Confessioni di uno sconosciuto
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Confessioni di uno sconosciuto - Claudio Guarini
Guarini.
Capitolo unico
Credere che fosse una giornata come tutte le altre fu un errore madornale perché non esiste nessun giorno uguale all'altro. Neanche il rumore della lancetta dei secondi di un orologio che ne scandisce il tempo è uguale al successivo ticchettio. É solo un'apparente ripetitività che ci da l'illusione che tutto scorra in egual misura. Ed è proprio quella meccanicità che ci trae in inganno incastrandoci nei suoi subdoli tranelli.
«Dove sono le chiavi della macchina?», chiesi a Diana, la mia compagna.
«Ma perché ogni volta che non trovi qualcosa la vuoi da me?»
«Come non detto.. le cerco da solo».
Rovistavo in ogni tasca delle mie due giacche ma delle chiavi nemmeno l'ombra.
«Dove cazzo sono.. faccio tardi a lavoro anche oggi.. lo sapevo!»
«Tieni scemo», mi disse porgendomele, «Erano in bagno»
«Grazie amore», le dissi con un sorriso da stupido. Presi le chiavi, la baciai e corsi via per le scale. Quel giorno credevo di essere in ritardo ma per una strana coincidenza ero in anticipo. Il giorno prima era cambiata l'ora legale ed avendo trascorso tutta la domenica senza neanche accendere la tv, ce ne eravamo totalmente dimenticati. Era lunedì. Diana aveva la giornata libera e sarebbe andata dal dentista. Io alle nove in punto sarei dovuto essere a lavoro e credevo di essere in ritardo di cinque minuti. Ma ancora non cosciente di essere invece in anticipo di ben cinquantacinque minuti, presi una scorciatoia e il corso di quella giornata cambiò del tutto senza che ancora potessi saperlo. Quante cose accadono ancor prima di poterle vivere e scegliere. Quante situazioni e linee del destino a volte si uniscono inevitabilmente prima di darci uno scossone che ci segnerà per sempre.
Durante il tragitto ero immerso nei pensieri e tra i tanti che quotidianamente invadevano la mia mente, uno mi ricordò che giorno fosse. Era proprio quello in cui ci siamo detti ti amo, esattamente un anno addietro. Il giorno in cui ci siamo guardati, compresi e amati. L'avevo dimenticato per quella stupida e maledettissima fretta e lei probabilmente aveva finto di non ricordarlo per attendere un mio bacio, un abbraccio o un semplice auguri amore
. Se solo mi fossi accorto di essere in anticipo sarei tornato indietro e l'avrei stretta a me. Ma stavo andando incontro a un destino che solo il tempo aveva architettato magistralmente. A volte essere in ritardo può cambiare il corso degli eventi a noi destinati. Quella mattina, invece, per la prima volta ero nettamente davanti al tempo stesso.
Le stronzate che ogni giorno ci raccontiamo davanti allo specchio non hanno mai fine. Cosi come non hanno fine le congetture, le ipotesi, i rimpianti e tutti quei pensieri che da un luogo oscuro cercano di dirigere la nostra vita. Non hanno mai fine tutte le scuse che troviamo per coprire le nostre paure, per giustificarle e nutrirle. Avrei voluto tanto tornare indietro ma il tempo mi aveva ingannato. L'illusione degli obblighi e dei doveri nei confronti di un sistema corrotto mi aveva catturato nella sua rete invisibile. Era tardi e dovevo recarmi sul posto di lavoro. Questo pensavo mentre ero alla guida. Sarebbe stato meglio per una volta interrompere quella serie di comandi post-ipnotici e stravolgere il corso degli eventi. Ma alla fine di questa storia comprenderete che era un destino a cui sarei dovuto quasi inevitabilmente andare incontro per poter una volta per tutte comprendere la mia vita e darle un senso.
Non mi accorsi di nulla. Il mio orologio e quello dell'auto segnavano la stessa ora. Ero in coda, c'era il rosso. Sulla mia destra il tabellone luminoso di una farmacia segnava la temperatura e un attimo prima che apparisse l'orario scattò il verde e accelerai senza degnare di un ultimo sguardo quella che in realtà sarebbe stata l'ora esatta. La mia maledetta cocciutaggine e il poco spirito di osservazione mi portarono a non accorgermi che probabilmente ero in anticipo e avrei potuto ancora cambiare il corso di quella giornata. Ma tutto procedeva secondo i tempi di quello strano destino. Continuavo a guidare con una fretta che pervadeva ogni mio stato d'animo come se avessi dovuto incontrare il prima possibile quella deviazione della mia vita. Il cellulare iniziò a squillare ma non riuscivo a trovarlo né nel marsupio né nella giacca. Era caduto per terra, alla mia destra. Mi piegai per prenderlo cercando di dare un'occhiata anche alla strada, ma non riuscivo ad afferrarlo. Era capovolto e non potevo neanche vedere chi mi stesse chiamando. Mi allungai ancora un po’ e il piede inavvertitamente affondò nell'acceleratore. Non mi accorsi che stavo sopraggiungendo su delle strisce pedonali. Qualcosa, forse l'istinto, mi fece abbandonare l'idea di prendere il telefono e nell'istante in cui rialzai la testa, a circa cinque metri davanti a me, c'era un uomo, con una felpa scura e il cappuccio che gli copriva il capo, fermo sulle strisce che mi fissava anziché spostarsi. Frenai di colpo e per chissà quale miracolo giunsi a un centimetro esatto dalle sue ginocchia senza investirlo. Scesi subito dall'auto pensando di averlo preso, ma lui era in piedi ancora immobile. Non lo avevo sfiorato per questione di millimetri.
«Mi perdoni, davvero!», dissi agitato e mi accorsi che stava bene. «Sta bene? Si è fatto male?», gli chiesi, ma non si muoveva. Si girò verso di me e iniziò a fissarmi. Aveva la barba incolta e il volto di carnagione quasi olivastra. I suoi occhi mi incutevano ansia. Il suo sguardo faceva quasi paura ma non ne comprendevo il motivo.
«Le chiedo ancora scusa. Se non si sente bene la posso accompagnare in ospedale», gli proposi inutilmente. Attendevo che parlasse o che quantomeno si spostasse dalla strada perché per me era tardi e dovevo andare via. Nulla. Neanche aprì la bocca per respirare. Continuava a fissarmi. Non riuscii a distogliere lo sguardo; mi stava ipnotizzando e non lo sapevo. Ero come bloccato, fermo e non ero in grado neanche di parlare. Eravamo immobili uno di fronte all'altro. La mia auto era accesa nel bel mezzo della strada mentre i passanti e altre auto sembravano non calcolarci neanche di striscio. Qualcosa stava accadendo ma mi era difficile comprendere. Si era fermato il tempo e non riuscivo a capacitarmene. Il mondo intorno a me sembrava essere un contorno sbiadito, quasi una scenografia in movimento. Lui mi fissava con i suoi occhi scuri senza esprimere alcun tipo di emozione. Riuscivo solo a sentire paura. Percepivo il mio corpo ma mi era impossibile compiere qualsiasi movimento. Cosa stava succedendo? Perché nessuno interveniva e non udivo alcun clacson? Perché non avevo il controllo del mio corpo? E soprattutto.. chi era quell'uomo?
Volevo parlare per poter sbloccare quella fase di stallo in cui mi ero imbattuto ma potevo udire solo l'eco dei miei pensieri che si ammassavano confusi l'uno sull'altro. Ero letteralmente paralizzato dallo sguardo di un uomo incappucciato. Un sorriso, simile ad un ghigno, spezzò l'inespressività del suo volto. D'un tratto si girò e si allontanò. Non riuscivo ancora a muovermi e solo dopo averlo perso di vista ritornai in me. Ero ancora nel bel mezzo della strada. Tutto sembrò essere tornato alla normalità. I clacson delle auto che mi passavano accanto, gli sguardi curiosi dei passanti e un agente della polizia stradale che nel frattempo mi si era avvicinato.
«Ha qualche problema con la sua auto?», mi chiese.
Lì per lì non risposi perché ero ancora frastornato e non capivo come mai nessuno sembrava essersi accorto di nulla.
«No, grazie, ho risolto»
«Si tolga dalla strada allora! Sta bloccando il traffico!».
Mi avvicinai lentamente alla portiera guardandomi intorno ma di quell'uomo non c'era più traccia. La mia espressione era un