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Energia Segreta dei Simboli: Dal paganesimo al Cristianesimo
Energia Segreta dei Simboli: Dal paganesimo al Cristianesimo
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Energia Segreta dei Simboli: Dal paganesimo al Cristianesimo

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L’energia segreta dei simboli - Dal Paganesimo al Cristianesimo si configura come un vocabolario di simboli cristiani appositamente concepito per puntare l’attenzione sulle forme originariamente pagane e successivamente ricodificate dal Cristianesimo. I contenuti sono arricchiti da passi letterari, illustrazioni, commenti glottologico-linguistici e analisi storico-geografica. La struttura dell’opera, suggestiva ed agevole anche grazie alla distribuzione alfabetica, propone una duplice modalità di lettura: da un lato infatti guida in modo chiaro ed esauriente offrendo chiavi di lettura in relazione ai contenuti ed ai passaggi storici; dall’altro, mediante le ricche e più complesse schede di approfondimento, è in grado di soddisfare anche lettori più esperti. All’indagine principale si accompagna inoltre un’ampia raccolta di passi classici e protocristiani, rivisitati e tradotti dall’autore, volti a proporre una vivida immagine degli eventi, in un viaggio appassionante attraverso gli scritti e la cultura di uomini che vissero in prima persona il mutamento socio-religioso più importante dell’Occidente.

L’autore è nato e vive a Lecco. Laureato in filologia classica presso l’Università degli studi di Milano, ha da sempre approfondito le tematiche legate al rapporto tra mondo classico e cristiano, prediligendo l’indagine sulla simbologia e sull’evoluzione dei culti nella Roma imperiale. Attualmente è docente di Lingua latina e greca al liceo classico, autore di testi scolastici e consigliere dell’A.I.C.C. (Associazione Italiana Cultura Classica) – delegazione di Lecco.
LanguageItaliano
Release dateAug 3, 2015
ISBN9788869370649
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    Energia Segreta dei Simboli - Massimiliano Sacchi

    V

    Introduzione

    Fin dalla preistoria il simbolo ha rappresentato per l’uomo la via di comunicazione più diretta e l’acquisizione della capacità associativa suono-parola al simbolo stesso è sicuramente uno dei momenti più importanti dell’evoluzione mentale umana. Il binomio oggetto-idea trova infatti pieno compimento nell’espressione verbale, ma ancor più importante è il passo successivo: la scrittura. Disegnare i suoni? Questa sembra una domanda puerile ma è di fatto il processo evolutivo che porta l’oggetto a diventare soggetto. Il simbolo entra prepotentemente nella psicologia dell’uomo e percepirlo o crearlo sembra addirittura una qualità congenita della razza umana, come quando vediamo un bambino, ancora incapace di comunicare in altro modo, pasticciare un foglio riempiendolo di colori e facendo compiere alle righe mille cerchi ed evoluzioni. Ciò che è importante non è il come capirsi ma il quanto. Non ci sono vie intermedie nella comunicazione grafica; l’interpretazione deve essere univoca. Se al posto dei graffiti in Val Camonica avessimo trovato una scritta equivalente alle immagini degli animali e della caccia, probabilmente oggi non sapremmo comprendere il soggetto dell’argomento, mentre invece, anche dopo un ampissimo arco di tempo, noi uomini del ventunesimo secolo siamo in grado di leggere esattamente ciò che i nostri progenitori volevano trasmettere. Secoli di evoluzione, ma una medesima base. Questo aspetto non è tuttavia relegato in un passato ormai remoto. Nel Medioevo le botteghe esponevano il disegno del mestiere che il mastro vi professava per favorire coloro che non sapevano leggere o gli stranieri che non potevano necessariamente conoscere la lingua locale. La lingua appunto. Con la narrazione della torre di Babele si è cercato di dare una spiegazione a questo fenomeno ma se da un lato la diversità d’espressione ha sempre rappresentato un muro tra gli uomini è pur vero dall’altro che, in accordo con Aristotele e la definizione dell’uomo come animale politico, ciò non ha impedito la fusione dei popoli e delle rispettive culture né ovviamente la formazione di gruppi etnici misti. Se i Romani non si fossero fusi con i Sabini, divenendo, come dice Q. Ennio, Quirites, Roma, forse, non sarebbe mai diventata la signora del mondo antico. Fin dalle civiltà potamiche la scrittura ha segnato il netto stacco tra culture evolute e primitive, divenendo prerogativa delle grandi nazioni che lasciarono nella storia un segno indelebile anche dopo il declino. E’ importante tuttavia sottolineare fin da subito il valore prettamente pragmatico della scrittura, impiegata per atti amministrativi, come per il famoso codice di Hammurabi, o contabili, come nel caso della cultura micenea. Le superfici ove scrivere erano diverse e variavano dalla semplice corteccia al cuoio ed alle tavolette di legno e cera incise. La pietra, almeno, nel primo periodo, non venne usata proprio per il fatto che, per quanto i dati da registrare fossero importanti, tuttavia non lo erano abbastanza per essere conservati in eterno su un materiale duro e durevole ma altrettanto scomodo da trasportare e catalogare. La forma di scrittura più interessante per quanto riguarda questo studio sono gli ideogrammi, dove veramente simbolo e parola diventano una sola cosa. Da antichi documenti egizi si apprende come la scoperta della scrittura fosse considerata di matrice divina mentre in area indiana la dea della parola è rappresentata con lettere alfabetiche che compongono il suo corpo. JHWH ed Alla(h), rispettivamente il nome di Dio in ebraico ed arabo, sono nomi composti di quattro lettere poiché quattro è un numero legato a precisi schemi simbolici, quali i punti cardinali, gli elementi naturali ed altro.

    Una forma molto importante di parola-segno-simbolo è lo zodiaco. Lo zodiaco è uno schema praticamente identico nella struttura portante dai Babilonesi agli indiani d’America ed è formato da un cerchio diviso nelle dodici costellazioni, tripartite in quattro tempi, a ciascuna delle quali è riferita una figura. Ritornando alla scrittura, un aspetto degno di nota è il confronto tra i personaggi di Socrate, Buddha e Cristo i quali hanno in comune il fatto di non aver lasciato nulla di scritto, pur avendo segnato in modo indelebile, grazie alle parole, la storia loro contemporanea e successiva. La scrittura dunque sembra compiere il cammino opposto. Essa è subordinata alla parola anziché esserne alleata ed il simbolo sembra perdere forza rispetto alla parola stessa. Come si può notare il processo evolutivo del simbolo è stato altalenante ma sicuramente l’attenzione verso di esso ed il suo studio non è mai venuto meno, specialmente quando furono intrapresi approfonditi studi sull’alfabeto delle lingue antiche. L’origine dell’alfabeto greco è fatta risalire ai Fenici, presso i quali ad ogni segno era conferito un suono. L’alfabeto fenicio rappresenta qualcosa di rivoluzionario; è infatti successivo alla scrittura cuneiforme mesopotamica e quella geroglifica egizia ed è possibile, secondo alcuni studiosi, che i grandi commerci compiuti da questo popolo avessero in qualche modo obbligato a creare una sorta di lingua standard per capirsi negli scambi. Le genti stanziate nella penisola ellenica assorbirono l’alfabeto fenicio verso il secolo VIII a.C. e lo modificarono, aggiungendo la scrittura delle vocali. Grazie all’alfabeto la lingua iniziò una rapida evoluzione, divenendo sempre più complessa e in grado di riprodurre strutture maggiormente articolate. I simboli dunque avevano esaurito il proprio compito e di essi rimaneva l’immagine nella fonetica. Ma il destino ha voluto che la stessa parola esaltasse il significato intrinseco del simbolo, plasmando i vari significati ad esso attribuibili e creando nella società umana uno schema fitto di richiami; pian piano poi la religione, la legge, i contatti commerciali, le istituzioni politiche, le guerre ed altro contribuiranno ad arricchire il mondo dei simboli, fino a renderli insostituibili nella comunicazione e motivo appassionante di studio.

    Dalle ceneri del paganesimo il seme del Cristianesimo

    Dalle ceneri del paganesimo

    il seme del Cristianesimo

    *****

    Questo studio si pone come obiettivo la ricerca e l’analisi dei simboli pagani che vennero assorbiti e reimpiegati dalla cultura cristiana, in modo parziale o totale, fin dal I sec. d.C. e via via nei secoli successivi in concomitanza dell’evolversi dell’Impero Romano e della società, dimostrando come la simbologia cristiana affond la simbologia cristiana affondi nella tradizione pagana le proprie antiche origini. Le pagine successive vogliono inoltre offrire una lucida guida per la comprensione del complicato passaggio che portò dal paganesimo al Cristianesimo e all’estinzione di una tradizione culturale-religiosa millenaria. La maggior parte dei simboli cristiani e la specifica interpretazione dei medesimi apparirà spesso come una fedele copia, un calco o addirittura una pedissequa riproposizione di motivi assolutamente pagani ma sebbene ciò non rifletta altro che la verità, è tuttavia impossibile dall’altro lato negare la vitalità che contraddistinse questa rivoluzione socio-spirituale, capace di soffocare i pochi secoli, una cultura ben più antica, ma ormai sbiadita e svuotata dei propri significati.

    *****

    Un quadro d’insieme.

    La crisi del paganesimo e l’insediamento del Cristianesimo rappresentano il fenomeno più importante dei primi secoli in tutto il mondo romano. Questo processo non fu istantaneo e si concretizzò non senza enormi tensioni e profondi sconvolgimenti culturali. Roma, in età imperiale, si aprì ulteriormente, essendo il centro del mondo, a molte forme di cultura e commercio creando così un moto centripeto che convogliava nella capitale genti, lingue e religioni diversissime. Un aspetto essenziale che contraddistinse la romanitas fu la libertà di culto, la possibilità di pregare i propri dei a patto che riti ed adunanze non turbassero l’ordine pubblico e, fatto salvo per riti particolari quale quello bacchico già vietato nel II sec. a.C. o altri ritenuti pericolosi, venne sempre mantenuta una sostanziale linea di tolleranza. Il Cristianesimo venne invece fermamente combattuto poiché si presentava come pericoloso e sovversivo dato che, negando l’autorità divina dell’imperatore, predicava uguaglianza tra gli uomini (compresi gli schiavi) e la distruzione delle icastiche classi sociali. A ciò va aggiunta la profonda crisi che ebbe inizio nel I secolo, quando la religione non fu più sufficiente di fronte alla sensibilità ed alla razionalità delle persone educate secondo i dettami della filosofia platonica o stoica. La ricerca della vita eterna aveva già trovato spazio nel somnium Scipionis, importante sezione del VI libro del De repubblica (55-51 a.C.), dove Cicerone sottolineava come le anime dei giusti e dei fedeli servitori dello Stato fossero destinate all’immortalità, ma tale concetto, per quanto fondamentale, restava tuttavia assolutamente elitario: solo a pochi le divinità immortali concederanno di ascendere al cielo. L’uomo del secolo successivo, che ora vive in un tempo dove lo Stato è rappresentato dall’imperatore e dove il singolo cittadino non si sente più unità viva ma suddito, ha bisogno di credere che oltre la vita vi sia qualcosa, che la vita debba essere vissuta adeguatamente per puntare ad una beatitudine. Per le persone istruite tale concetto divenne il perno dell’esistenza e dunque si può facilmente comprendere come i culti misterici e quelli salvifici provenienti dall’Oriente attecchissero sempre più, provocando tensione ed inevitabilmente una profonda frattura con il passato. Il principio cristiano inoltre si scontrava frontalmente con il concetto di religione ufficiale romana già precedentemente teorizzato da Cicerone nel De Legibus. In generale l’accusa rivolta dai pagani dipingeva il cristiano come un sovvertitore che voleva diffondere la figura di un certo Cristo, amico di peccatori e prostitute, giustiziato indegnamente. Il concetto di fondo non risiedeva solo nel culto o meno dell’imperatore ma nella diversa concezione del dio e di Dio. In primo luogo i cristiani erano odiati a causa dell’atteggiamento di rifiuto verso le armi, considerato come una mancanza di patriottismo e di radicata misantropia. La forza infatti, intesa come metodo per servire e difendere lo Stato, si rifaceva ai cosiddetti mores et instituta veterum (ai costumi ed ai precetti degli antichi) e rappresentava, come già scrisse T. Mommsen, la proiezione del patriottismo nazionale nella sfera del sacro. Dunque mentre la religione cristiana si fondava sulla libera ed interiore coscienza del divino, quella ufficiale romana richiedeva un’intrinseca adesione ai valori civico-religiosi. Per questo motivo i cristiani vennero accusati di ateismo, ovvero di disinteresse verso gli dei e incuranza verso i destini della res publica. Agli occhi dei pagani questo atteggiamento appariva del tutto antipatriottico ma soprattutto causato da una insana cocciutaggine come emerge dal verbale del processo intentato ai Martiri Scillitani dove il proconsole più volte prega gli accusati di redire ad bonam mentem, ovvero di rinsavire. A tale complessa condizione si aggiunse, in particolare durante il I secolo, l’enorme quantità di dicerie e la profonda confusione nell’accomunare giudaismo e cristianesimo, in realtà molto diversi. Il termine stesso cristiani appare per la prima volta negli Atti degli Apostoli 11,26 Per la prima volta in Antiochia i discepoli presero il nome di cristiani e solo alcuni decenni dopo questo termine si impose sui diversi nomi con i quali queste persone erano denominate. I più ricorrenti erano Jessei, Discepoli, Fratelli, Soldati di Cristo, Nazarei o Nazareni, ma spesso, con intento dispregiativo, essi erano definiti anche sciocchi, creduloni e blasfemi verso gli dei ufficiali. Le sedi dove più comunemente le riunioni segrete avevano luogo nel I sec. erano le catacombe, ovvero caverne adibite a cimiteri e, poiché ospitavano i cadaveri, erano ovviamente site fuori dalle mura cittadine. Esse rappresentavano dunque un luogo sicuro contro le persecuzioni poiché evocavano superstizione e paura di contagio e proprio qui sono state trovate infatti le prime testimonianze cristiane sotto forma di graffiti raffiguranti la colomba o il pesce. Per dare un’idea delle voci circolanti su quanto si presumeva accadesse durante gli incontri dei cristiani basti dire che il battesimo venne a lungo scambiato per una sorta di autopunizione che consisteva nel lordarsi il capo di acqua putrida o che durante i riti si praticasse il cannibalismo, il delirio orgiastico e addirittura bestiale necrofagia. Agli occhi dei non cristiani inoltre tale credo appariva assolutamente simile ad un culto misterico poiché implicava un’iniziazione (il battesimo), una liturgia definita (l’eucaristia), il sacer cursus (il percorso spirituale attraverso i sacramenti), il silenzio imposto a i non appartenenti al gruppo. In più l’epicentro del credo era legato alla figura di un taumaturgo. Tra i personaggi al potere che più colpirono i primi cristiani figura certamente Nerone, il quale diede inizio ad lungo periodo di ostilità tra due mondi contrastanti e che, fatto salvo per brevi periodi, venne rasserenato solo con l’editto di Costantino del 313. Negli anni antecedenti all’incendio dell’Urbe si sentiva parlare di un falegname morto in Giudea, una provincia polverosa che dava noie allo Stato, ma i gruppi di fedeli, per quanto malvisti, erano troppo esigui per destare concreta preoccupazione o paura nella popolazione comune. D’altra parte è pur vero che per quanto riguarda il famoso incendio di Roma gli storici moderni sono concordi nel ritenere che Nerone abbia sfruttato il momento (e la grande speculazione che ne derivò) per far costruire la propria nuova dimora ed abbia scelto i cristiani come capro espiatorio dell’evento proprio perché questi gruppi religiosi erano tanto invisi al popolo quanto facili da colpire. Lo stratagemma funzionò tra l’opinione pubblica, bramosa di rivalsa, e la selva di croci che simboleggiavano la forza dell’Urbe verso chi aveva tentato di minarne le fondamenta fu sicuramente una tremenda tragedia. L’accanita ferocia che contraddistingue le persecuzioni, e che portò ad usare uomini crocifissi come fiaccole notturne, non intaccò tuttavia la fede dei primi fedeli i quali continuarono a testimoniare Cristo pur tra mille pericoli. Nella vita quotidiana, ripresa dopo il fatto dell’incendio, la punizione inflitta ai cristiani si trasformò, proprio a causa della durezza che la contraddistinse, da castigo esemplare a martirio e anziché soffocare definitivamente la voce del Cristianesimo contribuì invece a farla ricordare ed echeggiare. Le persecuzioni non si verificarono solo durante il I secolo ma continuarono, a fasi alterne ed in modo più o meno feroce ed accanito fino a Diocleziano, suscitando in merito grande interesse presso storici e studiosi soprattutto per quanto riguarda le leggi che rendevano legittimi tali provvedimenti. Il paradosso è che durante tutto il periodo imperiale non venne emanata nessuna legge specifica per il reato di adesione al Cristianesimo. La religione cristiana fu dichiarata strana et illicita in un decreto senatoriale del 35, exitialis et perniciosa da Tacito, prava et immodica da Plinio, nova et malefica da Svetonio ma nessun documento ufficiale la definiva esplicitamente illegale. Nel 110 d.C. Plinio il Giovane, governatore della Bitinia e del Ponto, si trovò di fronte, presso la città di Amasi, ad un problema per il quale ritenne necessario appellarsi all’imperatore Traiano, a causa della mancanza di esperienza in tal senso: alcuni cittadini erano infatti accusati di cristianesimo. Il rescriptum di Traiano, così come la domanda di Plinio, sono divenuti documenti di enorme importanza soprattutto perché, sebbene non spieghino vere e proprie direttive da seguire, costituiscono tuttavia la prova delle profonde incertezze giuridiche nei processi riguardanti i cristiani. La risposta dell’imperatore si basa infatti sulla fede nei requisiti e sulla capacità di governare richiesta ad un bravo e fedele governatore. Esistevano dunque solo norme libere all’interpretazione dei magistrati più o meno tolleranti. E quale era invece il giudizio dei letterati e dei colti pagani? Svetonio, che scrive al tempo di Adriano, nella Vita di Nerone (16,3) afferma che sotto il suo regno vennero sottoposti a supplizio i cristiani, una razza di persone che professava una superstizione inaudita e malefica. Apuleio descrive accuratamente una donna dissoluta e piena di vizi che potrebbe forse rappresentare l’immagine del cristiano di fronte agli occhi dei pagani, dal momento che le accuse di impudicizia, lascivia, avarizia e sfrontatezza erano tipicamente rivolte ai cristiani. Luciano, importante autore greco che scrive al tempo dell’imperatore filosofo Marco Aurelio, si fa gioco della fede cristiana ed anche lo stesso Marco Aurelio, un uomo indubbiamente colto, ritiene la pertinacia (cocciutaggine) dei martiri un’autentica sciocchezza. Tale posizione era inoltre condivisa da Frontone, suo precettore. Di contro il Cristianesimo non ebbe una letteratura capace di contrastare quella pagana fino al 197, ovvero l’anno in cui Tertulliano compose l’Apologeticum, considerata la prima opera letteraria cristiana in lingua latina, nella quale l’autore si scagliò violentemente e sarcasticamente contro i culti pagani mediante una tagliente abilità espressiva. Inoltre, all’interno delle maggiori opere apologetiche appartenenti al II secolo, è fondamentale ricordare l’epistola a Diogneto, lettera composta in greco da un autore anonimo nella quale si afferma da un lato l’aderenza dei cristiani alle linee guida della fede e dall’altra la genuina lealtà verso lo Stato.

    Prima di affrontare più approfonditamente il problema del passaggio dal paganesimo al Cristianesimo è fondamentale puntualizzare un aspetto che deve essere sempre ricordato. La religione pagana non può essere ciecamente concepita come fredda partecipazione ad un culto senza significato poiché la sincerità del sentimento religioso non è prerogativa esclusiva del Cristianesimo. Il grande fervore del culto domestico e la partecipazione del popolo specie durante il periodo repubblicano, rendevano i culti ufficiali e le feste stabilite un autentico avvenimento sacro, sentito e vissuto con grande coinvolgimento. La religione romana era ovviamente politeista e dalle origini fino alla caduta di Roma nel 476 d.C., vide scorrere molte divinità autoctone e straniere che ebbero nel corso del tempo vari destini; alcune infatti vennero ufficializzate, altre bandite o addirittura andarono perdute. E’ pur vero tuttavia che un aspetto che contraddistinse la religione pagana specie nel pieno e tardo Impero, fu proprio l’ufficialità dei riti (che contrastava nettamente con la spontaneità del Cristianesimo) tanto che, secondo alcuni studiosi, questo fu uno dei motivi per cui molte persone intimamente religiose, non percependo più il messaggio dei vecchi dei, si convertirono alla nuovo culto emergente. Questa crisi di valori religiosi era avvenuta anche nel mondo greco durante l’età ellenistica. Per molti, fin dal tempo di Alessandro Magno, l’individualismo del singolo era venuto meno per via della decadenza del concetto di cittadino della polis; colui che prima era infatti un attivo partecipante alla vita della città ora veniva ridotto ad un semplice osservatore all’interno di un vasto impero popolato da sudditi. Su questo sfondo i culti misterici ed il pensiero filosofico, soprattutto stoico ed epicureo, cercarono di offrire una nuova via da percorrere, spingendo a cercare la vera felicità dentro noi stessi. Tornando al mondo romano, questa condizione venne ancor più aggravata dalla formazione del principato a Roma, dopo Augusto. Roma si configurava come caput mundi ma ogni potere era nelle mani dell’imperatore ed il volere del singolo non trovava alcun respiro. I culti antichi, recuperati dalla politica augustea che mirava a proporre il principato come restauratore del mos repubblicano, non erano sufficienti ad arginare lo scetticismo dilagante soprattutto tra le classi più colte e la lista ufficiale delle divinità riconosciute non era altro che un espediente per tenere unito un impero che racchiudeva culti, genti e tradizioni diversissime. In realtà, dietro ad una facciata di rigogliosa prosperità e benessere sociale, si celava già verso la fine del II secolo una grave crisi di identità religiosa e spirituale. In questo periodo le divinità erano numerosissime tanto che lo stesso Celso, un uomo di autentica fede pagana, ammise ironicamente come fosse più facile di quei tempi trovare per strada un dio che un uomo. Dall’altra parte la figura sacra di Cristo non era sufficiente a convertire completamente la mente pagana poiché la natura divina non rappresentava certo una novità nella tradizione precedente e contemporanea e nemmeno lo era la resurrezione, dato che il concetto della morte e della vita era già presente all’interno del diffusissimo culto solare, come attesta anche Origene Contra Celsum 2,16. In verità la forza detonante del Cristianesimo fu la triplice idea dell’incarnazione, della resurrezione e della parusia (ritorno). Verso la fine del I sec. d.C., si diffuse lo gnosticismo che, sebbene diviso in molte sette, manteneva come concetto base il raggiungimento della salvezza tramite la gnosi, ovvero la conoscenza. Secondo tale disciplina esoterica un’entità suprema, distaccata dal caos malefico, da un lato avrebbe ricostruito l’ordine dopo la catastrofe celeste e dall’altro riassemblato l’uomo originario disperso in migliaia di pezzi. Tali concetti contribuirono, attraverso l’idea dell’ Uno salvatore, a preparare un terreno fertile per l’attecchimento del Cristianesimo. Nello gnosticismo si predicava la dualità tra Dio e anti-Dio nel perpetuo degli opposti ed il contrasto tra lo pneuma (spirito) e la psiche (anima). Testimonianza di questo è data anche da Valentino, uno gnostico del II sec., secondo cui il concetto cristiano di Dio e quello platonico di demiurgo esposto nel Timeo rappresenterebbero fedelmente l’intelligenza pura, creatrice dell’universo. Un aspetto essenziale per la crescita della religione cristiana fu sicuramente, come attesta anche lo stesso Origene, il perdurare per quasi un secolo, salvo per qualche sporadica rivolta, della pax Augusta, durante la quale le comunicazioni, grazie alla rete stradale e al commercio, rappresentarono un ottimo mezzo di diffusione per il Verbo che si esprimeva nel greco della koinè ed in latino. Il viaggio del Verbo da Oriente ad Occidente può essere ricostruito sulla base delle indicazioni relative al sistema stradale, viaggiando nel tempo fino a diversi secoli prima della diffusione del protocristianesimo. La principale via era la cosiddetta via del mare la quale, collegando l’Egitto alla Palestina, toccava centri importantissimi quali Cesarea, Antiochia, Alessandria, Efeso. Verso nord essa lambiva il Bosforo dove si collegava con la Via Egnatia. Una seconda importante via legava Galazia, Frigia, Lidia e Caria. Durante tutto il II secolo le vie di comunicazione permisero la diffusione del Cristianesimo su larga scala, favorendo i viaggi di vescovi e filosofi ma il fenomeno più interessante in questo senso emerge durante la crisi che investì l’impero nel III secolo a causa delle invasioni barbariche, della svalutazione economica e dell’ingente spesa richiesta per l’esercito. La manutenzione del sistema viario infatti, fondamentale per lo spostamento di uomini e mezzi, superò ben presto il limite sostenibile di spesa ma mentre questo problema influenzava pesantemente l’economia degli scambi diminuendo via via esponenzialmente i contatti, la diffusione della Parola non si arrestò sfruttando duttilmente la situazione. Per spiegare questo delicato momento basta citare le parole di P. Siniscalco, il raggio d’influenza quindi si fece allora più ristretto geograficamente mentre il movimento più capillare.

    La grande controversia sulla figura di Gesù: uomo o mito?

    Il problema della reale, presunta o falsa esistenza dell’uomo Gesù, Figlio di Dio, non è nato in questo secolo o durante il Medioevo ma rappresenta una costante fin dal tempo delle origini del Cristianesimo stesso. I Padri della Chiesa non avevano altro che la fede per provare la vera incarnazione di Cristo. Questa mancanza di prove tangibili era fortemente rinfacciata soprattutto dai colti pagani ed in particolare dagli gnostici, secondo i quali la divinità non si sarebbe mai calata entro un corpo effimero e mortale. In questa controversia giocano inoltre un ruolo fondamentale i confronti con le religioni, i miti ed i messia precedenti i quali, fungendo da sfondo culturale per il Cristianesimo, hanno messo a disposizione materiale sufficiente per un’indagine incrociata dai risultati assai importanti. Dal confronto infatti tra gli eventi della vita di Gesù e quelli di alcuni personaggi chiave appartenenti a religioni diverse è possibile effettivamente notare come non si possa parlare soltanto di affinità bensì di vere analogie, le quali hanno spinto più di uno studioso a credere che la figura di Cristo non sia altro che un grande mosaico costituito di piccoli frammenti di mito oppure un uomo, realmente esistito, ma attorno al quale sia stata stesa un’aura favolosa.

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