Nessuno mi conosce
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Nessuno mi conosce - Ferdinando Francia
Ferdinando Francia
NESSUNO MI CONOSCE
Romanzo
UNO OTTOBRE 1846
Tutto iniziò col vento d’autunno. Altrove veniva fatta la conta di quello che la natura aveva dato, qui no, qui tutto iniziava, da questo momento partiva la vita, partiva la sopravvivenza.
I boschi di castagni che coloravano la montagna di varie tonalità di verde, davano i loro frutti in questo periodo. Finora avevano avuto bisogno di cure e diradamenti, di pulizia.
Il vento che soffiava dall’Appennino verso la valle iniziava a scuotere le fronde degli alberi, a far aprire i ricci e cadere le castagne. Queste rimbalzavano sul suolo abilmente terrazzato con muri a secco che formavano piccole pianelle, dove queste palline marroni andavano ad adagiarsi. Senza quelle sistemazioni, la forte pendenza della montagna le avrebbe portate in fondo ad ogni ruscello ed è per questo che l’estate veniva passata a rimettere a posto i muretti, a modellare il terreno.
Ora però era giunto il momento tanto atteso della raccolta, quella che permetteva di sfamarsi tutto l’anno. La farina sopperiva al denaro, si barattava con l’olio ed il grano che veniva coltivato a valle sulle sponde del fiume, o col vino nostrale per quanto acidulo e di pochi gradi.
La mattina dell’inizio, Leopoldo, ventanni, ormai esperto innestatore e veloce raccoglitore, doveva alzarsi presto, prima dell’alba.
Leopoldo era fortunato, poiché era stato mandato a soli nove anni a servizio dal conte Caldovini, giù in paese, insieme alla sorella maggiore. Lì non solo aveva imparato a trattare i cavalli, a pulire una stalla e a fare un po’ di giardino, ma anche imparato a leggere e scrivere.
La sorella era addetta a rigovernare la cucina e a rifare i letti, che dovevano essere ben tirati. Quando la povera Delia non ci riusciva, la contessa le frustava le mani con un rametto di salice, anche se la poverina essendo piuttosto ossuta più di tanto non poteva fare.
Così quando poteva, soprattutto quando sapeva di non essere visto, Leopoldo andava a dare una mano alla sorella a stendere le lenzuola. Non erano operazioni semplici, primo per le scarpe fangose e secondo per l’odore di stalla che spesso emanava, che costringeva la sorella a strane strategiche aperture di finestre, per far circolare l’aria all’interno del palazzo.
Alzarsi prestissimo avrebbe permesso di essere già nel bosco quando cominciava ad albeggiare, era importante perché la zona dove raccogliere le castagne, confinava a valle con la mulattiera che conduceva in Val di Magliana. Bisognava far presto, prima che altri le prendessero sulla strada; benché le castagne fossero di proprietà dell’appezzamento a monte della strada, adducendo che qualche fronda dei propri castagni strabordava sulla strada, il vicino, che per altro Leopoldo non aveva mai sopportato, era lesto a raccoglierle.
Quest’anno però Leopoldo non voleva discussioni, arrivando presto sarebbe riuscito a metterle nella balla e tanti saluti.
L’anno passato si era trovato a discutere. <
Di fatto lui era stato giovane, prima che suo padre morisse, prima che tornasse dalla casa del conte, prima che avesse la responsabilità di tre donne di casa.
Finché suo padre era ancora vivo non vi erano mai stati problemi. Lui era andato tutti gli anni ad aiutare per la raccolta, il conte infatti lo lasciava sempre libero in questo periodo, faceva parte dell’accordo con il padre che lo aveva mandato garzone. Non si era mai trovato a discutere.
L’anno scorso si era invece trovato spiazzato, aveva trovato tutta la strada ripulita facendosi fare anche una risatina addosso andando a protestare. Sua madre gli aveva detto di lasciar perdere, ma più per proteggerlo, più per la tristezza che le era rimasta dalla morte del marito, che per convinzione. La madre in cuor suo covava un senso di ingiustizia ma si sentiva impotente, inerme e Leopoldo lo aveva capito, per tale motivo quest’anno era così pronto a farsi rispettare.
Alzatosi che era ancora notte fonda aveva trovato la madre già pronta con la colazione, la solita colazione, latte e polenta di castagne della sera prima, anche per Lei era un gran momento e non se lo sarebbe perso. Magari dal Conte a volte si trovavano anche dei biscottini, rigorosamente d’avanzo di qualche ricevimento, ma questo primo pasto saziava e dava la giusta energia per affrontare la mattinata, partendo alle cinque il mezzogiorno non arrivava mai.
Il camino, che aveva ancora le braci del giorno prima, era già stato rintuzzato con altra legna, così che non si era minimamente affievolito quell’odore di fuliggine e di fumo che imperversava nella cucina in ogni stagione tranne che d’estate. I camini infatti non tiravano mai, era più il fumo che usciva dalla bocca, che quello che se ne andava su per la canna fumaria, ma d'altronde il paiolo per fare il formaggio, col latte che andava girato con un ampio mestolo, non permetteva di costruire camini con bocche basse. Per la sera, quando magari i vicini venivano a veglia, a fare due chiacchiere e raccontare sempre i soliti aneddoti, vi erano delle sedie con le gambe corte, così che bastava stare seduti ed il fumo rimaneva sopra. Uno spiffero da dove far uscire il fumo era sempre presente e le stanze quindi non si saturavano mai.
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Mettersi in cammino nel buio di un bosco con un lume a petrolio non era molto agevole, i boschi di castagni erano radi, ben tenuti e senza sterpaglie ma il lume sfavillava e rischiarava solo pochi metri. Leopoldo però conosceva questi luoghi a menadito e bramoso di iniziare la raccolta, riusciva a marciare a passo svelto, anche se i sentieri erano irti e stretti. In queste strade bisognava stare molto attenti, addirittura saper misurare la soma degli asini, senza farla sporgere troppo. Se avesse toccato a monte avrebbe potuto far rotolare l’animale in un burrone.
Arrivato alla particella era sudato e rilassato, il silenzio della notte veniva man mano soppiantato dagli uccelli, che ancor prima del chiarore mattutino cominciavano a cinguettare. L’unica cosa da fare era muoversi un po’ per non ghiacciarsi e nel frattempo slegare la balla che aveva fatto da sacco alle altre.
Il primo chiarore rimaneva ancora dietro al monte, ma alla pupilla dilatata, orami abituata al buio, permetteva già di vedere qualche castagna, che prontamente Leopoldo raccoglieva. Chino nella stradina quasi a sembrare un animale, metteva i grossi semi dentro la sacca senza riposo, se invece di un recipiente informe fosse stato un secchio di latta si sarebbe sentito un continuo ton ton. Ogni tanto era costretto a ritornare nella posizione eretta, per schiacciare, rotolando sotto al piede, un riccio caduto non ben dischiuso, così da far uscire le castagne, tutto questo a malincuore perché diminuiva la produttività.
Si era ormai fatto chiaro e mentre raccoglieva assorto nell’operazione, con la mente libera da pensieri, sentì un vociare in lontananza.
<< Strano la mamma e Delia sarebbero dovute arrivare dalla parte opposta, oh che giro hanno fatto?!>> disse tra se Leopoldo.
<< In effetti sono leggermente in ritardo, forse saranno passate prima dal metato. Ma perché, visto che ancora non è acceso, forse avranno voluto vedere che tutto fosse stato in ordine per l’accensione di stasera o domattina>> si tranquillizzo.
Il metato però era sicuro di averlo già controllato bene, le piccole tavole di legno che sorreggevano i cannicci erano state fissate, le stuoie di canne raccolte ancora giovani erano già state stese, la passerella per montare nella piccola finestrina/porta al primo piano era risistemata, mancava solo la legna in terra al piano basso, ma non aveva importanza, ci sarebbe stato tempo per metterla, era già ammassata fuori. Era stato anche controllato se c’era abbastanza pula dell’anno precedente, necessaria per coprire la legna e fare il fumo per seccare castagne.
Si compiaceva proprio di se stesso, quest’anno per tenere la pula, buccia secca delle castagne, aveva costruito un piccolo casottino in sassi, tipo cuccia del cane, ma con apertura dall’alto, e lo aveva foderato di assi di castagno e con una buona copertura di tegole; sarebbe rimasta asciutta l’inverno successivo.
L’immagine che vedeva dentro di se del suo metato non lo distoglieva però né dalla raccolta, né dall’ascoltare il vocio che veniva da nord. Queste voci non erano familiari, anzi avevano un accento non locale, le sentiva spesso, ma non riconosceva nessuna parlata nota.
<<lombardi
>> , << ecco chi sono, lombardi
, oh che diavolo ci fanno, stai a vedere che….>> disse tra se.
Era comune che, i cosiddetti lombardi
, contadini dal Ducato di Modena o dallo Stato Pontificio si recassero ad opera durante la raccolta delle castagne. Coloro che possedevano boschi piuttosto grandi, che non sarebbero riusciti a finire il raccolto prima delle nevicate, prendevano a opera questi lavoratori, i quali in cambio di un chilo di farina al giorno per gli uomini e meno per le donne, si arrangiavano a dormire nelle stalle per circa un mese.
Il giorno di Ognissanti però tutti a casa, su questo non c’era discussione, raccolta finita o no tutti i lombardi
ripassavano l’Alpe, troppo rischioso farsi prendere dalla neve, non sarebbe stato possibile ripartire per mesi.
Lasciando stare la raccolta Leopoldo si incamminò verso le voci e dietro la curva del sentiero trovò quattro persone, tre uomini ed una donna chini sulla strada. La donna era la più accanita, prima di rovesciarle nella balla riusciva a mettere le castagne in una sacca davanti al grembiule, che legato al collo ed in vita, strascivaca in terra.
<< Perché state raccattando le mie castagne, forse non sapete che questo tratto di selva è mio? smettete immediatamente e rendetemi quelle che avete raccolto!>> urlò Leopoldo.
<< Ehi ragazzo, non ti permettere di fare il gradasso e di darci ordini, ci pagano per raccogliere e noi raccogliamo, il Martinuglia ci ha detto di iniziare dalla strada e scendere fino al rio e così facciamo>> rispose il più grosso con accento di là d’alpe.
Il tono da gradasso gli aveva fatto montare la rabbia e ritrovare lo stato d’animo che aveva prima di partire da casa, quando si aspettava un sopruso da parte del vicino. Ora ne aveva la certezza, anche quest’anno avrebbe dovuto lottare, non si sarebbe né abbassato né tirato indietro. Mentre pensava questo con la coda dell’occhio cercava un bastone, il suo lo aveva lasciato poco indietro insieme alla balla delle castagne, gliene serviva un altro per batterlo nei denti a quell’omone, zittito quello gli altri se ne sarebbero andati.
DUE L’ORCO
Nel frattempo, la madre e la sorella di Leopoldo erano arrivate dietro ed avevano assistito alla scena e la madre aveva intuito