Trust
By francesco, Maria DE FILIPPIS and Marcello
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Trust - francesco
dell’Aja
1. Premessa
Il tema del Trust e delle sue applicazioni con tutte le peculiarità del caso è certamente uno dei temi maggiormente trattati nella letteratura giuridica anglosassone sia in merito alla pianificazione successoria sia per quel che concerne gli ambiti di applicazione possibile in campo societario e protettivo. In Italia, invece, i testi giuridici poco spazio dedicano ad un argomento ormai di primaria importanza per quel che riguarda le fattispecie societarie o familiari e il ruolo che i professionisti del diritto ricoprono sempre più nell’applicare tale istituto. Ci si è spesso concentrati solo sulle interpretazioni della legge di ratifica italiana della Convenzione dell’Aja del 1985 tralasciando la scoperta degli intrecci possibili tra il trust e quelli che sono i nostri istituti di diritto privato e commerciale, evitando di puntare, quindi, su una decisa applicazione dei vantaggi dal trust derivanti. Sempre maggiori sono le richieste di chiarimenti e spiegazioni relative a questa forma giuridica della quale si intuiscono le potenzialità ma troppo spesso si ignorano le condizioni e le fattispecie applicative.
Quest’opera nasce dunque dalla volontà di fornire, ai professionisti del settore e agli studiosi dello stesso, un manuale che vada ad analizzare i soggetti, le caratteristiche e gli ambiti di operatività del trust spiegandone i vantaggi e la flessibilità con la quale è possibile gestire situazioni patrimoniali, successorie e societarie altrimenti difficilmente controllabili mediante la legge italiana. L’opera tratterà tutte le problematiche relative agli ambiti personali e societari che vanno sostanzialmente a formare le due grandi categorie di interesse di questa forma giuridica nonché quelli che sono i ruoli di ogni soggetto legato al trust e analizzerà anche le posizioni di altri studiosi del fenomeno giuridico. Molte sono state le pronunce in merito che spesso erano tra loro contrapposte e che trattavano quasi sempre della ammissibilità o meno di tale istituto giuridico nel nostro paese. Oramai, però, il trust sta diventando una realtà consolidata in Italia e, quindi, è più giusto analizzare e studiare i problemi applicativi piuttosto che concentrarsi su un aleatorio discorso in tema di fattibilità¹. Tratteremo, dunque, di come il trust sia di aiuto nella difesa e pianificazione successoria del patrimonio andando a studiare tutta una serie di situazioni e soluzioni che con la legge successoria italiana non avrebbero nessuna via di uscita e vedremo anche come mediante il trust sia possibile risolvere questioni di grande importanza strategica e fiscale nel settore societario; anche in questo ambito infatti il trust è lo strumento ottimale per la protezione del patrimonio dell’imprenditore dai rischi dell’attività svolta mantenendone comunque la piena disponibilità e continuando a beneficiarne economicamente. Per dare un’ idea di come sarà suddivisa in capitoli, possiamo dire che l’opera tratterà inizialmente di cosa è il trust e come si è formato nei paesi di common law e quali analogie ha con altre modalità di protezione del patrimonio; si toccheranno poi le leggi con il quale il trust è stato accolto in Italia per passare all’analisi approfondita dei soggetti che nel trust sono direttamente coinvolti e di quello che è il parere del notariato in Italia; grande attenzione si dedicherà, poi, alle diverse tipologie di questo istituto e a quelle che sono le applicazioni concrete che il trust può sostenere con un accenno anche agli aspetti fiscali che molta importanza ricoprono relativamente a queste tematiche.
¹ Castronovo Carlo, Il trust e
sostiene Lupoi, Europa e diritto privato, parte I, 1998. p. 441, nel quale l’autore sosteneva: Il dibattito corrente su una figura per taluno ancora misteriosa, da altri incompresa come il trust ha visto una sorta di incontro-scontro tra comparatisti e civilisti, mettendo a confronto due sensibilità e due propensioni diverse. La prima tutta tesa dall’entusiasmo del rendere disponibile una figura ignota alla nostra tradizione e proprio per questo ritenuta in grado di comporre interessi in maniera inusitata; la seconda giustamente preoccupata di verificare che ne ricorrano i presupposti; che oltre al fine, cioè, ne risultino giustificati anche i mezzi
.
2. Cos’è il trust
Non è di semplice definizione il concetto di trust facendo riferimento unicamente al diritto italiano senza andare ad effettuare una comparazione giuridica tra gli ordinamenti di common law e civil law. Questo perché il trust non solo è un istituto che non ha origine in Italia e che quindi non trova riscontro in nessun altro fenomeno giuridico italiano ma proprio la mancanza di punti di incontro con istituti del nostro ordinamento giuridico spesso porta ad equipararlo ad altre figure giuridiche come le società, paragone ovviamente non sostenibile poiché tra le altre cose il trust non ha personalità giuridica pur avendo domicilio, nazionalità e legge applicabile. Il trust nasce nei paesi di common law e affonda le sue radici nel sistema giuridico feudale inglese ove veniva usato per superare i limiti che questo poneva soprattutto per determinati soggetti in merito all’uso di istituti validi al trasferimento di proprietà di beni immobili². Questi limiti consistevano prevalentemente nell’impossibilità da parte del feudatario di trasferire mortis causa, mediante testamento, il diritto di proprietà sul feudo che gli era stato concesso dal Lord³ e nel divieto per determinate categorie di soggetti, ad esempio coloro che appartenevano ad ordini religiosi, di poter possedere e gestire liberamente beni immobili a causa di quello che era lo Statute of Mortmain il quale andava a prevenire il fenomeno della manomorta. Per aggirare tali limiti e divieti si instaurò la prassi di trasferire a terzi il proprio diritto di proprietà con l’obbligo per questo di trasferire le rendite al proprietario originario e, in caso di morte di quest’ultimo, passare la proprietà del bene ad una persona designata. Tale negozio giuridico veniva indicato con il termine use derivante dall’espressione latina opus⁴. Col tempo poi l’istituto individuato con use venne perfezionato e si chiarirono alcuni punti relativi, in particolar modo, ai beneficiari i quali vennero individuati come i titolari del diritto in questione facendo diventare il fiduciario un mero amministratore del patrimonio. Si delineò in tal modo la struttura di quello che è il trust attualmente in vigore ovvero la regolamentazione della presenza di un disponente (settlor) che per vari motivi trasferisce la proprietà di un bene ad una persona di fiducia (trustee) il quale ne eserciterà ogni diritto in base a quelle che sono le indicazioni del disponente (letters of wishes) ma che avrà l’obbligo di ritrasferire la proprietà del bene ad un terzo beneficiario (beneficiary). Nella cultura giuridica ed economica anglosassone il trust ha sempre ricoperto, quindi, un ruolo di primaria importanza poiché grazie ad esso è stato possibile pianificare e gestire la destinazione di enormi fortune andando ad evitare le varie tassazioni sulla successione o la disgregazione patrimoniale e strutturale di società garantendo anche una elevata flessibilità organizzativa parallela al mutare delle condizioni nella quale ci si trovava. Ci si pone ora il problema sul perché un simile istituto, dalla grande facilità di gestione e dalla estrema flessibilità organizzativa nella trasmissione di patrimoni e quote societarie, non sia stato adoperato prima della legge di ratifica della Convenzione dell’Aja nel nostro paese. La risposta è di facile reperibilità in quella che è stata l’evoluzione giurisprudenziale italiana in merito alla proprietà e al diritto privato tutto: il primo approccio con tale istituto ci fu, infatti, il 15 luglio 1956 quando il Tribunale di Oristano lo definì come un elemento che sconvolgeva anzi sovvertiva il concetto stesso di proprietà proprio della nostra legge. Che la giurisprudenza dell’epoca avesse, poi, tale opinione non è del tutto assurdo visto che il trust, effettivamente, è un istituto giuridico che implica e porta avanti un reale sdoppiamento del concetto di proprietà e questo ha portato, fino all’accoglimento della Convenzione dell’Aja, ad un non riconoscere l’istituto stesso e quindi al non saper nulla circa le possibilità applicative che con esso si sarebbero potute sviluppare sulla falsariga di quanto in Inghilterra è sempre avvenuto (casi di trust all’epoca esistenti, infatti, erano tutti esteri e ovviamente non riconosciuti nel nostro paese benché portati avanti e diretti da precursori cittadini italiani). Finalmente con il riconoscimento da parte del nostro paese, il trust è stato introdotto in un ordinamento che inizialmente non ne capiva appieno le innumerevoli risorse, cosa che forse accade ancora oggi, e che ha visto lentamente una sua implementazione in questioni fiscali e successorie nella gestione di patrimoni di un certo peso. Come dicevamo prima le difficoltà di implementazione del trust nella quotidiana attività dei professionisti del diritto è dovuta soprattutto alla non equiparabilità con altri istituti dei quali si è maggiormente pratici. Abbiamo già detto, infatti, che non si può procedere con la proposta di analogie in capo alle società regolate dal nostro codice civile o alle fondazioni che spesso ritroviamo nella nostra giurisprudenza poiché il trust è una figura giuridica del tutto autonoma rispetto a quelle già elencate e, soprattutto, non deriva dall’eventuale elevata elaborazione di queste. Volendo dare una definizione di trust potremmo dire che: "il Trust è una obbligazione naturale che sorge dal rapporto di un soggetto, il Settlor, con uno o più soggetti, i Trustee, ai quali il primo conferisce la proprietà di un determinato patrimonio i cui benefici economici andranno assegnati, a cura dei Trustee, ad altri soggetti, chiamati beneficiari del Trust o a precise altre finalità anche caritatevoli"⁵. Dunque il Trust non è una società o una azienda ma una vera e propria obbligazione che le persone ad esso legate si impegnano a rispettare secondo quanto pattuito, è un atto unilaterale che, per quanto assimilabile ad un contratto, ha più le caratteristiche di una donazione (nella giurisprudenza di matrice anglosassone, differentemente che in Italia, non c’è bisogno per quest’ultima dell’incontro di volontà di più parti ex art. 782 c.c.⁶). Una volta istituito il Trust⁷ la proprietà dei beni, dunque, passa in capo ai Trustee che li amministreranno e, avendo il Trust un nome, una nazionalità ma non la capacità giuridica propria delle persone giuridiche, la capacità processuale sarà in capo ai Trustee stessi. I Trustee hanno quindi la proprietà con titolarità legale effettiva e piena ma i benefici della loro gestione sono destinati ai Beneficiari del Trust. Per comprendere ed analizzare a fondo e con la giusta cognizione di causa quelle che sono le caratteristiche e le peculiarità del Trust bisogna anche avere piena conoscenza, aldilà di quelle poche indicazioni fino ad ora enunciate, di quelli che sono i soggetti coinvolti nel Trust stesso con tutti i loro poteri ed i loro ruoli. Al giorno d’oggi, dunque, i Trust vengono sempre più utilizzati per pianificazioni fiscali internazionali, per regolare diritti di godimento su immobili, per trasferire patrimoni a generazioni successive⁸, per offrire delle valide garanzie, come troppo spesso mediante la legge italiana non accade, ai creditori nelle procedure concorsuali⁹, nella tutela dei minori¹⁰ e negli accordi di separazione e divorzio¹¹. Il sempre più penetrante ed importante utilizzo del Trust come strumento atto ed idoneo a risolvere questioni altrimenti difficilmente gestibili ha inoltre, nel 2006, portato ad un riconoscimento tributario, di cui si parlerà più avanti, con la legge 296 del 27 dicembre 2006 ovvero la Finanziaria del 2007.
² SANTORO L., Il trust in Italia, Milano, 2005.
³ FRANCESCHELLI R., Il trust nel diritto inglese, Padova, 1997.
⁴ Secondo CAENEGEM T. (The birth of English Common Law, Cambridge, 1989), l’use quale progenitore del trust non traeva origine dal diritto romano, ma piuttosto dalla figura del Salmann, colui al quale i