Amleto Vespa spia in Cina (1884- 1944)
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Amleto Vespa spia in Cina (1884- 1944) - Francesco Totoro
Stefano
Al lettore
Su una bancarella di libri usati a New York spiccava su una pila la copertina rossa con il titolo Secret Agent of Japan e il nome dell’autore Amleto Vespa. Italiano, sicuramente di origini abruzzesi, meglio aquilano: non potevo non acquistarlo per amore delle comuni origini abruzzesi. Mai però sentito parlare di un Amleto Vespa e nel giro di qualche ora iniziai sul web le ricerche.Trovai qualcosa, come la conferma della sua aquilanità e la ricostruzione per grandi linee della sua avventura in Cina. Il libro s'è poi nascosto nei mesi successivi da qualche parte nella mia libreria, fino a quando un articolo su il quotidiano Il Foglio nel febbraio del 2006 me lo ha riproposto con invadente sollecitudine: che fine ha fatto Amleto Vespa? Cominciai allora la mia ricerca da L'Aquila, con poche speranze perché non avevo alcuna indicazione e nessuno conosceva in alcun modo la storia di Amleto Vespa.
Fortunosamente riesco a reperire nell'Archivio di Stato il suo foglio di congedo. All'Archivio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito mi dicono che è un documento con una vistosa anomalìa: l'articolo citato nella motivazione del congedo è volutamente inesatto.
Comincia a lievitare un'aura di mistero che mi lega via via alla storia. Rintraccio della famiglia l'unica discendente, Angela Vespa, una pronipote che con grande cortesìa mi mette nelle condizioni di leggere alcune lettere. Altra tappa obbligata l'Archivio del Ministero degli Affari Esteri dove per alcune settimane e con grande disponibilità da parte dei funzionari mi vengono messi a disposizione alcuni faldoni con la documentazione dei rapporti tra Italia e Cina dal 1920 al 1945.
Continuava a colpirmi durante le ricerche fra le veline dei rapporti diplomatici l'assenza del nome di Vespa. Leggo tutta la documentazione sul traffico d'armi, lo stesso che Vespa cita nel suo libro, neppure una parola sul suo ruolo. Cosa ha inghiottito l'italiano diventato Capo della polizia segreta del governatore della Manciuria ?
L’unico documento - un singolo foglio dattiloscritto in carta velina che parla di Vespa e conferma una parte delle sue memorie - lo rintraccio dopo settimane in un faldone dell'Archivio della Farnesina, sotto la dicitura Contenzioso
. Da lì è iniziato, attraverso altri documenti, libri, testimonianze un pedinamento al quale sistematicamente Amleto Vespa si sottraeva, pure se la sua silhouette era sempre visibile: misteriosi restavano i contorni, ingiustificate le coincidenze e le assenze.
Il suo cognome ha martellato le cronache di guerra di Shanghai per mesi tra il 1944 e il 1945, le copie del suo libro andavano a ruba sotto l’occupazione giapponese eppure a guerra finita è rimasto improvvisamente sepolto sotto il telo del silenzio. Nessuno ha voluto più occuparsi della parabola dell'italiano, spia in mano dei Giapponesi prima e dei Cinesi dopo, probabilmente abbandonato anche dagli Americani dei quali aveva cercato di mettersi a disposizione.
Sicuramente non un eroe. Neppure lui si riteneva tale, facendo il bilancio delle sue avventure tra la Manciuria e Shanghai. Ma a suo modo uno fuori tempo per la sua epoca, leale e onesto quanto basta, caduto un po’ per caso, un po’ per necessità ma anche ingenuamente nel ruolo di spia. Come si sarà accorto il lettore che abbia avuto la pazienza di arrivare fin qui.
Seguendo non gli indizi esplicitamente elencati nella sua biografìa - spia era e da spia, occultando le tracce, ha scritto anche il suo memoriale - ma quelle omessi o sottintesi ho ricostruito un percorso diverso da quello raccontato nelle schede biografiche che fluttuano attorno alla sua figura. Ed anche nelle due pubblicazioni che in Italia si sono occupati di Amleto Vespa: La spia di Harbin di Ilario Fiore (ed.SEI) e Le grandi spie di Andrea Carlo Cappi (ed.Vallardi)
Non dunque il giornalista che dal Messico attraverso il Vietnam arriva in Manciuria (scrivendo a suo dire corrispondenze di cui nessuno ha trovato traccia in Italia) ma un po’ uomo d’affari e un po’ avventuriero che dagli U.S.A. arriva a Vladivostok in Siberia e da lì passa in Manciuria, dopo il crollo degli zar e la fine dell'impero cinese.
In cerca di fortuna, si mette a disposizione dell'Italia e degli alleati del suo Paese, finendo travolto di volta in volta dai capovolgimenti della Storia. Questa è stata la parabola del Comandante Feng; confido di averla resa nella mia ricostruzione del suo racconto.
Grazie doveroso per la preziosa collaborazione all'Archivio del Ministero degli Affari Esteri; al Centro Documentazione dello Stato Maggiore dell’Esercito, alla famiglia Vespa. Grazie anche al lettore che incuriosito – spero - dall'avventura di Amleto Vespa ha avuto la pazienza di seguirmi fin qui.
Febbraio 2014
Via via che questo libro prendeva corpo e l’autore mi rendeva partecipe della dovizia di informazioni, sempre documentate, che con pazienza certosina e fiuto giornalistico riusciva nel tempo ad acquisire, scorrevano davanti ai miei occhi I momenti della fanciullezza, ormai lontana nel tempo, con mia nonna Celeste e mio padre Alessandro, due persone a me tanto care.
Devo a loro, infatti, I primi ricordi della figura di Amleto, mitico componente della famiglia Vespa che veniva, giorno dopo giorno, a ingigantirsi nella mia memoria attraverso il racconto di quelle misteriose e ai miei occhi affascinanti avventure dello
zio cinese , un po’ eroe e un po’ avventuriero, ma pur sempre
zio Amleto, legatissimo a mia nonna, sua prima cognata, alla sua numerosa famiglia originaria e alla sua terra, l’Abruzzo.
Un personaggio appassionante, per certi aspetti incredibile, a cominciare dalle sue peregrinazioni in tre continenti, dalla straordinaria abilita’ ad affermarsi in contesti all’epoca per molti quasi ignoti . Senza farsi travolgere dai rovesci, capace con tenacia di riemergere da protagonista, dopo essersi mimetizzato tra razze diverse al momento opportuno, e’ riuscito ad avvolgere in un alone di mistero anche la sua scomparsa.
Desidero esprimere un sincero ringraziamento all’autore per il lavoro svolto, perchè è riuscito a fornire di Amleto Vespa una lettura, documentata, ricca di esotismo, di intrighi, di coraggio e, in fondo, di simpatia.
Angela VESPA
UN PARADISO SENZA PACE
1936 una domenica d’ ottobre.
L’uomo che guarda Shanghai appoggiato alla finestra con in mano alcuni fogli dattiloscritti è un uomo condannato a morte dal servizio segreto giapponese. I fogli che ha appena finito di leggere sono il memoriale sulla sua vita di spia. Sta organizzando una partita complicata convinto di poter mettere in salvo i suoi beni congelati dai Giapponesi in Manciuria; mettere in salvo la moglie Giannina, i due ragazzi Italo e Genevieve e naturalmente mettere in salvo se stesso, visto che i Giapponesi hanno scoperto il suo doppio gioco con i Cinesi. Il memoriale che sta scrivendo deve servire a garantirgli la protezione degli Americani: è il suo salvacondotto per lasciare la Cina e cercare rifugio negli USA. Ha intenzione di completarlo in brevissimo tempo e di consegnarlo ad un giornalista australiano, corrispondente di alcuni quotidiani britannici. Le sue memorie di agente segreto sono redatte in inglese: è la lingua che conosce meglio delle cinque o sei che pratica.
L’uomo si chiama Amleto Vintorino Vespa, ha passaporto italiano e nazionalità cinese, è nato 53 anni prima all’Aquila, città protetta dalle montagne, nella regione allora degli Abruzzi. Ha lasciato a 27 anni l’Italia dove non è più tornato. L’appartamento che occupa si trova nella Concessione francese di Shanghai, a due passi dal Bund, la più elegante delle grandi arterie della città che conta, al tempo della guerra sino-giapponese, oltre tre milioni di abitanti. Quella guerra che lo ha intrappolato e da cui deve salvarsi. Nella Concessione Internazionale, zona franca amministrata da Francesi e Inglesi, coperto dalla rete protettiva dei suoi amici italiani e cinesi, Amleto Vespa- fuggito qualche mese prima da Harbin - aveva pensato di poter resistere ancora qualche tempo con la famiglia al riparo dai Giapponesi. Ma s’era reso subito conto che Shanghai non era più un posto molto sicuro. La città sembrava non accorgersi che i Giapponesi ormai erano alle porte. E che di lì a poco sarebbe stata conquistata. Shanghai che in cinese significa sopra il mare
ad Amleto Vespa era sempre apparsa al di sopra di tutto, della morale e della comune legge degli uomini. Spesso la sorvolava in aereo, il mezzo di trasporto che aveva cominciato ad apprezzare da quando i treni erano facile obiettivo militare nella Cina attraversata dalla guerra civile. Gli piace guardare dal finestrino dell’aereo quella città cresciuta a dismisura. Honkow, con le isole verdi dei suoi parchi; Chapei ragnatela di piccole strade sovrastate dalle alte ciminiere delle grandi fabbriche, cresciute disordinatamente proprio sulla ampia curva del fiume Huangpu. E poi il quartiere francese dove si sente al riparo dei Giapponesi attaccato alla Concessione Internazionale, esteso verso ovest per otto chilometri. Un ponte, il Garden Bridge collega la vecchia Cina al dominio britannico. Dopo il ponte i giardini pubblici, all’ingresso la scritta Cani e cinesi non sono sono ammessi
.Lungo il Bund banche e grattacieli, poi il Soochow Creek, una striscia sottile fra la Cina e la Concessione inglese.
Dall’altra parte del Soochow Creek c’è la vecchia città cinese, un’ammucchiata di tetti rossi, addossata alla Concessione internazionale. Al numero 651 di Bubbling Well road l’esclusivo Country Club. A pochi isolati, al 555 il Consolato Italiano. Quando Vespa con la famiglia lascia la sua Manciuria per Shanghai, fuggendo dai Giapponesi, Roma aveva già voltato le spalle a Pechino e al governo nazionalista di Chiang Kai-shek. Aveva preferito il patto con il Giappone e la Germania. Il Ministro degli Esteri Galeazzo Ciano aveva aperto una rappresentanza diplomatica a Mukden, in Manciuria. Ciano si apprestava così a dare una mano ai Giapponesi, facendo irritare il governo cinese del Kuomintang e il generalissimo nazionalista Chiang Kai-shek