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Non ci posso credere: l'immaterialismo scientifico della fisica del novecento
Non ci posso credere: l'immaterialismo scientifico della fisica del novecento
Non ci posso credere: l'immaterialismo scientifico della fisica del novecento
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Non ci posso credere: l'immaterialismo scientifico della fisica del novecento

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Col Novecento scendono dal trono millenario il fondamentale principio di non contraddizione e la relazione causa-effetto ereditati dalla grande Grecia, escono di scena certezza ed inoppugnabilità che hanno sempre contraddistinto la scienza, escono di scena tempo e spazio assoluti, con la disgregante relativizzazione di entrambi, esce di scena quella materia che ha sostanziato di sé la più dilagante ideologia del secolo, esce di scena l’universo come entità unica ed immutabile, esce di scena il predominio della geometria euclidea e dello spazio piano tradizionalmente concepito, esce di scena l’etere che riempiva l’universo, escono di scena la fede estrema nello sperimentalismo e la plurisecolare diffidenza verso la capacità deduttiva della mente, esce di scena ogni presunzione di obiettività ed ogni autonomia tra osservatore ed osservato, tra uomo e natura, tra scienziato e fenomeno, esce infine di scena quel vuoto che con la impossibilità ontologica del nulla aveva vissuto la geniale anticipazione parmenidea.

Irrompono nella storia della conoscenza la sovranità immateriale dell’energia, la signoria della luce, l’assolutismo della sua velocità, la natura probabilistica di ogni legge e di ogni realtà, l’isolamento inesorabile di ogni “universo”, la misteriosa natura energetica della massa, l’onnivora e nuovissima teoria della informazione, la insopprimibile capacità deduttiva della mente.

Dilagano misteri come la duplice natura, corpuscolare e ondulatoria, di tutti gli oggetti, incluso il nostro corpo. Si impone il principio di indeterminazione in cui annega per sempre ogni presunzione di conoscenza totale, il misterioso fenomeno dell’entanglement che vincola inspiegabilmente coppie di oggetti pure a distanze galattiche, l’effetto tunnel che infrange l’incomunicabilità strutturale tra universi differenti, lo sconcerto della multilocazione, la scoperta di non essere soli negli universi, che forse ad abitarli sono gli altri…noi, senza ordinaria possibilità di contatto tra i tanti “noi”. Esplode la coerenza, fino alla con-fusione, tra l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo. Accompagnano il viaggio l’infinitamente pensabile accanto all’infinita impotenza a concepire infinito.

Se sparate un elettrone contro un muro, una volta su un milione succede che l’elettrone non torna indietro ma attraversa il muro. Perché? Come mai? Potrebbe succedere a noi? Possiamo levitare, smaterializzarci, sopravvivere alla morte, materializzarci, risorgere? Non ne conosciamo ancora le tecniche, ma una cosa è certa, chi avrà la colossale cocciutaggine di arrivare alla fine del libro, non sarà più lo stesso.
LanguageItaliano
Release dateNov 27, 2013
ISBN9788868850982
Non ci posso credere: l'immaterialismo scientifico della fisica del novecento

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    Non ci posso credere - Fausto Carratu'

    vietata.

    Prefazione dell’autore

    Sono nato nel cuore della Roma archeologica, da bambino giocavo sopra i ruderi della leggendaria Domus aurea di Nerone, nella conca del Colosseo. Quel calpestare residenze e personaggi del passato, quel correrci e giocarci sopra, già mi insinuava una fanciullesca impressione levitatoria.

    Ho poi scoperto le chiese di cui abbonda il centro storico dell’Urbe, il più esteso del mondo. Ne conta circa seicento. Entrando in quegli ambienti, mi ha sempre colpito la sterminata e variegata popolazione di figure che da secoli conduce una indisturbata esistenza bidimensionale su pareti, volte, soffitti, cupole, lunette, intradossi.

    Dipinti su superfici murarie, telate o vetrate, talora incorporati in stucco o marmo, in basso o alto rilievo, sempre comunque noncuranti del loro stato di avventata sospensione, Cristi e madonne, apostoli e profeti, papi e santi, martiri e profetesse, fraticelli e popolani, angeli e putti, nobiluomini e nobildonne, quel popolo aereo selezionato dai secoli conduce la propria vita nella provocatoria infrazione delle leggi di natura, librando confidenzialmente per l’aria, da sempre e per sempre, sgravati da ogni preoccupazione materiale, quella che condanna il resto dell’umanità a muoversi rasoterra.

    Quella innaturale ricerca della imponderabilità, quella ambizione alla aereità fisica, quella eroica testimonianza della fede estrema nella immaterialità del corpo, non mi avrebbe più abbandonato. Parecchie volte, nel sonno, ho immaginato di sgravitarmi, muovere le braccia e sollevarmi lentamente in volo, tutto e tutti osservando dall’alto.

    Anche per questo personale, interiore motivo, non poteva lasciarmi indifferente un libro che mi è stato regalato in occasione di un onomastico. Titolo impegnativo, "La fisica del Cristianesimo", edito in Italia nel 2007. Avevo da poco terminato di leggere un ponderoso volume sulla scienza nel Medioevo e credevo di conoscere a sufficienza il tema dei rapporti tra scienza e religione. Per questo motivo non ho avvertito - forse persino manifestato - particolare entusiasmo nei riguardi del dono. Sbagliando.

    Dopo qualche mese, ripreso in mano quel libro, ne ho letto la copertina da tutti i lati, ne ho scorso l’indice, l’ho sfogliato dall’inizio e dal fondo, infine mi ci sono voracemente disteso. Oltre trecento pagine, impegnative per chi sia del tutto digiuno di fisica, non facili anche per chi ne mastichi. Ma gravidi di informazioni di insospettabile valenza. Che cosa si trova scritto di tanto importante, in quel libro? che cosa vi si sostiene?

    Anzitutto ho appreso che l’autore è tutt’altro che un ordinario divulgatore di temi scientifici. Lo statunitense Frank J. Tipler (1947) è da decenni docente di Fisica matematica in una selettiva università privata, la Tulane University di New Orleans (Louisiana). E’ stato allievo di John Archibald Wheeler (1911-2008), uno dei maggiori fisici teorici del XX secolo, colui che ha dato il nome ai buchi neri, a sua volta allievo di Niels Bohr, uno dei padri della fisica quantistica. Altissimo lignaggio, dunque, e Tipler, ottimo fisico matematico, si è impegnato in un’opera del tutto irrituale nel mondo della ricerca scientifica. Ha avuto il coraggio intellettuale e professionale di proporsi le tesi del "Credo cristiano come ipotesi di ricerca di fisica teorica, senza alcuna accondiscendenza alle ragioni confessionali che non risultassero sorrette da robuste argomentazioni scientifiche. Si è impegnato in quella che M. Gleiser definisce teologia sperimentale" ¹, anche se molto è costituito, come è di prassi per l’attuale fisica d’altronde, da complesse deduzioni matematiche.

    Una simile operazione costituisce una arricchente prova di laicità della scienza, laicità che troppo spesso, anche da scienziati di fama, viene confusa con l’ateismo, non di rado, questo, affetto da irrazionali forme di bigottismo.

    Su una strada simile, con il tentativo di spiegare scientificamente la Bibbia, si era già mosso Isaac Newton, considerato anche uno dei maggiori teologi del Seicento, alla luce delle opere che solo di recente stanno trovando pubblicazione, dopo secoli di incomprensibile censura.

    Anche se la ricerca di Tipler potrebbe trovare proprio nelle religioni motivi di contrarietà e prese di distanza, le sue teorie inducono ad una rivisitazione dell’intero Credo cristiano da cui la fede esce scossa, più convintamene radicata nelle mirabilia del creato. Quei fatti che tradizionalmente costituiscono esclusiva materia di fede, vengono a ritagliarsi una legittimazione, nel campo della scienza, sino al Novecento non immaginabile. Per carità (e per fortuna della religione), nulla di più di teorie e deduzioni, ma tanto, se non tutto, ineccepibilmente argomentato sul piano scientifico. Le sue tesi interpretative dei dogmi cristiani e dei miracoli evangelici, ancorché ardite e d’avanguardia, trascinano in un vortice di informazioni che sfocia sovente in un profondo turbamento. La tentazione di repulsione, di tanto arbitrio e di tanto azzardo inclusi nelle sue teorizzazioni, è incombente. Ma il fisico matematico dell’Alabama incanala le insospettabili incredibilia della fisica del Novecento in speculazioni che, pur rischiando di apparire spericolate, sono tutte riconosciute come solidamente fondate e scientificamente argomentate, pure se agli occhi del comune lettore possono apparire autentiche funambolerie.

    Infatti nel libro c’era dell’altro, di notevolmente altro. Nel condurre il lettore per mano alla comprensione della sua personale ricerca, F. Tipler offre una preliminare, impegnativa sintesi dei risultati salienti della fisica del Novecento, quella fisica che ha spinto il suo sguardo dall’interno dell’universo del nucleo atomico fino alla magnitudine delle galassie più inarrivabili, una fisica di cui è stato detto che "raramente in così pochi anni si è appreso così tanto".² Proprio questo dispiegamento – oltre che spiegazione – della fisica del XX secolo, rappresenta un difficilmente reperibile regalo, non tanto e non solo sul piano della fisica, ma soprattutto su quello della metafisica. E’ fuor di dubbio infatti che, ai confini del conoscibile e del pensabile, queste due signore, fisica e metafisica, si tendano la mano.

    Dichiaro questo da persona di formazione scientifica, anche se la stragrande maggioranza delle discipline scientifiche, dall’ingegneria alla chimica, dalla matematica alla fisica non teorica, non avendo concreto bisogno delle scoperte della fisica del Novecento per l’esercizio quotidiano della propria professione, trova ancora oggi sufficienti la meccanica galileo-newtoniana, seicentesca, la termodinamica joule - carnotiana e l’elettromagnetismo maxwelliano, ottocenteschi. E’ così che un laureato di quelle facoltà, di ieri come di oggi, rimane sostanzialmente all’oscuro delle enormi e strabilianti novità che si sono venute consolidando nel corso del Novecento.

    Il filosofo francese Gaston Bachelard ha dichiarato che la fisica non ha la filosofia che si meriterebbe. Intendeva con ciò stigmatizzare proprio il mancato, colpevole recepimento da parte della filosofia delle enormi acquisizioni della fisica del Novecento.³ Questo libro muove nella direzione di sanare quella falla.

    L’immagine classica che si aveva della realtà quotidiana s’è rivelata del tutto incapace di spiegare i comportamenti, apparentemente paradossali, osservati sulle scale atomiche e subatomiche dall’inizio del Novecento. Moriva la fisica classica, nasceva la nuova fisica, la fisica quantistica. Questa ha dimostrato eccezionale precisione nel predire fenomeni microscopici, pur concordando con altrettanta precisione con i risultati della fisica classica, quando applicata al macroscopico.

    Dalla metà del Novecento la fisica è diventata virtuale, nel senso che le sue scoperte non provengono più dall’osservazione diretta, percepite attraverso i sensi, bensì dalle osservazioni indirette, per cui è finito sempre più ai margini quell’esclusivo empirismo che l’aveva dominata nei secoli precedenti. Il riscontro sperimentale viene relegato alla fase ultima della ricerca, fatta quasi per intero di sofisticate elaborazioni matematiche, le cui azzardate predizioni teoriche spesso sono in aperto conflitto con l’esperienza quotidiana e devono rimandare la propria consacrazione scientifica molto più tardi, in occasione di comprovazioni sperimentali condotte sempre più ai limiti del rilevabile e del misurabile.

    Addentrarsi nella insospettabile produzione della fisica di quel secolo, che ha travolto la tradizionale idea stessa di scienza come luogo delle certezze, fa letteralmente impallidire ogni altra rivoluzione precedente, inclusa la sopravvalutata, sovente malintesa rivoluzione copernicana.

    E’ così allora maturata l’idea che sta all’origine di questo libro. Se della stupefacente fisica del Novecento poco ne sanno ingegneri, matematici, chimici, fisici non teorici, che cosa può saperne chi non possiede specifica formazione scientifica? e che cosa può saperne l’uomo della strada, la stragrande maggioranza della gente? Ecco allora letteralmente esplodere l’inaccettabilità del fatto che di un patrimonio tanto determinante per le fondamentali convinzioni di ciascuno, la quasi totalità delle persone sia tenuta all’oscuro o in balìa di maldestre, episodiche e disorganiche informazioni, che spesso non riescono a sottrarsi ad un linguaggio indigesto, monopolizzato dai tecnicismi di chi nei temi scientifici è sovente tanto immerso da finire sommerso.

    Charlie Chaplin, quando incontrò Albert Einstein che era andato alla prima di "Luci della Città, gli disse: applaudono me perché mi capiscono, voi perché non vi capiscono".⁴ Che non si capisse Einstein nel 1931, è comprensibile, ma oggi, dopo un secolo di metabolizzazione di quelle teorie, nessuno può più permettersi di restarne all’oscuro. La classe formante ed informante della nostra generazione possiede ed inclina verso una formazione impropriamente detta umanistica, generalmente ascientifica se non persino antiscientifica, salvo le solite rare eccezioni. Anche a costoro è indirizzato questo libro.

    Concludiamo sottolineando come all’origine del grande maremoto provocato dalla fisica del novecento sembra esserci lei, sua maestà l’Energia, quella grandezza che la fisica ancora oggi definisce mera "capacità di produrre lavoro". La fisica dichiara di che cosa sia capace l’energia, che cosa

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