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Conversazioni con Lele. 15 racconti e 20 incontri con Emanuele Luzzati
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Conversazioni con Lele. 15 racconti e 20 incontri con Emanuele Luzzati
Ebook220 pages3 hours

Conversazioni con Lele. 15 racconti e 20 incontri con Emanuele Luzzati

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I ‘racconti’, le immagini e i ricordi di Emanuele Luzzati nascono dai numerosi incontri-scambi che l’autore ha avuto con lui e intendono mantenere viva la memoria della vita straordinaria che Lele Luzzati ha vissuto.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateFeb 1, 2013
ISBN9788891103956
Conversazioni con Lele. 15 racconti e 20 incontri con Emanuele Luzzati

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    Conversazioni con Lele. 15 racconti e 20 incontri con Emanuele Luzzati - Giorgio Macario

    Conversazioni con Lele

    15 racconti e 20 incontri

    con Emanuele Luzzati

    Giorgio Macario

    Illustrazione di copertina: Emanuele Luzzati. Raffigura l’opera originale di Emanuele Luzzati Pulcinella dirige il coro dei bambini a Genova. Per Macario, appositamente realizzato nel 2006.

    Le fotografie e le riproduzione delle dediche sono state ottimizzate da Sandro Cortesogno.

    La revisione completa del testo è stata effettuata da Roberta Ducci.

    Editing, impaginazione e conversione eBook di Ada Ascari

    Procura speciale Nugae srl – Museo Luzzati a Porta Siberia Genova per la gestione diritti d’autore e tutela del nome e dell’immagine del Maestro Luzzati in Italia e all’Estero.

    Tutti i diritti riservati all’Autore. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta senza il preventivo assenso dell’Autore e dell’Editore.

    Si ringrazia la Libera Università dell’Autobiografia per il patrocinio.

    ISBN: 9788891103956

    Copyright © 2012

    Youcanprint Self-Publishing

    Via Roma 73 - 73039 Tricase (LE)

    Tel. 0832.1836509

    Fax. 0832.1836533

    info@youcanprint.it

    www.youcanprint.it

    Questo eBook non potrà formare oggetto di scambio, commercio, prestito e rivendita e non potrà essere in alcun modo diffuso senza il previo consenso scritto dell’autore.

    Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata costituisce violazione dei diritti dell’editore e dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla legge 633/1941.

    Prefazione

    Caro Lele, con affetto

    Ferruccio Giromini

    Non so quanto esattamente sia facile capire – o far capire – la persona e la personalità di Emanuele Luzzati a chi non l’abbia conosciuto di persona. In realtà si parla di una personalità eccezionale non meno che di una persona eccezionale: tutti i fortunati che hanno avuto a che fare con lui concordano su ciò. E io non posso fare a meno di aggiungere la mia conferma personale, illuminata da oltre trent’anni di frequentazione quale concittadino, ammiratore e, meravigliosamente per me, pure amico.

    Per questi motivi resto incantato dal lavoro svolto e raccolto negli ultimi anni da Giorgio Macario, un altro concittadino ammiratore e amico di Luzzati, che a un certo punto ha deciso di prendere appunti dopo ogni incontro con quell’uomo tanto speciale, al giusto fine di non dimenticare la quieta gioia di quelle frequentazioni, di poterla fissare nella propria memoria e infine di trasmetterla ad altri. Non riesco a immaginare bene, ribadisco, quanto a fondo tali resoconti riescano a penetrare nell’animo del lettore comune (che comunque si presume interessato a quella precisa persona e personalità), proprio perché io li vivo con troppa personale commozione, capaci come sono di rinnovare in me le indicibili felicità di una autentica e piena amicizia.

    Lele, il nome bambino con cui lui amava lasciarsi chiamare da tutti anche in vecchiaia, aveva un modo unico di farti sentire a tuo agio. A differenza di quasi tutte le persone famose, quali più e quali meno consce della propria superiorità sugli interlocutori, lui non si dava arie, non si poneva su alcun piedistallo, non dava mostra di avere qualcosa da insegnarti, non imponeva mai una sua opinione; ma anzi ti ascoltava con interesse, ti suggeriva l’impressione di apprezzarti, sembrava quasi grato della tua presenza. Non so se fosse una mia illusione, che per lui provavo un affetto probabilmente capace di trasfigurarlo, ma a me davvero pare che si comportasse così con tutti, grandi e piccini, personaggi stimati e perfetti sconosciuti, sia colti che incompetenti. A volte, ebbene sì, verso alcune personalità un po’ ossessive mostrava qualche insofferenza, ma questa appariva sempre fugace e passeggera e in fondo chiaramente non malevola.

    Lele veniva percepito da chiunque, anche se di vari decenni più giovane di lui, subito come amico. Ogni rapporto con lui era diretto, simmetrico; e ciò per merito suo, intendiamoci, non certo di chi gli si avvicinava le prime volte magari un po’ intimorito dalla sua fama. Non si mostrava per nulla una persona aggressiva; godeva evidentemente di una particolare indifferente sicurezza di sé per cui, così come non abbisognava di prevaricare, allo stesso modo non aveva necessità di difendersi da chicchessia. Era tranquillo. E trasmetteva tranquillità. Si comportava con noncurante umiltà: ma vera, non falsa modestia. Negato a vantarsi, nonostante una vita straordinariamente ricca di esperienze e incontri, stupiva per la sua assoluta assenza di timore nel confessare le proprie debolezze, soprattutto fisiche ma non solo. Ti veniva da definirlo innocente nel vero senso della parola, ovvero incapace di nuocere.

    Si capisce allora come Giorgio Macario, caloroso registratore/redattore dei propri reiterati incontri con Lele, non abbia potuto fare a meno di sposare la passione del collezionista con il legittimo orgoglio di frequentare l’artista tanto stimato e venerato, che con olimpica cordialità gli permetteva di entrare nella sua quotidianità confidente. Tutti ci sentivamo grati, in verità, ogni volta che Lele ci accoglieva in casa sua, uno per uno, fin da quando ci apriva la porta del suo magico appartamento e ci invitava ad entrare con l’immancabile sorriso leggero. Niente era in lui sopra le righe, non l’ho mai visto neppure ridere forte. Lo circondava perennemente un velo di antica buona educazione, quella per cui le emozioni non si palesano mai in modi marcati. Però percepivi la sua benevolenza verso il mondo, coglievi la sua capacità di emanare calmo affetto, avvertivi la forza sotterranea del suo candido entusiasmo per l’esistenza; e a quel punto non sentivi affatto l’esigenza di condividere con lui risate scalmanate.

    Quell’appartamento sospeso sui tetti di Genova ci rimarrà nel cuore (e che gran peccato che non sia stato mantenuto come museo luzzatiano, così com’era – lo avrebbe meritato!). Quando ancora era in vita la sua vecchia mamma, Lele mi accoglieva – e come me presumibilmente gli altri suoi visitatori – ancora solo nella sua cameretta di bambino, quella dove continuava a dormire fin dalla nascita. Piccola, angusta: un letto, una sedia, un tavolino scrivania, pareti coperte di librerie straboccanti, pupi siciliani, sculturine, disegnetti, e da un certo momento in poi anche una fotocopiatrice. Ci sedevamo uno sulla seggiola e uno sul letto. Il resto della casa sembrava quasi off limits, erano le stanze dei grandi, ed evidentemente lui si considerava ancora il piccolo di famiglia. Unica eccezione, un’altra stretta stanzetta, di fianco alla camera da letto della mamma da anni immobilizzata dalla malattia, a disposizione del figliolo come studio/laboratorio: un lungo tavolo da lavoro, altre scaffalature ingombre di libri e carte, e poi forbici, ritagli, gessetti, matite, pastelli a cera, pennarelli, colori, allegri pasticci, come li chiamava lui, dappertutto. E in fondo la solita alta finestra luminosa sulle ardesie e il mare.

    Dopo la scomparsa della mamma, lui ormai decisamente anziano, infine per gli amici in visita si aprirono altre porte. La stanza materna venne trasformata in una sala archivio, con grandi cassettiere dove l’artista ora conservava i disegni, le incisioni, le serigrafie, eccetera, cercando di perseguire una certa sistemazione organizzata – sebbene quando cercava qualcosa, per la verità, difficilmente lo trovava alla prima. Di fatto, sotto una parvenza d’ordine regnava un caos leggero: non opprimente, fin simpatico, adatto alla lieve svanitezza del padrone di casa.

    Ma se in quelle stanze si entrava in modi saltuari, seguendolo mentre cercava qualcosa che nel frattempo gli sovveniva di mostrare, le conversazioni distese si tenevano ora nella saletta da pranzo, dove stava anche la sua poltrona, il televisore con il videoregistratore, le credenze con gli specchi, qualche soprammobile e piatto decorato, un grande telo mezzaro genovese su suo disegno appeso scenograficamente a coprire tutta la parete di fondo, e il famoso telefono che interrompeva qualsiasi conversazione più volte. Eravamo nel guscio suo più familiare, dove lui poteva muoversi a occhi chiusi e dove anche noi potevamo rilassarci chiacchierando al tepore di quella confidenza.

    Lo ricordiamo seduto comodo nella sua poltrona, o cortese ma conciso al telefono. Lo ricordiamo come vestiva di norma: il golfino di lana girocollo, la camicia a quadrettini o a righine, i pantaloni di velluto a coste. Ne ricordiamo i folti ciuffi di peli nelle narici e nelle orecchie, da hobbit gentile e sorridente. Lo ricordiamo quando sorridendo strizzava gli occhietti quasi mongolici, quando discorrendo sovrappensiero si grattava, curioso tic, l’indice e il pollice della mano destra. Lo ricordiamo conversare – sì, era un dilettoso conversatore – con curiosità giovanile e idee precise su quasi tutto; e pure prestare ascolto all’interlocutore con instancabili desideri di conoscere, chiedendoti opinioni e dandoti perfino importanza, ma con naturalezza, quasi con noncuranza. Ti faceva sentire bene. Anche perciò lo ricordiamo con tenerezza, tanta; qualche volta come fosse un nonno o un padre saggio, ma più come un complice fratello o cugino, e addirittura talvolta come un figlio dolcemente ingenuo (magari non un nipote, però, ora non esageriamo).

    In tanti gli dobbiamo gratitudine, oltre che per l’amicizia dimostrata, anche a volte per averci segnalati e imposti in occasioni professionali, sempre del tutto disinteressato. Chissà, davvero, quanto ora il lettore può capire il nostro desiderio di ravvivare nella memoria momenti tanto gradevoli e gratificanti. Ricordare Lele per noi che godemmo della sua amicizia, Giorgio Macario in testa, significa traboccare ancora di tenerezza e affetto.

    A Lele,

    che mi ha fatto partecipe della sua casa

    e del suo mondo di ricordi e di produzioni fantastiche.

    Introduzione

    Questi pensieri, rievocazioni e ricordi un po’ frammentati sono stati raccolti nel corso degli incontri che ho avuto con Lele Luzzati, nella sua abitazione genovese.

    Una buffa – e bellissima – abitazione di famiglia, stretta fra l’entrata superiore a pochi passi dalla spianata di Castelletto che domina Genova dall’alto, e l’entrata inferiore che, dal centro pulsante della città, consente di inerpicarsi fino al portone mediante una scalinata memorabile. Adesso non riesco quasi più a farla –mi ha detto una volta Lele – ma è sempre stata un eccellente modo per tenersi in forma. Ricordo ancora quando, con la strada tutta ghiacciata, risalivamo via Caffaro con la carrozza fino al cancello inferiore. Risalirla allora, da bambino, era proprio un divertimento.

    Per molti anni con Lele ci si è incontrati specialmente nello studio di Sandro, a Sestri nel ponente genovese, dove si recava a discutere di progetti da approntare o, più spesso, a seguire il lungo e meticoloso lavoro di predisposizione delle serigrafie d’arte che per decenni sono state di appannaggio esclusivo della Essedi edizioni di Sandro e Anna Maria Cortesogno. Ma erano numerosi anche gli incontri che avvenivano in occasione delle inaugurazioni delle mostre di Lele in giro per la Liguria e non solo. E, negli ultimi anni, anche presso il Museo Luzzati a Porta Siberia nel Porto Antico di Genova, dove Renzo Piano – un altro fra i genovesi più eccellenti – ha allestito per Lele il ‘suo’ Museo.

    Ma dove comincia questa mia ‘passione’ per Lele?

    In realtà i suoi lavori mi sono sempre piaciuti. Allegri, colorati, espressivi, insomma belli fuori. Ma, appena ho avuto modo di conoscere meglio il loro autore, ho capito perché la sua opera trasmette positività e bellezza: un po’ timido di natura, diretto, generoso, sensibilissimo, aperto al dialogo con chiunque, impermeabile alle gerarchie ed ai distinguo di casta, di censo e di potere, Lele è sempre stato una persona bella dentro. Con una naturale incapacità di vantarsi di alcunché che ha portato Gianni Rodari a dire «…È del resto una persona che nessuno al mondo può aver sentito vantarsi di qualche cosa. Non esistono persone così negate a vantarsi».[1]

    I suoi lavori mi sono sempre piaciuti, e mi sono piaciuti così tanto che ad un certo punto ho cominciato ad acquistarli ovunque mi capitasse, in giro per l’Italia durante gli spostamenti per lavoro, ma anche in giro per il mondo tramite E-bay. Dall’America del Nord al continente Asiatico, dall’Europa all’America del Sud, dal Medio Oriente fino all’Australia, se si potessero segnalare con led luminosi le sue produzioni su di una carta geografica mondiale, poche aree rimarrebbero completamente all’oscuro.

    Più che i pezzi originali, anche per ovvi motivi economici, mi sono dedicato all’immenso patrimonio di illustrazioni da lui prodotte per volumi, copertine di dischi, carte da gioco, piatti in ceramica, giochi da tavolo, e così via.

    L’esperienza professionale che mi ha portato ad occuparmi, oltre che di formazione, anche di centri di documentazione, mi ha certamente aiutato. Sono infatti numerose le ricerche che ho realizzato nel tempo libero per documentare la sua opera: quelle relative alla rivista Il Dramma, alla rivista Genova, ai dischi della Cetra, e così via.

    D’altra parte acquisire i materiali scoperti man mano e catalogati costituiva la premessa e la base dei nostri incontri.

    Appena potevo gli portavo i materiali che avevo scovato in giro per il mondo, e questi costituivano altrettanti spunti per lunghe rievocazioni sulla base dei suoi ricordi. In tal modo quasi tutto lo scibile umano in ambito artistico scorreva sotto i miei occhi.

    Dei materiali più significativi gli portavo successivamente le fotocopie, spesso anche a colori; ma a volte, anticipandomi, si rigirava fra le mani un pezzo particolare che probabilmente gli ricordava qualcosa, lo prendeva e lo portava con sé nella stanza attigua alla sala d’entrata, e si metteva ad armeggiare con una mastodontica fotocopiatrice dicendo: Questo voglio proprio tenerlo.

    O altre volte ci mettevamo, nella stessa sala principale in cui di solito ci sistemavamo attorno al tavolo, ad armeggiare in due intorno al videoregistratore per poter visionare alcuni spezzoni di interviste o di filmati che lo riguardavano.

    Dopo aver visionato i diversi volumi ed averne ricostruito storia e probabile origine, li firmava e quasi sempre me li dedicava. La dedica, il più delle volte, era inserita in un disegno – tratteggiato in pochi istanti con rara maestria – che riproduceva o reinterpretava la raffigurazione della copertina o il personaggio ispiratore.

    Ormai da una decina d’anni molti di questi materiali vengono collocati in varie mostre organizzate dal Museo Luzzati.

    Qualche volta, se si dimostrava molto interessato, gli lasciavo singoli materiali o realizzavo uno scambio con il Museo per coprire qualche mancanza nella documentazione degli archivi, come nel caso del Calendario Colombiano del 1951 realizzato dal Comune di Genova con magnifiche illustrazioni a colori su disegni originali di Lele, del quale avevo acquistato una copia in condizioni quasi perfette.

    Ma ciò accadeva raramente, perché Lele considerava i suoi lavori come prodotti artigianali realizzati per uno scopo preciso e non certo con finalità museali. Ricordo molto bene almeno un paio di episodi, riportati più avanti nel testo, che ribadiscono questo concetto con disarmante semplicità (anche se di non facile comprensione agli occhi del collezionista!).

    Gli incontri con Lele negli ultimi venti anni sono stati innumerevoli, ma quelli documentati a cui qui mi riferisco, sono poco più di una ventina: il primo un paio di giorni prima del venticinque aprile del 2004 e l’ultimo nei primi giorni del gennaio 2007, pochi giorni prima che ci lasciasse.

    Nella composizione di questo libro ho seguito dunque il filo conduttore dei nostri incontri. La data dell’incontro dà il titolo ai vari capitoli.

    Ho inserito di seguito alcuni episodi significativi narrati da Lele con particolare enfasi nel corso delle nostre conversazioni. Questi episodi hanno un titolo che ne rispecchia il contenuto.

    Gran parte del passato di Lele scorre in rievocazioni che sgorgano da libere associazioni: pensieri, ricordi, sentimenti, buffe coincidenze si affastellano in un quadro vitale e, per molti aspetti, affascinante.

    Riferimenti autobiografici, che mi riguardano, ogni tanto emergono sullo sfondo delle vicende narrate da Lele, e testimoniano il fatto che i nostri incontri sono stati una vera e propria ‘conversazione’ nel suo significato etimologico di ‘frequentare qualcuno’. Ci siamo

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