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I Delitti di Castelmorte
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I Delitti di Castelmorte
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I Delitti di Castelmorte

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A Castelmorte d'Asti c'è attesa per i festeggiamenti del millesimo anniversario del borgo antico. L'evento viene però funestato da una serie di omicidi: l'anziana maestra della cittadina, ormai in pensione, viene trovata senza vita e poco dopo anche il parroco della chiesa di San Sebastiano viene ucciso in sagrestia. Sui delitti indagano un cronista del Reporter Astigiano e una sua amica, appassionata di gialli e impiegata nell'unica agenzia funebre di Castelmorte. A collaborare alle indagini anche le perpetue del sacerdote ucciso, le Pie Donne del Santissimo Sacramento, sempre attente a ciò che si racconta in paese. Ma i delitti non sono ancora finiti.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateAug 25, 2014
ISBN9788891154804
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    I Delitti di Castelmorte - Riccardo Santagati

    633/1941.

    Capitolo I

    Quella mattina la signorina Angelica Oltrepò decise di alzarsi dal letto prima della maggior parte dei suoi conoscenti i quali erano abituati a non uscire di casa se non dopo aver udito il settimo rintocco della settima ora dell'orologio che dominava, dal campanile, tutto il centro abitato di Castelmorte. Le sette erano diventate lo spartiacque tra la notte e il giorno, in estate quanto in inverno, e chi si azzardava a mettere il naso fuori dall'abitazione prima che l'orologio finisse il settimo rintocco della settima ora avrebbe messo in moto una serie di congetture e ipotesi, tutte rigorosamente infondate, sul motivo di quell'insubordinazione all'ordine precostituito. Per gli abitanti di Castelmorte uscire di casa presto poteva significare solo due cose: o era mancato qualcuno in famiglia o qualcuno stava male e si doveva correre di gran volata al pronto soccorso dell'ospedale di Asti. In questo clima di sospetti chiunque si fosse fatto vedere in giro prima che il grande orologio lo autorizzasse a farlo con i suoi rintocchi sarebbe stato sulla bocca di tutti, almeno fino a quando non fosse stato dato il cessato pericolo con una dovuta e accettabile spiegazione.

    La signorina Oltrepò, apprezzata ex maestra della scuola media (ormai chiusa da tempo), abitava a Castelmorte da quando era nata, quasi ottantatré anni prima e conosceva bene le regole del vivere comune; pur alzandosi sempre molto presto, aspettava che l'ora fatidica passasse con largo margine così da non mettere in agitazione i vicini e chi la conosceva, vale a dire più o meno tutti. La maestrina, come molti suoi ex alunni amavano chiamarla da quando si era ritirata dal lavoro, era abituata a consumare una frugale colazione leggendo una copia del Reporter Astigiano, l'unico bisettimanale locale con tutte le principali notizie della provincia di Asti ma, soprattutto, necrologie fresche, trigesime, anniversari e altre esclusive funebri che non trovavano spazio nei restanti giornali. In un piccolo centro di provincia sapere di essere sopravvissuti almeno un giorno in più ad una persona conosciuta, magari più giovane, è sicuramente una notizia degna di essere letta mentre si sorseggia una tazza di caffè bollente. Lo era per la signorina Oltrepò ma anche per tutti quegli anziani abituati a non uscire al mattino senza sapere chi avesse definitivamente detto addio a questo mondo. Se gli astigiani hanno fama di essere un po' chiusi e sospettosi, i castelmortesi lo sono dieci volte tanto ma, davanti ai lutti, dimostrano una certa predisposizione al chiacchiericcio, motivo per cui dare per primi la notizia di un avvenuto decesso significa avere materia di conversazione almeno per un paio di giorni.

    Certo, se Angelica Oltrepò avesse potuto immaginare che sulla successiva edizione del Reporter, addirittura in prima pagina, ci sarebbe stata la sua foto seguita da un lungo articolo di cronaca nera, forse avrebbe cambiato idea sulla lettura del giornale e si sarebbe dedicata ad altre faccende più importanti. Ma non poteva certo saperlo, né intuirlo, come non lo poteva sapere nessun altro cittadino di Castelmorte.

    Una volta finito il caffè e sciacquata la tazzina nel piccolo lavello ormai divorato dal calcare, la maestrina si preparò ad uscire avendo preso un appuntamento, già da qualche giorno, con il sindaco Viarengo. Il primo cittadino, eletto per acclamazione paesana alle precedenti elezioni amministrative che lo vedevano contrapposto al ragioniere Arturo Pastrale, aspettava di incontrare l'ex maestra della scuola media per discutere i dettagli di un libro che avrebbe voluto stampare in vista del millesimo anniversario dalla fondazione di Castelmorte.

    Per chi non ne avesse mai sentito parlare prima, Castelmorte, che dista una quindicina di chilometri dal capoluogo di provincia, in tempi molto remoti (e dimenticati dai più) era stato uno dei bastioni difensivi dell'antico comune di Asti. In epoca medievale, sotto il diretto controllo del vescovo, aveva goduto di una prosperità enorme grazie alla presenza di un castello (da qui la prima parte del nome) dove venivano mandati a morire (ecco spiegata la seconda parte) i nemici della città, almeno in un primo tempo, poi quelli del Ducato del Monferrato, in un'epoca più vicina, infine i condannati a morte durante il Regno dei Savoia. Si dice che i vigneti della Barbera impiantati sulle verdeggianti colline intorno al castello producano uno dei vini più prelibati dell'intero Piemonte e questo, secondo la tradizione, perché furono innaffiati per secoli con il sangue dei prigionieri politici che scorreva in abbondanza dal suolo dei sotterranei del maniero. Dicerie senza alcun tipo di riscontro le quali, proprio per questa ragione, avrebbero avuto ampio spazio nel libro che il sindaco era a tutti i costi intenzionato a pubblicare per celebrare nel modo più consono possibile l'importante ricorrenza del millesimo anniversario.

    Castelmorte vanta una storia di cui i cittadini vanno fieri ma che per gli estranei suscita sovente un senso di angoscia e ribrezzo abilmente mascherato con ammiccamenti e sorrisi di cortesia. Perché è vero che il castello, i cui resti sono oggi inglobati nel palazzo del municipio, è l'edificio più importante del nucleo abitato ma non è l'unico tragicamente sinistro. La piazza principale, dove si affacciano il comune, la chiesa, l'ufficio postale e il commissariato di polizia – miracolosamente sopravvissuto ai tagli orizzontali solo grazie alla densità abitativa -, è indicata sulle mappe come largo del Lazzaretto perché nel XVII secolo ospitava i malati di peste, in un edificio poi raso al suolo a metà del XIX secolo. Sulla piazza, al cui centro si incrociano corso Speranza e via degli Appestati (nomi dati da qualche funzionario del governo che non brillò certo di originalità), domina il campanile della chiesa di San Sebastiano, neanche a dirlo protettore dei malati di peste e quindi considerato da tutti i cittadini come uno di casa. Con il passare dei secoli il cuore del borgo antico ha assunto varie conformazioni fatte di stradine e case costruite e abbattute più volte fino all'attuale toponomastica, molto simile a quella di altri paesi dell'Astigiano, che vede le due grandi strade principali incrociarsi nella grande piazza e una serie di vie parallele, molto più piccole, che raggiungono i quartieri posti a corona della chiesa parrocchiale più importante.

    Per raggiungere il municipio la signorina Oltrepò dovette incamminarsi lungo corso Speranza imboccandolo appena fuori dalla propria casa. Avanzando in direzione della piazza principale passò davanti alle vetrine dell'unico ristorante degno di nota, il Don Rodrigo, chiamato così perché il titolare Marco Casagrande aveva letto un solo libro in tutta la sua vita ai tempi della scuola superiore. Una volta trasferitosi a Castelmorte aveva rilevato il locale dal precedente gestore e pensando a come chiamarlo, in vista della riapertura, immaginò che sarebbe stato caratteristico rifarsi a quel libro (per la cronaca i Promessi Sposi) dove la pestilenza è ciò che resta più impresso nella mente dei lettori. Castelmorte era stato un luogo non meno appestato del lago di Como descritto dal Manzoni, pertanto il collegamento era più che opportuno anzi, una vera e propria citazione di cui andare fieri. La maestrina, per deformazione professionale, non poteva evitare di ripensare ad Alessandro Manzoni ogni volta che passava davanti al Don Rodrigo ma quel mattino decise di rimanere concentrata su quanto avrebbe dovuto dire al sindaco Viarengo a proposito del libro e di quello che le aveva chiesto quando le aveva proposto di collaborare alla sua stesura. Duecento metri prima di arrivare in largo del Lazzaretto la signorina vide che l'agenzia di onoranze funebri Cordoglio era già in piena attività e si chiese se nella notte qualcuno fosse passato a miglior vita. Essendo in anticipo per l'appuntamento col sindaco si fermò davanti alla grande porta verde sulla quale spiccavano due lapidi e il nome dell'attività con un numero di cellulare che garantiva un pronto intervento 24 ore su 24, festivi compresi. Aprendo la porta gettò lo sguardo sul lato destro della stanza, fece un saluto e iniziò a parlare con una giovane donna che stava scrivendo con estrema rapidità al computer.

    Capitolo II

    - Buongiorno signorina - disse la giovane ancora seduta a una grande scrivania che la maestrina si ricordava aver visto su un vecchio catalogo dell'Ikea. - Già in giro a quest'ora?

    - Buongiorno Agatha. Sì, sono venuta a farti un saluto veloce perché mi aspetta Viarengo per quella storia del libro sui mille anni del borgo. Non ho potuto fare a meno di notare che la luce dell'agenzia era accesa; spero non sia successo qualcosa di grave.

    - No, niente di straordinario. Ho deciso di venire al lavoro prima per fare un po' di archivio e preparare alcuni documenti che servono al capo. Oggi dovrebbe andare a ritirare il nuovo carro funebre, un modello costruito dalla Mercedes su cui aveva messo gli occhi fin dalla scorsa estate. Fosse stato per me avremmo tenuto il vecchio bolide ma sa, secondo lui non era più in condizioni accettabili.

    - Mi tranquillizza sapere che non è morto nessuno. Allora ti lascio al tuo lavoro e procedo con il mio giro. Salutami il dottor Caronte quando ritorna e digli che sono ansiosa di vedere il nuovo veicolo. Mi sa che sarà l'ultimo automezzo che prenderò prima del riposo eterno.

    La maestra accennò un leggero sorriso e si girò lentamente su se stessa, riaprì la porta e tornò su corso Speranza riprendendo il cammino che conduceva al municipio.

    Agatha Paradiso tornò con lo sguardo fisso al computer riprendendo il filo di quello che stava facendo prima di essere interrotta dalla signorina Oltrepò. Era una bella e giovane donna che aveva compiuto da poco trentaquattro anni. Mora, lunghi capelli lisci, un paio di occhiali molto colorati e un fisico che non passava certo inosservato, soprattutto se incrociava gli occhi degli anziani che passeggiavano su e giù per il centro della cittadina. Era approdata all'agenzia di pompe funebri Cordoglio un anno prima dopo una serie di lavori precari, pagati male e che non destavano in lei il benché minimo interesse. Laureata in Scienze della Comunicazione, avrebbe voluto intraprendere una carriera nel giornalismo ma, anche lì, non era riuscita ad andare oltre a qualche sporadica collaborazione con alcuni giornali locali e sempre per un tozzo di pane. Alla fine, dopo un paio d'anni passati in un call center di Asti, aveva risposto ad un'insolita inserzione trovata per caso su un sito di annunci on line. Offresi lavoro a tempo indeterminato come segretaria e accoglienza clienti in azienda specializzata. Astenersi perditempo, superstiziosi e facilmente impressionabili. Paga interessante. Inviare curriculum a e.caronte@esequiecordogliocastelmorte.it. Il colloquio fu pressoché una formalità perché ad Enrico Caronte, titolare dell'agenzia, Agatha era piaciuta fin dal primo istante. Bella, sveglia, con una dialettica spigliata, sembrava la persona adatta per affiancarlo nella gestione dell'attività. Enrico trovò inoltre particolarmente buffo che la sua futura segretaria e collaboratrice si chiamasse Paradiso, forse un segno divino da cogliere subito al volo.

    Anche ad Agatha il suo nuovo principale sembrò fin dal primo momento un tipo in gamba. Enrico Caronte aveva quarantanove anni, non era sposato, non aveva figli e aveva ereditato l'attività paterna quando il vecchio titolare, Giorgio Caronte, era andato in pensione. Non che Enrico non avesse pensato di fare altro nella vita. Con una laurea in Scienze Politiche appesa su una parete di casa a prendere la polvere e poca voglia di dedicarsi alla vita accademica (peraltro preclusa a chi, come lui, non aveva sponsor ai quali affidarsi) aveva alla fine scelto la strada più facile rilevando la Cordoglio dopo un breve periodo di affiancamento con il padre. Enrico era cresciuto a pane e morti. Suo papà non perdeva occasione di parlare di lavoro durante i pasti e, quando la madre era fuori casa e lui doveva fare i compiti, non era raro che il genitore lo portasse con sé in agenzia dove studiava a pochi metri dai cofani funebri ascoltando le tristi vicende che portavano i clienti a chiedere i servizi dell'azienda di famiglia. La prima volta che aveva dovuto vestire un morto aveva cercato di non pensarci più di tanto immaginando che il tizio in questione, l'ex pasticcere di Castelmorte, si fosse in realtà addormentato dopo una forte sbronza. Con questo espediente era riuscito a portare a termine il compito con dignità ma stringendo i denti per non scoppiare in un'improvvisa risata. Già dal quinto funerale era iniziata la routine e, alla fine, era subentrato quel distaccato approccio indispensabile quando si tratta di operare in certi settori. Ad Agatha l'idea di lavorare in un ambiente del genere aveva portato un po' di disagio ma, non dovendo quasi mai avere a che fare direttamente con le salme, si era convinta che, in fondo, si trattava di un impiego migliore di tanti altri e decisamente meglio retribuito.

    Quella mattina Enrico Caronte arrivò poco dopo le nove quando corso Speranza era già animato da cittadini che andavano e venivano per sbrigare le proprie faccende. Tutti volti noti, persone che Enrico aveva conosciuto da vicino fornendo loro i servizi della propria azienda e tutti che si fermavano davanti alla porta della Cordoglio ove, da qualche minuto, aveva parcheggiato il nuovo fiammante carro funebre della Mercedes.

    - Ciao Agatha - disse Enrico aprendo dolcemente la porta.

    - Buongiorno capo. Aspetta che finisco di inserire quest'ultimo contratto nell'archivio e accendo la macchinetta del caffè.

    - Finisci tranquilla - rispose Enrico facendo segno alla sua segretaria di stare seduta. - anche se per una volta mi faccio il caffè da solo non cade il mondo. Piuttosto, dai un'occhiata qua fuori; ho portato la nuova carrozza. Sono sicuro che i nostri clienti non avranno di che lamentarsi.

    Agatha girò la testa verso la vetrina e osservò il carro funebre parcheggiato a pochi metri dall'ingresso. Non le sembrò molto diverso dal precedente ma non volle rovinare l'evidente entusiasmo che il suo principale dimostrava di avere da quando, un paio di mesi prima, aveva firmato il contratto d'acquisto con la concessionaria. Poi tornò a guardare il capo che stava bevendo una tazza di caffè nero leggermente zuccherato.

    - Prima, sul presto, è passata la signorina Oltrepò. Sai, la maestra in pensione. Credeva che avessimo aperto in anticipo per la morte di qualcuno. L'ho tranquillizzata. Dimenticavo, mi ha anche detto di salutarti. Che donna gentile.

    - Già - commentò Enrico. - è proprio una gentile e simpatica vecchietta. Sarà per me un dispiacere quando toccherà a lei affidarsi alle nostre cure.

    Capitolo III

    Quando la signorina Oltrepò giunse in largo del Lazzaretto le normali attività del centro erano ormai iniziate e, davanti al commissariato di polizia, che si affacciava anch'esso sull'incrocio delle due principali strade di Castelmorte, incontrò don Carlo Torretta, parroco di San Sebastiano da quarant'anni, un uomo semplice, avanti con l'età ma in gamba che non aveva ancora pensato di lasciare il proprio posto a qualche giovane prete filippino o indiano, come invece era accaduto in altre parrocchie del territorio astigiano. La ex maestrina, devota a San Sebastiano e fervente cattolica, era stata per molti anni una delle colonne portanti dell'associazione Pie Donne del Santissimo Sacramento, una sorta di esclusivo club di volontarie pronte a fare da perpetue, governanti, addette alle pulizie e collaboratrici al servizio della casa parrocchiale e dell'annessa chiesa. Per le pie donne il fine ultimo di questo sodalizio non era semplicemente quello di rendersi utili al parroco e di scontare così qualche peccatuccio di troppo ma, principalmente, di tenersi aggiornate su tutto quello che, giornalisticamente parlando, era etichettato come gossip locale. Non che un posto come Castelmorte avesse chissà quale vita mondana ma, sapendosi accontentare, l'associazione delle Pie Donne del Santissimo Sacramento poteva essere il luogo ideale dove intercettare ogni novità riguardante la vita privata di chi veniva accuratamente, suo malgrado, attenzionato. In più di un'occasione don Torretta aveva richiamato all'ordine le proprie collaboratrici ricordando loro di quanto il pettegolezzo potesse nascondere la coda del Diavolo ma, giurando di non aver nessun intento denigratorio verso i concittadini, le pie donne avevano continuato a commentare tra una spazzata in canonica e una spolverata sull'altare ogni genere di diceria raccolta in giro.

    Il sacerdote, vedendola camminare nella sua stessa direzione, si avvicinò alla signorina Oltrepò invitandola a fermarsi per fare due parole.

    - Mi scusi se non mi fermo - rispose la donna. - Ho un appuntamento con il sindaco e non voglio farlo aspettare. Domenica, dopo la messa, avremo modo di discutere di quel suo problema e di ciò che potrà fare se avrà intenzione di ascoltarmi e di vedere quella persona di cui le parlavo l'altro giorno.

    - Va bene. Non voglio trattenerla. Sono sicuro che comprende la mia situazione e il perché le sto facendo fretta ma vorrei che non ci

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