Vecchi versus giovani. La questione generazionale nella crisi economica mondiale
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Book preview
Vecchi versus giovani. La questione generazionale nella crisi economica mondiale - Giulio Sapelli
© goWare
dicembre 2014, prima edizione
ISBN 978-88-6797-272-2
Copertina: Lorenzo Puliti
Redazione: Stefano Cipriani
sviluppo ePub: Elisa Baglioni
In copertina: Enea trasporta sulle spalle il padre Anchise
, disegno preparatorio di Raffaello all’affresco L’incendio del borgo nelle Stanze Vaticane a Roma. Il disegno è conservato all’Albertina di Vienna.
goWare è una startup fiorentina specializzata in digital publishing
Fateci avere i vostri commenti a: info@goware-apps.it
Blogger e giornalisti possono richiedere una copia saggio a Maria Ranieri:
mari@goware-apps.com
L’editore è a disposizione degli aventi diritto con i quali non gli è stato possibile comunicare per eventuali involontarie omissioni o inesattezze nella citazione delle fonti dei brani riprodotti nel presente volume.
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Presentazione
In alcuni paesi sviluppati, come l’Italia, potrebbe accadere un fatto insolito da secoli: che i nati nel Secondo millennio, una volta adulti, stiano peggio dei loro genitori. Succederebbe che invece di un miglioramento, si avrebbe un conflitto, quasi di classe, tra le generazioni, tra i ricchi e i tutelati da una parte, e gli anziani, i poveri e gli abbandonati, i giovani, dall’altra. Che è successo? I genitori si sono mangiata tutta la torta? Non è assolutamente così, dice Giulio Sapelli, economista e sociologo, attentissimo osservatore dei fenomeni del mondo contemporaneo. E allora com’è? Sapelli ci dà la sua versione che, come al solito, stupisce.
La pubblicazione contiene anche, in italiano, il discorso di Steve Jobs a Stanford, il suo testamento ideale ai giovani; uno scritto giovanile di Piero Gobetti, uno dei maggiori intellettuali pubblici indipendenti; le riflessioni di Gramsci dal carcere sul rapporto tra le generazioni; un discorso memorabile di Piero Calamandrei sulla Costituzione e i giovani; e infine il testo di una veemente mail di un giovane meridionale allo stesso Giulio Sapelli.
* * *
Giulio Sapelli, professore ordinario di Storia economica all’Università degli Studi di Milano ed editorialista del Messaggero
, è una delle voci più originali e fuori dal coro tra gli economisti italiani. Intellettuale poliedrico, unisce storia, filosofia, sociologia e cultura umanista in uno stile personalissimo e profondo. Le ultime pubblicazioni sono ilSapelli, blog di una crisi 2004-2014, e Il potere in Italia, entrambi pubblicati da goWare.
La retorica della lotta tra generazioni
— Giulio Sapelli —
Discorso inaugurale del Festival delle Generazioni 2014
Firenze, 2 ottobre 2014
Premessa
Il principio ispiratore di questa nota è rovesciare l’assunto che oggi sia in corso una lotta tra generazioni e che lo strumento che i vecchi hanno per premere
sui giovani sia stato e sia il debito pubblico, ossia quelle risorse non in equilibrio di bilancio che lo stato accumula, sia attraverso l’imposizione fiscale, sia attraverso i risparmi frutto dei sacrifici delle generazioni passate, presenti e future che vengono accumulate in appositi reservoir pubblici, privati, comuni, ossia secondo diverse forme di allocazione dei diritti di proprietà, tante quante sono le decisioni che lo stato o invece gruppi di umani associati assumono per conservare i risparmi oppure allocarli in forme di investimento. È impossibile che esista uno stato in costante pareggio di bilancio.
Lo stato, come la dinamica economica, è in continua evoluzione e il pareggio di bilancio altro non è che un’illusione o uno strumento ideologico per distruggere la spesa pubblica e gli investimenti pubblici – che, come ho detto, assumono diverse forme proprietarie –, per distruggere in sostanza la spesa pubblica tout court e quindi ogni forma di welfare che non sia comunitario.
Questa ideologia, che è alla base dell’ordo-liberismo, è divenuta uno strumento della politica europea, potentissimo e distruttore, come dimostra la crisi economica e sociale in corso.
Invece del conflitto tra generazioni va posto in evidenza il principio di cittadinanza conquistato dopo decenni di lotte dai lavoratori e dalla cultura solidaristica di molti segmenti della borghesia internazionale, consapevole che non può esservi crescita senza pace sociale e quindi senza coesione sociale. Beni comuni, ma impossibile produrli per tutti i cittadini senza spesa pubblica e debito pubblico.
La trasformazione del capitalismo mondiale e la deflazione con disoccupazione
Siamo dinanzi a una profonda trasformazione della composizione del capitale su scala mondiale, in cui le spese di capitale per la creazione di possenti industrie manifatturiere di grandissima dimensione di scala è stata sempre più sostituita, percentualmente, da nuove e diverse spese di capitale per costruire la nuova industria dei servizi a più bassa intensità di capitale fisso e a più bassi costi di transazione.
Questo è stato in primo luogo l’effetto dell’avvento dell’ultimo ciclo di innovazioni à la Kondratieff fondate sull’itc: una diversa composizione organica del capitale ha così condotto su scala mondiale a una trentennale caduta dei tassi di interesse. Di ciò ha enormemente beneficiato la componente finanziaria ad alto rischio del capitalismo moderno, come si è visto con la crisi da eccesso di rischio che si è abbattuta nel mondo globale dopo la deregulation di Clinton e di Blair.
Questa deregulation ha consentito di attutire, come è noto, la crisi ciclica di sovraproduzione per bassi tassi di consumo internazionali, che tuttavia si è ugualmente abbattuta come un maglio sul mondo globalizzato. La finanza ha fatto prendere tempo
a questa crisi per mancata realizzazione del profitto, cartolarizzando gli indebitamenti e allontanando la caduta delle corporation che non a caso si sono trasformate ampliando i rendimenti finanziari a fianco di quelli industriali.
D’altro canto, fortunatamente, la politica di espansione monetaria propugnata dalla Federal Reserve ha convinto i capitalisti internazionali a non sottrarre quote così ingenti di capitale dalla spesa per investimenti a un punto tale da provocare un crollo forse irreversibile del sistema capitalistico mondiale.
La finanza ad alto rischio e la politica monetaria espansiva hanno consentito agli usa – e al mondo – di superare il punto più basso della crisi e consente ora all’Europa, piagata dalla politica di austerità, di respirare grazie all’avvento nell’euro-zona di nuove spese di capitale finanziario che consentono di promuovere un’illusione – finanziaria appunto – di nuova crescita.
Ma il problema rimane quello dell’accentuarsi della disgregazione sociale: la disuguaglianza crescente con bassi consumi frena l’aumento dei tassi di interesse così come la bassa spesa di capitale; tutto s’incrocia e si sovrappone.
L’austerità europeo-teutonica fa il resto, ossia i vincoli del pareggio di bilancio laddove esistono istituzionalmente (solo nell’Europa e per ragioni strutturali che bene conosciamo) sono un ulteriore incentivo alla diminuzione dei tassi di interesse, perché impediscono l’avvento dell’altra spesa di capitale che potrebbe spezzare il circolo vizioso, ossia la spesa pubblica per investimenti che si è invece voluto imporre perseguendo una politica di esclusione sociale e di attacco alle conquiste del welfare del secondo dopoguerra con una violenza sino a ora mai vista nella storia capitalistica.
La deflazione è il suggello monetario a questa trasformazione – dalle conseguenze immense – della struttura del ciclo dell’accumulazione allargata capitalistica.
La spesa pubblica e la riproduzione
della società: rovesciare il discorso retorico
Sorgeranno enormi problemi nella riproduzione stessa della società, che il dibattito sul debito pubblico – dominato da versioni monetaristiche –