Dialoghi sulla morte... e sulla resurrezione
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Dialoghi sulla morte... e sulla resurrezione - Pierluigi Toso
INTRODUZIONE
La Bellezza[1]
[2] Mi riferisco a quella Bellezza precisata nelle Scritture, la quale non è mai indifferente alla Bontà, così come l’estetica che vi si relaziona non può mai ignorare l’etica. Bellezza ed estetica assumono Bontà ed etica, portandoli con sé e dentro di sé.
, la Verità e la loro Unità, la quale si configura come un fatto
di vita autonoma paradossale che prende vita proprio quando esercita ciò che è unendo per l’appunto Bellezza e Verità, esprimono unitamente quanto è stato intuito sia da un punto di vista filosofico sia da un punto di vista teologico riguardo a ciò che la filosofia chiama Essere e la teologia definisce
come Dio. Tali attributi divini, che normalmente sono definiti come i trascendentali
, esprimono le fondamenta di ogni possibile discorso sull’origine e sulla fine, evidentemente con riferimento alla tradizione proveniente dalle Scritture e/o legata alla filosofia greca in tutte le sue forme, anche quelle moderne[2]. L’uomo però si trova a vivere in un tempo e in uno spazio che determinano e limitano la propria esistenza, dandogli nel contempo la possibilità di esprimersi, allo stesso modo in cui fa il linguaggio, il quale prende esistenza definendo qualcosa ed escludendo l’infinito restante. È in tale esistenza che una parola sembra essere la più terribile da nominare, mentre invece, come cercherò brevemente di spiegare in questa introduzione, racchiude la potenza reale di un cambiamento che l’umanità può imprimere a se stessa, proprio nei confronti delle Bellezza, della Verità e dell’Unità che in qualche modo la fondano.
La considerazione più istintiva che l’uomo compie nel suo pensiero individuale è individuare nella morte l’antagonista della vita, un fatto che implicitamente esprime anche Paolo nelle sue Lettere, laddove richiama una vittoria sulla morte stessa da parte della vita portata nella risurrezione. In realtà, una prima riflessione di carattere non egocentrica rivelerebbe come la morte si mostri indispensabile alla vita del pianeta, in quanto, essendo lo spazio ed il tempo che fanno la storia dell’uomo limitati e frammentari nel loro fluire, non potrebbero permettere una presenza numericamente umana, quest’ultima da considerarsi sia orizzontalmente cioè spazialmente sia verticalmente considerando il fluire delle stagioni, degli anni e dei secoli, innumerevole
come quella esistita fino ad oggi. Con altre parole si può brutalmente affermare che io stesso non sarei qui a scrivere queste righe se altri prima di me non fossero morti per lasciare spazio alla mia vita, morte che evidentemente io stesso dovrò accettare in tale riflessione d’umanità.
A quanto appena espresso si può opporre un sentimento ancora una volta egocentrico, il quale si ribella all’accettazione di una morte che implicitamente mina le fondamenta del senso della stessa esistenza umana, quantomeno individuale. Per rispondere a tale obiezione è necessario ancora una volta ricorrere ad una riflessione che abbracci l’umanità nel suo complesso, per poi giungere ad un pensiero fondato inerente il singolo. Innanzitutto, se la morte non esistesse l’ingiustizia tra gli uomini si procrastinerebbe all’infinito, esprimendo quel rapporto padrone-schiavo che filosoficamente a trovato la sua spiegazione più elevata e più profonda grazie alle pagine scritte da Hegel nel libro intitolato La Fenomenologia dello Spirito
. Un testo leggibile certamente anche in chiave teologica, con particolare riferimento alla tradizione dogmatica cristiana, che definisce il dispiegarsi del Dio umano nella storia, il quale si è dovuto
inchinare al Dio Onnipotente. Proprio quel rapporto di servitù esistente tra gli uomini, riflesso del rapporto divino hegeliano è frangibile nel momento in cui la morte esprime se stessa, pur nella sua non esistenza in quanto negatività. È grazie alla morte che l’uomo può prendere coscienza dell’inutilità di scopo e dell’approdo al nulla insito nella ricerca di sopraffazione e di servitù da imporre al proprio simile, richiamando quella corsa spermatozoica che sta all’origine di ogni vita umana concepita naturalmente, una natura che biblicamente indica un qualcosa di decaduto e di successivo alla Creazione rivelata, infatti, la parola natura non esiste nel Tanach, cioè nel testo ebraico originario delle Scritture[3].
Quando l’uomo e l’umanità prendono consapevolezza della morte e del suo significato, senza fuggirla, ma facendo ricorso alle facoltà di cui dispone per comprenderla, può intraprendere quel percorso di vita che si rivolge alla Bellezza, alla Verità e all’Unità. Un percorso definito comunemente di fede
, la quale però nulla ha a che vedere con un sentimento pietistico che rinuncia alla ragione e alle facoltà umane, anzi essa è quella forza che le raccoglie nella loro complessità per renderle unite e semplici[4] verso quell’ordine di bellezza che permette la massima espressione della vita dell’umana[5]. Quest’ultima da considerarsi sia nell’individualità sia come socialità, cioè come umanità personale
, infatti, il concetto di persona esprime la relazione di individui e solo in tale relazione un uomo è una persona.
Dunque, la morte è chiaramente da vedere come una sorella, così come la vedeva Francesco di Assisi, il quale, in tal senso non era giunto per caso a lodare la Bellezza del Creato unitamente alla stessa morte.
DIALOGHI SULLA MORTE… E SULLA RISURREZIONE
PROLOGO
Adamo sembra oramai felice del tempo trascorso con Gabriele in cui ha compreso ciò che poteva dei trascendentali, dei connotati
di Dio. Improvvisamente però, mentre cammina con lo sguardo rivolto verso la terra, ripensa alla propria origine, così legata alla terra stessa ed al tempo. Inizia così a riavere paura, nutrendo quel timore e tremore
e quella consapevolezza di canna sbattuta dal vento cui giunge ogni filosofo d’esistenza[6]. È in tale momento che chiama con un quasi grido di croce Gabriele, il quale sembra non ascoltare le sue urla.
Adamo: Gabriele! Gabriele! (scende una lacrima dal volto di Adamo forse del pianto)
Nessuno risponde, Adamo continua il suo peregrinare in una terra di deserto senza preoccuparsi dell’acqua, perché ora la sua sete è altra, radicalmente altra.
Adamo: Gabriele!
All’orizzonte appare un uomo, la sua età è ben descritta dai Salmi[7], cammina lentamente con serenità, mentre Adamo, una volta scorto, gli corre appresso per parlargli.
Adamo: Ehi! Uomo!
L’uomo si volta e risponde.
Socrate: Dici a me!
Adamo: Sì, e a chi se no!
Socrate: Ti vedo tremante, cosa ti è successo?
Adamo: La morte!
Socrate: Spiegati meglio.
Adamo: Mi sto sgretolando, la mia anima è triste, infinitamente rassegnata.
Socrate: Hai paura della morte?
Adamo: Certo! Tu no?
Socrate: Sinceramente no. La accettai con serenità grazie alla mia coscienza d’etica.
Adamo: Ora sei tu che devi spiegarti.
Socrate: Vedi, prima di morire pensavo che la morte fosse un sonno eterno oppure un risveglio insieme ai grandi del passato.
Adamo: Dunque sei morto?
Socrate: Tu che ne dici?
Adamo: A me sembri vivo.
Socrate: Allora avevo formulato un’ipotesi giusta.
Adamo: Ma chi sei?
Socrate: Adamo, ci siamo già incontrati in passato eppure non mi riconosci.
Adamo: Aiutami a riconoscerti.
Socrate: Cammina insieme a me e forse ti ricorderai il tempo passato di ricerca passato insieme.
Adamo: Cammino volentieri con te.
Socrate: Mi sembri già più solido.
Adamo: La tua ragione mi ha rasserenato, anche se attendo parole migliori
.
Socrate: Anch’io attendo parole migliori delle mie, cerchiamole.
ATTRAVERSANDO DEI LIBRI
Adamo e Socrate si avviano in silenzio verso una