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L’innocenza che uccide
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L’innocenza che uccide
Ebook362 pages4 hours

L’innocenza che uccide

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About this ebook

La nascita di una neonata è causa di una serie di morti accidentali e provocate. La sua esistenza incrocerà quella di Susanna, una ragazza che vede la sua vita cambiare da un momento all' altro, sfiorando una pazzia alimentata dalle apparizioni di una misteriosa quanto inquietante figura. E' la sua mente a crearla? La ragazza sconvolgerà i destini di chi la circonda, ma il vero carnefice rimane l'innocenza di quella bimba... Un'innocenza che uccide.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateOct 18, 2012
ISBN9788867514328
L’innocenza che uccide

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    L’innocenza che uccide - Roberto Ziviani

    Roberto Ziviani

    L’innocenza che uccide

    Youcanprint Self - Publishing

    Copyright © 2012

    Youcanprint Self-Publishing

    Via Roma 73 - 73039 Tricase (LE)

    Tel. 0832.1836509

    Fax. 0832.1836533

    info@youcanprint.it

    www.youcanprint.it

    Titolo | L’innocenza che uccide

    Autore | Roberto Ziviani

    Immagine di copertina | © Maresol - Fotolia.com

    ISBN | 9788867514328

    Prima edizione digitale 2012

    Questo eBook non potrà formare oggetto di scambio, commercio, prestito e rivendita e non potrà essere in alcun modo diffuso senza il previo consenso scritto dell’autore.

    Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata costituisce violazione dei diritti dell’editore e dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla legge 633/1941

    « Anche il bene ha due lati: uno buono e uno cattivo. »

    (Stanislaw Jerzy Lec)

    Ai miei genitori.

    Prefazione

    Diciotto anni fa iniziai a scrivere un romanzo giallo. Così giallo che ancora oggi nessuno di chi lo ha letto è riuscito a sapere come sarebbe finito, in quanto dopo i primi tre capitoli è rimasto incompiuto.

    Ora ci riprovo.

    Questo è ovviamente diverso dal primo, la cui trama è andata perduta nei meandri della mia mente. Non ha la pretesa di essere un best-seller: non mi ritengo a tale altezza, ma spero che questo romanzo riesca a farvi entrare nella vicenda, vivendone con intensità ogni suo aspetto e momento.

    È totalmente frutto della mia fantasia, per cui ogni personaggio ed avvenimento non ha alcun riferimento con fatti o persone realmente accaduti o esistite. Ovviamente ogni riferimento a fatti e personaggi realmente esistiti è da attribuirsi a pura casualità.

    Avvincente o noioso, bello o brutto che sia questo romanzo, il giudizio sarà solo vostro.

    Mio è il ringraziamento a chi mi ha tramandato ereditariamente la fluida capacità di scriverlo: mio padre, persona di grande capacità narrativa.

    Mio è il ringraziamento a chi, forse inconsapevolmente, mi ha ridato l’entusiasmo e la voglia di riprendere a cimentarmi con un impegno che richiede doti non mie: costanza, pazienza, perseveranza. Questa persona magnifica è la mia compagna, la cui presenza al mio fianco è a me indispensabile quanto l’aria che respiro.

    Mio è, infine, il ringraziamento a me medesimo per aver acquisito la forza di vincere quella mia naturale volubilità che mi avrebbe sicuramente impedito di portare a termine questo romanzo.

    1

    Con il cuore che le batteva in gola ed il fiato che sembrava lo stantuffo di una vecchia locomotiva a vapore, Susanna si ritrovò all’improvviso nella realtà del suo letto. Scattata come una molla si trovava ora seduta, in preda al terrore, nel buio della sua camera. Non riusciva ancora a rendersi conto che tutto questo era stato soltanto il frutto di un incubo.

    Si guardò intorno e nel buio, gradualmente: l’ambiente domestico che la circondava cominciò a manifestarsi nella consapevolezza di essere nella sua camera. Il suo letto, la sua cassettiera, il suo armadio, sebbene invisibili erano ancora lì al loro posto. Pur non vedendoli ne percepiva la presenza e questo cominciò a tranquillizzarla.

    Si rese conto di trovarsi sul suo materasso, come sempre morbido ma questa volta fradicio; pensò che l’incontinenza fosse conseguenza dell’incubo ma si rese subito conto che si trattava della sua sudorazione: era completamente bagnata da capo a piedi.

    Si pose una mano sul petto e sentì il cuore che tornava lentamente al suo battito regolare. L’altra mano cercò istintivamente i suoi capelli per accarezzarli maternamente, a darle di nuovo un po’ di rassicurante tranquillità in quella sua mente ancora sgomenta.

    La radiosveglia sul comodino indicava che oramai non c’era più tempo per recuperare un po’ di sonno, ma Susanna in quel momento avrebbe comunque avuto il terrore di riaddormentarsi nuovamente.

    Infastidita dalla sensazione di umidità che la sua biancheria intima le procurava, Susanna decise che le undici e ventiquattro di mattino fossero già un buon motivo per alzarsi, mentre la paura di riaddormentarsi e proseguire quell’incubo fossero invece una condizione imprescindibile per farlo.

    Alzò la tapparella ed aprì la finestra.

    Nonostante fosse ancora gennaio, l’aria di Rozzano, cittadina limitrofa al capoluogo milanese, non le sembrava così tanto fredda. Il suo reggiseno e le sue mutandine bianche, ancora impregnati di sudore, contestavano però quell’azione dando a Susanna l’impressione di ghiacciarsi.

    Provò una sensazione raramente ripetibile: Il freddo provocato dai suoi pochi indumenti umidi contrastava quella sensazione di aria fresca e ristoratrice che placava il bollore del suo ventre sudato, come un secchio d’acqua gelida gettato a due metri da dove arde il fuoco.

    Un brivido la costrinse alla fuga precipitosa verso il bagno padronale. In un attimo la sua mente era lucida e già riepilogava il programma della sua giornata, rimproverandola per quell’incosciente azione che poteva costarle un raffreddore.

    Passò davanti allo specchio e, come sempre, vi si fermò qualche istante: capelli neri con taglio a caschetto, sebbene ora arruffati, viso arrotondato con due tenere guance paffute che invitavano ad essere mordicchiate, occhi verde smeraldo, seni sodi e prorompenti, fianchi ben armonizzati con il resto del corpo: era lei. L’incubo era finito.

    Da quando le era stato diagnosticato un tumore al seno, Susanna era spesso vittima di incubi. A detta dello psicologo era il normale frutto delle sue ansie, unite alla penosa visione della desquamazione delle sue mani e dei suoi piedi a causa dell’assunzione di Capecitabina, un farmaco anti-tumorale.

    Susanna Bellizzi, ventinove anni, da due laureata in lingue presso una delle più affermate Università di Milano, non poteva permettersi di perdere tempo standosene febbricitante in un letto. Dopo la laurea si era messa alla ricerca di un qualsiasi lavoro per aiutare la madre, vedova da oramai sedici anni.

    Il padre Guido era un impiegato in pensione: una pensione troppo anelata e poco goduta a causa della sua morte dopo appena otto mesi dal congedo di lavoro. Un Incidente.

    Uno stupido incidente che segnò indelebilmente la vita della famiglia. Come tutte le mattine, Guido si svegliava poco prima dell’alba e si recava dal giornalaio per poi, dopo la solita mezz’ora di chiacchiere, passare dal panettiere dove acquistava il pane ancora caldo e qualche dolce appena sfornato per la colazione della moglie e della figlia allora sedicenne. Faceva poi ritorno a casa prima che le due si alzassero; preparava il caffè per la moglie e la cioccolata calda per Susanna: il suo orgoglioso scopo per vivere da pensionato. L’ultima delle sue albe vide Guido Bellizzi recarsi dal giornalaio e, dopo le solite chiacchiere, incamminarsi verso il panettiere. Durante il tragitto, quell’alba invernale vide Guido, uomo di imponente stazza, accasciarsi improvvisamente a terra, avvolto dalla prima nebbia sul ciglio della strada che quasi costeggia il Naviglio Pavese. Il tenue sole da poco spuntato, reso bianco dalla nebbia circostante, osservò Guido in preda agli ultimi sussulti che parevano interminabili, cui seguì un’improvvisa quiete che sapeva di morte: un corpo che non si muoveva più. Il corpo massiccio di un uomo dai capelli ormai grigi ed il volto grassoccio, avvolto da un cappotto marrone. Un corpo divenuto in pochi minuti un involucro privo di vita.

    Intorno il nulla. Troppo presto, ancora, perché il traffico stradale diventasse regolare ed intenso. Per più di mezz’ora giacque sul ciglio della strada fino a che un passante si accorse di quel fagotto di vestiti e, fermata l’auto in preda ad un atroce dubbio, fece la triste scoperta: un uomo rannicchiato con in mano un sacchetto di pane e dolci ed un quotidiano, ancora piegato, poco più in là. Un gelido volto ormai apparentemente sereno, sebbene totalmente inespressivo e privo di quella cera che per istintiva sensazione conferma la presenza di energia vitale. Un sacchetto di pane ormai freddo come il volto dell’uomo. Le dita del passante sulla tastiera del telefono cellulare tremavano a tal punto che per comporre tre semplici numeri, l’uomo dovette provarci più volte. Alla fine riuscì a comporre il 113: il numero di emergenza della Polizia di Stato.

    Maria, sua moglie, quella mattina si svegliò in preda all’ansia senza conoscerne il motivo. Suo marito non c’era, ma questo era normale: sapeva che sarebbe rientrato con il pane ed i dolci per la colazione. Sapeva che avrebbe svegliato Susanna con una tenera carezza sui suoi capelli neri. Sapeva che Susanna si sarebbe svegliata ribellandosi al dovere di alzarsi per andare a scuola. Sapeva che poco dopo sarebbero stati tutti intorno al tavolo della cucina, davanti ad una bella colazione tra le chiacchiere del marito sulle ultime novità apprese dal giornalaio e la faccia ancora assonnata di Susanna che protestava sull’ingiustizia che costringeva un individuo a dover alzarsi presto per tutta una vita. Guardando la sveglia, Maria si meravigliò che il marito non fosse ancora tornato. Pensò che si fosse trattenuto con il suo amico giornalaio per fare qualche chiacchiera in più e giustificò così a se stessa quella stupida ansia che provava: non aveva sentito lo sferragliare del marito sui fornelli con il necessario per preparare la colazione.

    Decise di alzarsi e di rimettere in sesto il suo aspetto prima del ritorno del marito.

    Maria era una donna ancora molto attraente: sebbene avesse partorito la figlia Susanna a 28 anni la sua pelle ed il suo corpo di cinquantasettenne erano ancora preda degli sguardi di chi, per strada, la incrociava. Non usava truccarsi molto e non amava tingersi i capelli: ciò nonostante era una donna che in pubblico esprimeva ancora la sua piena femminilità. Capelli scuri a caschetto con riflessi argentati, occhi verdi, volto piuttosto lungo ma ben proporzionato, le conferivano un fascino quasi mistico.

    Una telefonata, da lì a breve, cambiò il destino della famiglia Bellizzi: il distretto locale della Polizia di Stato avvertiva con cinica freddezza la signora Lunghi Maria in Bellizzi che un cadavere, i cui documenti identificavano tal Bellizzi Guido, era stato da poco rinvenuto in Rozzano, via Cassino Scanasio. Ancora ignare le cause della morte. Si pregava la signora Maria Lunghi in Bellizzi di recarsi con urgenza presso il reparto di medicina legale dell’Ospedale San Carlo Borromeo in via Pio II a Milano per il riconoscimento della salma.

    Quel giorno Susanna non fu svegliata dall’affettuosa mano del padre sui suoi capelli neri. Quella stessa mano che, se prima la infastidiva, sarebbe negli anni divenuta la stessa mano di lei ad emularne le carezze ogni volta che provava sensazioni di inquietudine. Quasi fosse suo padre che le sussurrava: Stai tranquilla, piccola peste: va tutto bene…. Quella mattina Susanna non ebbe il tempo di protestare per le ingiustizie della vita che costringeva un individuo a svegliarsi controvoglia: in seguito la protesta sarebbe stata differente e ben più grave, circa le ingiustizie della vita. A svegliare di soprassalto Susanna fu l’isterico pianto della madre. Poi, perdendo ogni cognizione del tempo, si trovò seduta su un taxi vestita di tutto punto, con la mamma a fianco che tratteneva rabbia, lacrime e dolore. Non ci volle molto a comprendere: prima ancora che Maria cercasse le parole giuste, Susanna aveva già capito che qualcosa di terribile stava accadendo.

    2

    La morgue del San Carlo Borromeo era ovviamente ben differente dai reparti di medicina infantile. Era da allora che Susanna non entrava in quell’ospedale: da quando fu ricoverata per qualche giorno a causa di uno streptococco beta emolitico, curato poi con un antibiotico. Al posto di colorate pareti variopinte con personaggi di fumetti e cartoni animati vi erano lunghi e tetri corridoi grigi a sembrare quasi un labirinto nel quale, passo dopo passo, l’atmosfera diventava sempre più freddamente squallida. Ma la morte era poi così priva di calore? Perché queste pareti, questo pavimento e l’ambiente circostante, medici compresi, non avevano nulla che richiamasse un poco il calore umano? Susanna camminava come un automa, con questi pensieri per la testa; i volti tesi di sua madre, dell’ispettore di Polizia e dello staff medico non la aiutavano certo a sentirsi meglio. La sua mano nei capelli e la sua mente che continuava, quasi monotonamente, a ripeterle Stai tranquilla, piccola peste: va tutto bene... erano le uniche cose sulle quali il suo fragile sistema nervoso, ormai provato al limite delle sue forze, poteva fare affidamento.

    Giunti davanti ad una porta doppia di alluminio grigio, Susanna fu costretta con insistenza a non entrare. Rimase lì fuori ad attendere in compagnia di un’infermiera dello staff, la quale cercò inutilmente di intrattenerla con discorsi evasivi, molto interessanti in un altro contesto di vita. Maria e l’ispettore di Polizia, insieme al medico legale, entrarono nella stanza entro la quale erano contenute le varie salme. Una cella si aprì a compasso ed una sorta di piccola gru meccanica ebbe il compito di agganciare il cassetto contenente il cadavere per poi depositarlo con precisione millimetrica nel mezzo del rettangolo segnato in grigio al centro della sala pavimentata in linoleum bianco. Il cassetto si aprì automaticamente sui quattro lati trasformandosi in un lettino. All’interno la sagoma di un corpo, totalmente coperto da un lenzuolo verde scuro.

    «Posso scoprire?», chiese il medico legale fissando alternativamente i volti dell’ispettore e di Maria, con un tono di voce professionale. «Signora, si sente in grado di riconoscere il cadavere?», domandò l’ispettore a Maria. «Sì...Credo di sì…» rispose la donna con aria smarrita. In quel momento, dentro la sua mente, stava esplodendo un ordigno fatto di mille sensazioni: ricordi, paure e speranze si alternavano vorticosamente nella sua mente sino a provocarle una forte confusione mentale; quasi un effetto ipnotico, a sembrare una sorta di anestetico di fronte alla scena cui Maria avrebbe dovuto assistere. Nemmeno lei sapeva se sarebbe svenuta oppure se avrebbe resistito. E poi, come dire a Susanna che quello era suo padre? Perché Susanna non era lì? Perché era lì, da sola, con due sconosciuti senza nessuna spalla amica su cui piangere in quel momento? Non c’era tempo: doveva decidersi. «Sì, tolga il lenzuolo, Dottore…». Il medico legale, con una gestualità ormai rituale, scostò il lenzuolo senza usare troppa fretta né troppa lentezza.

    Era lui.

    Il dignitoso pianto di Maria non diede spazio ad altre parole di conferma. L’ispettore, di istinto, abbracciò la donna che esplose il suo sfogo di lacrime sulla spalla del poliziotto. Maria trovò, in quel momento, la forza di capire quanto gli esseri umani siano legati da un istintivo senso di fratellanza e di calore umano, inimmaginabili nel quotidiano di ogni uomo. Così le sembrava. Stringeva uno sconosciuto al quale non avrebbe nemmeno rivolto il suo saluto per strada allo stesso modo in cui avrebbe abbracciato un fratello, piangendo sulla sua spalla senza alcuna ritenzione e vergogna. Capì ciò che differenzia l’uomo da tutti gli altri generi animali: comprese il significato di fratellanza umana. Almeno così le parve in quell’abbraccio che scaricava tutta la sua tensione emotiva.

    Quando Maria uscì dalla stanza, Susanna non ebbe motivo di chiedere conferme: il volto della madre appariva come la pagina di un quotidiano, quel quotidiano che suo padre comprava ogni giorno. Ma questa volta non c’erano scritte notizie di vicende vissute da altri e nemmeno le chiacchiere di suo padre con il giornalaio. C’erano scritti il passato, il presente ed il futuro della sua vita.

    3

    L’acqua della doccia era particolarmente calda: forse perché il corpo di Susanna aveva assimilato l’aria gelida di quella mattina invernale, a dimostrarle la certezza che il suo incubo notturno era terminato; oppure perché infilarsi sotto la doccia così precipitosamente, forse le provocava quella sensazione. Di certo l’acqua troppo calda non riusciva a distogliere Susanna dai suoi pensieri: da quell’incubo appena vissuto, del quale non rammentava che l’ultima agghiacciante parte, ai quotidiani ricordi di suo padre e della sua morte. Anche se gli anni erano passati e Susanna aveva visto il suo corpo affinare magnificamente il proprio sviluppo sino a trasformarsi in una splendida anatomia di donna, nella sua mente la voglia di rimanere ragazzina combatteva prepotentemente quel senso di responsabilità che impegna l’essere adulto in una vita fatta di problemi e di prospettive per costruire il proprio futuro.

    Sotto quel getto di acqua calda che scivolava copiosa sul suo corpo creando rigagnoli tra le masse di bagnoschiuma che coprivano i suoi seni, il suo ventre e le sue natiche, la solita cara canzone di Vasco Rossi risuonava nella mente di Susanna prendendo posto ai suoi pensieri, quasi a volerli prepotentemente cancellare.

    "Sally cammina per la strada senza nemmeno

    Guardare per terra,

    Sally è una donna che non ha più voglia

    Di fare la guerra…

    Sally ha patito troppo,

    Sally ha già visto che cosa

    Le può crollare addosso…

    Sally è già stata punita…

    …Perché la vita è un brivido che vola via,

    È tutto un equilibrio sopra la follia…

    Sopra la follia…"

    Mentre la sua voce sommessa canticchiava queste poche strofe, la sua mente le sussurrava che questa canzone era stata magicamente scritta per lei e per tutte quelle come lei.

    Il suo stato d’animo diede volume alla voce, e Susanna continuò:

    "Sally cammina per la strada, leggera…

    Ormai è sera…

    Si accendono le luci dei lampioni,

    Tutta la gente corre a casa davanti alle televisioni…

    Ed un pensiero le passa per la testa:

    Forse la vita non è stata tutta persa,

    Forse qualcosa si è salvato,

    Forse davvero non è stato poi tutto sbagliato…

    Forse era giusto così…

    Forse, ma forse…Ma sì…"

    Oramai era così presa da quella canzone e dalla piacevole sensazione di rilassamento fisico, che Susanna perse la cognizione del tempo continuando a canticchiare ed accarezzarsi con voluttuosi massaggi ristoratori del suo animo, oltre che del suo corpo.

    « Susannaaaaa...Susanna...SUSANNA !!!»

    «Mamma non sento, sono sotto la doccia!»

    «E mi sembra ora di chiuderla quella doccia!...Qui la colazione diventa fredda...Possibile che stai sempre tre ore sotto la doccia?»

    Sally è una donna che non ha più voglia...Di fare la guerra…, canticchiò ironicamente tra sé Susanna mentre usciva di corsa dalla doccia avvolgendo il suo corpo in un accappatoio di morbida spugna verde.

    Il solito Toc secco delle tubature dell’acqua indicava a Maria che lo scaldabagno si era spento e che Susanna stava uscendo dalla doccia. Il solito trucco della cioccolata che diventa fredda aveva di nuovo funzionato. O, meglio, entrambe sapevano del trucco ma Susanna non voleva avere altre discussioni: era stata già abbastanza provata dalle tensioni di quella notte per doverne affrontare di nuove sotto forma di sterili discussioni verbali.

    Maria, dalla morte del marito non era più la stessa. Con la sua pensione minima e quella di reversibilità di Guido doveva mandare avanti tutto e la figlia, nonostante i suoi assidui tentativi, non era ancora riuscita a trovare un posto di lavoro nonostante il suo titolo di studio.

    Entrambe erano molto provate a livello nervoso ma sapevano bene che l’una serviva all’altra per andare avanti a prescindere dal grande amore che le univa, nonostante la difficile quotidianità mettesse talvolta a dura prova quel sentimento viscerale.

    «Eccomi,...È già diventata fredda la cioccolata?»

    «No, ma un altro po’ che aspettavi e si gelava tutto…»

    «Che programmi hai per oggi?», chiese Maria alla figlia.

    «Boh...i soliti...Rifarò il giro delle varie associazioni per l’impiego...Passerò ancora all’ufficio di collocamento...Ah, sì!: ceno con Luigi questa sera. Festeggiamo i nostri due anni di legame...Ti rendi conto? Sono già passati due anni da quando ci siamo messi insieme...»

    «Mi rendo conto sì...Eccome...Mi rendo anche conto che hai finito con gli studi da due anni e facciamo fatica ad andare avanti, se non trovi un lavoro...Ma lo so...Non è colpa tua…»

    La suoneria del telefono cellulare di Susanna impedì che questa replicasse alla madre, evitando probabili polemiche.

    «Sì?»

    «Buon giorno, parlo con la signorina Susanna Bellizzi?»

    Una voce anziana, leggermente imbarazzata, chiedeva dall’altro capo della linea di Susanna.

    «Sì, sono Susanna Bellizzi...Con chi parlo?»

    «Buon giorno, signorina, mi chiamo Gilardi...Rosa Gilardi...Ho avuto il Suo numero dall’Agenzia Interinale che fa capo all’ufficio di collocamento di Milano...La chiamo perché mi servirebbe una persona che accudisca un po’ alla mia casa...Sa, sono vecchia e da sola non ce la faccio più...Sto cercando una ragazza che mi possa aiutare a tenere in ordine la mia casa…»

    «Per quanto tempo, signora?», chiese Susanna.

    «Beh...a me servirebbe sempre...Poi, naturalmente, sa...Dipende dalla persona che mi aiuta...Se si instaura un rapporto di fiducia...Guardi che non deve badare alla mia persona, ma alla mia casa...Sono anziana e faccio fatica a tenere tutto in ordine…»

    «Capisco…», rispose Susanna, «Possiamo fare in questo modo: potrei venire da Lei questa sera, così mi fa vedere cosa c’è da fare e se sono in grado di lavorare per Lei possiamo trovare un accordo…»

    «Grazie, signorina...Se per Lei va bene possiamo trovarci alle diciotto a casa mia: io abito a Gambolò in Via Dante al numero Sei...Lei sa dov’è Gambolò?»

    «Certo,… Un attimo solo, signora...scrivo il suo indirizzo e questa sera sono da Lei alle diciotto in punto...Ecco, ho scritto tutto: ci vediamo più tardi, allora. Grazie di cuore signora, buona giornata.»

    «Grazie a Lei, signorina...allora la aspetto per le sei di questa sera...Arrivederci…»

    Uno stato di gioiosa euforia riempì improvvisamente l’animo di Susanna.

    «Ci siamo, mamma: una signora mi ha chiamato e forse ho trovato un lavoro!»

    «Che lavoro dovresti svolgere?», chiese con entusiasmo Maria alla figlia.

    «Aiutare una signora anziana a tenere pulita la casa. Non so se per tutto il giorno o per qualche ora, ma piuttosto che nulla va bene anche questo, per adesso…»

    «Sì, certo...Speravo in qualcosa di meglio per te, ma visto che per ora nessuno si fa sentire anche questo è pur sempre un inizio…»

    «Mamma, c’è gente in cassa integrazione...In lista di mobilità...Milioni di giovani con una laurea e senza lavoro...Gente che non arriva a fine mese...Io...Io sono contenta: almeno, ora, forse un posto di lavoro ce l’ho. Poi, più avanti, si vedrà…»

    «Hai ragione...Ma cerca di capirmi: io e tuo padre abbiamo speso tutti i nostri sforzi per farti arrivare alla laurea, ed ora sapere che fai la donna delle pulizie è da una parte un sollievo, dall’altra un’amarezza...Non nei tuoi confronti ma nei confronti di un sistema che qui in Italia non funziona...Sto parlando del tuo domani, capisci?»

    Gli occhi di Maria erano lucidi: nemmeno lei poteva attribuire a quelle lacrime un senso di contentezza o di amarezza. Nemmeno lei sapeva come stava il suo animo in quel momento.

    «Beh, domani è un altro giorno, ci penserò domani...Sono le parole di Rossella O’ Hara in Via col Vento, non ricordi? Comunque ora sono ancora spaventata dal sogno di questa notte e non voglio pensarci…»

    «Che sogno?», chiese la madre incuriosita.

    «Non so...Non ricordo esattamente...So soltanto che scappavo inseguita da qualcuno. No,... Non è proprio così...Avevo la sensazione di essere inseguita e scappavo tra i vicoli di una città antica, una città del passato...Poi ho girato l’angolo di una vecchia casa di pietra ed ho visto una persona, immobile, che mi sbarrava la strada. Una persona coperta da un velo rosso, o da un fazzoletto, non ricordo bene...So soltanto che in quel momento mi sono ritrovata seduta sul letto col cuore in gola e tutta bagnata di sudore. Dio che paura, mamma...Avevo la netta sensazione che la mia vita stesse per finire, che stessi per morire...Come se quel viso fosse la Morte, mentre mi attendeva…»

    Maria osservava la figlia con aria incuriosita ed allo stesso tempo allarmata: sua figlia non era una persona soggetta a frequenti incubi.

    «Susanna, forse è solo stanchezza....Sai...La nostra vita non è facile e quella persona potrebbe rappresentare, nel tuo inconscio, tutte le incertezze che stiamo vivendo nel quotidiano. Il tuo lavoro...Quel lavoro che cerchi e che non trovi,... O forse la tua vita sentimentale...Dimmi un po’: come va con Luigi? »

    « Bene,… Insomma, la solita routine. Sai com’è fatto Gigi: invece di lavorare per l’Agenzia di investigazioni private, secondo me avrebbe fatto meglio a lavorare in banca. È metodico, preciso in ogni cosa,… È calcolatore e nulla sfugge al pallottoliere della sua mente...Io sono più amante della vita piena di imprevisti, di occasioni e di sogni che mi fanno afferrare ogni momento come unico ed irripetibile...Irrinunciabile…»

    «Dunque?», chiese la madre.

    «Dunque cosa?» rispose incuriosita Susanna.

    «Dunque, con Luigi ci stai bene?»

    «Sì, mamma, sì...Ci sto e basta. Insomma, mamma, cos’è questo? L’inquisizione del giorno?»

    «No, cara,...Assolutamente no. Ma forse dovresti ritrovare un po’ te stessa, la tua tranquillità. Insomma,… Se credi che Luigi non dia alla tua vita ciò che la tua stessa vita chiede

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