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La Battaglia di Aquirama - Giorno e Notte
La Battaglia di Aquirama - Giorno e Notte
La Battaglia di Aquirama - Giorno e Notte
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La Battaglia di Aquirama - Giorno e Notte

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Orde di cavalieri selvaggi del Quarto dell’Aria da una parte, Legioni del Quarto della Terra dall’altra e Aquirama nel mezzo.
La città Stato capace di mantenersi indipendente dalla sua fondazione, che la leggenda vuole sia avvenuta per opera del divino Dragone Rosso Stige, è sull’orlo del baratro. Riuscirà il Drakoi, suprema guida spiritale e militare, ad avere la meglio sui nemici esterni e su quelli che tramano all’interno stesso delle mura cittadine?
In un giorno e in una notte la storia millenaria della città potrebbe essere sconvolta.

La Battaglia di Aquirama è un military fantasy autoconclusivo che vi farà vivere ora per ora gli sviluppi di questo scontro in un crescendo di violenza e drammaticità che nell’arco di un giorno e una notte deciderà le sorti di migliaia di persone.
LanguageItaliano
Release dateJun 29, 2015
ISBN9788890723094
La Battaglia di Aquirama - Giorno e Notte

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    La Battaglia di Aquirama - Giorno e Notte - Andrea Zanotti

    Andrea Zanotti

    La Battaglia di Aquirama

    Giorno e Notte

    www.scrittorindipendenti.com

    Titolo | La Battaglia di Aquirama – Giorno e Notte

    Autore | Andrea Zanotti

    Editore | www.scrittorindipendenti.com

    Copertina | Vocisconnesse@Diramazioni.it

    ISBN | 9788890723094

    Prima che vi immergiate nella lettura vi tedio con una doverosa premessa.

    Anzi, un paio…

    La mappa anzitutto. Non è in scala e non pretende di essere rigorosa. Serve unicamente per darvi dei punti di riferimento, così come li ha dati a me in sede di scrittura, per seguire meglio l’evolversi dello scontro con il passare delle ore e lo spostamento delle unità in campo.

    Successione dei punti di vista. Non vi spaventate se all’inizio vi troverete innanzi a svariati personaggi, abbiate fede, nel prosieguo imparerete a riconoscerli al volo. La necessità di presentare rapidi flash dalle diverse zone del teatro di battaglia ha imposto questa scelta, che (spero) alla fine sarà vincente. E’ un approccio diverso dal solito, sicuramente, ma ogni tanto sperimentare qualcosa di nuovo può risultare una sorpresa appagante.

    Finito.

    Ora lasciamo che siano le armi a parlare!

    Un uomo che perde la propria determinazione si disperde in mille pensieri senza fine.

    BHAGAVAD GITA, Canto II – La realizzazione secondo il Samkhya

    GIORNO

    Allo scadere dell’ultimatum

    Aquirama – Senato cittadino

    Il vociare nella sala ad anfiteatro era assordante.

    Gli esponenti del Senato di Aquirama erano ancora in disaccordo, nonostante l’ultimatum stesse per scadere. Alcuni non avevano più voce per dar risalto alle proprie affermazioni, altri erano stati costretti a far ricorso ai chierici. Adesso però erano tutti presenti.

    «Membri del Consiglio, il sole sta sorgendo, è giunto il momento di votare visto che ancora le parti sono distanti da una visione comune.»

    Fu il Presidente Algut Sorlan a pretendere il silenzio e imporre la votazione che sarebbe dovuta avvenire da ore, almeno quello era il pensiero del Drakoi.

    Il Generale e Sommo Maestro dell’Ordine del Dragone Rosso assisteva disgustato a quella pantomima.

    I diciassette rappresentanti della casta dei mercanti, agghindati per l’occasione come fossero alla celebrazione per l’incoronazione di un sovrano e non alla veglia funebre della città sacra, l’avrebbero avuta vinta come sempre, disponendo della maggioranza assoluta.

    Sacerdoti-guerrieri, artigiani e contadini, anche fossero stati tutti d’accordo, contavano solo sedici voti.

    Forse anche per quello Aquirama meritava la fine cui andava incontro. Il Drakoi era convinto che questa volta anche molti dei suoi avrebbero votato a favore di una resistenza insensata, senza possibilità alcuna di successo a meno che Stige non fosse comparso a salvarli.

    Era amareggiato per non essere riuscito a far breccia neppure nelle convinzioni dei membri del suo stesso ordine, ma oramai era tardi per i rimorsi. Ora contavano solo le preghiere, mentre a breve sarebbero valse solo le armi.

    Il Presidente del Senato pose il quesito.

    «I messi del Quarto della Terra e quelli del Quarto dell’Aria attendono la nostra decisione. Il popolo attende la nostra decisione. All’alba consegneremo le chiavi della città all’arrogante Re Dotrik della Terra? Oppure a quel barbaro sanguinario di Re Randal il Bello? In alternativa possiamo decidere di resistere e fare affidamento sulla protezione del Dragone Rosso e respingere, come sempre abbiamo fatto, i nostri aggressori. E’ giunto il tempo di votare, Senatori, a voi la parola.»

    Il Drakoi spostò lo sguardo sul semicerchio occupato dai trentadue uomini che avevano nelle mani il destino degli abitanti di Aquirama, quasi trentamila anime per lo più inconsapevoli, volendo contare anche quelle degli schiavi. Rughe profonde gli incresparono la fronte ampia valutando la pochezza morale di quelli che dovevano essere i maggiorenti della città.

    I rappresentanti del popolo, così si definivano i Senatori, avevano discusso tutta la notte sulle diverse possibilità che rimanevano loro, invero oramai risicate.

    Il Generale lesse nei loro volti incertezza e paura, nonostante le diverse fazioni avessero difeso le proprie argomentazioni con forza, mostrandosi impermeabili a quelle avversarie.

    Le minoranze avrebbero voluto cedere agli uomini della Terra, accettare di divenire loro vassalli, ma i mercanti, solitamente restii alla guerra, si erano opposti, temendo di perdere ricchezze, privilegi e le proprie posizioni egemoniche.

    Ancora una volta il Drakoi si chiese la ragione per la quale gli eventi fossero sfuggiti loro di mano, perché la diplomazia avesse fallito, così come i mezzi usati solitamente dalla casta dei mercanti per risolvere quelle situazioni.

    Perché la corruzione e qualche obolo in oro non erano stati sufficienti?

    Forse il nemico aveva alzato troppo il prezzo, forse i mercanti si erano fatti ancor più avidi. Oppure gli assedianti avevano fiutato l’assenza di Stige che si protraeva da troppo tempo. Il loro paladino divino, il Dragone Rosso che aveva fondato la città, era svanito da secoli, lasciandoli nelle mani della Guardia del Drago e del Drakoi. Nelle sue mani, eppure cosa poteva fare quando innanzi si trovava eserciti immensi?

    Il mito di Stige e del terrore scaturito dalla sua fame insaziabile era sbiadito col tempo e con esso l’aurea di intoccabilità che aveva protetto Aquirama sino ad allora.

    L’imminente scontro poteva essere il segno che il Dragone si era risvegliato ed era pronto a combattere? In qualità di Sommo Maestro non avrebbe dovuto dubitarne, ma in cuor suo sapeva che quella era solo una risibile speranza. Eppure lui avrebbe fatto il possibile, della propria determinazione non dubitava, né della propria fede.

    Il segretario del Presidente stava conteggiando le mani di coloro che avevano coraggiosamente optato per la resistenza a oltranza.

    Ventidue.

    Metà dei rappresentanti del suo ordine avevano votato con la casta dei mercanti a favore della guerra.

    Poveri folli, pensò il Drakoi.

    Il Presidente Sorlan fu lesto a concludere e convalidare la votazione.

    «Allora è deciso, combatteremo. Drakoi, fatevi avanti, per darci modo di consegnarvi la città e la nostra benedizione. Aquirama è nelle vostre mani e nell’ascendente che riuscirete a esercitare sul Divino Stige.»

    Il Sommo Maestro dell’Ordine del Dragone Rosso si fece avanti, lo sguardo duro, inintelligibile. Nella corazza rossa di scaglie di drago con schinieri, bracciali e spallacci nero fumo era imponente, ma dal volto, libero dall’elmo cornuto, traspariva solo ferrea determinazione capace di infondere sicurezza in tutti loro. Ogni ombra di turbamento era sparita dal volto austero e nobile.

    Tutt’attorno era calato un silenzio rispettoso, rotto solo dal tintinnare delle armi del generale.

    «L’Oracolo del Drakoi-dom ha parlato. Aquirama non cadrà nelle luride mani dei selvaggi dell’Aria, né in quelle corazzate delle legioni della Terra.»

    Il Generale attese che la premonizione venisse metabolizzata dei presenti. Sapeva che le parole dell’Oracolo del Tempio lasciavano adito a diverse interpretazioni, ma di proposito scelse quella più ottimistica.

    L’assedio era imminente e l’ultima cosa che voleva era trovarsi al comando di un esercito demoralizzato ancor prima dell’inizio dello scontro.

    Non erano certo i membri del Senato a dover combattere, ma attraverso i loro scagnozzi infiltrati sin nelle fila delle truppe al suo comando, era certo che avrebbero potuto influenzare grandemente quell’aspetto.

    Algut Sorlan prese le spade gemelle a un taglio, le Zanne di Stige, che lui gli porgeva e le benedisse a nome dell’assemblea, dopodiché congedò i Senatori, invitandoli a passare le prossime ore con i propri cari, prima di ritrovarsi nuovamente entro le mura della cittadella nel cuore della città.

    Lentamente gli uomini uscirono dal salone lasciando da soli il Presidente e il Generale.

    I due si fissarono a lungo.

    Non scorreva buon sangue fra loro, troppo diversi gli interessi patrocinati da entrambi, ma in quelle terribili circostanze sapevano di essere inesorabilmente legati.

    «Che possibilità abbiamo di resistere? Concretamente intendo.» si costrinse a chiedere Algut Sorlan massaggiandosi la barba candida.

    Il Drakoi non riuscì a celare il proprio risentimento.

    «E’ tardi per porsi questa domanda. Oramai non abbiamo altra scelta. Il primi raggi del sole filtrano attraverso la cordigliera, i messi degli invasori hanno già sellato i cavalli, hanno capito che non siamo disposti ad accogliere le loro offerte di resa.»

    «Serbate rancore, Drakoi? Cosa avremmo dovuto fare? Non possiamo dire che Stige ci abbia aiutato. Sono secoli che non si fa vedere. Il suo mito è dimenticato, per questo sono tutti pronti a imporci condizioni impossibili da accogliere. Vi abbiamo messo a disposizione una cospicua riserva di polvere duwan, l’abbiamo pagata cara, di più non avremmo potuto fare.»

    Il Generale non riuscì a celare un sorriso mesto. Era vero e per fortuna nessuno ne era a conoscenza. Purtroppo però, per quanto riguardava la polvere esplosiva, temeva di doverla impiegare in modo diverso dal falcidiare il nemico.

    Vedendolo mantenere il silenzio Algut Sorlan proseguì.

    «Forse riusciremo a spaventarli, a far comprendere loro che il prezzo da pagare per conquistare la città potrebbe essere troppo elevato.»

    «Spiacente di togliervi quest’illusione, Senatore, ma questa volta Aria e Terra hanno mobilitato eserciti tali per cui oramai non torneranno più indietro. I miei esploratori parlano di decine di migliaia di uomini. Le file dell’Aria si vanno ingrossando di ora in ora. Avvoltoi pronti a banchettare sui nostri cadaveri. E quelle della Terra, beh, lo avete visto anche voi, no? Quasi trentamila uomini, e poco oltre l’imbocco della Via del Ferro ce ne saranno chissà quanti altri, in riserva.»

    Il volto del presidente era pallido. Gocce di sudore gli imperlavano le stempiature.

    Il Drakoi si trovò nuovamente a riflettere sul fallimento delle mediazioni. Era assurdo, ma oramai era tardi per recriminare.

    Le forze dell’Aria da una parte, quelle dalla Terra dall’altra e loro nel mezzo.

    «Ora devo accomiatarmi, Senatore, i miei uomini mi attendono.»

    «Naturalmente, Drakoi, preghiamo affinché Stige possa risvegliarsi.»

    «Che così possa essere, Senatore.»

    Il Drakoi, accompagnato dalla sua guardia personale, cavalcava verso le mura meridionali. I pochi cittadini svegli lo salutavano con deferenza, come nulla fosse. Ancora non si rendevano conto di quello che stava accadendo e forse era un bene.

    I diversi quartieri della città scorrevano ai lati della via. Prima le villette dell’aristocrazia e dei mercanti, poi mano a mano che ci si avvicinava alle mura perimetrali le case più modeste, ma pur sempre dignitose, di tutte le altre gilde.

    Il generale era orgoglioso di quanto Aquirama fosse riuscita a offrire sino ad allora a ogni suo abitante.

    Forse presto tutto sarebbe cambiato e chiunque fosse riuscito a impossessarsi della città stato non avrebbe potuto che portarla a un peggioramento. Il Drakoi avrebbe fatto il possibile perché ciò non accadesse.

    Se non altro i granai erano pieni e se avessero resistito abbastanza a lungo, forse gli invasori avrebbero aperto nuovi negoziati. Certo se Stige fosse giunto in loro soccorso, o anche solo fosse comparso per qualche istante nell’alto dei cieli, tutto sarebbe stato differente. Eppure era meglio non fare affidamento su quello, meglio esser pragmatici, sperare in nuovi negoziati. Era certo che Algut Sorlan e compagni puntassero tutto su quell’evenienza. A loro poco interessava se nel frattempo sarebbero morti centinaia di suoi soldati.

    Il generale aveva già dato disposizioni precise agli Stigiati, anche se in cuor suo aveva sperato sino all’ultimo che la proposta caldeggiata dal Custode della Genesi venisse votata dal Senato. Accogliere parzialmente gli accordi offerti da Re Dotrik e rilanciare per una maggiore autonomia non erano condizioni di resa inaccettabili, non certo per il popolo che sarebbe stato quello maggiormente danneggiato dallo scontro.

    I ricchi mercanti avrebbero trovato un modo per comprare la propria salvezza, comunque fosse terminato l’assedio.

    Re Dotrik del Quarto della Terra si era anche impegnato a garantire la libertà di praticare il loro culto, eppure i mercanti si erano opposti sin dall’inizio anche solo di prendere in considerazione quello scenario. Così il Senato aveva deciso diversamente e ora stava a lui portare avanti al meglio quella scelta, pur non condividendola.

    Era sicuro che all’interno dell’Ordine fossero in molti a non condividerla e temeva che la rabbia per ciò che quella decisione avrebbe scatenato potesse sfociare in atti d’insubordinazione.

    Aveva visto il Senatore Artyn, il Custode della Genesi, abbandonare l’aula non appena la votazione era giunta al termine. Già lo immaginava galoppare verso Colle della Genesi dove avrebbe trovato la sua schiera ad attenderlo al Drakoi-lem, la statua sacra di Stige, e arringare gli uomini. Non riusciva a debellare quel tarlo dalla mente.

    Il capitano Artyn era l’unico, assieme a lui e agli Stigiati, a conoscere l’esistenza dei tunnel che collegavano il Colle della Genesi a Aquirama, un punto debole nelle difese della città cui forse avrebbe dovuto porre rimedio già in passato. Eppure quei tunnel facevano parte della storia della città stessa e ci venivano celebrate importanti funzioni riservate ai vertici dell’Ordine. Come avrebbe potuto distruggerli solo per il timore che potessero essere in futuro utilizzati contro Aquirama?

    Prima ancora di giungere al portale sud sentì la voce dello Stigiato impartire ordini a squarciagola, riportandolo alla realtà.

    Marlow Spulv era in piedi sulla torre che sormontava il cancello principale del versante meridionale della città.

    I capitani delle schiere al suo comando erano ritti innanzi a lui come reclute al cospetto di un sergente istruttore particolarmente pretenzioso. Le fiaccole illuminavano l’intera muraglia che correva dal Bastione del Porto a quello del Ferro gettando bagliori baluginanti sulle corazze scarlatte dei soldati: il reggimento posto a presidio era schierato, in ordine e in attesa.

    Quando Spulv vide la colonna di cavalieri capeggiata dal Drakoi congedò i capitani e fece un cenno di saluto al generale. Le truppe scandirono a gran voce il suo nome alzando le braccia in segno di saluto.

    «Stigiato, passate parola, Aquirama combatterà. Mi mandi il capitano Bolson.»

    Nella penombra del mattino balenò il sorriso ingiallito di Marlow Spulv.

    Il Drakoi lo sapeva, l’ufficiale era fra quelli che anelava lo scontro e a questo punto era meglio avere uomini così a capo di un reggimento.

    Ora però lui aveva altro di cui preoccuparsi. La prima cosa che doveva fare era accertarsi che i due assedianti si scannassero fra loro e sapeva come agevolarli in tal senso.

    Un uomo stava scendendo in fretta e furia la scalinata che dai camminamenti portava alla strada prospiciente il portale.

    Il generale gli si fece incontro, riconoscendo il capitano della sua guardia personale. Non c’era tempo da perdere.

    «Capitano Bolson, voglio che con la vostra schiera costruiate un ponte di barche al vecchio guado. Requisite tutto il necessario a mio nome e fate in fretta. Per la scadenza dell’ultimatum i nostri nemici dovranno averlo scorto, fate tutto il necessario.»

    «Così sarà fatto, Drakoi

    «Che Stige vi protegga.»

    Tutto era pronto, almeno quello che era possibile fare. Adesso il Drakoi sarebbe tornato al Drakoi-dom e avrebbe pregato per il risveglio del Drago, almeno fino alla fatidica alba, poi sarebbe venuto il tempo di combattere.

    I due corpi avvinghiati si contorcevano come serpi nella stagione dell’amore.

    «Mia signora, siete una viziosa.» ansimò con voce roca il colosso. «La guerra incombe e voi pensate all'amore. E' ora di convincere il padrone…»

    Il Campione di Aquirama la possedeva con irruenza, cercando di rendere le proprie parole, sussurrate all’orecchio, altrettanto penetranti.

    Solfy gemeva, gli occhi spalancati a osservare i muscoli possenti del magnifico esemplare che da un anno era entrato a far parte della scuderia di suo marito, l’accademia gladiatoria, come amava definirla lui, e da qualche luna era divenuto anche il suo prediletto.

    Era un guerriero che mostrava di possedere cervello, oltre che potenza e un uccello degno di un Titano. Al momento però tutte quelle parole la indisponevano.

    Sentiva di essere giunta al culmine del piacere, i muscoli di cosce e ventre che fremevano irrefrenabili.

    Si lasciò andare a grida eccessive, volte a coprire il discorso del gladiatore. Ora non le importava. Forse era l'ultima volta che avrebbe assaporato i piaceri della vita, a giudicare dalle voci che dilagavano per la città.

    Un calore ardente le avvolse il petto sotto i baci passionali dello schiavo-guerriero, i capezzoli che le parevano sul punto di esplodere. L’uomo glieli mordeva, torturandola di piacere.

    Gli conficcò le unghie nei tricipiti possenti attirandolo a sé smaniosa, ancora e ancora.

    Chiunque fosse stato il nuovo padrone di Aquirama, temeva che i privilegi conquistati da suo marito in anni di sforzi e macchinazioni al limite della legge, sarebbero svaniti, ma ora non voleva pensarci. Desiderava solo abbandonarsi ai flutti turbinanti della lussuria. Quell’uomo puzzava di selvaggio, di sangue, di quello che faceva scorrere a fiumi nell’arena. Solo quello era sufficiente a inebriarla.

    La vista le si annebbiò, ma il tarlo che tutti i rischi che avevano corso anelando a migliorare la loro posizione potessero essere vanificati non venne spazzato via neppure dal raggiungimento dell’estasi.

    «Mia signora, avete capito quello che vi ho detto?» chiese Hukkanes.

    Lei non si era neppure accorta di aver chiuso gli occhi, spossata e appagata.

    Il barbaro del Quarto dell’Aria era già in piedi, un telo a coprirne lo strumento di piacere.

    «Credo di aver assaporato l’apoteosi che raggiungi tu nell’arena, quando migliaia di spettatori in delirio urlano il tuo nome. Ripetimi le varie possibilità, Hukkanes, sii gentile.»

    Il barbaro fece guizzare i muscoli del petto glabro, attirando ancor più l’attenzione della donna.

    «Mia padrona, cosa accadrebbe se fosse la Terra a conquistare Aquirama?»

    Vedendo che Solfy indugiava a carezzarsi il basso ventre, l’uomo le si sedette a fianco e le pose una mano callosa sulla pelle liscia della coscia, palpandola con vigore.

    «Sarebbe un dramma, mia signora. L’arena verrebbe chiusa e la vostra palestra cadrebbe in disgrazia. Re Dotrik proibisce i combattimenti nelle arene.»

    La donna s’irrigidì, scostando la mano del gladiatore e sollevando il lenzuolo a coprirsi il corpo sudato.

    Hukkanes sapeva che se c’era qualcosa che Solfy adorava più del suo membro era il potere che la posizione attuale le forniva, per questo le donne la chiamavano con disprezzo l’arrivista dagli occhi cobalto. Anche i ricchi mercanti erano costretti a trattare lei e suo marito alla pari, pur mal celando il disprezzo per l’attività che conducevano e che non tutti apprezzavano, mentre tutti reputavano di lignaggio inferiore a qualsiasi altro commercio.

    Erano e rimanevano mercanti di uomini, anche se la loro merce consisteva in schiavi che sapevano combattere in modo sublime e deliziare con la propria arte il popolo intero. E nelle cerchie bene di Aquirama i commercianti di uomini erano relegati all’ultimo gradino della casta dei mercanti.

    «Non ci sono possibilità per Aquirama di mantenersi libera, questo lo capite, vero?»

    La donna lo guardò stizzita.

    «Come osi, Stige ci protegge!» disse esibendosi in uno scongiuro votivo con le mani.

    Il guerriero dell’Aria si limitò a scuotere la testa, i lunghi capelli corvini che finirono col celarne gli occhi dallo sguardo perennemente torvo.

    «Abbiamo mura alte dieci metri e cinquemila uomini ben addestrati per difenderle. Inoltre abbiamo il Drakoi, e anche se non sarà il Dragone Rosso a volare in nostro aiuto, lui saprà come difenderci.» asserì Solfy, ma il gladiatore era avvezzo a intuire gli stati d’animo degli altri. Senza quel dono non sarebbe arrivato a ricoprire il ruolo di Campione della città e si avvide che la sicurezza che ostentava la donna era solo una maschera.

    Decise di affondare il colpo. L’attirò verso di sé e la baciò appassionatamente fino a che entrambi rimasero senza fiato.

    «Mia padrona, perché non cercare di volgere a nostro vantaggio la situazione?»

    «Cosa proponi, Hukkanes? Parla. Sai che puoi fidarti di me e anche di Lotario. Sei il prediletto di mio marito. E’ su di te che ha fondato le sue fortune. Le tue vittorie hanno riempito i nostri forzieri.»

    «Dobbiamo aprire le porte ai guerrieri dell’Aria.»

    Solfy, le guance arrossate, rimase a bocca spalancata.

    Hukkanes le lasciò il tempo di riflettere, limitandosi a carezzarle i capelli biondi con insospettabile delicatezza.

    «Sei forse impazzito?»

    «No, mia signora, conosco Randal.»

    «Randal il Bello? Il Re dei barbari?»

    «Il mio Re! Io vengo dalla sua tribù, mia signora, e posso garantire che se riusciremo a spalancare un accesso per loro, a cose fatte, tu e tuo marito ne avrete molto da guadagnare.»

    «Parla, allora. Deciditi a vuotare il sacco, mio campione. Non venirmi a dire che questo piano ti è venuto in mente mentre mi penetravi, perché non sono così frivola come credi!»

    «Conosco la vostra intelligenza, padrona» disse Hukkanes abbassando lo sguardo «e conosco anche il vostro coraggio e quello di vostro marito. Così siete riusciti a saziare le giuste ambizioni che nutrite e così riuscirete a elevarvi ancor più, se mi darete ascolto. Lasciatemi gli altri gladiatori, promettete loro la libertà in cambio di quest’azione e se la mia gente avrà la meglio, il padrone si troverà a dirigere non solo i giochi all’interno di Aquirama, ma in tutto il Quarto dell’Aria. Vostro marito non correrà alcun rischio. Se Aquirama riuscirà miracolosamente a mantenersi indipendente non dovrete far altro che urlare alla rivolta degli schiavi e ne uscirete intonsi. Se dovesse essere la Terra a spuntarla invece, beh, sarà meglio che iniziate a cercarvi un alto mestiere, ma se mi offrirete questa possibilità sono certo che ciò non avverrà.»

    Solfy era ancora scossa dalla proposta, ma iniziava a coglierne la reale bontà.

    Le possibilità che si offrivano loro di uscire da quella situazione drammatica erano un risvolto imprevisto, ma potenzialmente una vera benedizione.

    Nei momenti di massima crisi c’era sempre qualcuno a trarne grossi guadagni. Forse quella volta era il loro turno.

    SIMBIOSI

    Natura non necessita progresso,

    la perfezione vige dal primordio,

    concesse all’uomo eretto il proprio esordio,

    sperando di convivere con esso.

    Errore irreversibile fu fatto,

    dotare l’uomo eretto d’intelletto,

    nefasto e deleterio fu l’effetto.

    Nociva convivenza con un matto.*

    La Prima Alba

    Accampamento principale delle forze del Quarto della Terra – Est di Aquirama

    Yorik si svegliò di soprassalto, i sogni scacciati da urla stridule. Tentò di alzarsi di colpo, la mano che cercava la spada posta al fianco della branda, ma il Capitano Rovers lo bloccò.

    «Tranquillo, ragazzo, è solo il Delfino di Re Dotrik.»

    La voce del comandante della Centuria era carica di disprezzo. Lo sbarbatello non gli andava a genio e non faceva nulla per nasconderlo.

    Yorik si

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