L'eleganza matta
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L'eleganza matta - Vanessa Chizzini
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1. Venerdì
Spiagge
Sam assicura che le spazzole non pungono.
Non sono come quelle degli autolavaggi.
Lo sembrano, però è ovvio, non lo sono.
Le setole sono diverse. Morbide. Una carezza.
Non so cosa farci, le novità mi mettono sul chi va là. C’è chi ci si tuffa entusiasta e fiducioso. Basta guardare la coda qui di fronte. A me scatta la perplessità. Ma Sam assicura che questa novità è imperdibile, che devo smetterla di tenere sempre una mano davanti a frenare il futuro.
Per ora, sia ben chiaro, parla solo per sentito dire. È qua in fila con me per la prima volta. Però ha avuto modo d’informarsi nel dettaglio. Anche prima in albergo ha tempestato di domande la signora che ci ha servito la colazione. E non sta più nella pelle.
Io mi chiedo a chi sia potuta venire un’idea del genere.
Ieri sera, sfogliando i dépliant che abbiamo trovato in camera, Sam mi ha letto nome e cognome del tizio che ha inventato l’attrazione dell’anno.
Ma adesso non intendo in questo senso, non mi interessa nemmeno l’età o la professione.
Piuttosto mi immagino la scena.
Una mattina d’estate in una stanza d’albergo o in un appartamento di una località di mare.
Pochi minuti prima di uscire per andare in spiaggia.
Il tizio in questione finisce di prepararsi e controlla che nella borsa ci sia tutto: il telo mare, il portafoglio, la crema solare. E viene preso dallo sconforto.
Si vede arrivare in spiaggia, sistemarsi al suo ombrellone, togliersi i vestiti, stendere il telo sulla sedia a sdraio.
Spalmarsi la crema solare.
Non gli si può dare torto, mettersi la crema è una cosa noiosa. E fastidiosa. Ci si piazza lì, davanti a tutti, e ci si unge la faccia e il corpo facendo delle smorfie, piegandosi verso le gambe, tentando di raggiungere la schiena...
Non c’è nulla di elegante.
A volte magari qualcosa di sensuale, ma di elegante direi proprio di no.
È in quel momento che al tizio viene l’idea.
Non molti giorni prima deve aver portato la macchina a lavare. L’ha posizionata all’ingresso dell’autolavaggio, l’ha vista entrare nel tunnel, ha osservato le spazzole mettersi in funzione.
Non aveva niente da leggere, nessuna telefonata da fare ed è rimasto a guardarla, ipnotizzato.
Per questo quella mattina d’estate, controllando la borsa della spiaggia e immaginando la noia, il fastidio e l’ineleganza dei movimenti che si troverà costretto a fare una volta raggiunto l’ombrellone, ha la visione.
Non un’auto, ma lui.
Non rulli vigorosi, ma spazzole più delicate di quelle di qualsiasi autolavaggio.
Non acqua e sapone, ma crema solare.
Così ora, poco oltre l’ingresso dello stabilimento, ad accogliere i bagnanti ci sono tre Cabine di Protezione Solare. Io e Sam le chiamiamo semplicemente cabine spalma-crema
.
Sono precedute dalla pubblicità della marca di cosmetici che ha prodotto la crema solare utilizzata, e davanti a ognuna c’è una discreta fila di persone.
Le cabine spalma-crema sono dei gusci trasparenti con all’interno delle spazzole.
Paiono dei raffinati autolavaggi in miniatura.
Le spazzole si impregnano di crema solare e la spalmano sul corpo delle persone che entrano.
Accanto a me Sam ride. Assicura che sarà divertente.
Idee
Il tizio che ha inventato le cabine spalma-crema è un islandese che abita in Islanda.
Chiedo a Sam se si ricorda come si chiama. Con tutte le volte che l’avrà letto prima e dopo aver deciso di passare qui questo weekend, non dovrebbe avere la minima esitazione.
«Di nome Einar. Di cognome qualcosa che inizia con Stefan
, se non sbaglio» mi risponde.
In quanto islandese che abita in Islanda, Einar non dev’essere molto pratico di climi caldi e creme solari.
Me lo vedo arrivare una mattina d’estate su una spiaggia simile a questa, come capita adesso a me.
La mancanza di consuetudine fa risaltare certe cose. L’ineleganza, per esempio.
È per questo che gli deve essere venuta l’idea. Poco prima di uscire o magari già in spiaggia. Sarà arrivato qui, avrà visto le persone spalmarsi la crema, avrà fatto lo stesso anche lui, per proteggere la pelle chiara dal sole aggressivo delle nostre latitudini, impacciato e forse un po’ imbarazzato.
O magari avrà preferito fare come faccio di solito io, e la crema se la sarà messa al riparo di quattro mura. Non preserva dalla noia e spesso non basta per l’intera giornata, però quando si raggiunge la spiaggia ci si può almeno sdraiare subito al sole senza spiacevoli passaggi intermedi.
Oggi Sam me l’ha ovviamente impedito. «Ci sono le cabine spalma-crema, Mic» mi ha rimproverato in albergo alla vista del mio flacone di crema solare. «Non puoi perdertele.»
Avanziamo lentamente e Sam scalpita. Guarda davanti a noi per verificare che sia tutto a posto. Mi informa che due ragazze dello stabilimento sono posizionate accanto alle cabine e aiutano le persone a capire come funzionano.
Guardo anch’io. Mi sembra piuttosto evidente che le due ragazze hanno parecchio da fare, dovendosi districare tra braccialetti, monete, la luce rossa che prima deve diventare verde, l’impazienza di fronte alla novità che invece richiede pazienza.
Rimango volentieri qua in coda ancora un po’, ad ambientarmi e a immaginarmi la scena.
La scena del tizio, di Einar, nel momento in cui ha l’idea delle cabine.
Sarà che la nascita delle idee è una delle cose che mi appassiona di più.
Le idee cambiano continuamente il mondo e la percezione che abbiamo di noi.
Un’idea ha cambiato faccia a questa spiaggia. Entrando nello stabilimento, sulla destra adesso ci sono tre cabine spalma-crema. Sono identiche, ma un cartello in cima indica che la protezione della crema applicata all’interno è, rispettivamente, bassa, media e alta.
Lo spazio che occupano è consistente, ma non credo che i gestori abbiano rinunciato a qualche fila di ombrelloni.
Lo chiedo anche a Sam. «Secondo te hanno tolto qualche ombrellone per far posto alle cabine?»
«Ma figurati» risponde Sam. «Se hanno fatto un investimento del genere è stato per aumentare le possibilità di guadagno, non certo per ridurle. Probabilmente fino all’anno scorso qua c’erano i campi di bocce o qualcosa di simile. Più in là infatti ci sono quelli di beach volley, vedi?»
Tutto quello che vedo è una gran confusione.
Riesco a distinguere solo questo. La confusione e il rumore. Ma me l’aspettavo. Conoscendo Sam non era difficile prevedere dove mi avrebbe portato.
Il tizio islandese soccomberebbe più o meno all’istante, temo.
Il nostro ombrellone è in settima fila, nella zona riservata all’albergo in cui alloggiamo. Il bagnino che ci ha accompagnato ci ha spiegato che lo stabilimento è già al completo, anche se siamo solo all’inizio della stagione. Merito delle Cabine di Protezione Solare, ha detto, che hanno richiamato qua un sacco di persone.
Per chi ha l’ombrellone le cabine spalma-crema sono gratuite. Il bagnino ci ha lasciato il braccialetto con cui possiamo andarci tutte le volte che vogliamo. Si è raccomandato di indossarlo subito e non toglierlo mai, nemmeno la sera o per andare a dormire, per non correre il rischio di arrivare in spiaggia e scoprire di averlo dimenticato. «Del resto, è uno status symbol» ha aggiunto facendo l’occhiolino.
In realtà si tratta di quei braccialetti elettronici che vengono attivati per il periodo di soggiorno e, una volta avvicinati al lettore inserito all’interno delle cabine, azionano il meccanismo di apertura delle porte. Sono di plastica colorata, mi ricordano il primo orologio che mi è stato regalato quando avevo otto anni. È buffo pensare che possano davvero essere considerati uno status symbol.
Chi si sistema sul bagnasciuga, invece, deve munirsi di una moneta da due euro. C’è anche gente che passa di qua solo per provare le cabine spalma-crema, ha detto il bagnino. Vengono da altri stabilimenti, o da altre località. Pare ci sia addirittura chi entra nella cabina e poi non va nemmeno a prendere il sole.
Continuo a guardarmi intorno. Qualcuno nelle file di ombrelloni qui alla nostra destra si spalma la crema solare, nonostante le cabine.
Tutto d’un tratto mi sento islandese.
Specchi
Sam si gira verso di me e torna a chiedermi se non è stato divertente.
Io ci sto ancora pensando.
Siamo di ritorno dal nostro primo passaggio nelle cabine spalma-crema.
Non so se divertente
è l’aggettivo che userei per descrivere l’esperienza. Ma se lo dico a Sam, si lamenterà che devo sempre complicare tutto.
D’accordo, è stato divertente. Lo dico a Sam che già sta iniziando a guardarmi male.
«Sì, è stato divertente.»
Io forse avrei scelto la parola solleticante
, però va bene anche divertente
.
«Visto?» replica Sam. «C’è bel tempo, la spiaggia è grandissima, l’albergo carino. Senti che caldo fa per essere appena la fine di maggio? Che meraviglia, ci sarà proprio da divertirsi.»
Sam è qui per questo, per divertirsi, per eliminare le tossine negative accumulate nel corso dell’inverno.
Io invece sto cercando di mettere un po’ di distanza tra me e la mia vita nella speranza di fare chiarezza. C’è qualcosa che non va. Cosa esattamente ancora non lo so. Però qualcosa in me non va. Quando mi siedo nel silenzio e chiudo gli occhi, quel qualcosa saltella e non mi dà tregua.
Il mio solito enigma, commenterebbe Sam. E non si lascerebbe sfuggire l’occasione di citare la sua frase preferita.
Da enigma a enigma: così ti muovi per raggiungere i domani.
La prima volta che l’ha detta è stata una sera tardi, in un inconsueto slancio poetico probabilmente ispirato dalla bottiglia di vino