevoli furono terminati.

    Professor Oswood... il nome non è mi nuovo. Credo di aver avuto fra le mani qualche sua pubblicazione. Se non sbaglio ha una cattedra di storia all’università di Oxford, ma è ben inserito anche nel mondo dei think tank americani. Mi sembra di avere letto qualcosa in questo senso.

    Il Professore questa volta allargò il sorriso e scosse la testa in senso affermativo: No, non sbaglia, le mie collaborazioni con gli ambienti intellettuali statunitensi hanno ormai offuscato i miei studi storici. Posso chiederle cosa ha letto delle mie pubblicazioni?

    Qualcosa sul Foreign Affairs, forse anche riguardo al Project for a New American Century.

    Vero fece una pausa Think tank americani di stampo conservatore, sebbene la validità delle loro idee sia stata riconosciuta anche dall’attuale amministrazione democratica che, seppur forse con altri mezzi e minor visibilità, continua sulla strada da noi tracciata.

    Il professore continuò: Sono un convinto assertore delle coincidenza di interessi fra America e Regno Unito in questa particolare fase storica. Lavorare assieme per un Medio Oriente più sicuro e prospero è il nostro comune interesse. Anche alla luce del fatto che occorre sfruttare le ultime ehm…finestre che la storia ci offre per rafforzare i nostri amici nell’area ed indebolire i nostri nemici. Presto dovremo contenderci lo scacchiere mediorientale con altri attori. Gli Stati Uniti, il Regno Unito ed i loro alleati hanno toccato il picco del potere relativo su scala mondiale già nel 2007… prima della Grande Recessione. Le finanze pubbliche difficilmente consentiranno in un prossimo futuro il grande dispiegamento di forze armate in territori lontani ed ostili, come avvenuto in Iraq o Afghanistan. Occorre quindi elaborare nuove strategie per l’immediato futuro, alla luce dei nuovi vincoli esterni.

    Ci fu un momento di silenzio.

    Una lucida lettura della realtà, Professore intervenne il Direttore.

    Le grandi strategie si implementano però giorno per giorno, con le operazioni sul campo. E qui comincia il nostro lavoro.

    L’Ammiraglio Mosley e Folsom assentirono.

    Qui cominciano anche i dolori, pensò quest’ultimo.

    Bene, sullo schermo in fondo la sala, disse il Direttore accendendo il proiettore, Vediamo la situazione militare sul territorio libico, aggiornata a ieri. Sono intercorsi sviluppi nel frattempo Ammiraglio?

    Sissignore. Non positivi, temo replicò l’Ammiraglio.

    Nonostante il nostro appoggio aereo che ha neutralizzato un considerevole numero di mezzi lealisti e nonostante l’ingente bombardamento alle infrastrutture militari del regime, i ribelli…hanno fallito lo sfondamento a Brega, che resta saldamente in mano al nemico. I ribelli si sono inoltre ritirati disordinatamente, senza consolidare nessuna posizione difensiva. In sostanza, hanno ripiegato su Ajdabiya. Con il puntatore laser indicò una località nell’estremo est del Golfo della Sirte. A circa 150 km da Bengasi.

    Inoltre le truppe lealiste, continuò l’Ammiraglio, hanno immediatamente ripreso l’iniziativa e, in base alle ultime immagini dal satellite, stanno circondando Ajdabiya da Nord, Ovest e Sud.

    Non è possibile alleviare l’accerchiamento alla città? chiese il Direttore, continuando a fissare la cartina.

    L’aviazione può fare molto certo, il problema è che le truppe lealiste hanno effettuato un processo di…chiamiamolo downsizing. Utilizzano anche loro camion, fuoristrada e caravan per lo spostamento di uomini e mezzi. Ciò rende difficile per noi verificare l’identità delle forze in campo, anche avvalendosi dei nostri agenti sul territorio. Inoltre, se anche appuriamo la loro natura ostile, bé… diventa anti-economico un eventuale attacco. Un missile Tomahawk costa un milione di dollari americani; alzare in volo un caccia almeno diecimila dollari; i missili Brimstone in dotazione alla nostra aviazione si aggirano sui 175.000 dollari cadauno. Bombardare un fuoristrada Made in China può diventare molto dispendioso precisò l’Ammiraglio Mosley, con humor inglese e mentalità svizzera.

    La situazione a Misurata? chiese il Direttore.

    Misurata, prima città commerciale della Libia, rivestiva un ruolo strategico di primo piano, essendo, oltre che densamente popolata, l’unica città tra Sirte e Tripoli ad essersi sollevata contro il regime.

    Nessun progresso neanche in quel settore. Nonostante la nostra protezione aerea, le truppe di Gheddafi continuano il bombardamento sulla città. La presenza di giornalisti nella città è un altro ostacolo all’uso massiccio della nostra aviazione. Per ripulire il territorio servirebbe il dispiegamento di elicotteri Westland-Apache. Il Foreign Office sta lavorando in questo senso con i francesi e gli americani disse Mosley.

    In sostanza da un mese dall’attacco, abbiamo le forze di Gheddaffi a 150 km da Bengasi. Esattamente sulle posizioni dove erano ubicate prima dell’intervento NATO. È possibile che non si riesca avere la meglio di questi quattro dannati beduini? esclamò in un crescendo di tono il Direttore del MI6.

    "I nostri agenti

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