Il confronto tra la "Fisica" aristotelica e la nuova speculazione bruniana
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Il confronto tra la "Fisica" aristotelica e la nuova speculazione bruniana - Stefano Ulliana
2015
indice
Indice 3
Il confronto fra alcuni testi aristotelici e la posizione bruniana 4
Osservazioni iniziali 4
Il confronto fra la proposta teologico-naturalistica di matrice aristotelica e l’innovazione teoretico-pratica bruniana 12
Osservazioni sul rapporto fra la Fisica aristotelica e la posizione bruniana 12
Considerazioni sull’infinito da parte di Aristotele e Giordano Bruno 16
Conclusioni 20
Piccola bibliografia bruniana 24
IL CONFRONTO FRA ALCUNI TESTI ARISTOTELICI
E LA POSIZIONE BRUNIANA
OSSERVAZIONI INIZIALI
Postulato interpretativo fondamentale della spiegazione della riflessione di Giordano Bruno è il fatto di ragione ed immaginazione che la posizione del principio bruniano dell’un-infinito mobile – Uno, infinito e movimento sono i termini e le nuove categorie speculative proposte dal pensatore nolano ‒ ha come conseguenza l’affermazione dell’insopprimibilità dell’apparenza dell’opposizione. Questa apparenza si traduce nella immagine della divisibilità o sdoppiamento interno della materia.
La distinzione in se stessa mobile fra materia 'incorporea' – o di cose superiori ‒ e materia 'corporea' – o di cose inferiori ‒ è infatti l’espediente che Giordano Bruno utilizza nel De la Causa, Principio e Uno per preparare il terreno speculativo all’inserimento della centralità del fattore immaginativo e desiderativo nella trattazione di quella apertura morale e religiosa tematizzata lungo l’intera silloge dei Dialoghi Morali (Spaccio de la Bestia trionfante; Cabala del Cavallo pegaseo, con l’Aggiunta dell’Asino cillenico; De gli Eroici furori). All’inizio della sua speculazione in lingua volgare l’autore nolano si preoccupa però di concentrare l’attenzione del lettore verso il principio ed il movimento etico che sta a fondamento di quella distinzione e del suo interno movimento: la relazione inesausta, continua, creativa e dialettica, fra la perfezione e ciò a cui essa sembra dare luogo. L’alterazione, come spazio e tempo del ricongiungimento amoroso ed eguale alla libertà.
Non è perciò meno vero, nello stesso tempo, che il filosofo nolano ricordi, proprio in chiusura della serie dei tre dialoghi di contenuto morale, proprio e di nuovo lo stesso principio e lo stesso movimento (la possibilità d’infinire),¹ a ripresa e coronamento dell’intenzione più profonda e giustificatrice della sua intera opera speculativa in lingua volgare.
Qui però, nella parte che più direttamente mette in questione la strutturazione aristotelica del mondo (la serie dei Dialoghi Metafisico-cosmologici: Cena de le Ceneri; De la Causa, Principio e Uno; De l’Infinito, Universo e mondi), la nostra attenzione deve essere catturata subito dalla costruzione di quel fondamento filosofico che determinerà poi (nei Dialoghi Morali) il riflesso della critica all’idea, costitutiva della tradizione occidentale, di possesso e di dominio.
Ma questa costruzione potrà trovare migliore e più chiara visibilità - soprattutto nella sua architettonica - non appena il rapporto oppositivo fra posizione aristotelica e speculazione bruniana riesca a trovare opportuna collocazione e definizione.
L’identità e la pluralità delle realizzazioni dello Spirito costituiscono, insieme, la fonte infinitamente creativa della riflessione filosofica e dell’azione pratica bruniane. L’inesausta ed inesauribile intenzione dell’originario si svela come desiderio realizzante universale, artisticità ineliminabile e necessaria: essa, inoltre, diviene nello spazio e tempo dell’alterazione richiamo etico alla reciprocità, eguale e fraterna, della libertà. Solamente l’infinito intensivo dell’universale può presentare come proprio effetto ed apparenza quell’idea aperta di possibilità che riesce ad accogliere nel suo seno la totalità delle determinazioni, ovvero l’infinito estensivo.
Così è l’utopia bruniana dell’infinito creativo a salvaguardare la pluralità e la plurivocità delle determinazioni; l’Identità della distinzione aristotelica fra potenza ed atto, con la priorità del secondo sulla prima,² può invece solamente sostituire l’apertura pluriversa bruniana con la materialità di una sostanza assoluta, omogenea ed annichilente.
Mentre in Bruno, allora, lo Spirito riconosce se stesso attraverso l’universalità del desiderio, nella determinazione della finitezza cara alla tradizione aristotelica l’atto del fine giustifica tutti gli strumenti utilizzati per ravvisarlo, confermarlo ed applicarlo. Se in Bruno l’ideale dell’Amore eguale costituisce l’eticità infinita del sapere e dell’essere, quando l’infinito dell’opposizione è e non è l’infinito stesso, nell’accoglimento cristiano della speculazione aristotelica il presupposto sospeso di un mondo unico vale quale materia predisposta ad un atto generativo e salvifico misterioso ed inesprimibile.³ Con il rischio, storicamente realizzatosi nella Chiesa cristiana, che la sostanzializzazione istituzionale di questo mondo unico obnubili il proprio stesso principio, a favore di una rigida, autoritaria e totalitaria organizzazione dei fini e degli strumenti atti a realizzarli.
Contro la costituzione di uno spazio immobile e